Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la grande apertura relativa di un obiettivo è sempre stata uno dei dettagli più intriganti e affascinanti, un plusvalore che inizialmente faceva breccia nei cuori dei fotografi perché le emulsioni del tempo, specie a colori, prevedevano sensibilità oggettivamente modeste e questo allungo aggiuntivo a volte faceva la differenza fra catturare un’atmosfera o rinunciare alla foto; in tempi moderni l’avvento del digitale con la possibilità di rimodulare la sensibilità di lavoro ad ogni scatto e, soprattutto, di spingersi a valori prima ritenuti vertiginosi mantenendo una buona qualità complessiva ha oggettivamente limitato la necessità effettiva di obiettivi molto luminosi, tuttavia l’amore e la corsa verso queste tipologie di ottiche non ha avuto soste perché ci si è resi conto che una grande apertura non significa solamente scattare al buio ma anche disporre di una profondità di campo limitatissima con evidente stacco plastico del soggetto sullo sfondo, utilizzabili a fini creativi per realizzare splendide immagini prescindendo dal livello di luminosità ambiente disponibile; pertanto i “giganti di luce”, prendendo a prestito una storica definizione Leitz, non passano mai di moda e in questo articolo voglio parlare di teleobiettivi tedeschi estremamente luminosi ma anche praticamente sconosciuti, gli Zoomatar della Zoomar Muenchen.
Quando parliamo di ottiche da 180-200mm di focale e pensiamo a versioni superluminose, immediatamente ci sovvengono esemplari come i Leica Apo-Summicron-R e Olympus OM Zuiko 180mm 1:2, i Canon FD ed EF 200mm 1:1,8 L oppure i 200mm 1:2 nelle varie declinazioni Nikon Nikkor ED Ai, AiS, AF-S VR, AF-S VR II, Canon EF-L IS o Carl Zeiss Apo-Sonnar T*, e si tratta indubbiamente di ottiche estremamente luminose ed impressionanti, tuttavia ciascuna di esse impallidisce davanti ad alcuni obiettivi prodotti nella seconda metà degli anni ’60 e commercializzati col brand name Zoomar Zoomatar; vediamo di che si tratta.
Queste ottiche sono conosciute solo a pochi iniziati e persino il marchio di fabbrica da adito a confusione e non è ben chiaro chi producesse esattamente questi obiettivi distribuiti col marchio Zoomar né chi avesse la responsabilità tecnica della progettazione e costruzione.
Questo secondo elemento chiarisce meglio la situazione: dietro al marchio Zoomar e ai relativi obiettivi Zoomatar c’è infatti la storica azienda ottica bavarese Heinz Kilfitt di Muenchen, il cui marchio originale compare in questo caso all’interno del nuovo logo dei prodotti Zoomar.
La corrispondenza è confermata anche da questo ritaglio di brevetto con l’indirizzo originale dell’azienda ottica Heinz Kilfitt, corrispondente a quello indicato nell’illustrazione precedente; il progettista e fabbricante degli obiettivi Zoomatar commercializzati col marchio Zoomar è quindi Kilfitt, che evidentemente volle svecchiare l’immagine della ditta effettuando un rebranding e creando questo nuovo marchio; a riprova di questa operazione nei successivi cataloghi Zoomar troviamo vari modelli di obiettivi Kilfitt in precedenza distribuiti col nome Kilar e ora semplicemente ribattezzati Zoomatar, un’operazione che in effetti ha creato un po’ di confusione fra gli appassionati di attrezzature vintage.
Chiarito questo dettaglio, passiamo ai protagonisti del pezzo; infatti, nella gamma di ottiche Zoomatar proposte da Kilfitt/Zoomar a fine anni ’60, troviamo anche 2 teleobiettivi superluminosi di copertura angolare non molto dissimile ma con focali ben differenziate, dal momento che erano destinati all’impiego su formati cine e/o fotografici differenti: lo Zoomatar 75mm 1:1,3 e lo Zoomatar 180mm 1:1,3.
Si trattava di obiettivi principalmente destinati all’utilizzo cinematografico, tuttavia il 180mm garantiva una copertura dichiarata sufficiente per il 24x36mm e quindi si poteva utilizzare anche sulle normali reflex con relativi raccordi; se il 75mm 1:1,3 è molto luminoso ma non straordinario, il 180mm 1:1,3 è invece un obiettivo fuori dalla norma, oltre 1 f/stop più aperto dei 180mm 1:2 citati in precedenza, e naturalmente venne disegnato con la sola attenzione alla massima apertura, subordinando ad essa le dimensioni impressionanti (166mm di diametro per 255mm di lunghezza) e anche il peso, prossimo ai 7kg.
Entrambi gli obiettivi utilizzano uno schema ottico con appena 6 lenti, composto in pratica come un unico gruppo concentratore con una enorme differenza nel diametro degli elementi anteriore e posteriore; questo di solito comporta anche la riduzione dello spazio retrofocale utile a livelli minimi ma nel caso del 180mm la lunga focale di partenza lascia spazio sufficiente per l’impiego eventuale su una reflex 24x36mm (infatti all’epoca il fabbricante commercializzava direttamente i relativi raccordi, a partire da quello per Nikon F); una caratteristica negativa è sicuramente la messa a fuoco minima non eccezionale, 2,5 metri nel 75mm e 5 metri nel 180mm, valori forse accettabili considerando la copertura angolare sui piccoli formati cine ma, nel caso del 180mm, utilizzandolo su reflex 24×36 questo settaggio risulta limitante.
Questo schema aggiunge che entrambe le ottiche sono equipaggiate con filtri Neutral Density che simulano le aperture 1;8, 1:11 e 1:16, una strategia spesso utilizzata nelle riprese cinematografiche per utilizzare diaframmi molto aperti in piena luce diurna e sfruttare un fuoco selettivo anche in tali circostanze.
Questa ulteriore scheda ci informa che entrambi i modelli prevedono un diaframma regolabile fra 1:1,3 ed 1:22 e garantiscono una trasmissione luminosa complessiva dell’80%, alla quale corrisponde una luminosità fotometrica effettiva T=1,5 (informazione utile in campo cinematografico); mentre il 75mm 1:1,3 garantisce un cerchio di copertura posteriore da appena 16m di diametro e con uno spazio retrofocale limitato a 17,5mm, dati che lo relegano al mero impiego cinematografico, il corpulento 180mm 1:1,3 garantisce invece una copertura da 46mm di diametro, più che sufficiente per il 24x36mm (la cui diagonale è di appena 43,2mm) e anche lo spazio retrofocale di 37,13mm è sufficiente di giusta misura per le esigenze dei corpi reflex 35mm.
Pertanto, mentre il 75mm era fornito solamente in attacco “C”, per lo Zoomatar 180mm 1:1,3 erano invece disponibili differenti raccordi per reflex 35mm, cineprese 16 e 35mm e le varie telecamere del tempo; naturalmente la copertura dell’obiettivo variava drasticamente in funzione della destinazione, pertanto passava da 4° sul formato video Vidicon a 3°18’ sul 16mm, 7°38’ sul 35mm, 11°26’ sul doppio 35mm e, non indicato, 13°70’ sul 24x36m fotografico; curiosamente, in questa tabella la messa a fuoco minima dichiarata per il 180mm, convertita dai piedi, sarebbe addirittura di 7m.
Come indicato, in entrambi gli obiettivi il voluminoso barilotto è stato ben sfruttato per predisporre un ampio paraluce telescopico.
Si trattava ovviamente di obiettivi altamente professionali e molto costosi, pertanto non deve stupire che venissero forniti con schede MTF che documentano il comportamento caratteristico dei 2 modelli alle varie aperture 1:1,3, 1:2, 1:2,8 e 1:4; come riferimento standard, la precedente tabella garantiva ad 1:4 un MTF a 20 cicli/mm di frequenza spaziale pari all’85mm nell’obiettivo da 75mm e all’80% nel modello da 180mm.
Il fabbricante produceva le ottiche con standard molto elevati e voleva che tale percezione di eccellenza venisse mantenuta anche nel rapporto con i clienti e la relativa assistenza.
Infatti, ad esempio, il distributore statunitense dei prodotti a marchio Zoomar garantiva che ogni articolo inviato in riparazione sarebbe stato rispedito, perfettamente sistemato e calibrato, entro 48 ore dalla ricezione, promettendo anche il prestito temporaneo di un pezzo identico qualora le riparazioni si rivelassero troppo lunghe e complesse; si tratta di una notevole attenzione per l’utente, evidentemente considerato un professionista di alto profilo per il quale il tempo è realmente denaro oppure non accetta la possibilità di differire o rimandare una prestazione.
IN questo documento risulta anche interessante la lunga serie di prodotti altamente professionali forniti da Zoomar, fa i quali addirittura attrezzature per la misurazione MTF; notate come alcuni articoli prevedessero ancora il brand name originale Kilfitt.
Lo Zoomatar 180mm 1:1,3 è un obiettivo di aspetto tozzo ed imponente con immense lenti anteriori da circa 15cm di diametro; per agevolare la messa a fuoco il fabbricante ha previsto un’adeguata presa di forza pieghevole mentre la ghiera del diaframma è curiosamente ridotta ai minimi termini e non prevede spaziature equidistanti né riferimenti intermedi fra f/stop o indicazione del T= fotometrico effettivo come solitamente avviene in ottiche orientate all’uso cinematografico.
Sull’ampio paraluce telescopico è riportato in bella vista il marchio Zoomar e l’obiettivo è naturalmente equipaggiato con un robustissimo attacco per treppiedi, visto che dimensioni e pesi escludono assolutamente ogni tentativo di utilizzo a mano libera.
La caratura altamente professionale del pezzo era confermata non soltanto dalla fattura robustissima e con minime tolleranze ma anche dalla presenza di una scheda individuale nella documentazione di garanzia con una misurazione MTF (in asse ad 1:5,6 verificando il contrasto residuo fino ad oltre 100 cicli/mm di frequenza spaziale) eseguita di volta in volta sullo specifico esemplare per confermare che corrispondesse alle specifiche teoriche di produzione, una raffinatezza poi vista solo in ottiche come le Angenieux.
Lo Zoomatar 180mm 1:1,3 (T= 1,5) di fine anni ’60 è stato quindi un obiettivo di eccezionale apertura che sembra infrangere tutti i record finora considerati tali, tuttavia alla Zoomar di Muenchen seppero addirittura andare oltre.
E’ infatti nota da tempo questa immagine (che personalmente ho in archivio da oltre vent’anni) nella quale è illustrato un altro esemplare di Zoomar Zoomatar dalle caratteristiche ancora più spinte, addirittura un 240mm 1:1,2; le sue dimensioni imponenti risultano chiare osservando la massiccia reflex Asahi Pentax 6×7 sulla quale è montato (o forse viceversa?) e questo abbinamento lascia intendere una copertura di formato insolitamente ampia.
Lo schema ottico dello Zoomatar 240mm 1:1,2 utilizza 6 lenti spaziate, è concettualmente simile a quello utilizzato nei precedenti 75mm 1:1,3 e 180mm 1:1,3 e sfrutta un modulo anteriore di dimensioni spropositate anteposto ad un gruppo concentratore che riduce drasticamente il diametro della coniugata posteriore, promuovendo in tal modo l’accesso ad un’apertura massima incredibilmente elevata.
Heinz Kilfitt, col suo nuovo brand Zoomar, negli anni ’60 e ’70 produsse quindi teleobiettivi Zoomar di luminosità straordinaria e che evidentemente garantivano una selezione di fuoco ed un bokeh mai visti prima; purtroppo si tratta di pezzi molto rari ma il loro potenziale espressivo nelle riprese di figura umana è inequivocabile e sarei molto intrigato all’idea di poterne provare un esemplare ai limiti delle sue possibilità!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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