Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in questa occasione parleremo di un obiettivo fotografico cosiddetto universale, cioè prodotto da un’azienda che non era un fabbricante diretto di apparecchi fotografici ma si dedicava unicamente alla produzione di ottiche, fornite con vari attacchi destinati alle fotocamere di altri marchi; lo scenario, elettrizzante e ricco di fermenti, si colloca a fine anni ’70 mentre il produttore è il celebre brand Tamron, che proprio nel 1979 mise a corredo l’interessantissimo zoom SP 70-150mm 1:2,8 Soft Focus tipo 51A che è il nostro protagonista odierno.
La Tamron Co., Ltd. è attiva nel settore dal 1950 e negli anni ’70 la sua gamma di ottiche universali incontrò un notevole successo sia per favorevole il rapporto qualità/prezzo che per la scelta di equipaggiare la gamma con un anello adattatore intercambiabile, pertanto lo stesso obiettivo si poteva abbinare a vari corpi di marche diverse eventualmente posseduti semplicemente acquistando gli economici raccordi (ed è esattamente quello che feci anch’io a 16 anni, quando mi procurai i Tamron 24mm 1:2,5 e 75-250mm 1:3,8-4,5 per utilizzarli su 3 reflex diverse con attacco Olympus, Pentax K e Nikon); proprio nel 1979 l’azienda si produsse in un notevole sforzo tecnico e industriale, rinnovando la gamma e mettendo sul mercato una completa linea di ottiche, distinguendole nei tipi SP (Super Performance, più costosi e con qualità ottica e meccanica di primo livello) e Adaptall 2, più amatoriali ed abbordabili, tutti compatibili con la completa serie di anelli adattatori Tamron Adaptall 2.
Questa immagine ufficiale dell’epoca mostra proprio la serie SP con i modelli più prestigiosi e tecnicamente sofisticati, fra i quali è evidenziato lo zoom SP 70-150mm 1:2,8 Soft Focus tipo 51A.
La serie di ottiche Tamron con interfaccia Adaptall 2 venne commercializzata nel 1979 e risultava esteticamente più moderna rispetto alla style policy adottata nei modelli precedenti; era quindi nelle condizioni di contrapporsi senza patemi alla concorrenza del tempo.
(foto 02)
Questo modello venne pensato specificamente per il ritratto e coagulava numerose caratteristiche interessanti che lo rendevano molto versatile, fra le quali: resa ottica elevata, secondo lo standard SP; escursione da 70 a 150mm, le focali più usate nella ritrattistica; notevole apertura massima 1:2,8 costante su tutta l’escursione che semplificava al vita con i lampeggiatori e consentiva una messa a fuoco selettiva con sfuocato netto; messa a fuoco continua fino a 0,98m che a 150mm consentiva un rapporto di riproduzione massimo di 1:4,6, riempiendo il fotogramma con un soggetto di appena 11×16,5cm; compatibilità col duplicatore di focale SP; esclusivo sistema Soft-Focus per il controllo della morbidezza, grazie ad una ghiera girevole che interveniva sul gruppo ottico alterando la correzione dell’aberrazione sferica e di altri difetti, permettendo di scegliere fra una foto molto incisa o una resa flou.
Queste caratteristiche, sfruttate con sagacia, permettevano di cimentarsi in qualsiasi tipologia di ritratto, dando vita ad un partner duttile come un coltellino svizzero; vediamo in dettaglio le sue caratteristiche tecniche e funzionali.
L’obiettivo è abbastanza ingombrante, un dazio dovuto alla grande apertura costante e alla complessa meccanica, e la notevole ridondanza di scritte e riferimenti sparsi sul barilotto che caratterizza queste ottiche Tamron veniva un po’ irrisa dai fotoamatori dell’epoca, tuttavia non si può dire che il fabbricante non fornisse tutte le indicazioni possibili; questo modello misura 147mm di lunghezza per 67,5mm di diametro, utilizza filtri a vite da 62×0,75mm e pesa 760g, valore che conferma la complessità della struttura e la fattura di qualità.
Anteriormente è presente un piccolo paraluce telescopico, poco efficace se non con luci laterali di taglio, che riporta la denominazione SP per ricordare orgogliosamente l’appartenenza alla serie top di gamma; procedendo oltre troviamo la ghiera di messa a fuoco con ampio settore gommato e seguita da un settore metallico con 2 finestre sotto le quali scorrono le scale con le distanze di messa a fuoco in metri e piedi e le lunghezze focali, con i piedi smaltati in ciano, i metri in bianco e le focali da 70, 100 e 150mm rispettivamente in ciano, rosso e giallo; una linea di fede bianca collega le 2 finestre ed è affiancata da 3 riferimenti per la messa a fuoco ad infrarosso corrispondenti ai codici cromatici delle 3 focali appena citate, mentre ai 2 lati troviamo le scritte “Tamron SP 1:2,8 70-150mm” (di ovvia comprensione) e “CF TELE MACRO BBAR MC Ø 62 34°-16°”; questa sigla più criptica indica una funzione macro con focale tele (quindi con ampia distanza di lavoro) abbinata alla messa a fuoco continua e diretta (CF) da infinito fino alla coniugata più ravvicinata; definisce quindi la presenza del trattamento antiriflesso multistrato proprietario di Tamron, il BBAR MC (acronimo di Broad Band Anti Reflex Multi Coating) e indica il diametro per l’attacco filtri (62mm) oltre agli angoli di campo sulla diagonale a 70mm e 150mm.
Passando oltre troviamo una seconda ghiera gommata, destinata all’impostazione della focale, affiancata da una terza ghiera, di piccole dimensioni e con pulsante di blocco, ruotando la quale verso destra possiamo selezionare il grado di soft-focus desiderato su 3 step successivi, allineando il trattino giallo della ghiera ai corrispondenti riferimenti 1, 2 e 3; a seguire è quindi presente un’altra linea di fede bianca che serve la finestra con le aperture del diaframma (da 1:2,8 a 1:32, più posizione AE), seguita dalla relativa ghiera gommata, e la parte posteriore del barilotto prevede 2 prese di forza e il corrispondente attacco per l’accoppiamento all’anello adattatore Adaptall 2, con relativo punto di allineamento.
Tornando al BBAR MC, nonostante la sua denominazione reboante ricordo che in gioventù trovavo questo trattamento non eccezionale e spesso l’immagine soffriva di flare e serie di riflessi interni; una nota critica va dedicata anche agli anelli Adaptall 2, sicuramente pratici ed economici ma con l’uso reiterato certi settori scorrevoli di alcune versioni (la meccanica differiva in funzione delle caratteristiche richieste dal relativo corpo) si indurivano rendendo difficile la rotazione della ghiera dei diaframmi.
In questa immagine si osserva meglio la ghiera per il soft-focus e la sua linea di fede che va allineata con gli indici presenti sul barilotto; l’obiettivo con soft a zero è molto nitido e contrastato e per evitare che giochi meccanici legati all’usura o altro possano flottare leggermente le lenti verso la configurazione flou anche con ghiera in posizione di riposo, penalizzando il rendimento, la meccanica è concepita in modo da iniziare il flottaggio specifico degli elementi ottici solamente quando la ghiera ha effettuato una corsa iniziale di alcuni millimetri (circa il 25% della corsa da 0 a 1), escludendo quindi l’eventualità paventata in precedenza.
Il sistema Tamron Adaptall 2 prevede una baionetta posteriore identica per tutti i modelli concepita per accoppiarsi ai relativi anelli adattatori e ai relativi rinvii per il controllo delle funzioni; questo dettaglio permette di valutare la precisione e la robustezza della fattura complessiva, in linea con gli standard SP.
La messa a fuoco continua fino a 0,98m dal piano focale consente riprese ravvicinate; i relativi rapporti di riproduzione sono riportati sul cannotto anteriore e visualizzati quando quest’ultimo viene progressivamente scoperto dalla rotazione della ghiera; sempre sfruttando i codici cromatici per le focali, sono presenti 2 serie di rapporti di riproduzione scalati da 1:10 fino all’ingrandimento massimo possibile, una di colore rosso dedicata alla focale 100mm e l’altra di colore giallo per la focale 150mm; nel primo caso l’ingrandimento massimo è 1:7 e nel secondo si arriva fino a 1:4,6; nella scala gialla a 150mm viene indicato anche il valore raggiungibile montando il duplicatore di focale SP compatibile, che consente di arrivare ad 1:2,3.
Nell’immagine si notano bene i pin che si accoppiano alla ghiera del diaframma trasmettendo il moto all’anello Adaptall 2; in questo caso è un modello per Nikon che prevede la forchetta di accoppiamento esposimetrico ai vecchi corpi prodotti prima del 1977, la nuova interfaccia posterore Ai e anche la finestrella col valore del diaframma dedicata ai corpi con periscopio di lettura per il mirino.
La meccanica del Tamron SP tipo 51A era quindi progettata e concepita in modo razionale e funzionale, nonostante le numerose regolazioni messe a disposizione; vediamo adesso quali sono i segreti del suo gruppo ottico, svelati sfruttando il suo brevetto originale giapponese.
Il progettista che calcolò il gruppo ottico del Tamron SP 70-150mm 1:2,8 Soft Focus è Eiichi Takano e la richiesta di brevetto nipponico venne depositata il 17 Marzo 1979.
La grafica inserita nel brevetto mostra lo schema ottico nella configurazione di 70mm e definisce anche i movimenti ausiliari richiesti per il soft-focus, finalizzato grazie all’avanzamento asincrono di G12-G13 e G14 (quest’ultimo con un avanzamento maggiore rispetto al tandem di lenti precedenti).
Il brevetto mostra lo stato di correzione di aberrazione sferica, curvatura di campo/astigmatismo e distorsione alle focali 70mm, 105mm e 150mm con soft-focus escluso o al massimo della sua efficacia, e si può facilmente osservare come nel secondo caso la curva dell’aberrazione sferica peggiori drasticamente mentre anche curvatura di campo e astigmatismo degradano moderatamente ai bordi, creando le condizioni per un flou nel quale il circolo confusionale ha un centro ancora nitido e i bordi caratterizzati da un alone di flare.
I dati grezzi di progetto sono molto interessanti non soltanto perché costituiscono una sorta di mappa del DNA relativa all’obiettivo, e grazie alla quale sarebbe possibile ricrearlo anche ora, ma anche perchè oltre a valori consueti come raggi di curvatura, spessori sull’asse, spazi e valori rifrattivi/dispersivi dei vetri ottici sono presenti anche le quote relative a movimenti dei vari gruppi, sia durante la variazione di focale che applicando il soft-focus, e questi ultimi dati mi hanno permesso di ricostruire i complessi spostamenti che interessano le lenti di questo zoom molto speciale.
In particolare, le aberrazioni del flou vengono generate avanzando le ultime 3 lenti dello schema, tuttavia terzultima e penultima si muovono in sincrono mentre l’ultima compie un percorso complessivo 2,053 volte superiore alle precedenti, riducendo quindi lo spazio che la separa da queste ultime.
Per quanto concerne i vetri ottici utilizzati, da un lato c’era l’esigenza di garantire un’elevata resa ottica per soddisfare gli standard della serie SP, dall’altro Tamron era pur sempre un fabbricante di ottiche universali, il cui principale appeal era costituito da un prezzo di listino più vantaggioso, pertanto Takano-San si è dovuto barcamenare in equilibrismi per salvare capra e cavoli, arrivando a compromesso di non rinunciare a vetri ottici di elevate caratteristiche e costosi, limitando tuttavia la diversificazione dei tipi, al punto che se prendiamo in considerazione il Dense Flint SF6 e il Lanthanum Crown LAK14, questi 2 soli vetri coprono ben 10 delle 14 lenti presenti nello schema (6 il Dense Flint e 4 il Lanthanum Crown), limitando le esigenze di approvvigionamento e conseguendo in tal modo il desiderato contenimento dei costi.
Analizzando lo schema, troviamo quindi il Dense Flint SF6 ad altissima rifrazione e alta dispersione negli elementi L1, L5, L8, L11, L12 e L13, il Dense Crown SK4 in L2 ed L3, il Lanthanum Crown LAK14 in L4, L6, L7 ed L10, il Lanthanum Crown LAK8 in L9 e il Lanthanum Flint LAF34 in L14.
Pertanto abbiano ben 6 lenti agli ossidi delle Terre Rare con alta rifrazione e bassa dispersione, tuttavia è anche vero che sono stati sufficienti appena 5 vetri ottici di 4 tipologie per realizzare i 14 elementi dello schema.
Vediamo ora com’è concepito lo schema ottico dal punto di vista funzionale.
Il Tamron SP tipo 51A utilizza un classico schema zoom su 4 gruppi a compensazione ottica del fuoco, identificabili nel modulo 1 anteriore per la messa a fuoco, nel modulo 2 trasfocatore che modifica la focale, nel modulo 3 per la compensazione del fuoco alle varie focali e nel modulo 4 costituito dal relay lens posteriore; quest’ultimo è costituito da 5 lenti delle quali le prime 2, cementate, sono le uniche del sistema a rimanere sempre stazionarie (sottogruppo 4-1) mentre le altre 3 (sottogruppo 4-2) sono mobili e deputate al controllo del soft-focus.
Analizziamo come cambia la configurazione passando da focale minima a massima con soft-focus escluso.
A focale 70mm il modulo 2 (verde) è avanzato e si trova vicino al modulo di messa a fuoco anteriore, mentre il modulo 3 (rosa) è spaziato rispetto al modulo 4; passando a 105mm il modulo 2 trasfocatore (verde) si sposta all’indietro mentre il modulo 3 (rosa) arretra a sua volta per compensare e mantenere il piano di fuoco sulla stessa giacitura iniziale; procedendo oltre fino a 150mm, il modulo 2 trasfocatore completa il suo arretramento mentre il modulo 3 compensatore ritorna nella posizione iniziale perché da 105mm a 150mm per mantenere la costanza di messa a fuoco è necessario questo movimento.
Se invece prendiamo la configurazione da 70mm e applichiamo il soft-focus ruotando completamente la sua ghiera, i 2 elementi L12 ed L13 avanzano effettuando la stessa corsa, mentre l’ultima lente L14 effettua un movimento più lungo, avvicinandosi quindi ai 2 elementi precedenti.
Il fatto di aver previsto un relay lens secondario come quarto modulo statico ha permesso al progettista di escluderlo dalle funzionalità legate allo zoom, rendendo possibile questa ulteriore opzione aggiuntiva.
Il Tamron SP 70-150mm 1:2,8 Soft Focus 51A rimase a listino per poco tempo, probabilmente perché costituiva un oggetto di nicchia con un mercato limitato, tuttavia Eiichi Takano continuò a lavorare al suo sviluppo tecnico e già alla Photokina del 1980 venne presentato un prototipo evoluto, con schema ottico leggermente modificato e nuove funzionalità legate al soft-focus.
Infatti il prototipo anticipato in Photokina prevedeva l’appellativo Dual Soft Focus perché in questo caso la relativa ghiera era funzionale in entrambe le direzioni e consentiva di controllare addirittura lo sfuocato nello sfondo oppure nel primo piani, indipendentemente (con 2 step per in back e 3 step per il front), anticipando di fatto di 10 anni esatti il primo obiettivo prodotto in serie che abbia effettivamente offerto caratteristiche analoghe, cioè il Nikon AF Nikkor DC 135mm 1:2 del 1990!
Il nuovo modello evidenziava un notevole e febbrile lavoro a 360° messo in atto in pochi mesi, dal momento che anche il barilotto era profondamente rivisto, adottando il sistema scorrevole one-touch per la variazione di focale (che permetteva quindi di aggiungere alle già chiassose grafiche anche gli indici curvi e colorati per la profondità di campo, prima assenti) e prevedendo una ghiera di messa fuoco molto più ampia che escludeva la presenza del paraluce telescopico; sulla ghiera soft si può osservare la doppia serie di indici: 3 per il defocus frontale e 2 per lo sfondo.
Per quanto riguarda lo schema ottico, la configurazione del prototipo mostrato alla Photokina 1980 deriva strettamente dal modello 51A di serie (del resto suo progettista, Eiichi Takano, era referente in Photokina anche per la nuova versione), con funzionalità analoghe; le principali differenze riguardano il terzo modulo compensatore, ora costituito da tre lenti anziché una, mentre il doppietto collato del quarto modulo risulta semplificato a lente singola.
Dal punto di vista funzionale, il prototipo controllava in modo indipendente il movimento delle 3 lenti posteriori delegate al soft-focus, e il moto di ciascuna di esse interagiva individualmente su aberrazione sferica, astigmatismo/curvatura di campo e piano di messa a fuoco, permettendo una gestione più sofisticata nel controllo della morbidezza e un inedito intervento su sfondo e primi piani; purtroppo questa evoluzione non andò mai oltre lo stadio di prototipo e la mancata produzione forse è dovuta alle stesse ragioni viste in precedenza, trattandosi di un obiettivo molto speciale con un mercato circoscritto.
Il Tamron SP 70-150mm 1:2,8 Soft-Focus tipo 51A è stato quindi un obiettivo estremamente interessante in quello scorcio terminale degli anni ’70 e offriva tutto quanto fosse desiderabile per l’appassionato del ritratto: focali da 70 a 150mm, apertura 1:2,8 costante per una profondità di campo selettiva, messa a fuoco ravvicinata per cogliere i dettagli e controllo micrometrico della morbidezza, senza contare che si poteva sfruttare nella fotografia convenzionale con ottimi risultati; è proprio in questa fase e grazie a brand come Tamron che la categoria delle ottiche universali spiccò il volo, sublimando da ripiego economico con un occhio chiuso sulla qualità a reale alternativa agli originali, rispetto ai quali questo modello offriva addirittura caratteristiche esclusive e prive di concorrenza; purtroppo questo esemplare passò rapido come una meteora e godette di una diffusione molto modesta, sia per il costo comunque non proprio abbordabile che per le caratteristiche specifiche, tali da destinarlo ad una piccola minoranza di appassionati del genere, mentre la maggioranza dei fotografi per un “semplice” 70-150mm poteva trovare altre opzioni dal listino più conveniente.
Rimane comunque un lodevole esempio di progettazione razionale e logica e ancora oggi le sue virtù sul campo sono innegabili, rendendolo uno strumento perfettamente sfruttabile e non soltanto una curiosità da collezione.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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