Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; scosso dall’immane tragedia che ha coinvolto Genova e il crollo del relativo ponte, ho pensato di rendere onore al genio di un suo illustre concittadino, Cesare Speich, la cui azienda di famiglia fondata nel 1938 si è evoluta nel tempo ed è tuttora leader nelle forniture nautiche; in realtà la famiglia Speich vantava grande esperienza nel settore ottico e sebbene l’attività principale fosse legata ad innovativi sistemi per detergere le vetrate dei natanti dall’acqua nebulizzata durante la navigazione, nel dopoguerra l’intraprendente Cesare iniziò a vagliare l’ipotesi di espandere il business nel settore delle fotocamere.
Nacque così l’idea della Speich Microstereo, una deliziosa fotocamera stereo su pellicola 35mm concepita con raffinatezze progettuali e costruttive veramente ammirevoli e innovative; in quel primo scorcio degli anni ’50, va detto a gran voce, l’Italia vide sbocciare un’industria fotografica interna che aveva tutte le carte in regole per sfondare sul mercato mondiale, soprattutto perché – mentre in Germania risentivano ancora della catastrofe bellica e in Giappone ci si limitava ancora a replicare modelli germanici, senza aggiungere molto altro – le fotocamere italiane di quel periodo erano realmente originali e innovative, informate di quel genio italiano che vantava una tradizione illustre e secolare.
Apparecchi come le Janua, le Rectaflex, le Ducati o le GAMI, solo per citarne alcune, erano autentiche meraviglie, tuttora molto ambite e ricercate dai collezionisti, e l’intero settore fu davvero ad un passo da compiere il grande salto di qualità e diventare competitivo a livello mondiale; purtroppo questa fiammata, questa radiazione filetica entusiasmante, si spense di lì a poco ma, come si suol dire, a mancare non fu certo il valore e la rarissima fotocamera protagonista della nostra chiacchierata odierna ne è una testimonianza eloquente.
Cesare Speich era un valido progettista e a fine anni ’40 iniziò a dedicare il suo genio alla concezione di una fotocamera che doveva portare il suo nome e che verrà prodotta in piccolissima serie, in pratica quasi una tiratura di prototipi, nel 1953; il numero complessivo di esemplari effettivamente completati è tuttora oggetto di discussione ma è ragionevolmente compreso fra 15 e 25, cui sembra vadano aggiunte altre 5 fotocamere con specifiche leggermente differenti costruite in precedenza (nella prima versione i due obiettivi da ripresa erano prodotti direttamente da Speich come quello da visione, nella seconda erano invece forniti dalla Rodenstock di Muenchen); questo fa si che si debba parlare di Speich Microstereo I riferendosi ai primi 5 esemplari e di Speich Microstereo II quando stiamo trattando il lotto successivo; la fotocamera illustrata in questo articolo è conforme alle seconde specifiche, quindi si tratta di una Microstereo II.
Ciò che rende tanto eccezionale questo raro apparecchio, al di là della bellissima finitura, è la concezione tecnica dei prismi separatori: infatti la fotocamera produce due fotogrammi stereo appaiati sul lato corto della pellicola 35mm, sfruttandone la larghezza fino al limite delle perforazioni ed impressionando due immagini stereo gemelle da 12x10mm con una separazione di 1mm (quindi 25mm sulla larghezza del film); con queste specifiche, la distanza fra i due assi ottici degli obiettivi è 12,5mm ma, naturalmente, per ottenere il senso di tridimensionalità nelle due immagini stereo è necessario che la spaziatura effettiva sia molto maggiore; le normali fotocamere stereo su pellicola 35mm di solito impressionano due fotogrammi gemelli verticali da 24x16mm, quindi con un interasse di partenza maggiore che richiede una spaziatura utile di almeno 60mm; in questo caso, utilizzando fotogrammi molto più piccoli, 10x12mm, la spaziatura richiesta è inferiore e con 48mm si ottiene già un ottimo effetto stereo; questo ha consentito di includere la serie di prismi distanziatori all’interno della fotocamera, ottenendo così un design regolare.
Come si evince dal brevetto originale, per compattare al massimo il sistema Cesare Speich ha addirittura utilizzato 3 prismi dal disegno complesso e fortemente asimmetrico, così come asimmetrico sono ii percorsi ottici che conducono alla coppia di obiettivi da ripresa e che, addirittura, si intersecano reciprocamente passando nei 3 prismi prima di confluire negli obiettivi affiancati, un progetto al limite del fattibile che permette di ottenere fotografie stereo con l’adeguata spazialità tridimensionale senza che nell’apparecchio ci siano strutture aggiuntive o sporgenti, mantenendo quindi un design pulito e, nel contempo, assolutamente originale.
Questo secondo disegno del brevetto, concepito come un rendering tridimensionale, fa capire l’ardimento concettuale messo in campo per ideare un sistema così ingegnoso e complesso; questo schema mostra anche i due piccoli obiettivi da ripresa affiancati, la maschera di formato con le due aperture 10x12mm e il sistema di avanzamento della pellicola 35mm che è a sviluppo verticale, così come scorre verticalmente la ghigliottina metallica dell’otturatore che garantisce tempi di posa uniformemente scalati fra 1” e 1/250”.
L’eccezionale radiografia della Speich Microstereo II, così come quelle proposte a seguire, sono state eseguite dal caro amico Dr. Milos Paul Mladek il quale, oltre ad essere un famoso collezionista, consulente e conoisseur, nella vita pubblica ha anche seguito una carriera da medico radiologo, competenze che risultano ovviamente molto preziose in questa specialissima accezione, permettendo di analizzare l’architettura interna degli apparecchi; le immagini fotografiche convenzionali sono state invece realizzate nei locali di Westlicht Photographica Auction a Wien, sfruttando la disponibilità di un esemplare.
Questa radiografia è stata eseguita dall’alto, quindi mostra nella parte anteriore la serie di prismi e dietro i due obiettivi da ripresa e il complesso affastellarsi di meccanismi per l’otturatore e l’avanzamento del film; siccome è oggettivamente difficile comprendere e riconoscere i vari elementi, nell’immagine seguente ho aggiunto una grafica esplicativa.
Come si può vedere, la parte anteriore dell’apparecchio è caratterizzato dalla presenza di 3 prismi a contatto, tutti asimmetrici e diversi l’uno dall’altro, i quali intercettano le coniugate anteriori di due immagini identiche e con un percorso altrettanto asimmetrico al loro interno le vanno a proiettare nei due obiettivi da ripresa; osservando lo schema si resta sconcertati, a prima vista sembra quasi impossibile che il risultato sia identico per entrambe le immagini stereo; i due obiettivi da ripresa hanno una focale di 20mm, apertura di diaframma da 1:2,8 ad 1:16 e messa a fuoco fissa: evidentemente il progettista ha reputato che la profondità di campo di un 20mm fosse sufficiente, eliminando quindi una funzione da un apparecchio già strutturalmente molto complesso; nella Speich Microstereo II le ottiche erano fornite da Rodenstock (origine palesata dall’incisione “G. Rodenstock” sulla ghiera dei diaframmi) ed erano dei semplici tripletti della serie Trinar, comunque sufficienti per lo scopo e analoghi a quelli di molti altri apparecchi o sistemi stereo.
Si tratta comunque di una configurazione veramente originale ed innovativa, sufficiente da sola a rendere la Speich Microstereo II un eccezionale testimonianza del grande fervore tecnico che caratterizzò l’industria fotografica italiana del periodo.
Cesare Speich era conscio che la sua creatura fosse qualcosa di speciale e volle che si presentasse in modo inequivocabile, predisponendo un bauletto corredo e una borsa pronto in cuoio di prima qualità e rivestiti in velluto, come si conviene ad apparecchi di rango; questa immagine mostra la valigetta corredo chiusa e aperta, con l’apparecchio all’interno, ed è curioso notare che il marchio Speich in questo caso ha una grafica cubitale mentre sulla borsa pronto il logo presenta un design alternativo.
In questa immagine troviamo la Speich con un completo corredo di accessori, evento veramente eccezionale: oltre all’apparecchio e al relativo bauletto in cuoio, abbiamo il massiccio tappo rettangolare in metallo per i prismi, un paraluce a maschera, parimenti rettangolare e in metallo, e un visore stereo che permetteva di inserire il film e visionare i particolari ed esclusivi fotogrammi 10x12mm.
Quando Cesare Speich concepì la sua fotocamera stereo utilizzò evidentemente la Rolleiflex/Rolleicord biottica di Franke und Heidecke come riferimento di massima per l’estetica e il layout, e anche la borsa pronto in spesso cuoio marrone presenta una fisionomia che richiama subito la corrispondente custodia della Rollei…
Analogie non troppo velate che vengono confermate anche quando finalmente la borsa pronto si dischiude come un fiore e appare la fotocamera: pur con una foggia forzatamente diversa, imposta dalle caratteristiche tecniche, la Speich rimanda comunque il lontano sentore di suggestioni art-dèco e quell’inconfondibile commistione di rivestimenti in pelle, spigoli a metallo nudo e nottolini godronati a loro volta rifiniti con rivestimento riportato che sono il lessico tipico della Rollei TLR, attrazioni fatali che si consolidano osservando anche il layout generale della Speich: pur con la presenza di un tandem di ottiche da ripresa orizzontali e relativi prismi, è a tutti gli effetti una biottica che, sopra il sistema di ripresa, presenta un obiettivo da visione con specchio a 45° e relativo pozzetto, oltre alla pellicola disposta verticalmente col caricatore 135 collocato nel vano dietro lo specchio, quindi i principali distretti sono organizzati analogamente alla Rollei, e allo stesso modo si utilizza at waist level.
La Speich era robusta e costruita con standard di eccellenza: il corpo era ricavato dal pieno da un blocco di alluminio fresato e i vari componenti erano tutti fatti, rifiniti e lucidati a mano, senza badare a spese; è chiaro che, nel caso di una eventuale produzione in serie su ampia scala, sarebbe stato necessario trovare qualche soluzione razionale per ridurre i costi.
Trattandosi di un apparecchio estremamente raro, le informazioni e i dettagli tecnici disponibili sono molto scarni; corriamo dunque ai ripari!
L’apparecchio sembra quasi segmentato in tre moduli sovrapposti per via di un elemento centrale che sporge asimmetricamente sul lato destro e con finitura a metallo lucido che rompe la continuità del rivestimento; in realtà questa esuberanza non soddisfa particolari esigenze tecniche e, osservando le radiografie, si intuisce che è stata una scelta magari non gradita ma imposta dall’ingombro del prisma anteriore destro che, per svolgere la sua funzione, imponeva dimensioni precise che debordavano dal profilo del corpo.
La Speich, come detto, richiama molto le Rolleiflex biottica e le Hasselblad per via del rivestimento applicato con spigoli sottolineati dal metallo nudo; partendo dall’alto troviamo un pozzetto che, tramite una spessa lente di Fresnel e uno specchio a 45°, acquisisce l’immagine di visione grazie ad un obiettivo autarchico Cesare Speich da 20mm 1:2,8, le cui lenti appaiono non trattate; Nella piastrina anteriore del pozzetto, fissata con due viti, è riportato il marchio della casa, con grafica un po’ minimale e troppo corsiva per essere immediatamente leggibile, mentre all’estremità del top sono presenti due robusti occhielli di fissaggio per la cinghia di trasporto.
Il film è posizionato verticalmente, con il caricatore nel “terzo” superiore della fotocamera e la spoletta ricevente in quello inferiore; sul lato destro dell’apparecchio troviamo i due relativi pomelli in metallo godronato per l’avanzamento e il riavvolgimento; il primo, posto in basso, è di diametro maggiore ed entrambi presentano un rivestimento circolare identico a quello del corpo; sul frontale, nella parte superiore, troviamo al centro l’obiettivo di visione, circondato da una ghiera lucida che riporta orgogliosamente le incisioni “Cesare Speich 1:2,8 f= 20m/m” ed il relativo monogramma “CS” stilizzato di colore rosso, mentre sulla sua sinistra è presente la ghiera di controllo dei tempi di posa, anch’essa con finitura in pelle all’estremità, con la scala dei tempi di colore nero compresa fra 1” e 1/250”; fanno eccezione 1/60”, di colore rosso (è il massimo tempo sincronizzabile col lampeggiatore elettronico) e 1/4”, di colore verde (al momento ne ignoro la ragione).
Il settore centrale è occupato dai prismi separatori ed il loro complesso sistema ottico di parti trasparenti o finite a specchio, con piastra anteriore rifinita a metallo nudo col monogramma CS, mentre il “terzo” inferiore (che ricorda di primo acchito il gruppo motore di una Hasselblad serie 500EL) offre sul frontale il pulsante di scatto, la ghiera di controllo del diaframma con valori compresi fra f/2,8 ed f/16 e una presa per cavi di sincronizzazione flash; evidentemente il progettista immaginava che si sarebbe utilizzato spesso la sua creatura in abbinamento a lampeggiatori, predisponendo questa presa ed anche una slitta porta-accessori sul fianco sinistro.
Infatti, osservando questa nuova immagine, sul lato sinistro (privo di discontinuità, contrariamente al destro) si nota la citata slitta porta-accessori e, in basso, anche un contafotogrammi grosso e scenografico, più simile ad un termometro da forno, scalato fino a ben 115 fotogrammi: è il vantaggio di sfruttare solamente 10mm di film per ogni posa (avanzamento tipico: 13mm a fotogramma) e l’apparecchio vantava quindi una eccezionale autonomia con un semplice rullo 135, aumentata rispetto ai primi prototipi proprio riducendo al minimo possibile lo spazio interfotogramma, in origine più abbondante.
Nella parte posteriore troviamo un dorso incernierato e realizzato in acciaio inox nudo: questa scelta, sicuramente apprezzabile per la robustezza ma un po’ sbrigativa sul piano della finitura, non in linea col resto dell’apparecchio, ritorna a tratti in certi elementi ed accessori, come se l’apparecchio in realtà fosse ancora una sorta di preserie con componenti la cui estetica definitiva non era ancora ben chiara; il dorso è posizionato in maniera asimmetrica, spostato verso destra, per lasciare spazio a meccanismi per otturatore e avanzamento, e nel settore verticale rivestito in pelle che passa alla sua sinistra è presente un piccolo pulsante con smalto di colore arancio che consente di mettere a frizione la pellicola per il riavvolgimento.
Sul lato destro dell’apparecchio, prima invisibile, troviamo una finestrella in asse con la griffa di trascinamento che consente di verificare dall’esterno il corretto avanzamento del film (per non rischiare di tornare a casa con ben 110 fotografie scattate e scoprire che l’esca della pellicola non era in presa nella spoletta…).
Rovesciando l’apparecchio sul fianco sinistro ed aprendo il dorso, all’interno possiamo osservare, da sinistra: l’alberino per il riavvolgimento del film, la maschera di formato con i due fotogrammi 10x12mm affiancati (in posizione di scatto l’immagine è orizzontale, col lato lungo di 12mm parallelo al terreno), l’otturatore a ghigliottina metallica e scorrimento verticale, la griffa di trascinamento film e la spoletta ricevente; infine sul fondello, molto decentrato per esigenze meccaniche, troviamo l’attacco per il treppiedi con passo da 3/8”.
E’ curioso notare che, con questa disposizione verticale del film con i due nottolini sul lato destro, quando si appoggia l’apparecchio sul fianco sinistro come in questo caso si ha quasi l’illusione di vedere una fotocamera convenzionale regolarmente appoggiata sul suo fondello…
Più in dettaglio, ecco cosa appare effettivamente nel mirino della Speich: un’immagine quadrata con alcune linee di colore rosso riportate sulla lente di Fresnel; i riferimenti sono un crocicchio simmetrico centrale e tre segmenti più corti riportati in basso che forse hanno a che fare col parallasse alle varie distanze, tuttavia in mancanza di istruzioni la comprensione risulta criptica, anche perché il mirino fornisce un’immagine complessiva quadrata mentre il fotogramma in realtà è rettangolare.
In questi particolari vediamo in dettaglio l’obiettivo da ripresa, con la sua ghiera lucida che attribuisce importanza al frontale, la piccola ghiera dei tempi (di sapore Leica screw mount) con i valori di 1/4” e 1/60” colorati, il pulsantino di scatto forse troppo sottodimensionato e privo di attacco per lo scatto flessibile, la scala dei diaframmi e la presa di sincronizzazione flash; la ghiera dei diaframmi, esteticamente analoga a quella dei tempi, oltre al nome del fornitore di obiettivi riporta stranamente il valore intermedio 1:3,5 fra le aperture 1:2,8 ed 1:4, probabilmente perché i valori non sono compensati (le distanze si riducono con andamento logaritmico verso le massime chiusure) e quindi fra 1:2,8 ed 1:4 restava molto spazio vuoto, graficamente spiacevole e quindi riempito con il valore 1:3,5.
Il contafotogrammi della Speich è un po’ vistoso ma sicuramente è un esempio di chiarezza grafica e leggibilità; la sua scala graduata da 0 a 115 fotogrammi presenta solo indici ogni 10 valori ma le dimensioni e la fattura dell’indice consentono di apprezzare facilmente anche le numerazioni intermedie; una ghiera di metallo godronata e fissata da tre viti sovrasta il contafotogrammi, mettendolo in evidenza e sottolineando l’inclinazione art-dèco della fotocamera.
La “firma” di Cesare Speich sul pozzetto dell’omonimo apparecchio, così sottile e stilizzata, rischia di scomparire nell’insieme del corpulento apparecchio… La Speich in realtà è decisamente compatta, misurando 92mm di larghezza, 64mm di profondità e 120mm di altezza, che diventano circa 150mm a pozzetto aperto, per un peso di circa 800g, dovuti soprattutto ai prismi separatori e alla loro massiccia montatura; l’impressione visiva di un corpo imponente è legata soprattutto alla reciproca relazione delle proporzioni dimensionali e ai piccoli nottolini di regolazione che la fanno apparire ben più grande di quanto non sia.
Fra gli accessori previsti troviamo un massiccio paraluce di foggia rettangolare e completamente realizzato in metallo, con un listello centrale di irrigidimento, che calza a pressione davanti ai prismi separatori; sulla parte superiore destra è riportata la scritta cubitale “Cesare Speich Italy” mentre stupisce che la porzione interna non sia annerita, una procedura sicuramente consigliabile in un apparecchio stereo che presenta già strutturalmente maggiori problemi di flare rispetto alla media; anche questo elemento, come il dorso descritto prima, appare confezionato in modo un po’ sbrigativo e non perfettamente consono alla raffinatezza dell’apparecchio.
La radiografia del paraluce conferma la fattura metallica e sottolinea la sua struttura simmetrica.
Un altro accessorio indispensabile per il sistema è questo massiccio visore d’immagini, appositamente concepito per osservare le specifiche fotografie stereo della Speich, il cui formato è esclusivo; anche questo prodotto sembra quasi un prototipo realizzato frettolosamente nottetempo, tutto in metallo lavorato dal pieno e con un aspetto ancora grezzo e non definitivo; in effetti la produzione di fotocamere Speich è stata così limitata come numeri e tempi da rendere plausibile il fatto che il visore fosse stato realizzato e distribuito in fretta e furia per soddisfare le esigenze dei clienti ma che non ci fosse ancora stato il tempo per curarne con calma il disegno e la finitura.
Gli oculari presentano due ampie palpebre metalliche e internamente rifinite in nero, per migliorare il contrasto di visione, mentre un nottolino metallico godronato metteva in rotazione un rullo/tampone all’interno che avanzava il film, consentendo di osservare i vari fotogrammi, senza danneggiarlo; sul metallo del visore è ricavato per fresatura un misterioso incavo la cui funzione è ignota (appoggio confortevole per un dito durante il brandeggio?).
Queste eccezionali radiografie, ottenute con settaggi diversi, consentono di curiosare dentro questo visore stereo, apprezzando il tampone ad attrito messo in rotazione dall’asse collegato al nottolino esterno ed il sistema ottico, costituito da 2 oculari ciascuno dei quali fornito di una coppia di lenti e da 2 prismi che separano le immagini stereo originali, portandole ad una larghezza idonea alla distanza interpupillare umana e consentendo poi agli oculari di ingrandirle.
Quest’ultima radiografia, eseguita sul fianco dell’apparecchio, consente di apprezzare vari componenti interni (la ghiera di comando del diaframma, il pulsante di scatto, i prismi e gli obiettivi da ripresa, meccanismi dell’otturatore e la lente di Fresnel del mirino), la struttura modulare ed anche l’intelligente gestione dello spazio interno, realmente organizzato su uno spazio tridimensionale, anche side by side, con lo specchio reflex che nasconde dietro di se il vano per il caricatore della pellicola e accoglie al suo fianco i meccanismi dell’otturatore, così come la asimmetricità del dorso incernierato lascia un settore libero sulla sinistra dell’apparecchio, che è attraversato da complessi meccanismi e rinvii che passato “sotto” l’otturatore.
La Speich Microstereo II è dunque una fotocamera di eccezionali contenuti tecnici e formali che per la sua rarità estrema è sempre rimasta relegata ad una ristretta cerchia di amatori del settore; viceversa, seppure passata come una meteora con poche manciate di esemplari a testimoniarne l’esistenza, merita la nostra massima attenzione perché ci racconta e ribadisce a chiare lettere una storia di uomini eccezionali e di una irripetibile opportunità collettiva svanita per un soffio, quella di una grande industria fotografica targata Italia in rampa di lancio per il successo, grazie a prodotti geniali, innovativi, figli di entusiasmo, tradizione di certosina precisione meccanica ed estro tipicamente italiano; l’attenzione indiscussa che circonda oggi queste gloriose testimonianze della fotografia made in Italy di quel glorioso periodo ci confermano che non furono solamente sogni o velleità, e la Speich protagonista di questo racconto è qui a testimoniarlo in modo inequivocabile.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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Descrizione eccezionale e esaustiva facilmente assimilabile ,una macchina fotografica così nobile non poteva non avere un’esposizione della sua storia così perfetta.Grazie
ginobaldinu@yahoo.it