L’obiettivo Wild Orbigon 80mm di Bertele per NASA e la fotogrammetria lunare
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; proprio in questi giorni si è celebrato a vari livelli il 50° anniversario dello sbarco sulla Luna e anche NOC si è prodigata, organizzando una serata-evento specifica dedicata alle attrezzature fotografiche utilizzate nelle missioni spaziali americane e sovietiche e che è possibile rivivere grazie al video NOC-WORK condiviso online; fra le varie attrezzature prese in considerazione non è stato tuttavia menzionato un speciale obiettivo che, per paternità e risvolti storici, è sicuramente interessante; sto parlando del Wild Orbigon 80mm 1:3,5 per la fotogrammetria lunare progettato da Ludwig Jackob Bertele.
Ludwig Jackob Bertele (qui in un inedito ritratto giovanile che ho potuto riprodurre dalla lastra originale del 1930 circa, sopravvissuta al bombardamento di Dresda), fin dal 1946 aveva optato per un nuovo inizio in Svizzera nel cantone St. Gallen come disegnatore di ottiche metriche alla Wild di Heerbrugg; in realtà, come il figlio Erhard mi ha raccontato in dettaglio, Bertele si era riservato nel proprio contratto d’assunzione la possibilità di progettare obiettivi per terze parti, come free lance, a patto che fossero destinati ad utilizzi fotografici convenzionali e non entrassero in concorrenza diretta con quanto da lui stesso realizzato per la Wild; grazie a questa clausola Bertele disegnò a inizio anni ’50 due obiettivi che vennero poi utilizzati nelle missioni spaziali statunitensi, come i Carl Zeiss Biogon 38mm 1:4,5 montato sulla corrispondente Hasselblad SWA-SW-SWC e il Carl Zeiss Sonnar 250mm 1:5,6 che, sempre in montatura per Hasselblad, fu utilizzato per riprese a lunga distanza della superficie lunare e della Terra, come nella suggestiva immagine che segue.
Bertele, classe 1900, era già in età abbastanza avanzata quando la NASA nel 1968 formalizzò a Zeiss la richiesta per lo specifico obiettivo metrico da utilizzare sulla superficie lunare, pertanto l’onore di progettarlo toccò ad Erhard Glatzel, a quel tempo capo del Dipartimento Matematico di Calcolo Ottico ad Oberkochen, il quale, ironia della sorte, utilizzò proprio lo schema Biogon creato da Bertele, modificandolo, per concretizzare il 60mm 1:5,6 “lunare”; tuttavia l’esperienza di Bertele con le ottiche destinate alle riprese spaziali prevedeva ancora un ultimo, tardivo ed inopinabile capitolo.
Infatti, nel 1970, alla NASA stavano pianificando una mappatura fotogrammetrica completa della superficie lunare con apparecchi a lastre da 114x114mm e a tale proposito si rese necessario un obiettivo che da un lato offrisse una copertura di 90° per garantire la correttezza geometrica della triangolazione fotogrammetrica, abbinata ad una risoluzione sufficientemente elevata da consentire il riconoscimento dei dettagli su foto in scala 1:1.000.000 e ad una correzione della distorsione di livello metrico, praticamente assoluta, e dall’altro prevedesse un’apertura massima di 1:3,5, insolitamente ampia per la categoria, sufficiente a realizzare le immagini da una sonda spaziale in rapido movimento senza chiamare in causa il sistema di compensazione con traslazione motorizzata della pellicola, che avrebbe introdotto ulteriori variabili e fattori di rischio in un’operazione di mappatura già particolarmente complessa.
Un obiettivo del genere al momento non esisteva e alla NASA, nonostante la Zeiss di Oberkochen ed il Dr. Erhard Glatzel avessero consegnato meno di due anni prima il Biogon 60mm 1:5,6 utilizzato sulla Luna, preferirono orientarsi su Ludwig Bertele in virtù della sua specifica esperienza pregressa; infatti, fin dal 1946, alla Wild Heerbrugg aveva progettato ottiche di questo tipo, creando una gamma che copriva tutte le esigenze metriche e comprendeva l’Aviotar da 60°, l’Aviogon da 90°, il Super-Aviogon da 120° e il Reprogon, uno speciale obiettivo da riproduzione grandangolare utilizzato nella riproduzione delle lastre aerofotogrammetriche; il geniale progettista fu quindi ritenuto il soggetto più qualificato per progettare il nuovo obiettivo 1:3,5 da 90° che, essendo destinato a lastre da 114x114mm, prevedeva una focale corrispondente da 80mm.
Ludwig Bertele, a quel tempo settantenne, era ovviamente in pensione ma ricopriva ancora un ruolo da consulente tecnico per l’azienda Wild di Heerbrugg, pertanto il progettista accettò l’incarico di progettare il nuovo obiettivo mentre la produzione effettiva sarebbe stata garantita dalla stessa Wild, azienda peraltro specializzata proprio in strumenti del genere.
Come da consuetudine, i tempi tecnici concessi dalla NASA per la consegna del prototipo erano estremamente ridotti ma un dettaglio avvantaggiava Bertele: per tutti gli anni ’60 aveva continuato a disegnare e sviluppare schemi simmetrici, brevettandoli a proprio nome e a titolo personale, focalizzandosi proprio sull’incremento di apertura massima in questo tipo di schemi, arrivando addirittura ad ipotesi di luminosità 1:2,5; pertanto, dovendo imbastire rapidamente il complesso obiettivo, il progettista spolverò un suo brevetto presentato per la registrazione in Svizzera il 16 Aprile 1968 e che prevedeva proprio un obiettivo per riprese aerofotogrammetriche con 90° di campo ed apertura 1:4; Bertele forzò rapidamente l’apertura massima ad 1:3,5 ed ottenne lo schema dal quale fu ricavato il primo prototipo, consegnato alla NASA nel 1970 e denominato Wild Orbigon 80mm 1:3,5, un nome chiaramente evocativo della sua destinazione d’uso; questo programma di mappature doveva inizialmente coincidere con la missione Apollo 17, undicesima della serie e prevista per il Dicembre 1972, quindi c’era margine per mettere a punto lo speciale apparecchio fotogrammetrico al quale l’obiettivo era destinato, tuttavia procediamo con ordine.
Il primo prototipo di Orbigon fornito dalla Wild nel 1970 venne incredibilmente rigettato dalla NASA perché la corrispondente lastra reseau posteriore non risultava perfettamente piana (i dettagli non rivelano se fosse un difetto di fabbricazione o una scelta di progetto non condivisa dai tecnici statunitensi) e soprattutto, testando l’obiettivo con violenti sbalzi termici, si prese atto che l’abbinamento di due vetri in un doppietto collato nella parte posteriore comportava problemi di stabilità, imponendo una modifica; tutto questo obbligò Bertele a riprogettare l’obiettivo, la cui versione definitiva, arrivata alla NASA nel 1972, non venne consegnata in tempo utile per i vari test prima del lancio di Apollo 17, pertanto quel programma di mappature venne cancellato dalla missione proprio per i ritardi dovuti ai problemi dell’Orbigon.
Questa immagine illustra, a sinistra, lo schema ricavato dal brevetto dell’Aprile 1968 e che servì come base per il primo prototipo del 1970 e, a destra, la sezione del Wild Orbigon definitivo del 1972; lo schema evidenzia la posizione del doppietto incriminato, nel quale l’abbinamento di un vetro ad alta rifrazione/alta dispersione Dense Flint SF-1 con un vetro ad alta rifrazione/bassa dispersione lanthanum Crown LaK8 aveva rivelato inconvenienti nelle condizioni di esercizio previste; questa coppia di lenti funziona come un doppietto ipercromatico ad alta rifrazione, nel quale i due vetri presentano un indice di rifrazione simile ma dispersione sostanzialmente differente, un raffinato escàmotage utilizzato per correggere selettivamente l’aberrazione cromatica mentre, al fine del controllo di altre aberrazioni, i due vetri si comportano quasi come un elemento singolo di sagoma analoga a quella del doppietto; osservando lo schema definitivo del 1972, si nota come questo doppietto sia stato trasformato in un tripletto collato, portando lo schema ad una configurazione con 11 lenti in 7 gruppi, cui vanno aggiunti il filtro di contrasto anteriore con filtratura degradante concentrica incorporata e piastra reseau posteriore; in questo nuovo tripletto il vetro lanthanum Crown LaK8 del modello originale fu sostituito da 2 elementi realizzati in vetro differente, risolvendo quindi il problema lamentato dalla NASA.
Purtroppo i 2 anni perduti per questa fase impedirono di imbarcare il Wild Orbigon 80mm 1:3,5 sull’Apollo 17, e siccome già nel 1970 le successive missioni Apollo 18, 19 e 20 erano state cancellate, l’ultimo grandangolare simmetrico di Bertele non venne utilizzato in questo programma e a tuttora non si può definire se sia mai stato effettivamente sfruttato per qualche impiego analogo nello spazio.
Questa scheda con i dati grezzi di progetto è ricavata dal brevetto originale del 1968, con l’obiettivo da 90° ancora in configurazione 1:4; proprio l’impiego previsto su velivoli ed i relativi sbalzi termici ha probabilmente suggerito a Bertele di non includere vetri ai fluoruri a bassa dispersione, noti per il loro elevato coefficiente di dilatazione termica, limitandosi ad un PSK Phosphate Crown e a un borosilicate Crown BK7.
L’obiettivo mancò quindi ufficialmente la missione per la quale era stato creato, tuttavia, trattandosi di un’ottica molto avanzata per i suoi tempi, nel 1972 sia il National Ocean Survey sia il National Bureau of Standards eseguirono approfonditi test di stellar calibration, prove di risoluzione, luminanza e distorsione sull’Orbigon 80mm e per mettere al corrente gli operatori del settore delle sue caratteristiche, nel 1974, fu presentato un dossier molto tecnico creato ad hoc; pur senza voler entrare in dettagli specifici molto astrusi e tecnici legati alla fotogrammetria, vediamo comunque di analizzare qualche ulteriore dettaglio su questo storico e specialissimo obiettivo.
Le principali caratteristiche tecniche sono le seguenti:
- nome: Wild Heerbrugg Orbigon
- progettista: Ludwig Jackob Bertele
- lunghezza focale: 80,2mm
- apertura massima: 1:3,5
- T= corrispondente con filtro di contrasto/degradante concentrico: 1:6,8
- angolo di campo sulla diagonale: 90°
- formato coperto: lastra 114x114mm
- risoluzione media ad 1:3,5 (su lastre da 500 l/mm e mire ad alto contrasto): AWAR 133 l/mm
- massima distorsione dopo trasformazione: 4,1 micron
- massima differenza d’illuminazione sul piano focale: 12%
- distanza dei riferimenti nella piastra reseau: 10mm
- progettazione prima versione: 1970
- consegna seconda versione rivista: 1972
L’obiettivo soddisfaceva perfettamente le esigenze della fotografia metrica, con una distorsione massima, dopo la ricalibratura della lunghezza focale, non superiore ai 4,1 micron su una semidiagonale da 80mm mentre la massima differenza di illuminazione sul campo, anche grazie al filtro di contrasto anteriore che incorpora un settore degradante concentrico di compensazione, non è mai superiore al 12%; occorre però considerare che, analogamente a quanto avviene su obiettivi della stessa categoria equipaggiati con questo tipo di filtro, la luminosità fotometrica è decisamente inferiore, pertanto l’apertura nominale 1:3,5 corrisponde ad un T = 6,8, differenza che si mantiene ovviamente anche alle aperture successive; ecco la tabella di conversione con i valori f/ nominali, valori f/ effettivi e valori fotometrici reali T= corrispondenti agli stop dell’obiettivo:
1:3,5 1:3,49 T=6,80
1:4 1:3,90 T=7,64
1:5,6 1:5,56 T=10,68
1:8 1:7,84 T= 15,57
1:11 1:11,25 T=21,71
1:16 1:15,99 T=29,92
Come si può notare l’Orbigon 80mm 1:3,5 prevedeva aperture comprese fra 1:3,5 e 1:16 ma in realtà, considerando l’esigenza specifica di tempi di otturazione molto rapidi, i valori previsti nell’uso reale erano solamente 1:3,5, 1:4 e 1:5,6, con netta preferenza per la massima apertura.
La risoluzione, misurata dal National Bureau of Standards, sull’asse prevede valori di 181 l/mm costanti alle tre aperture citate, misure che si differenziano progressivamente sul campo con potere risolvente minore negli elementi con orientamento tangenziale (perpendicolare alla semidiagonale che li congiunge al centro), con valori massimi pari a 256 l/mm in lettura radiale a 15° fuori asse e minimi ai bordi corrispondenti a 29 l/mm a piena apertura con orientamento tangenziale, sempre critico per grandangolari così spinti; il valore medio standardizzato AWAR è di 133 l/mm ad 1:3,5, 137,7 l/mm ad 1:4 e 141,9 l/mm ad 1:5,6.
La trasmissione luminosa effettiva è nell’ordine del 25%, con una perdita secca di 2 f/stop già evidenziata in precedenza dalla relazione fra valori f/ e valori T=, tuttavia questa è dovuta essenzialmente all’assorbimento del filtro anteriore di contrasto/degradante concentrico che, appunto, sull’asse assorbe 2 f/stop.
Per campionare la distorsione infinitesimale dell’obiettivo, al National Ocean Survey furono realizzate varie lastre con differente orientamento, fotografando porzioni di cielo (qui il dettaglio da una lastra originale del 1972) nelle quali la distanza e posizione delle stelle era perfettamente nota e che consentiva, appunto, di verificare eventuali deviazioni; la risoluzione del sistema è tale che a piena apertura 1:3,5 su una lastra 114x114mm era possibile riconoscere oltre 2.400 stelle differenti.
Questi diagrammi presentano le curve relative alla distorsione dell’Orbigon 80mm 1:3,5 ricavate da varie lastre; con lunghezza focale calibrata sul valore primario (80,1749mm ad 1:3,5 e 80,1690mm ad 1:4) la distorsione massima risulta nell’ordine di 15 – 20 micron (millesimi di millimetro!) su una semidiagonale da 80mm, mentre trasformando la focale calibrata in 80,192 – 80,196mm e distribuendo la distorsione anche su valori negativi lo scostamento massimo lineare si riduce a poco più di 4 micron, sempre sulla semidiagonale di 80mm, un valore eccellente per un obiettivo da 90° così luminoso.
Il Wild Orbigon 80mm 1:3,5 fu quindi la ciliegina mancante nella grande carriera postbellica di Ludwig Jackob Bertele quale sommo progettista di ottiche grandangolari simmetriche e fotogrammetriche, un obiettivo che avrebbe ricoperto un ruolo molto importante nella mappatura lunare e che, per problemi iniziali, arrivò troppo in ritardo per agguantare le stelle ma non per entrare a buon diritto nel mito.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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