Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; questo articolo è dedicato ad un obiettivo e alla relativa gamma di appartenenza che per varie ragioni hanno rappresentato un passaggio fondamentale nello sviluppo tecnico delle ottiche macro e nella strategia commerciale adottata dai fabbricanti, il famoso Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro lanciato nel 1976.

 

 

Negli anni ’60 il tranquillo status quo del settore venne agitato dall’introduzione di una variabile destinata a spostare gli equilibri tecnici e di mercato, ovvero l’avvento delle ottiche universali; questi obiettivi erano prodotti da aziende che non fabbricavano e commercializzavano direttamente fotocamere e venivano proposti con attacchi destinati agli apparecchi delle varie marche, entrando quindi in diretta concorrenza con la linea delle loro ottiche originali; tipicamente le ottiche universali coprivano la serie di focali e modelli più richiesti dal mercato e venivano proposte ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quello delle versioni blasonate, imponendo per contro un certo detrimento nella qualità ottica e/o meccanica che molti si sentirono di accettare, decretando il successo di questa nuova tendenza.

In questo contesto uno dei pionieri del settore che incontrò anche un notevole successo commerciale fu il marchio Vivitar; questo brand name venne creato negli anni ’60 dall’azienda Ponder & Best di Santa Monica, California, una società creata nel 1938 dai due fondatori che le diedero il nome per importare e distribuire sul mercato statunitense prodotti fotografici giapponesi; proprio le buone relazioni con varie aziende ottiche del Sol Levante indusse il management ad ipotizzare una linea di obiettivi universali che oggi potremmo considerare un esperimento di globalizzazione ante litteram, dal momento che Ponder & Best li faceva progettare negli States da ottici free lance e poi definiva un bando per appaltarne la produzione all’azienda nipponica che offrisse le condizioni economiche migliori.

 

 

Naturalmente la stessa Ponder & Best, forte della sua esperienza nel settore, tramite le sue filiali principali di New York, Chicago ed Hollywood gestiva direttamente anche la distribuzione sul mercato nordamericano, come confermato da questa inserzione dell’epoca; la produzione di obiettivi prevedeva paternità eterogenee proprio perché ogni modello era appaltato tramite un bando che veniva rinnovato frequentemente alla scadenza del contratto vincolato a tempo, pertanto nel corso degli anni le ottiche a marchio Vivitar furono effettivamente assemblate da non meno di 16 differenti aziende, ovvero: Olympus, Cosina, Schneider Kreuznach, Kino Optical/Kiron, Ozone, Komine, Makinon, Asanuma, Tokina, Bauer, Perkin Elmer, Chinon, Tokyo Trading, Kyoe Schoji, Hoya e Polar; ciascun fabbricante appaltato era identificato in azienda dal relativo codice numerico presente in un elenco interno di tutte le aziende ottiche teoricamente disponibili, (le ditte appena citate corrispondevano rispettivamente a 6, 9, 13, 22, 25, 28, 32, 33, 37, 42, 44, 47, 51, 46, 75 ed 81) e tale numero era riportato nella matricola di ogni esemplare commercializzato, permettendo agli iniziati di riconoscere il vero fabbricante.

Questa gestione per quei tempi all’avanguardia consentiva a Vivitar di calibrare e gestire la qualità ottica e meccanica dei prodotti (dal momento che gli schemi ottici e le caratteristiche e design degli elementi meccanici erano definite e protocollate direttamente negli States), contenendo tuttavia i costi grazie alla fattura appaltata in Giappone.

L’approccio avveniristico del management si può ravvisare anche in una successiva e spregiudicata scelta commerciale che fece scuola: la creazione della gamma di ottiche Vivitar Series 1; in questo caso l’azienda prese atto che gli universali garantivano al cliente un notevole risparmio all’acquisto rispetto al modello originale di marca, tuttavia le inevitabili economie intrinseche nel progetto e nella produzione richiedevano anche di accettare compromessi riguardo alla resa ottica e alla qualità e precisione meccanica; le ottiche Vivitar Series 1 allontanavano quella dolorosa scelta, proponendo obiettivi universali di livello superiore che replicassero le prestazioni e la fattura dei modelli originali di marca, e sebbene fossero più costosi dei fratelli convenzionali consentissero comunque un certo risparmio al cliente.

La nascita di una linea di universali con qualità superiore e proposti a prezzo competitivo creava dal nulla una nuova nicchia di mercato e la validità teorica dell’idea è indiscutibile, tanto che anche Soligor si mise in scia con le ottiche della gamma CD, così come Tamron, qualche anno dopo, con gli obiettivi SP.

 

 

Naturalmente i Vivitar Series 1 non prevedevano soltanto ottica e meccanica di prim’ordine ma introdussero anche versioni luminose o zoom con caratteristiche particolari che li rendevano particolarmente appetibili; uno dei modelli tecnicamente più significativi della linea e al quale arrise anche un certo successo commerciale, rendendolo famoso, è il 90mm 1:2,5 Macro; quest’obiettivo progettato per le riprese ravvicinate si distingueva per la focale medio-tele, utile fotografando piccoli animali o anche nello still-life di oggetti con prospettiva più piacevole, e per l’ampia apertura massima 1:2,5, tuttavia a renderlo un elemento chiave dell’ottica moderna sono le innovative caratteristiche del suo gruppo ottico e le relative soluzioni tecniche adottate: infatti lo schema, in grado di raggiungere singolarmente il rapporto di riproduzione 1:2, per la prima volta in un obiettivo macro prevede un sistema flottante in grado di compensare le aberrazioni a tutte le distanze sfruttando un modulo posteriore stazionario ed un sistema Gaussiano anteriore mobile; questa avanzata soluzione tecnica costituiva una soluzione ottimale per tali esigenze (infatti anche il celebre Leica Apo-Macro-Elmarit-R 100mm 1:2,8 calcolato oltre vent’anni dopo utilizza una struttura molto simile) ma sconsigliava l’impiego di semplici prolunghe per incrementare ulteriormente il fattore di ingrandimento, pertanto i progettisti accoppiarono all’obiettivo uno speciale Macro Adapter specificamente dedicato che includeva un proprio gruppo ottico afocale in grado di portare il sistema fino al rapporto 1:1 senza compromessi qualitativi.

L’illustrazione d’epoca mostra proprio il Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 accoppiato al suo Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro Adapter che veniva fornito di serie e contribuiva a definire un prezzo finale piuttosto salato; notate il design pulito e l’accurata finitura che trasmette immediatamente il senso di alta qualità che doveva informare questa linea di ottiche.

 

 

Questa descrizione ricavata dalla brochure statunitense Vivitar Series 1 del 1976 ribadisce le caratteristiche innovative del modello: schema ad 8 lenti in 7 gruppi con flottaggio ed utilizzo di moderni vetri ad alta rifrazione che garantiscono planeità di campo e resa costante ai vari ingrandimenti, aggiuntivo afocale a 3 lenti che permette il rapporto 1:1 (campo inquadrato: 24x36mm) senza compromessi qualitativi e alta luminosità che consente di utilizzare l’obiettivo anche in contesti tradizionali come il ritratto.

 

 

A quei tempi il Macro Converter con sistema ottico indipendente fornito di serie costituiva una primizia, tuttavia l’azienda aveva sempre dedicato attenzione al concetto di aggiuntivo ottico dedicato ad un modello e calcolato sul suo specifico gruppo ottico: ad esempio, per questo Vivitar 75-150mm 1:3,8 Close Focusing Pocket Zoom antecedente al nostro macro era già previsto un moltiplicatore di focale a 4 lenti in 3 gruppi calcolato assieme all’obiettivo stesso in modo da ottimizzare le prestazioni; addirittura, a detta del fabbricante, la qualità ottica a distanze brevi sarebbe superiore con il moltiplicatore montato rispetto all’obiettivo privo di tale accessorio.

Come nota a margine, in questo advertising statunitense il responsabile dei testi si è fatto prendere dall’entusiasmo proclamando che l’obiettivo è prodotto utilizzando 9 tipi di vetro ottico, comprese tipologie alle Terre Rare, fra le quali elenca anche bario e cadmio che con tali elementi non hanno nulla da spartire…

 

 

Il 90mm 1:2,5 Macro Series 1 col relativo Macro Adapter era quindi un modello estremamente interessante perché permetteva di fotografare da infinito ad 1:1 mantenendo un rendimento omogeneo e anche una planeità di campo sufficiente a riprodurre originali bidimensionali, il tutto con un’apertura massima che non aveva eguali nei medio-tele macro di metà anni ’70.

La rotazione della ghiera di messa a fuoco, a seconda che l’obiettivo sia utilizzato singolarmente o accoppiato al converter, definisce 2 differenti intervalli di scala: nel primo caso si passa da infinito a circa 0,4m (0,393m, per l’esattezza), spaziando da infinito ad 1:2, mentre nella seconda ipotesi con ghiera su infinito il rapporto di riproduzione iniziale è 1:10 e poi sfruttando l’intera rotazione si scende fino ad 1:1; quest’ultimo intervanno gestibile con l’aggiuntivo dedicato viene visualizzato da una scala smaltata in arancio che è riportata sul lungo cannotto anteriore e diventa visibile quando quest’ultimo viene estratto progressivamente dalla rotazione dell’elicoide, visualizzando a filo di montatura il relativo rapporto di riproduzione in uso.

 

 

Lo schema ottico di questo modello prevede un modulo Gaussiano con 6 lenti in 4 gruppi anteriore e una coppia di elementi stazionari posteriori spaziati ad aria, uno dei quali di grande spessore, ai quali si aggiungono i 3 elementi spaziati del Macro Converter; è interessante notare che, come vedremo, sebbene obiettivo e aggiuntivo siano disegnati per lavorare in sinergia nel progetto originale dell’ottica il Macro Converter non è presente, pertanto è stato disegnato in un secondo tempo, eventualmente nemmeno dallo stesso progettista.

 

 

Questo advertising d’epoca condivide molte informazioni sull’obiettivo e riporta anche una interessante sezione con convertitore applicato che consente di apprezzare come i 2 moduli lavorino in sinergia per focalizzare l’immagine finale; il testo ribadisce le considerazioni già fatte sull’elevata qualità da centro a bordi ai vari ingrandimenti, sottolineando anche la favorevole distanza di lavoro ad 1:1; questo documento ribadisce anche che l’estetica complessiva e la grafica delle scritte è subordinata alla massima funzionalità e leggibilità senza concessioni a fronzoli estetici, come si conviene ad un modello con ambizioni professionali qual è un Vivitar Series 1.

Per garantire la massima precisione di accoppiamento al corpo macchina l’obiettivo era fornito in montatura fissa, scelta fra le opzioni Canon, Minolta, Nikon, Olympus e vite 42x1mm (le versioni Pentax e Vivitar indicate si riferiscono comunque a quest’ultima).

 

 

Le caratteristiche del modello prevedono un angolo di campo diagonale da 27°, diaframma gestibile da 1:2,5 a 1:22, attacco filtri da 58×0,75mm e trattamento antiriflesso multistrato VMC; l’abbondanza di vetro e la complessione robusta e professionale, considerando anche il Macro Converter col relativo attacco girevole per treppiedi, hanno comportato pesi e ingombri non indifferenti: l’ottica nuda pesa già 644g e con il converter passa addirittura a 936g, mentre il barilotto da 70mm di diametro e 90mm di lunghezza è già ingombrante di per sé e le dimensioni aumentano ulteriormente applicando il Macro Converter (138mm) e mettendo a fuoco il sistema a distanza minima (182mm); applicando l’efficace ma corpulento paraluce con converter e messa a fuoco minima arriviamo addirittura a circa 240mm; l’obiettivo veniva fornito completo di una custodia morbida con scomparto indipendente per l’aggiuntivo dedicato.

Questo storico obiettivo è stato anche protagonista di una querelle storica fra appassionati; la numerazione iniziale nella matricola di ogni esemplare è invariabilmente 37, ad indicare che l’intera produzione fu realizzata in Giappone da Tokina.

 

 

Quando la breve fiammata dei Vivitar Series 1 giunse al suo epilogo lo stesso brand nipponico iniziò a produrre un 90mm 1:2,5 con messa a fuoco macro denominato Tokina AT-X 90M 90mm 1:2,5 Macro.

 

 

Quest’obiettivo utilizzava a sua volta un Macro Converter per spingersi da 1:2 ad 1:1 (denominato in questo caso Tokina AT-X Macro Extender 1:1) e i gruppi ottici utilizzati per obiettivo e aggiuntivo sono inequivocabilmente gli stessi del corrispondente obiettivo Vivitar Series 1, pertanto da molti anni è opinione comune che Tokina avesse progettato anche lo schema ottico, fornendo a Ponder & Best non soltanto il montaggio degli esemplari della versione Vivitar Series 1 ma il pacchetto completo, calcolo compreso, continuando poi a produrlo e a commercializzarlo in proprio col brand name Tokina AT-X quando il modello marcato Vivitar uscì di listino.

In realtà la questione si dipana diversamente.

 

 

Come dimostrato dall’analisi del brevetto originale, lo schema ottico utilizzato nel Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro e nel successivo Tokina AT-X veniva invece dagli States; il responsabile del progetto è Ellis Betensky, un talentuoso free-lance che progettava sistemi ottici su commissione e che per una trentina d’anni è stato attivo disegnando schemi di ogni tipo, da obiettivi militari per il Governo Statunitense a zoom di alto livello per il cinema; nel caso di Ponder & Best, Betensky è il padre di vari obiettivi Vivitar Series 1, fa i quali anche il 24-48mm, il 35-85mm e il celebre 70-210mm.

Questo brevetto fu presentato per la richiesta di registrazione il 9 Maggio 1974 a nome di Ellis Betensky per conto di Ponder & Best Incoporated, Santa Monica (CA), tuttavia si basa su applicazioni precedenti dello stesso autore che consentono di retrodatare l’inizio degli studi fino al Settembre 1971; questo brevetto è funzionale alla descrizione di nuovi schemi ottici per medio-tele molto luminosi e dotati di un gruppo compensatore con relativo flottaggio delle lenti per stabilizzare le prestazioni ai vari rapporti di riproduzione.

 

 

Il brevetto presenta 5 differenti ipotesi (una sesta, definita prior art, evidenzia gli schemi analoghi preesistenti e privi di flottaggio interno); fra i modelli flottanti disegnati da Betensky troviamo un 100mm 1:1,8, due 100mm 1:1,9, un 135mm 1:2 e un 90mm 1:1,9; solo quest’ultimo prevede un calcolo ottimizzato alle riprese macro e l’accesso al relativo rapporto di riproduzione e, con apertura corretta a 1:2,5, diventerà il Vivitar Series 1 protagonista dell’articolo.

 

 

Lo schema previsto dal progettista include 2 gruppi principali, con un modulo a 6 lenti mobile (a sinistra) e una coppia di grosse lenti stazionarie posteriori (a destra), un concetto innovativo che verrà ripreso in seguito da diversi fabbricanti.

 

 

La tabella con i dati grezzi di progetto mostra come lo spazio fra le lenti L6 ed L7, evidenziato in grafica, passi da appena 0,3mm in configurazione di infinito a ben 44,76mm alla distanza di messa a fuoco minima, definendo quindi un avanzamento del modulo Gaussiano anteriore di ben 44,46mm rispetto alle 2 lenti stazionare posteriori; anche in questa sede si ribadisce che il sistema può raggiungere un rapporto di riproduzione 1:2 (0,5x) con eccellente rendimento e anzi, in questo specifico caso la qualità a coniugate brevi ha avuto la priorità di progetto rispetto all’infinito, elemento interessante che tornerà utile in seguito.

 

 

Il Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro utilizza 4 tipi di vetro ottico, forniti a Tokina dalla vetreria nipponica Ohara: il lanthanum Crown agli ossidi delle Terre Rare, il Dense Flint, il Light Flint e il Borosilicate Crown; troviamo quindi il lanthanum Crown LaK12 in L1, L2 ed L6, il lanthanum Crown LaK9 in L5, il Dense Flint SF5 in L3, il Light Flint LF7 in L4 e il Borosilicate Crown BaK7 negli elementi stazionari posteriori L7 ed L8; purtroppo non conosco le caratteristiche dei vetri impiegati nel Macro Converter perché i suoi dati di progetto sono tuttora ignoti.

Il calcolo ottico è quindi di origine Ponder & Best e venne passato a Tokina per la produzione; anche la progettazione meccanica del barilotto di alta qualità fu realizzata nell’ambito della stessa azienda, e in questi schemi originali Ponder & Best è possibile apprezzare la serie di componenti utilizzati.

 

 

Lo schema evidenzia l’accurata progettazione della montatura eseguita negli States, a conferma che l’azienda nipponica appaltata per la produzione si limitava ad industrializzare un progetto già compiuto ricevuto dal committente; in questo documento osserviamo col numero 2 il cannotto estensibile che fuoriesce con la messa a fuoco e sul quale si possono apprezzare le scale di riproduzione con Macro Converter applicato, mentre la grafica di colore rosso evidenzia la posizione delle lenti.

 

 

Naturalmente è presente uno schema analogo anche per il Macro Converter dedicato, le cui 3 lenti con relativi sistemi di montaggio sono visibili in basso; questi documenti sono stati pubblicati nel 1976, anno di introduzione sul mercato dell’obiettivo, a cura del dipartimento Customer Care Pubblications di Ponder & Best Incorporated ed è interessante notare come l’azienda rivendicasse un ferreo controllo sui progetti, specificando fra l’altro che il possesso dei medesimi non autorizzava ad eseguire interventi di riparazione o manutenzione sugli obiettivi, per i quali occorreva essere riconosciuti ed autorizzati direttamente dall’azienda stessa.

 

 

Per quanto riguarda le prestazioni ottiche, l’obiettivo era stato disegnato per fornire le massime prestazioni possibili al tempo del calcolo, 1974, e ancora oggi lo si può considerare ottimo; occorre però ribadire che il progetto tendeva addirittura ad ottimizzare il rendimento a coniugate brevi rispetto ad infinito, un dettaglio ravvisabile anche in questa pubblicità Vivitar dell’epoca, come di consueto ridondante di informazioni, nella quale sono presenti misurazioni MTF eseguite sia ad infinito che al massimo rapporto di riproduzione ammesso singolarmente dall’obiettivo, cioè 1:2.

 

 

Queste curve, accettate necessariamente con beneficio di inventario in quanto fornite dal distributore stesso e realizzate a sua cura, sono interessanti perché quantificano la percentuale di trasferimento di modulazione di contrasto (MTF) sia nel piano di fuoco ottimale sia andando ad analizzare come tali valori degradino spostandoci davanti e dietro il piano stesso nello spazio tridimensionale, definendo le curve partendo dall’asse e passando progressivamente verso i bordi, il tutto alla massima apertura 1:2,5; le doppie serie di misurazioni realizzate ad infinito e ad 1:2 sembrano effettivamente testimoniare che l’obiettivo funziona quasi meglio a 1:2 anziché a grandi distanze, o comunque non si rileva alcun degrado qualitativo nelle diverse condizioni di prova.

 

 

Questo ulteriore test realizzato oltre 40 anni fa dalla rivista “Il Fotografo” – Mondadori si ricollega allo stesso concetto, suggerendo che l’ottimizzazione a coniugate brevi possa compromettere in qualche modo l’omogeneità di rendimento a infinito; in questa prova la risoluzione su mire piane e configurazione per grandi distanze è stata misurata sia sul Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro che sul nuovissimo, per allora, Tamron SP 90mm 1:2,5 Macro tipo 52B, un obiettivo che apparteneva ad una linea di livello superiore (Tamron Superior Performance) introdotta nel 1979 proprio lanciando il 52B e creata appositamente per seguire le orme di Vivitar Series 1 e Soligor CD; proprio il Tamron SP 90mm 1:2,5 non offriva solamente le stesse caratteristiche geometriche e funzionali del Vivitar Series 1 (90mm di focale, apertura 1:2,5, a fuoco fino a 1:2) ma ne replicava anche senza tante remore l’innovativo schema ottico, riproponendo la struttura ad 8 lenti in 6 gruppi con un modulo Gaussiano anteriore mobile ed uno posteriore con 2 elementi stazionari spaziati ad aria, reso più compatto rispetto al Vivitar calcolato 5 anni prima riducendo lo spessore e la distanza fra queste ultime lenti (infatti il nuovo Tamron SP misura solo 66mm di lunghezza per 430g di peso); l’indicazione di uno schema a 8 lenti in 7 gruppi nel Tamron è un refuso, dal momento che i 2 elementi posteriori sono chiaramente spaziati, e in questo contesto è interessante notare che anche Soligor nella gamma CD ha commercializzato un macro da 90mm 1:2,5, in questo caso prodotto da Komine: pertanto tutti e tre i brand resero disponibile per la loro linea top di gamma medio-tele macro di caratteristiche geometriche identiche (ai quali si aggiunse poi il Tokina AT-X derivato dal Vivitar Series 1).

La prova ad infinito effettivamente evidenziò per il Tamron SP un rendimento eccellente ed omogeneo alle varie aperture, mentre per il Vivitar Series 1 prestazioni analoghe furono misurate solo ad 1:8 ed 1:11, con un evidente flesso alle maggiori aperture rispetto al Tamron; problemi randomici con l’esemplare in prova? Eccessiva attenzione alla correzione su 1:2 che penalizzava realmente ad infinito? Chissà.

Resta da considerare l’ironia della situazione perché, in un momento in cui l’esperimento Vivitar Series 1 stava volgendo al termine, proprio l’avvento del Tamron SP 90mm 1:2,5 Macro palesemente ispirato al corrispondente Vivitar e con gruppo ottico analogo diede il colpo di grazia alle vendite di quest’ultimo, peraltro gravato (anche a causa del Macro Converter fornito a corredo) di un prezzo di listino quasi doppio rispetto a quello del “gemello” Tamron SP dalle eccellenti prestazioni, elementi che suonano come una sentenza di morte per il gioiello di Ponder & Best.

Tralasciando momentaneamente la trasfigurazione e la nuova vita come Tokina AT-X 90M, il Vivitar Series 1 90mm 1:2,5 Macro merita in ogni caso un posto fra i modelli più significativi della storia, sia per le implicazioni commerciali della nuova linea Series 1che rappresentava (di fatto si sdoganava l’idea che le ottiche universali non costituissero solo un ripiego di compromesso ma potessero brillare di luce propria e battersi ad armi pari coi migliori originali) sia per l’introduzione di uno schema ottico per obiettivo medio-tele macro realmente efficace e innovativo, al punto che in seguito venne più volte ripreso e copiato anche da nomi illustri; l’onda lunga di questo, primo coraggioso passo di un’azienda indipendente che sfida i Mostri Sacri sul loro stesso terreno, la resa ottica, è percettibile tuttora quando osserviamo le splendide realizzazioni professionali di molte aziende moderne in grado di sfornare ottiche che ormai di universale hanno solo di nome.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

 

 

 

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