Voigtlaender Ultron 50mm 1:2 (1950)

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; questo pezzo costituisce il sesto articolo della serie VINTAGE METER che si prefigge di monitorare aberrazioni e prestazioni MTF di obiettivi vintage o di modernariato, creando una scheda parametrica in modelli anche rari, dei quali non esista una omologa documentazione ufficiale o che non sono stati testati da riviste o istituti; questa opzione estremamente interessante per appassionati e collezionisti si concretizza sfruttando un sofisticato software di calcolo ottico professionale, il Synopsys Code V, ed è possibile grazie all’amichevole collaborazione dell’amico Mark Jeffs, progettista ottico da oltre trent’anni con trascorsi prestigiosi, che ringrazio di cuore per aver accettato di supportarmi; specifico che i numerosi diagrammi presentati non sono ottenuti da misurazioni dirette su un esemplare (con tutte le variabili legate a problemi di allineamento dovuti ad urti e cadute o agli effetti sull’immagine di polvere, aloni o scollature fra le lenti dopo svariati anni di esercizio) ma sono calcolati, partendo dagli esatti parametri costruttivi del sistema di lenti, grazie all’avanzato software di progettazione ottica, in grado di effettuare simulazioni molto precise ed attendibili sul rendimento effettivo dell’obiettivo prodotto secondo quelle specifiche.

 

 

L’obiettivo protagonista di questa tornata è un famoso normale vintage destinato ad apparecchi 35mm, il Voigtlaender Ultron 50mm 1:2; questo modello si caratterizza per uno schema ottico del tipo Doppio Gauss a 6 lenti, tuttavia evoluto dal suo progettista spaziando ad aria tutti gli elementi posti davanti al diaframma ed eliminando pertanto il tipico doppietto collato anteriore presente nei modelli corrispondenti; questa soluzione ha aumentato il numero delle variabili di calcolo, introducendo una lente d’aria e diversificando 2 raggi di curvatura che nel doppietto collato standard sono identici; questa architettura si è dimostrata subito molto valida, al punto che ora è notoriamente conosciuta come “tipo Ultron” e nei decenni successivi ha costituito la maturale evoluzione del 50mm non superluminosi dal Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi e 2 doppietti collati, modelli che con poche eccezioni sono passati alla configurazione Ultron.

 

 

Lo schema ottico del Voigtlaender Ultron 50mm 1:2 venne calcolato da Albrecht Wilhelm Tronnier; Tronnier è un nome leggendario nel campo dell’ottica e in una lunga e brillante carriera iniziata a fine anni ’20 ha collaborato con varie aziende di rilievo e calcolato obiettivi molto famosi come gli Schneider Kreuznach Angulon 1:6,8 e Tele-Xenar, tutti i normali Voigtlaender postbellici (Color-Skopar, Ultron, Nokton, Heliar 1:3,5 ed Heliar 1:4,5 per grandi formati) ed ottiche molto luminose per la Farrand Optical Company di New York.

Il brevetto per lo schema dell’Ultron 50mm 1:2 venne depositato in Svizzera il 29 Aprile 1950 e non mi dilungo ulteriormente su questo argomento perché ho già scritto per NOCSENSEI un ulteriore articolo dedicato esplicitamente a tale obiettivo, la sua storia, i prototipi e le fotocamere che l’hanno utilizzato.

 

 

Lo schema ricavato dal brevetto evidenza l’inconfondibile architettura dell’Ultron 50mm 1:2 anni ’50, con la caratteristica peculiare degli elementi L2 ed L3 (IIa e IIb) non collati assieme ma abbondantemente spaziati e caratterizzati da raggi di curvatura prospicienti di valore diverso; questa struttura costituisce uno storico passo avanti nel disegno dei 50mm di luminosità normale e la ritroviamo infatti anche in obiettivi ben più moderni come, ad esempio, i Nikkor 50mm 1:1,8 Ai, AIS e AF o i Canon 50mm 1:1,8 FD ed EF.

 

 

Come anticipato nell’articolo dedicato, Tronnier utilizzò 5 diversi tipi di vetro ottico, prevedendo anche 2 elementi in vetro lanthanum Crown agli ossidi delle Terre Rare che nella produzione di serie corrispondevano alla tipologia LaK11 in L3 e LaK3 in L5; l’Ultron 50mm 1:2 è quindi un obiettivo che, fra caratteristiche geometriche e materiali utilizzati, prevede un numero di variabili di calcolo ben superiore a quella che caratterizzavano altri normali gaussiani a 6 lenti dell’epoca e l’adozione di questi lanthanum Crown già nel 1950 evidenzia come il progetto si avvalesse dei più moderni ritrovati del settore.

 

 

Lo schema disegnato dal software sfruttando i parametri grezzi di progetto presenti nel brevetto del 1950 mostra un’ottima corrispondenza con la versione di serie; notate come il calcolo retrofocus definisca uno spazio retrofocale piuttosto ampio, circa 35mm, quindi sufficiente a renderlo compatibile addirittura con apparecchi reflex, sebbene tutti i modelli sui quali verrà montato non prevedano tale caratteristica; ritengo che la scelta di calcolare l’obiettivo con questo spazio retrofocale fosse legata all’esigenza di renderlo utilizzabile in modelli dotati dell’otturatore centrale Synchro-Compur con baionetta anteriore per il cambio degli obiettivi messo a punto dalla Deckel, una soluzione che imponeva di posizionare l’intero gruppo ottico davanti alle lamelle dell’otturatore (a sua volta posizionato sul frontale della fotocamera), una soluzione che alla fine richiedeva uno spazio retrofocale utile non dissimile da quello di una reflex.

 

 

Questo schema evidenzia i dati grezzi dell’obiettivo inseriti nel software Synopsys Code V per calcolare aberrazioni e trasferimento di modulazione del contrasto; spesso con obiettivi così vecchi risulta difficile definire con esattezza la tipologia di vetro realmente utilizzata mentre è di fondamentale importanza per ricavare parametri come la dispersione parziale del vetro necessari alla simulazione.

Come di consueto la componente spettrale della luce con le varie frequenze e relativi percentili è stata definita adottando gli stessi valori delle misurazioni precedenti, assegnando anche un 5% alla frequenza di 404,70nm che è effettivamente molto vicina all’ultravioletto ed è possibile che venga annullata dal complesso vetri utilizzati/rivestimento antiriflessi/cemento del doppietto collato; è importante considerare questo fattore perché questa componente così al limite dello spettro visibile comporta solitamente un evidente spostamento di fuoco rispetto alle altre frequenze, limitando in qualche modo la correzione in certi parametri nella simulazione teorica.

Per quanto riguarda il piano di fuoco per le misurazione dei diagrammi MTF, anche in questo episodio è stato utilizzato il protocollo Zeiss, definendo il piano migliore in asse per 20 cicli/mm di frequenza spaziale e mantenendolo poi per tutte le letture, in ogni zona del campo e alle varie aperture.

 

 

Questa prima serie di diagrammi creati dal software simula aberrazione sferica longitudinale, curvatura di campo, astigmatismo e distorsione dell’Ultron 50mm 1:2; il nuovo schema, all’avanguardia per l’epoca, e le numerose variabili di calcolo unite ad un’apertura massima non eccessiva hanno portato ad una correzione dell’aberrazione sferica longitudinale decisamente buona e con uno scostamento molto modesto delle curve misurate su componenti dello spettro luminoso compreso fra il blu a 435,8nm e il rosso a 656,3nm di lunghezza d’onda (unica eccezione lo scostamento sul piano di fuoco pari a circa 70 micron della curva con componente spettrale a 404,7nm della quale discutevamo in precedenza); il diagramma dell’aberrazione lascia preconizzare un modesto focus shift al chiudersi del diaframma che dovrebbe garantire un netto e costante incremento nel trasferimento di modulazione del contrasto (MTF), mentre alcuni famosi 50mm dell’epoca soffrivano proprio per uno spostamento del piano di fuoco chiudendo l’iride legato all’andamento specifico dell’aberrazione sferica che portava progressivamente fuori fuoco le zone centrali e generava quindi una sorta di “stallo” nei valori fra massima apertura e diaframma chiuso.

Il secondo diagramma sottolinea una caratteristica specifica dell’Ultron del 1950: per contenere la curvatura di campo entro limiti ragionevoli il progettista ha ammesso un residuo di astigmatismo nelle zone più marginali del campo, oltre i 15mm di semidiagonale, evidenziato dalle curve con lettura in orientamento sagittale e tangenziale (cioè con mire parallele o perpendicolari alla semidiagonale di campo) che divergono progressivamente e vanno a giacere su piani distanziati fra loro, con una differenza di fuoco sul piano focale fra l’una e l’altra ai bordi del campo nel’ordine di 0,7mm, un valore sicuramente non trascurabile; questa caratteristica, trasferita alle letture MTF,  dovrebbe portare ad un contrasto più modesto ai bordi nelle curve con orientamento tangenziale, con le mire a 90° rispetto alla direzione della semidiagonale che dal centro dell’immagine va ai bordi del formato.

Infine, la distorsione si orienta a barilotto e il massimo valore ai bordi, superiore ad 1,5%, non è estremamente contenuto per la categoria ma, in termini assoluti, risulta ancora accettabile e probabilmente percettibile solo fotografando trame geometriche molto critiche.

 

 

I diagrammi con i transverse ray errors mostrano gli errori dei raggi luminosi rispetto alla loro relativa posizione nella pupilla a diverse altezze sulla semidiagonale di campo e sono abbastanza criptici da comprendere per i non addetti come noi, tuttavia l’andamento complessivo è analogo a quello di famosi 50mm di alta qualità progettati negli anni ’50; si nota in particolare come le varie curve relative a singole frequenze dello spettro luminoso risultino ben accostate, confermando un buon controllo cromatico.

Passiamo ora alle curve MTF; questi diagrammi definiscono il trasferimento di modulazione del contrasto residuo garantito dall’obiettivo e viene calcolato dal centro del fotogramma (estrema sinistra dello schema) fino ai bordi (estrema destra) valutando il trasferimento in percentili a 3 frequenze spaziali sempre più selettive, cioè 10, 20 e 40 cicli/mm (curva blu, verde e rossa, rispettivamente); per ogni frequenza spaziale vengono in realtà definite 2 curve diverse, una misurata con le mire ad orientamento sagittale, parallele rispetto alla semidiagonale di campo (linea continua) e l’altra con mire ad orientamento tangenziale, perpendicolari alla semidiagonale di campo (linea tratteggiata), una distinzione fra l’orientamento delle 2 “calotte” che consente di apprezzare difetti come aberrazione cromatica laterale e astigmatismo.

 

 

Alla massima apertura 1:2 i valori possono sembrare non esaltanti ma sono invece ottimi considerando l’anzianità del modello; il celebre ottico Heynacher definì che a 40 cicli/mm di frequenza spaziale (quindi riferito alle curve rosse) in un obiettivo per formato 35mm la percezione di una buona nitidezza è già possibile con il 30% di MTF residuo, e nel nostro caso il valore medio delle 2 letture rimane in questo ambito fino a 2/3 di campo; l’obiettivo esibisce un picco sull’asse ma il comportamento è lodevolmente uniforme su tutto il campo.

Una caratteristica all’apertura 1:2 consiste nelle curve per 40 cicli/mm (rosse) proporzionalmente elevate rispetto ai relativi valori a 20 e 10 cicli/mm (curve verdi e blu), ad indicare un comportamento che in questa circostanza tende a privilegiare la risoluzione dei dettagli fini sul contrasto generale, specie il macrocontrasto a basse frequenze spaziali.

 

 

Chiudendo il diaframma ad 1:2,8 le prestazioni migliorano in modo evidente sull’asse e in uno spot centrale da 12mm di diametro sono già molto soddisfacenti, mentre il resto del campo fino ai bordi resta progressivamente indietro su livelli simili a quelli visti a tutta apertura; quest’area centrale nitida con una profondità di campo ancora modesta consente un evidente stacco dei soggetti centrali a distanza ravvicinata, utile nella fotografia di persone ambientate.

 

 

Il passaggio all’apertura 1:4 determina modifiche più evidenti nel rendimento perché non solo le zone assiali e centrali/mediane migliorano in modo netto, raggiungendo già valori di oggettiva eccellenza, ma lo sweet spot dell’obiettivo aumenta il suo diametro e si sposta progressivamente verso i bordi, relegando le aree con risultati più modesti agli ultimi 4-5mm di semidiagonale; contemporaneamente le aree periferiche iniziano a mostrare un’evidente differenza fra le curve in lettura sagittale e tangenziale, ovviamente più marcata nella critica misurazione a 40 cicli/mm (curve rosse); questo trasferimento di contrasto decisamente inferiore con orientamento tangenziale si giustifica col residuo di astigmatismo presente in quelle zone ed evidenziato anche da un diagramma precedente.

Il netto incremento di resa sull’asse da 1:2,8 ad 1:4 sottolinea come il focus shift al variare del diaframma legato all’andamento dell’aberrazione sferica sia realmente modesto, confermando l’ottimo lavoro del progettista.

 

 

In questo schema troviamo le curve ad 1:2,8 a 10, 20 e 40 cicli/mm (colore blu, verde e rosso) sovrapposte alle corrispondenti misurate ad 1:4 (colore ciano, bronzo e magenta); l’abbinamento consente di apprezzare il netto incremento ad 1:4 nelle zone centrali e in quelle periferiche, tuttavia in quest’ultimo caso il guadagno è principalmente nella lettura sagittale (curve continue) e la forcella che inizia a formarsi con le curve tangenziali (tratteggiate) definisce l’astigmatismo residuo nell’area.

 

 

Chiudendo ad 1:5,6, valore di rendimento ottimale per un 50mm 1:2, i valori fin quasi a metà del campo sono realmente eccellenti ed anastigmatici, tuttavia il guadagno rispetto ad 1:4 è davvero marginale perché probabilmente in quei settori l’obiettivo è già al limite di diffrazione, mentre nelle zone periferiche il recupero in lettura sagittale continua ad espandersi verso i bordi, ribadendo però e addirittura accentuando la separazione dalle corrispondenti curve ad orientamento tangenziale, a conferma che nelle zone marginali del campo la presenza di astigmatismo definisce il comportamento tipico e limita la resa rispetto agli ottimi valori visti al centro.

 

 

Sovrapponendo le curve di 1:4 (blu, verde e rosso) con quelle misurate ad 1:5,6 (ciano, bronzo e magenta) possiamo osservare lo stallo sull’asse dovuto alla diffrazione e l’incremento sul resto del campo verso ai bordi solo limitatamente alla lettura sagittale, mentre quella tangenziale (curve tratteggiate) evidenzia addirittura un detrimento rispetto all’apertura precedente, portando la differenza fra i 2 orientamenti di lettura a livelli vistosi.

 

 

Chiudendo ulteriormente ad 1:8 la zona centrale è ottima ma decresce leggermente rispetto ad 1:5,6 per diffrazione, mentre nelle zone mediane e ai bordi si concretizza in modo completo il recupero della curva in lettura sagittale, con mire ad orientamento parallelo alla semidiagonale di campo, con valori elevati ormai fin quasi ai bordi estremi, mentre in orientamento tangenziale il trasferimento di contrasto oltre i 2/3 di campo continua a crollare vistosamente, con un comportamento simile alle aperture precedenti; questo astigmatismo periferico è quindi un fingerprint caratteristico dell’Ultron 1:2 ed è l’unica nota negativa ai diaframmi centrali a fronte di un rendimento complessivamente ottimo.

 

 

Sovrapponendo le curve di 1:5,6 (blu, verde e rosso) con quelle misurate ad 1:8 (ciano, bronzo e magenta) troviamo conferma di quanto detto: ad 1:8 le zone centrali fino a metà campo denunciano una leggera flessione per diffrazione rispetto ad 1:5,6, mentre da metà campo in poi le curve sagittali ad 1:8 evidenziano un miglioramento e anche un recupero fino ai bordi, mentre quelle tangenziali mostrano valori complessivamente analoghi ai precedenti, confermando l’astigmatismo.

Le prestazioni dello storico e apprezzato Voigtlaender Ultron 50mm 1:2 del 1950 sono quindi globalmente molto buone e la sua elevata correzione complessiva è sicuramente notevole per il periodo in cui fu concepito; l’elevata qualità nelle zone centrali ad 1:2,8 ed 1:4 consente riprese ravvicinate di ritratto e figura ambientata con un evidente stacco plastico, mentre la presenza di astigmatismo periferico, accettato in cambio di un campo immagine piano, denuncia una filosofia di progettazione in sintonia con i tempi (anche l’originale Leica Elmar 5cm 1:3,5 antecedente al “numeri rossi” prevedeva un visibile astigmatismo nelle zone periferiche in cambio di una buona planeità), mentre da metà anni ’50, soprattutto grazie a Leitz, la tendenza cambiò orientamento e negli obiettivi si preferiva annullare l’astigmatismo accettando in cambio curvatura di campo, un differente compromesso che evidentemente era considerato preferibile nell’uso convenzionale, con soggetti tridimensionali a normali distanze.

Come ho anticipato anche nell’articolo dedicato alla storia dell’Ultron e alle fotocamere che lo utilizzavano, la mossa vincente di Voigtlaender fu quella di applicare un obiettivo così luminoso, sofisticato e performante anche su apparecchi semplici e compatti come potevano essere le Vito III o le Vitomatic IIa, fornendo quindi i superpoteri a fotocamere destinate anche all’utente domenicale che sarà sicuramente rimasto stupito a cosa riuscisse a garantire il loro Ultron 1:2.

Come ultima annotazione, chiedendo al moderno software di calcolo ottico di “perfezionare” l’Ultron partendo dalla base del brevetto originale in breve tempo è stato possibile definire raggi di curvatura leggermente più accentuati per certi elementi e una spaziatura più ampia all’altezza del diaframma che migliorano la curvatura di campo di 5° ordine, riducendo l’astigmatismo periferico attualmente presente.

Oggi sarebbe quindi facile portare l’Ultron alla perfezione assoluta, tuttavia questi pezzi vogliono omaggiare la storia, non flirtare con la fantascienza.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

 

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