Specchi reflex anomali

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; immagino che qualsiasi appassionato, anche appartenente alle ultime generazioni cresciute in un settore popolato da mirrorless, padroneggi il concetto di apparecchio reflex.

In questo tipo di fotocamere, fra l’obiettivo e il piano focale, è interposto uno specchio incernierato in alto e inclinato di 45° rispetto all’asse ottico; tale specchio riflette l’immagine che proviene dall’obiettivo, proiettandola in alto verso il mirino e il tutto è congegnato in modo da far coincidere i piani di fuoco del soggetto sul vetro smerigliato di visione e sul piano focale, quindi anche nel fotogramma esposto; questo tipo di apparecchi porta in dote molti vantaggi, come la messa a fuoco precisa anche in caso di focali molto lunghe o l’assenza di errori di parallasse nell’inquadratura, specie a distanza ravvicinata, e facilita anche il controllo TTL dell’esposizione; viceversa il grande spazio retrofocale necessario per far posto allo specchio reflex complica la vita ai progettisti degli obiettivi grandangolari, il cui schema è necessariamente più complesso rispetto ai classici modelli per apparecchi a telemetro.

La tecnica del sistema reflex è stata affinata da molto tempo e di norma la quasi totalità degli apparecchi si avvale della stessa architettura di base, con lo specchio a 45° incernierato in alto e realizzato in un solo pezzo che ruota velocemente andando ad appoggiarsi sotto il vetro smerigliato, consentendo all’obiettivo di proiettare l’immagine a fuoco direttamente sul piano focale e bloccando nel contempo le luci parassite che potrebbero arrivare dal mirino; naturalmente ogni regola ha le sue eccezioni e nel corso degli anni sono stati realizzate o semplicemente progettate ipotesi alternative, interpretazioni personali del concetto reflex che ora andremo a vedere assieme.

La prima proposta fuori dal coro ci arriva da un nome altisonante del settore, nientemeno che Leitz Wetzlar; l’azienda ha fatto degli apparecchi a telemetro una propria bandiera ma ha sempre riconosciuto la superiorità della una messa a fuoco reflex utilizzando obiettivi di lunga focale, come dimostrato dalla serie di box reflex PLOOT oppure Visoflex I – II – III che per decenni hanno arricchito il sistema Leica; questo brevetto presentato il 12 Maggio 1949 riguarda proprio un dispositivo di questo genere e proposte alternative per il suo specchio reflex.

In questo caso il progettista ha ipotizzato uno specchio diviso longitudinalmente in due sezioni di identica dimensione; i due elementi sono infulcrati individualmente nella parte superiore, e sui due assi è applicata una coppia di ingranaggi; azionando lo scatto flessibile un settore a cremagliera interposto fra i due ingranaggi li fa ruotare simmetricamente, trascinando nel movimento anche le due sezioni dello specchio che, ruotando di 90° verso l’esterno, consentono all’obiettivo di proiettare l’immagine direttamente sul piano focale della Leica a telemetro; simultaneamente, per impedire che la luce parassita proveniente dal mirino influisca negativamente sull’immagine, un tirante accosta due tendine scorrevoli posizionate in alto, sotto il vetro smerigliato, che provvedono alla bisogna.

Si tratta di una proposta eccessivamente cervellotica che non è mai entrata in produzione e alla quale è sempre stato preferito il classico e semplice specchio singolo incernierato in alto.

Un altro progetto alternativo e molto interessante è stato firmato nell’Aprile 1957 da Richard Weiss, ingegnere in forza alla Franke & Heidecke di Braunschweig; il disegno riguarda una reflex monobiettivo di formato 6x6cm e rappresenta anche un interessante documento storico; infatti, a quei tempi, il sistema reflex monobiettivo 6x6cm di Victor Hasselblad si stava affermando mentre le classiche Rolleiflex biottica 6x6cm di Franke & Heidecke dominavano stabilmente il mercato ma risentivano, ovviamente, di un’erosione preoccupante da parte della rampante Hasselblad.

Una storia più o meno romanzata racconta come, all’epoca, l’Ing. Reinhold Heidecke e Victor Hasselblad, fra visite di cortesia, crapulate conviviali e ritratti reciproci, avrebbero stretto una sorta di gentleman agreement secondo il quale Hasselblad avrebbe seguitato a produrre apparecchi reflex monobiettivo e Rollei fotocamere biottica, spartendosi in tal modo il mercato senza eccessivi danni reciproci; questo patto di non belligeranza fu infranto ufficialmente da Franke & Heidecke nel 1966, quando presentò la famosa Rolleiflex SL66 ad ottica basculabile, tuttavia questo brevetto testimonia come già nel 1957, ai tempi di quelle mielose visite a domicilio fra i due boss, in realtà a Brauschweig stessero già progettando la fotocamera anti-Hasselblad, alla faccia di tutte le dichiarazioni d’intenti formali.

Il problema di Herr Heidecke e del suo dipendente Weiss era l’impossibilità tecnica di progettare internamente gli obiettivi secondo le specifiche necessarie: infatti, da sempre, l’azienda si era rivolta a Zeiss o Schneider come fornitori esterni e le ottiche più pregiate a disposizione, come ad esempio lo Zeiss Planar 80mm f/2,8, erano state disegnate rispettando le quote e le esigenze meccaniche delle Rollei TLR; in pratica, il pregiato Planar 80mm f/2,8 a 5 lenti delle Rolleiflex 2,8 non si poteva trasferire tout court in un corpo monoreflex perché lo spazio retrofocale fra l’ultima lente e il film era troppo ristretto e la parte posteriore dell’ottica sarebbe andata a collidere con lo specchio in fase di sollevamento, un problema inesistente nella biottica che ne è priva.

Il brevetto testimonia quindi una difficile quadratura del cerchio per finalizzare l’applicazione di quest’obiettivo, per il quale c’erano già accordi di fornitura esclusiva, ad un corpo monoreflex strutturalmente simile a quello prodotto dal rivale Hasselblad; non potendo sollevare lo specchio in modo convenzionale, Weiss escogitò una soluzione molto ingegnosa, dividendolo trasversalmente in due parti reciprocamente incernierate; lo specchio risulta fissato in basso e lateralmente, poco sopra il punto in cui le due parti sono unite assieme, ed è movimentato da supporti laterali che seguono un tragitto emisferico dall’alto al basso, obbligando le due metà dello specchio a chiudersi su se stesse come un libro, trovando quindi posto nella parte inferiore del relativo box.

In questo modo sarebbe stato possibile utilizzare su una reflex di questo genere il classico Planar 80mm delle TLR (il cui schema inconfondibile è subito riconoscibile nel disegno), nonostante il suo insufficiente spazio retrofocale, tuttavia questo progetto rimase solo una dichiarazione di intenti, probabilmente per varie ragioni.

Ad esempio, se lo specchio è un geniale uovo di Colombo, il relativo sistema di tendine mobili che dovevano scoprire il piano focale ed oscurare il vetro smerigliato per bloccare le luci parassite durante lo scatto risultava di notevole complessità e imponeva a questo elemento un complicato balletto nel quale la porzione esuberante veniva di volta in volta ripiegata in un’apposita sede durante le operazioni, una soluzione dall’affidabilità e resistenza all’uso quantomeno opinabile; una ragione più concreta risiedeva inoltre nell’assenza di ottiche alternative di differente focale, storico punto di forza di Hasselblad, dettaglio che avrebbe reso poco competitivo l’apparecchio Rollei, limitandone la fruibilità pratica agli stessi ambiti della preesistente biottica.

Nel decennio successivo un’interpretazione molto personale del concetto di apparecchio reflex fu immaginata da Yoshihisa Maitani, il talentuoso progettista Olympus padre dei sistemi Pen F ed OM; in questo caso l’obiettivo era quello di realizzare una reflex mezzo formato il cui aspetto esterno fosse quello di un apparecchio a telemetro, privo dei classici sbalzi per il box reflex ed il pentaprisma; per finalizzare quest’obiettivo Maitani adottò un particolarissimo specchio a movimento orizzontale che, grazie ad una serie di altri specchi ed elementi in vetro ottico, permetteva di introdurre la visione reflex in un corpo perfettamente lineare.

La richiesta del relativo brevetto fu depositata da Maitani in Giappone il 19 Febbraio 1963 e negli schemi è facilmente identificabile lo specchio in posizione anomala, infulcrato verticalmente rispetto al film.

Lo stesso problema tecnico descritto in precedenza per Rollei si presentò anche a Zenzaburo Yoshino della Zenza Bronica; infatti l’azienda, volendo esordire a fine anni ‘50 nel settore delle reflex monobiettivo 6x6cm con un apparecchio chiaramente ispirato all’Hasselblad, centrò il colpo grosso coinvolgendo addirittura Nippon Kogaku ed ottenendo la fornitura di alcuni obiettivi Nikkor progettati per questo formato; le ottiche inizialmente disponibili furono un Nikkor-H 50mm 1:3,5, un Nikkor-P 75mm 1:2,8, e un Nikkor-Q 135mm 1:3,5 e la loro applicazione con uno specchio reflex convenzionale non risultò possibile perché, sebbene, prevedessero uno spazio retrofocale proporzionalmente analogo a quello dei Nikkor per il 24x36mm, la struttura del corpo macchina Zenza Bronica e le dimensioni del suo specchio avrebbero richiesto una distanza ancora maggiore, per cui il cannotto con il gruppo di lenti posteriore si posizionava troppo vicino allo specchio stesso per consentirne il sollevamento; tutta la gamma di reflex monobiettivo Zenza Bronica prodotte fino a metà anni ’70 dovette fare i conti con questo stigma originale e furono ideate due soluzioni indipendenti, dedicate a due differenti serie di apparecchi.

Ad esempio, questo brevetto firmato da Junichi Yokozato e Shigeru Kurihara fu presentato in Giappone il 5 Giugno 1968 e ipotizza una soluzione che aveva già sfruttato in precedenza Exakta su modelli medio formato.

In questo caso lo specchio è diviso trasversalmente in 2 settori asimmetrici, con quello inferiore di dimensioni ridotte; durante lo scatto un elemento rotante dotato di un settore dentato aziona gli ingranaggi che sollevano la porzione di specchio principale (ora di dimensioni sufficientemente ridotte per non interferire con l’obiettivo); lo stesso elemento rotante prevede sull’altro lato un bilanciere che, a sua volta, attiva lo spostamento del settore inferiore dello specchio, facendolo ruotare verso il basso e liberando completamente il box; questa soluzione fu poi utilizzata sulla Zenza Bronica EC.

Un’altra linea di fotocamere lanciata dalla casa fu quella delle Zenza Bronica serie S, il cui brevetto di design firmato direttamente da Zenzaburo Yoshino è qui illustrato; anche in questo caso la posizione e la dimensione dello specchio reflex avrebbero comportato l’impatto con l’obiettivo e venne escogitata una nuova soluzione, differente da quella adottata sulla EC.

Nelle Zenza Bronica serie S lo specchio è montato su due coppie di pivots laterali, una nella parte superiore e una all’estremità inferiore; i pivots entrano nel corpo macchina e il relativo cinematismo li fa scorrere verso il basso, seguendo un timing preciso e un percorso obbligato da guide, in modo da adagiare l’intero specchio in basso, facendolo nel contempo scorrere in avanti per recuperare lo spazio necessario; in questi schemi, con il gruppo ottico del 75mm Nikkor-P nella sua posizione effettiva, si può valutare facilmente l’impossibilità di un movimento convenzionale per lo specchio.

Questa soluzione risulta molto più complessa rispetto a quella vista per il modello EC: infatti la traslazione dello specchio su due coppie di pivots dal movimento asolidale aumenta il numero degli elementi meccanici in gioco e lo specchio che si posiziona in basso richiede l’ulteriore adozione di una tendina che si chiuda sotto il vetro smerigliato al momento dell’esposizione per bloccare la luce parassita, riaprendosi subito dopo.

Un altro apparecchio reflex monobiettivo per il formato 6x6cm con qualche particolarità legata allo specchio reflex è anche l’Hasselblad 553ELX del 1989; infatti i precedenti e storici modelli 500C e 500 C/M erano ottimi ed affidabili apparecchi ma il loro specchio trapezoidale e rastremato nella parte anteriore produceva una vignettatura nel mirino con le focali più lunghe, già avvertibile con obiettivi da 100mm – 120mm e decisamente vistosa negli esemplari più lunghi; d’altro canto un incremento nelle dimensioni dello specchio avrebbe causato l’impatto del medesimo con la parte posteriore dell’ottica.

 

Percependo il disagio dei clienti (sebbene la vignettatura riguardasse solo il mirino e non comparisse ovviamente nell’immagine finale) la Hasselblad corse ai ripari e l’8 Ottobre 1984 Alf Alfredsson depositò il brevetto per uno specchio modificato con un sofisticato meccanismo di sospensione ed azionamento; questo specchio, che esordì sulla 553ELX, prevedeva una superficie maggiore, tale da scongiurare la vignettatura anche con le focali più lunghe, e per evitare l’impatto durante il sollevamento traslava leggermente all’indietro durante la corsa, evitando il contatto con le parti meccaniche; il cinematismo è abbastanza complesso ma risolve egregiamente il problema.

Infine, parlando di specchi reflex, non si può tralasciare un apparecchio che di questo dettaglio ha fatto la sua bandiera: la Canon Pellix del 1965; questa rivoluzionaria e coraggiosa fotocamera utilizzava infatti uno specchio fisso semitrasparente, realizzato con avanzate tecnologie e rivestito con vari trattamenti antiriflesso, che permetteva di fotografare senza la necessità di muoverlo; questo consentì anche di adottare un sofisticato sistema di lettura TTL col relativo fotoresistore al solfuro di cadmio posizionato su un braccetto che veniva sollevato davanti al piano focale per la lettura e poi riabbassato per l’esposizione, un po’ quello che avverrà con la successiva Leica M5.

Lo specchio fisso eliminava anche le relative vibrazioni durante l’esposizione e riduceva il ritardo allo scatto a tempi minimi; il sistema tuttavia non ebbe un futuro perché la polvere depositata sullo specchio fisso ed eventuali graffi o danni alla sua superficie influivano sulla qualità dell’immagine; inoltre lo specchio era strutturato per indirizzare il 66% della luce verso il piano focale e il 33% nel mirino; questo da un lato suggeriva l’impiego di ottiche molto luminose per ovviare al circa mezzo stop che andava perduto, e dall’altro metteva a disposizione un mirino che, sebbene costruito con la massima cura possibile, non era brillante e lumìnoso come quello dei migliori concorrenti, dal momento che solo 1/3 della luce proveniente dall’obiettivo era effettivamente utilizzata per la visione.

Naturalmente lo specchio fisso sarebbe stato anche in questo caso un’occasione ghiotta per calcolare obiettivi specifici con spazio retrofocale ridotto e prestazioni migliorate, specialmente nel settore dei grandangolari, tuttavia Canon non ha mai sfruttato questa possibilità, limitandosi a creare un solo obiettivo con tali caratteristiche, l’FLP 38mm 1:2,8, peraltro concepito come ottica economica e con schema ottico molto semplice, cercando più una compattezza da pancake grazie all’arretramento del gruppo ottico che le prestazioni superiori teoricamente possibili. Peccato!

Lo specchio reflex è stato un indirizzo tecnico fondamentale nella storia della fotografia e tuttora tale argomento è molto dibattuto fra amanti di questo sistema e fautori degli apparecchi mirrorless; la concezione meccanica alla sua base è elementare e gli accorgimenti tecnici introdotti nel tempo si sono concentrati soprattutto sullo smorzamento dell’impatto a fondo corsa e la riduzione della sua massa, con fine di ridurre le vibrazioni durante la posa e limitare il micromosso, lasciando tutto il resto invariato (tralasciamo dalle considerazioni le aggiunte correlate con le funzionalità esposimetriche TTL, estranee ai principi meccanici di base).

Accogliamo quindi con genuina curiosità questi insoliti esempi che hanno sviscerato tutte le possibili alternative per l’utilizzo di questo famoso sistema!

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

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