Vivitar Series 1 70-210mm Macro (seconda parte)

(riprende dalla parte 1)

 

 

Nella documentazione distribuita da Ponder & Best quando l’obiettivo venne commercializzato erano compresi anche alcuni diagrammi MTF che dovevano definire il trasferimento di modulazione del contrasto del gruppo ottico e testimoniarne l’elevata qualità; questi diagrammi differiscono da quelli convenzionali perché non descrivono il contrasto residuo ad una specifica frequenza spaziale fissa misurandolo da centro a bordi ma definiscono invece tale valore misurato in una zona fissa del campo ma a tutte le frequenze spaziali da 0 a 60 cicli/mm.

Peraltro ho l’impressione che questi schemi venissero divulgati più per ammantare l’obiettivo di un’allure professionale che per fornire dati concretamente fruibili, dal momento che vengono mostrare serie di curve misurate alla focale minima e massima e nell’area centrale o ai bordi, tuttavia senza specificare a quale apertura di diaframma le letture fossero effettuate, un dettaglio invece fondamentale perché ogni obiettivo, soprattutto uno zoom calcolato oltre 50 anni fa, produce a diaframmi medi un rendimento ben superiore rispetto all’impiego a tutta apertura, quindi gli schemi allegati non consentono una valutazione assoluta ma forniscono comunque indicazioni utili; ad esempio, i valori mostrati sono sicuramente elevati per la categoria, qualunque sia l’apertura di diaframma in uso, come testimoniato dal 50% di MTF a 40 cicli/mm sull’asse, livello sicuramente buono, e dal calo tutto sommato contenuto ai bordi, posizione che a 210mm mostra un comportamento particolare, in cui la lettura sagittale con mire orientate parallelamente alla semidiagonale del formato (linea tratteggiata) evidenzia valori eccezionalmente elevati e superiori a quelli del centro, mentre la lettura tangenziale con mire perpendicolari alla semidiagonale di campo (linea intera) prevede valori inferiori (per astigmatismo e/o aberrazione cromatica laterale) ma comunque analoghi a quelli del centro, preconizzando un rendimento molto uniforme a focale massima.

 

 

Tutte queste prerogative e la sua intrinseca versatilità garantirono all’obiettivo un buon successo commerciale e, come detto, le sue caratteristiche innovative come la posizione macro imposero a tutta la concorrenza di reagire e allinearsi a questi nuovi standard; in realtà, dietro le quinte, la situazione non è stata così rosea e proprio l’elevata complessità e criticità della parte meccanica collegata ai flottaggi delle lenti ha imposto una lunga fase di messa a punto prima della commercializzazione e anche una serie di correzioni in corsa introdotte in seguito, fino all’introduzione di una nuova versione 70-210mm 1:2,8-4 Macro con schema e caratteristiche tecnico-funzionali che verranno riviste più volte.

Vediamo quindi di riassumere l’evoluzione del vari esemplari fino all’ultimo modello manual focus lanciato nel 1995.

 

 

Il Vivitar Series 1 70-210mm 1:3,5 Macro iniziò ad apparire pubblicamente nel 1972, e sebbene ufficialmente sia stato commercializzato già nel 1973 in realtà fino all’Autunno 1974 non avremo una configurazione definitiva; peraltro prototipi ad uso interno iniziarono ad apparire già nel 1970 perché è noto un esemplare la cui matricola consente di collocare la produzione nell’ultima settimana di Settembre di tale anno; questi prototipi antecedenti la produzione di serie stabile del 1974 si riconoscono per alcuni dettagli, come il passo filtri ridotto a 62×0,75mm (successivamente sarà 67×0,75mm) e la presenza di un paraluce telescopico incorporato, elementi modificati per consentire adeguamenti meccanici ai sistemi che movimentano i gruppi di lenti.

La prima versione fu in produzione dal 1974 al 1978, con matricole da 224xxxxx (dove 22 identifica Kino Precision e 4 l’anno di fabbricazione); nonostante i 4 anni di continui affinamenti l’impatto con l’utilizzo quotidiano palesò ulteriori elementi critici e silenziosamente vennero introdotte nuove modifiche e migliorie, l’unica delle quali ad essere nota è un intervento sul sistema di elicoidi introdotto a metà Luglio 1975 partendo dalla matricola 22528001; fino a questo punto le modifiche erano retro-compatibili con gli esemplari prodotti in precedenza, in vista di eventuali aggiornamenti di obiettivi già commercializzati; questo modello consente riprese macro fino al rapporto di riproduzione 1:2,2 e utilizza il primo schema ottico, a 15 lenti in 11 gruppi.

La seconda versione fu prodotta dal 1978 al 1981, partendo dalla matricola 228xxxxx; questo modello è sempre prodotto da Kino Precision, mantiene il gruppo ottico precedente e consente lo stesso ingrandimento ma rimodella pesantemente le parti meccaniche, con una modifica denominata Z71 i cui componenti non sono applicabili agli esemplari della serie precedente.

Il continuo affinamento di questo best-seller non conosce soste e dal 1981 al 1984 verrà commercializzata una terza versione di 70-210mm 1:3,5 profondamente rivista; questo modello, ora prodotto da Tokina (codice 37), adotta il secondo schema ottico con 14 lenti in 10 gruppi e si riconosce immediatamente per vari dettagli: le dimensioni decisamente inferiori, il peso che scende a circa 715g, l’attacco filtri che scende a 62×0,75mm, la linea di riferimento per la correzione di fuoco a infrarossi che diviene curva e, soprattutto, la soppressione del complesso sistema di rotazione del cannotto per predisporre la posizione macro, dal momento che in questo tipo la distanza minima viene raggiunta direttamente ruotando la ghiera consueta e senza soluzione di continuità, pagando tuttavia pegno con il massimo rapporto di riproduzione limitato ad 1:4.

La contemporanea diffusione sul mercato di ottiche zoom ad apertura massima variabile (che consentivano una compattezza ancora maggiore) indusse il management di Vivitar Corporation a commissionare ad Opcon Associates il calcolo per un ulteriore schema ottico, corrispondente ad un 70-210mm 1:2,8-4 Macro nel quale la messa a fuoco estremamente ravvicinata fosse accessibile direttamente come nel 70-210mm 1.3,5 terzo tipo del 1981 ma recuperando nuovamente un ingrandimento adeguato; questo nuovo schema, sempre a 14 lenti in 10 gruppi (il terzo),  esordirà nel Vivitar Series 1 70-210mm 1:2,8-4 Macro primo tipo, prodotto dal 1984 al 1987; questo modello è immediatamente riconoscibile per la presenza di 2 indici curvi per la profondità di campo (ad 1:8 fino a 135mm e ad 1:22 su tutte le focali) e per l’aggiunta di un filetto rosso anteriore che imita palesemente l’identico fregio presente nei prestigiosi obiettivi professionali Canon FD serie L dell’epoca, una scelta di marketing che personalmente non condivido perchè fa un po’ “voler non posso”; questo primo modello con apertura 1:2,8-4 (il quarto della saga) venne prodotto da Komine (presenta infatti il corrispondente codice numerico 28) e il rapporto di riproduzione massimo si avvicina nuovamente a quello originale, arrivando ad 1:2,5 e col vantaggio della rotazione continua della ghiera di fuoco, senza posizioni macro specifiche.

Questo primo modello con apertura variabile 1:2,8-4 risulta più ingombrante del 70-210mm 1:3,5 terzo tipo del 1981 e anche il peso risale da circa 715g a circa 850g.

Nel 1987 l’azienda propone una seconda versione del 70-210mm 1:2,8-4 (la quinta dall’esordio) che verrà prodotta fino a metà anni ’90 da Cosina (codice 09) ed utilizzerà uno schema a 14 lenti in 11 gruppi nuovamente ricalcolato, il quarto; questo modello mantiene la ghiera di messa a fuoco che passa direttamente da infinito ad 1:2,5 ma è immediatamente riconoscibile dal precedente perché la posizione della focali e i relativi indici per la profondità di campo risultano invertiti, pertanto trascinando la ghiera dello zoom verso la fotocamera si imposta la focale minima e con l’obiettivo alla completa estensione configuriamo invece la massima; inoltre il passo filtri viene ulteriormente rastremato a 58×0,75mm (misura fin troppo ridotta per un 70-210mm che esordisce ad 1:2,8) e l’ampio settore gommato che ricopre la ghiera multifunzionale abbandona il disegno a rilievi regolari e introduce un’estetica più aggressiva e chiassosa, con scritte cubitali “Vivitar Series 1” alternate a sezioni con listelli diagonali a rilievo, un dettaglio che assieme al filetto rosso frontale non configura un’estetica particolarmente raffinata.

Di questa stessa serie (1:2,8-4 secondo tipo) nel 1988 venne realizzata una tiratura limitata a 50 esemplari marcata “Vivitar 50th Anniversary” per celebrare il mezzo secolo dalla creazione di questo brand name, sempre assemblata da Cosina; in questo caso le parti metalliche dell’obiettivo erano interamente placcate in oro, così come le scritte e il filetto anteriori, e per consentire tale finitura gli elementi esterni erano realizzati in ottone, col peso che lievitava sfiorando 1kg; questa versione giubileo era fornita con una lussuosa confezione completa di paraluce a sua volta placcato oro, e a parte l’aspetto kitsch il suo utilizzo risultava difficoltoso per via delle scritte poco evidenti sul fondo dorato.

Nel 1991, quindi con un certo overlap col 70-210mm 1:2,8-4 secondo tipo ancora in produzione, verrà poi introdotto il terzo tipo, denominato Vivitar Series 1 70-210mm 1:2,8-4 Macro Q-Dos; questa ennesima versione mantiene le caratteristiche ottiche e meccaniche del predecessore (quindi il quarto schema ottico, un uso dal 1987) ma introduce una novità assoluta, ovvero filtri interni rosso e ciano che si potevano inserire a piacimento nel percorso ottico per simulare la tridimensionalità osservando le foto con occhiali 3D anaglifici; questo modello, sempre prodotto da Cosina, si riconosceva per il selettore filtri accanto alla ghiera del diaframma e per il vistoso logo “Q-Dos” a rilievo accanto alla scritta “Vivitar Series 1” sul settore gommato della ghiera.

Infine, nel 1995, arriverà la quarta versione del 70-210mm 1:2,8-4 (la settima della saga), nuovamente prodotta da Cosina; questo modello mantiene il rapporto di riproduzione 1:2,5, adotta un nuovo schema ottico, il quinto, con 14 lenti in 11 gruppi ed è riconoscibile per la strombatura anteriore che riporta il passo filtri a 62×0,75mm e per la scritta frontale “Apochromatic Optics”, ad indicare una correzione cromatica spinta del nuovo gruppo di lenti, una scelta di mercato forse imposta dal rapido evolversi della tecnologia nel settore, in momenti in cui da tempo erano già disponibili zoom 80-200mm con apertura fissa 1:2,8, impiego di vetri ED-UD a bassissima dispersione e autofocus come le versioni Canon, Minolta o Nikon, al cospetto delle quali lo zoom Vivitar Series 1 con messa a fuoco manuale e apertura variabile 1:2,8-4 incarnava ormai il ruolo di reliquia del passato; pertanto questo escàmotage della scritta “Apochromatic” associata al nuovo schema ottico, unita al sempre presente filetto rosso, doveva fornire la percezione di un’ottica di alta qualità e al passo coi tempi.

Ricapitolando, al netto dei prototipi la saga dei 70-210mm Vivitar Series 1 con messa a fuoco manuale prevede quindi 7 modelli principali prodotti in serie con 5 schemi ottici differenti.

Vediamo ora qualche dettaglio più approfondito sulla seconda generazione di modelli con apertura variabile 1:2,8-4.

 

 

La prima versione del tipo 1:2,8-4 prevedeva un’estetica senza fronzoli, adottava gli indici colorati “iperbolici” per la profondità di campo di ispirazione Nikon e risultava più compatto del precedente; il merito di questa riduzione negli ingombri va attribuito al nuovo schema ottico che prevede una configurazione più raccolta e una corsa più ridotta dei moduli, che ha consentito di limitare fisicamente anche l’escursione della ghiera.

 

 

Questa prima proposta con apertura 1:2,8-4 lanciata nel 1984 misurava appena 139mm di lunghezza per 70mm di diametro ed era quindi estremamente compatta; questa brochure dell’epoca svela però un limite operativo non evidenziato dalle inserzioni pubblicitarie: la messa a fuoco minima raggiunta direttamente con la rotazione della ghiera non è costante a tutte le focali ma, a parità di impostazione meccanica, fluttua fra 1,6m a 70mm e 0,8m a 210mm; pertanto il massimo rapporto di riproduzione 1:2,5 si ottiene solamente alla focale massima mentre, d’altro canto, non risulta possibile realizzare ritratti ravvicinati a soggetti umani alle focali più corte e idonee al genere per via della distanza utile eccessiva.

Notate come nel documento venga evidenziato in chiaro lo studio di progettazione dell’ottica, la Opcon Associates di Betensky e soci, come elemento qualificante del prodotto; simmetricamente, anche la lunga avventura della Opcon in partnership con Ponder & Best / Vivitar Corporation è stata un fiore all’occhiello del loro curriculum aziendale, al punto che i titolari dello studio hanno addirittura prodotto pubblicazioni specifiche sullo sviluppo dei Vivitar Series 1 70-210mm da loro curato, come ad esempio: “Ellis Betensky, Mel Kreitzer, Jakob Moskovich – The evolution of the Vivitar 70-210mm Series 1 lens design – a white paper – Opcon Associates”, oppure “Ellis Betensky – Utilization of moving lens elements for corruption of aberrations resulting from major conjugate changes – Opcon Associates”, o anche “Ellis Betensky, Jakob Moskovich – Continuous close focusing in tele-zoom lenses – Opcon Associates”.

 

 

Le brochure ufficiali di questi modelli sono sempre state prodighe di dettagliate informazioni tecniche, spesso fin troppo specifiche ed avanzate per l’utente medio, una strategia probabilmente volta a tratteggiare il prodotto come una punta di diamante della tecnologia moderna, arrivando però a paradossi ridicoli come descrivere in termini ispirati ed entusiastici le semplici sfere di un comune cuscinetto…

In questa illustrazione sono comunque presenti dettagli interessanti; ad esempio, questi schemi ottici sono sempre stati disegnati con priorità al budget e quindi anche l’utilizzo di una singola lente agli ossidi delle Terre Rare veniva debitamente evidenziato; il documento sottolinea anche l’impiego di ottone nella confezione del barilotto (ben poco, in verità), l’adozione di un diaframma con 9 lamelle e solidale ad un gruppo ottico mobile e la presenza di un riporto di Delrin sulle camme destinate a scorrere nelle relative guide metalliche per gestire lo zoom; il Delrin è una resina acetalica che svolge una funzione anti-frizione rendendo più scorrevole il sistema.

Nella sezione è anche possibile osservare lo schema ottico ricalcolato e corrispondente alla terza versione.

 

 

In questo schema, adottato dal 70-210mm 1:2,8-4 Macro al suo esordio (schema tipo 3), abbiamo solamente 3 gruppi principali di lenti, il primo dei quali gestisce la messa a fuoco e gli altri 2 si muovono reciprocamente per gestire la variazione di focale, il tutto con corse sostanzialmente ridotte che agevolano la gestione delle camme.

Nell’illustrazione ho abbinato la versione di serie al corrispondente modello del brevetto, e alcuni dettagli come il profilo posteriore della terza lente (piatto nell’obiettivo di produzione e incurvato nel prototipo, come confermato dai parametri di calcolo grezzi) mostrano come pur trattandosi dello stesso progetto siano state introdotte alcune modifiche non documentate fra il calcolo e la produzione, delle quali avremo conferma anche osservando la scelta di vetri ottici inizialmente prevista.

 

 

Lo schema ottico per il nuovo Vivitar Series 1 70-210mm 1:2,8-4 Macro introdotto nel 1984 non venne calcolato da Ellis Betensky bensì da Jacob Moskovich, un altro fondatore dello studio Opcon Associates; il relativo brevetto evidenzia uno grande lavoro preliminare e descrive ben 8 differenti obiettivi, il quarto dei quali fu utilizzato per la serie; questo brevetto venne depositato a nome di Vivitar Corporation, la nuova ragione sociale del committente, e la richiesta fu consegnata il 5 Aprile 1984.

 

 

Il testo del brevetto sottolinea l’intenzione di proporre uno zoom tele con la capacità di mettere a fuoco a distanza molto ravvicinata e strutturato su 3 gruppi, dei quali (come detto) il primo – positivo – gestisce la messa a fuoco, mentre il secondo (negativo) e il terzo (positivo) si muovono in direzioni reciprocamente opposte modificando la focale; il documento ribadisce poi nuovamente l’intenzione di creare uno zoom compatto con messa a fuoco ravvicinata ed ampia apertura, specialmente alla focale minima.

 

 

Il brevetto comprende 8 differenti schemi ottici per zoom di questo tipo con focali da 75-150mm e 70-200 / 70-210mm, tutti con apertura massima variabile, e in grafica è evidenziato il modello sfruttato per la serie.

 

 

Questo schema riassume i dati grezzi di progetto dell’esemplare utilizzato per la produzione e i corrispondenti tipi di vetri ottici che ho aggiunto consentono altre valutazioni; ad esempio, nel calcolo originale di Moskovich erano previsti ben 4 vetri agli ossidi delle delle Terre Rare ad alta rifrazione/bassa dispersione (3 lanthanum Dense Flint e un lanthanum Crown), poi ridotti nel modello di serie alla sola quinta lente probabilmente per contenere i costi; inoltre nel progetto sono previsti 4 vetri Fluor Crown di tipo FK5 a bassa rifrazione e bassa dispersione che evidenziano l’attenzione volta a controllare l’aberrazione cromatica in uno zoom con focali tele.

Secondo questo documento la focale effettiva di questo schema sarebbe 72,132 – 203,786mm e l’apertura massima 1:2,9-4,01.

 

 

Sempre nell’ambito di una ricca condivisione di informazioni tecniche, l’azienda divulgò anche questi schemi relativi ai movimenti delle camme la cui interpretazione era sicuramente molto criptica da parte dei clienti ma rafforzava l’immagine da obiettivo hi-tech e molto avanzato.

 

 

Considerazioni dello stesso tenore sono valide anche per questa complessa serie di diagrammi con letture MTF ed OTF, ovvero in grado di valutare il trasferimento di contrasto con mire in orientamento sagittale e tangenziale (parallele e perpendicolari alla semidiagonale di campo) sia sul piano di massima messa a fuoco da centro a bordi (BEST FOCUS) che valutando come degrada l’immagine con i due orientamenti uscendo dal piano di fuoco ideale verso la profondità dello spazio (THROUGH FOCUS), il tutto con il centro nel diagramma più in basso e le zone via via più marginali negli schemi superiori.

Nella valutazione OTF tridimensionale è interessante osservare come il punto di fuoco ottimale (parte più alta delle curve) tenda a coincidere con entrambi gli orientamenti (indicando un ridotto astigmatismo) e soprattutto il picco si colloca tridimensionalmente nello spazio del piano focale nella stessa posizione da centro a bordi, indicando anche modesta curvatura di campo; questi schemi definiscono quindi un obiettivo piuttosto corretto, sebbene temo che i fotoamatori del tempo faticassero ad interpretare le finezze qui descritte.

 

 

Il Vivitar Series 1 70-210mm Macro in versione 1:2,8-4 impiegò 3 diversi schemi ottici, e quello illustrato è il secondo (ovvero il quarto dell’intera serie, considerando anche le varianti precedenti con apertura 1:3,5), una struttura che entrò a regime nel 1987 e venne mantenuta fino a metà anni ’90 sia nel modello normale (in livrea nera o placcata oro per il giubileo) che nel tipo Q-Dos; purtroppo non ho trovato alcun brevetto legato a questa nuova struttura ma apparentemente segna il ritorno al classico schema zoom a compensazione ottica con 4 gruppi di lenti: focalizzatore – trasfocatore – correttore di fuoco – relay lens secondario.

Questo gruppo ottico venne impiegato anche nella citata versione Vivitar Series 1 70-210mm 1:2,8-4 Macro Q-Dos del 1991, un modello davvero unico.

 

 

Infatti all’interno dell’obiettivo sono predisposte 2 coppia di filtri anaglifici di colore rosso e ciano che si dispiegano a piacimento andando a coprire l’intera superficie; operando con focali lunghe, grandi aperture per minimizzare la profondità di campo e con soggetti favorevoli si ottenevano immagini che fornivano una percezione di tridimensionalità quando venivano osservate indossando i caratteristici occhiali con lenti degli stessi colori; Vivitar Corporation presentò questa primizia con toni trionfalistici e reboanti, affermando che avrebbe cambiato il modo di fare fotografia, mentre in realtà l’obiettivo non andò oltre lo status di semplice curiosità anche perché le filtrature influivano in modo marcato sull’equilibrio cromatico della scena; questa inedita proposta mostra comunque l’incessante lavoro di sviluppo che ha interessato il 70-210mm Series 1 per tutta la sua storia.

Il modello Q-Dos veniva commercializzato con una specifica confezione che comprendeva anche i particolari occhiali necessari a visualizzare le immagini realizzate con i filtri in posizione; questi ultimi comparivano e sparivano dal percorso ottico come lame di diaframma sovrapposte.

L’ultima incarnazione del Vivitar Series 1 70-210mm con messa a fuoco manuale arriverà infine nel 1995 e si tratta di un obiettivo che mantiene l’apertura variabile 1:2,8-4 e la messa a fuoco macro fino al rapporto 1:2,5 ma utilizza un nuovo schema ottico a 14 lenti in 11 gruppi, il quinto ab origine, che l’azienda dichiarava apocromatico; infatti il nuovo modello venne ribattezzato Apochromatic e la già citata scritta “Apochromatic Optics” sul frontale lo rende immediatamente riconoscibile, così come la parte anteriore più ampia e con attacco filtri da 62×0,75mm; questa versione termina la serie manual focus perché in seguito l’azienda dovette arrendersi all’evidenza che avvicinandosi al nuovo millennio non era più possibile sedurre il pubblico proponendo ottiche ancora prive di autofocus, quando i principali produttori commercializzavano apparecchi reflex di quel tipo già da una decina d’anni.

 

 

Il Vivitar Series 1 70-210mm Macro nelle sue varie declinazioni è stato un modello molto importante dal punto di vista tecnico e commerciale nonché pioniere di varie tecnologie applicate e strategie di mercato, un trendsetter alla cui azione dirompente giocoforza tutti i concorrenti dovettero reagire, modificando i loro prodotti ed imitandone le caratteristiche; le sue valide prestazioni ottiche e la messa a fuoco insolitamente ravvicinata ne hanno fatto il partner anche di molti fotografi professionisti, solitamente poco avvezzi ad affidarsi ad ottiche universali, e il complesso ed affascinante intreccio che definisce la sua progettazione, produzione e distribuzione lo rendono un obiettivo con una posizione ben definita nella storia del settore.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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