Supergrandangolari Nikkor da 15mm

 

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in questo articolo passeremo in rassegna i supergrandangolari Nikkor da 15mm per il sistema reflex in attacco Nikon F;  la storia degli obiettivi rettilineari (quindi non fisheye) ad angolo di campo estremo si dipana in modo curioso, perché se è vero che esistevano ottiche in grado di coprire fino a ben 120° di campo già agli albori della fotografia, oltre 150 anni fa, tuttavia l’abbinamento di simili strumenti ad apparecchi fotografici di grande diffusione e facile utilizzo si fece invece attendere a oltranza, al punto che ancora nel 1965 non esisteva un grandangolare per apparecchi di piccolo e medio formato in grado di arrivare a 100° sulla diagonale del fotogramma, mentre nell’ambito dei wide per fotocamere a lastre piane di grande formato lo Schneider Super Angulon 1:8 di Guenther Klemt e il Rodenstock Grandagon 1:5,6 di Karl-Heinz Penning (entrambi accreditati di 100° al limite del cerchio di copertura) non vennero calcolati prima del 1954 e 1958, rispettivamente, e in ogni caso si tratta di disegni simmetrici con un ridotto spazio retrofocale che non si potrebbero trasferire ad un apparecchio reflex.

 

 

L’azienda che superò queste limitazioni fu Carl Zeiss, a sua volta pioniera nel disegno di grandangolari fin dall’Anteguerra; infatti nel 1966 presentò  2 obiettivi innovativi: un Distagon 18mm 1:4 da 100° di campo e schema retrofocus sfruttabile sulle reflex Contarex mantenendo l’esercizio dello specchio, e un particolarissimo Hologon 15mm 1:8 calcolato da Erhard Glatzel ed Hans Shultz che si basava su uno schema simmetrico molto semplice costituito solamente da 3 lenti; quest’obiettivo per la prima volta consentiva di produrre sul classico formato 24x36mm immagini supergrandangolari da ben 110° di campo, tuttavia la sua struttura esclusiva esigeva un tributo molto alto: lo spazio retrofocale dal vetrice dell’ultima lente al piano pellicola (come si osserva in grafica) era di 4 millimetri scarsi, pertanto il suo impiego era relegato ad apparecchi privi di visione reflex e sfruttando un mirino esterno che rendeva difficile inquadrare e mettere in bolla con assoluta precisione.

Questo nuovo limite infranto da Zeiss attirò tuttavia molta attenzione, convincendo fotografi e operatori del settore che un superwide da 110° per il piccolo formato fosse qualcosa di concretamente realizzabile, pertanto Nippon Kogaku, ormai integrata nel suo ruolo di prima scelta professionale, si mise all’opera per proseguire oltre, concependo un 15mm con apertura superiore all’Hologon e schema ottico retrofocus che gli consentisse il regolare impiego su Nikon F, sfruttando inquadratura e messa a fuoco reflex ed esposizione TTL.

 

 

La proposta Nikon fu svelata alla Photokina di Colonia dell’Ottobre 1970 e si concretizzò in un Nikkor-PD 15mm 1:5,6 a 15 lenti in 12 gruppi; questo documento proviene da una brochure realizzata a cura della Cofas S.p.A. di Roma, all’epoca importatore Nikon sul territorio nazionale, proprio per descrivere le tante novità mostrate da Nippon Kogaku alla fiera tedesca e sottolinea immediatamente le eccezionali prerogative per l’epoca: campo da 110° con proiezione rettilineare, spazio retrofocale utile pari a 2,45 volte la focale stessa che consente l’utilizzo su reflex come un Nikkor convenzionale, apertura massima 1:5,6 (oggi modesta ma non per l’epoca) e presenza di torretta girevole con filtri incorporati.

Normalmente si attribuisce al Carl Zeiss Distagon 15mm 1:3,5 la palma del primo “110 gradi” retrofocus per reflex ad arrivare sul mercato, tuttavia occorre ricordare che lo Zeiss fu presentato nel 1972 mentre il Nikkor-PD 15mm 1:5,6 faceva bella mostra di se già nell’Ottobre 1970, quantomeno allo stadio di prototipo perché questo stesso documento sottolinea come la consegna effettiva fosse prevista solamente per l’Ottobre 1971, ovvero dopo un anno intero!

Osservando l’immagine a corredo si può notare come si fosse prestata grande attenzione a garantire una ragionevole compattezza, anche sfruttando l’apertura massima non eccezionale.

 

 

In realtà, a fine anni ’60, alla Nippon Kogaku hanno preso in considerazione un duplice scenario: creare un 15mm retrofocus di nuova concezione come quello appena visto, che consentisse il pieno utilizzo del sistema reflex (visione, messa a fuoco, esposizione TTL), oppure restare nell’alveo dei classici grandangolari simmetrici, concettualmente derivati da quelli per macchine a telemetro senza specchio e riprendendo le fila dal famoso Nikkor-O 2,1cm 1:4 introdotto agli albori del sistema Nikon F, obbligando però il fotografo ad operare con lo specchio sollevato e mirino esterno per via dello sbalzo eccessivo del gruppo di lenti posteriore.

A riprova che tale soluzione non rimase una mera ipotesi abbiamo questo rarissimo prototipo, tuttora conservato dalla Nikon Corporation: si tratta di un Nikkor-D (quindi a 10 lenti) 15mm 1:4 con schema simmetrico e ultima lente che recede profondamente all’interno del corpo macchina, imponendo il sollevamento preventivo dello specchio reflex e l’impiego dell’inedito mirino qui illustrato; grazie a questa struttura l’obiettivo prevede uno sbalzo ridottissimo e la stessa apertura massima del precedente 21mm ma non consente la precisa inquadratura ed esposizione TTL prevista con gli altri Nikkor di tipo retrofocus.

Questo prototipo venne realizzato a sua volta nel 1970, quindi in quell’anno cruciale entrambe le versioni erano teoricamente pronte per la serie, e come la storia insegna a prevalere fu il modello retrofocus 15mm 1:5,6; notate come il mirino esterno del prototipo non prevedesse una slitta di attacco standard ma fosse solidale ad una piastra metallica con lo stesso sistema di fissaggio dei mirini Nikon F che andava a sostituire integralmente.

 

 

Questo raro e interessante documento è in appendice al primo dei 2 “libri Nikon” realizzati a suo tempo a cura di Cofas S.p.A., nella sezione dedicata alle novità per la Photokina 1970, e descrive dettagliatamente in Italiano il Nikkor-PD Auto 15mm 1:5,6 a 15 lenti che venne svelato in tale occasione; anche in questo caso si sottolinea la proiezione rettilineare che evita le deformazioni tipiche dei fisheye, il grande spazio retrofocale pari a 2,45 volte la focale stessa, l’utilizzo con visione reflex, l’apertura massima considerata favorevole e la presenza di filtri incorporati con relativa torretta; per questo prototipo dimensioni e pesi sono ragionevoli, con diametro massimo 82mm, lunghezza dalla baionetta 73,5mm e peso 560g; proprio quest’ultimo valore sarà oggetto di alcuni refusi sui vari documenti prodotti nel tempo e relativi al modello di serie.

Dopo questo prototipo svelato nell’Ottobre 1970 si dovette attendere fino al Giugno 1973 per arrivare al modello di serie, un periodo molto lungo nel corso del quale vennero introdotte varie modifiche, a partire da uno schema ottico modificato e con numero di lenti ridotto a 14.

 

 

Questa scheda divulgata nell’Ottobre 1973 mostra la versione definitiva prodotta in serie, denominata Nikkor-QD-C Auto 15mm 1:5,6; quest’obiettivo mantiene la configurazione generale del prototipo PD del 1970 ma risulta leggermente più ingombrante e pesante e sfrutta uno schema ottico apparentemente simile a quello del 15mm PD ma semplificato a 14 lenti, più altre piccole modifiche.

In questo primo documento il peso dichiarato è 700g, quindi sensibilmente superiore ai 560g del prototipo PD a 15 lenti.

 

 

Gli schemi meccanici affiancati consentono di definire le differenze presenti fra il prototipo Nikkor-PD Auto del 1970 e la primissima versione di serie QD-C Auto del Giugno 1973.

Gli elementi peculiari del prototipo PD sono il caratteristico schema a 15 lenti, l’assenza di trattamento multicoating (manca la sigla C), la ghiera per inserire i filtri a torretta rifinita con godronature a diamante e le dimensioni più ridotte (73,5mm per 82mm di diametro, peso 560g).

La prima versione di serie Nikkor-QD-C Auto 15mm 1:5,6 prevede invece uno schema ottico rivisto a 14 lenti, antiriflesso multistrato con sigla C, ghiera per inserire i filtri a torretta con godronature lineari e parallele e dimensioni superiori: 92mm di diametro (+10mm), 76,5mm di lunghezza (+3mm) e 700g di peso (+140g).

I 32 mesi di attesa fra le 2 versioni hanno visto la contemporanea introduzione dell’antiriflesso multistrato NIC e questa sicuramente è la miglioria più importante presente nel modello QD di serie, specie considerando la storica e cronica tendenza al flare che caratterizza questi 15mm Nikkor degli anni ’70.

 

 

Osservando gli schemi ottici del prototipo Nikkor-PD Auto del 1970 e del modello di serie Nikkor-QD-C Auto possiamo notare come siano estremamente imparentati: in sostanza, passando alla versione con 14 lenti del 1973, le uniche variazioni macroscopiche all’architettura originale sono il trasferimento della lente convergente del modulo anteriore dalla terza alla seconda posizione (colore giallo) e l’eliminazione di un sottile elemento dal gruppo cementato dietro il filtro interno, modulo che da un tripletto diventa quindi un doppietto (colore verde), tuttavia lunghe ricerche sistematiche sui brevetti hanno disegnato uno scenario molto più complesso di quanto non appaia e che passeremo in rassegna in seguito.

Queste sezioni sottolineano in ogni caso la grande complessità di uno schema retrofocus con focale così corta e chiamato a garantire lo stesso spazio retrofocale delle ottiche convenzionali, un contesto che impone di moltiplicare gli elementi del gruppo anteriore e di aumentarne anche il diametro, arrivando inevitabilmente ad una configurazione complicata e costosa.

 

 

Tornando al dettaglio sul peso del 15mm 1:5,6 QD di serie, il compilatore di questa scheda statunitense probabilmente ha lasciato i dati del prototipo PD del 1970, attribuendo il suo peso di 560g anche al QD oggetto della descrizione, così come ne ha mantenuto anche le dimensioni più ridotte.

Gli angoli di campo da 110° sulla diagonale, 100° in orizzontale e 77° in verticale sono ovviamente molto impressionanti per un obiettivo a proiezione rettilineare, mentre l’assortimento di filtri prevede 4 tipologie (UV tipo L1A, giallo Y48, arancio O56 e rosso O60) e risulta quindi leggermente ridotto rispetto a quello previsto nei coevi Fisheye-Nikkor, alcuni dei quali ne prevedevano addirittura 6.

 

 

Viceversa, in questo documento giapponese sempre pubblicato nel 1973, il 15mm QD risulta repentinamente “ingrassato”, e se le dimensioni questa volta sono corrette il peso dichiarato lievita addirittura a 900g; notate l’aspetto iconico di quest’obiettivo montato su una Nikon F2 Photomic DP-1.

 

 

Questa scheda in lingua Inglese è a sua volta dedicato alla prima versione del 15mm 1:5,6 di serie, il tipo “F” ancora marcato QD-C, e dopo aver ribadito le informazioni già viste rimarca altri dettagli, come il rivestimento multicoating che minimizza il flare e migliora il contrasto (problema comunque ancora evidente nell’uso pratico), il sistema flottante per mantenere una buona resa a distanze minime e la presenza a corredo di una custodia rigida che prevede la sede per un vetro di messa a fuoco, una soluzione sicuramente utile perché con un obiettivo di apertura 1:5,6 e con profondità di campo così estesa i vetri di uso comune non potevano svolgere bene il loro compito.

Come si può osservare la messa a fuoco arrivava fino a 0,3m mentre il diaframma poteva chiudere da 1:5,6 ad 1:22; l’apertura massima 1:5,6 permetteva di mantenere la forcella di accoppiamento esposimetrico e quindi di garantire la comoda misurazione a tutta apertura.

 

 

Passando in rassegna i pochi documenti d’epoca collegati al 15mm 1:5,6 troviamo anche alcune piccole immagini presenti in cataloghi giapponesi del 1974 che sottolineano il prezzo esclusivo dell’obiettivo, ben 180.000 Yen dell’epoca, quando ad esempio per un Nikkor 50mm 1:1,4 ne erano richiesti 30.000 e per un luminosissimo grandangolare Nikkor 35mm 1:1,4 ne bastavano 65.000.

 

 

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Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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