Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI: in questa occasione voglio prendere in esame un obiettivo moderno, regolarmente disponibile sul mercato: il modello in questione è il Sony FE 28-70mm 1:3,5-5,6 OSS, un cosiddetto “kit lens” d’impiego generale concepito per contenere al massimo i costi di produzione e fornirlo in kit con apparecchi Sony in attacco a baionetta E, come i noti e diffusi modelli Alpha 7, comportando un aggravio minimo rispetto al listino della singola fotocamera; queste “kit lenses” sono create da tutti i fabbricanti con l’intento di proporre a prezzi competitivi una fotocamera pronta all’uso nelle più comuni situazioni fotografiche e sono interessanti perché i progettisti devono sfruttare soluzioni e tecnologie ingegnose per coniugare economia produttiva con buone prestazioni; vediamo quindi quali sono i segreti che si nascondono dietro il SEL2870 (Sony E Lens 28-70mm, questa la sua sigla interna), un obiettivo 28-70mm autofocus e stabilizzato che in effetti risulta ragionevolmente economico.
Il barilotto di questo modello appare molto semplificato e fa ampio utilizzo di resine plastiche, tuttavia non rinuncia a raffinatezze come la resistenza a polvere e umidità, il motore incorporato e la stabilizzazione attiva (OSS è l’acronimo di Optical Steady Shot); nella parte anteriore, caratterizzata da una lente frontale di dimensioni contenute, troviamo un anello con i dati identificativi dell’obiettivo (focali e aperture massime), la misura del passo filtri e anche la distanza minima di messa a fuoco; questa sezione prevede anche un attacco filettato per filtri da 55×0,75mm e una baionetta esterna per applicare l’apposito paraluce.
Proseguendo oltre, il barilotto appare molto spoglio e minimale perché la ghiera di messa a fuoco anteriore, rivestita con un pad gommato e con rilievi paralleli, non prevede indici di riferimento e scale di messa a fuoco: questo giustifica l’indicazione della distanza minima disponibile riportata nella parte anteriore, un valore che fluttua in funzione della focale impostata e varia fra 0,3m a 28mm e 0,45m a 70mm, più che sufficienti per la fotografia generica; questa ghiera consente inoltre la correzione manuale diretta della distanza anche in funzionamento autofocus.
Questo elemento è seguito da una seconda ghiera, molto più ampia e parimenti rivestita in gomma, che consente l’impostazione della focale, sfruttando una linea di fede bianca nella parte inferiore e i relativi indici calibrati per 28mm, 35mm, 50mm e 70mm; il barilotto poi termina in modo lineare, mancando la ghiera del diaframma, e nell’ultima sezione troviamo nuovamente i dati identificativi del modello e, naturalmente la baionetta Sony E per l’interfaccia al corpo.
Questo modello è ragionevolmente compatto (95mm di lunghezza per 73mm di diametro) e molto leggero (circa 425g), quindi idoneo al ruolo di obiettivo entry-level tuttofare da portare sempre al seguito, anche se per ridurre l’ingombro non sfrutta raffinatezze utilizzate da altri concorrenti nipponici come la possibilità di collassare completamente le lenti una sull’altra quando non in uso, riducendo ulteriormente la lunghezza.
Osservando i dati identificativi alla base della montatura troviamo la specifica Optical Steady Shot in chiaro ed è interessante osservare come il brand name Sony compaia solo in questa posizione defilata, mentre sull’anello frontale è assente; questa inquadratura permette di apprezzare anche la solida baionetta metallica, la serie di contatti che gestiscono interamente l’interfaccia con il corpo macchina e la palpebra paraluce rettangolare in resina che dovrebbe ridurre il rischio di riflessi parassiti.
La vista frontale conferma la curiosa assenza del brand Sony nelle specifiche e consente di apprezzare il dettaglio con le distanze minime di messa a fuoco, indicate sia in metri che in piedi.
E’ anche curioso osservare l’adesivo applicato alla base dell’ottica e ridondante di informazioni, comprese quelle relative all’eventuale smaltimento, quasi fosse un elettrodomestico e non un obiettivo; va anche annotato che la matricola seriale dell’esemplare si trova a sua volta su questo adesivo, quindi non viene abbinata all’obiettivo in modo permanente durante le fasi di fabbricazione ma aggiunta solo alla fine e in modo evidentemente precario.
Il diaframma del SEL2870 utilizza 7 lamelle e questo componente è il primo dettaglio che evidenzia una progettazione volta a coniugare economia e funzionalità: infatti il particolare profilo incurvato delle lamelle consente di sfruttare un’apertura praticamente circolare, come se l’iride fosse composto da un numero molto maggiore di elementi, avvantaggiando la resa del bo-keh nello sfuocato senza gravare sui costi di produzione; l’apertura massima dell’obiettivo, variabile per ridurre le dimensioni e semplificare lo schema ottico, passa da 1:3,5 a 28mm a 1:5,6 a 70mm e i valori di massima chiusura del diaframma fluttuano di conseguenza fra 1:22 ed 1:36 effettivi.
Lo schema ottico adottato è sicuramente l’elemento più interessante dell’obiettivo perché garantisce una copertura da medio grandangolo da 28mm a corto tele da 70mm, con buone prestazioni generali, copertura full-frame e presenza dello stabilizzatore utilizzando solamente 9 lenti in 8 gruppi; questa quadratura del cerchio è stata perseguita grazie all’attuale disponibilità di vetri alle Terre Rare con alta rifrazione/bassa dispersione o vetri ED a bassissima dispersione a costi più contenuti, oltre all’adozione di ben 5 superfici asferiche distribuite su 3 lenti (quindi 2 di esse prevedono un doppio profilo asferico, anteriore e posteriore), ottenute per glass-molding di sbozzi in vetro rammolliti a caldo e contenendo i costi grazie al ridotto diametro di tali elementi.
Vediamo in dettaglio l’origine e le caratteristiche di questa architettura; lo schema ottico venne finalizzato nel corso del 2013 e la richiesta di brevetto prioritario giapponese venne formalizzata il 17 Settembre 2013, subito prima del lancio mediatico dell’obiettivo, programmato il 16 Ottobre dello stesso anno; alla richiesta di brevetto giapponese seguiranno anche quella cinese e statunitense, per salvaguardare adeguatamente la proprietà intellettuale del progetto, destinato – non dimentichiamolo – ad una produzione su grandi numeri.
Ho recuperato e analizzato questi 3 brevetti e a seguire ne potremo osservare gli stralci significativi.
L’intestazione del brevetto prioritario giapponese conferma la presentazione in data 17 Settembre 2013; il progetto venne realizzato per conto di Sony Corporation da Fumikazu Kanetaka e Kodai Nagamatsu e osservando le sezioni del “preferred embodiment” illustrato su questa prima pagina notiamo che utilizza 10 lenti in 9 gruppi, anziché 9 elementi in 8 gruppi come nel modello di produzione; il brevetto prevede infatti 4 differenti esemplari, 3 dei quali con 10 lenti e il quarto, semplificato, con soltanto 9 elementi: proprio quest’ultimo venne scelto per la serie, probabilmente perché risultava il più economico da produrre.
L’anno successivo venne richiesto anche un analogo brevetto cinese, probabilmente per salvaguardarsi dall’arrembante trend di crescita che le aziende ottiche di quel paese stavano già evidenziando.
Il brevetto statunitense venne richiesto con leggero anticipo rispetto a quello cinese (31 Luglio 2014 contro 10 Settembre 2014) e l’abstract della pagina introduttiva anticipa già che il progetto riguarda uno zoom composto da 4 gruppi principali, con valore complessivo divergente, convergente, divergente e convergente.
Come si apprezza nelle parti di testo evidenziate, il progetto era finalizzato a creare uno zoom per fotocamere digitali con dimensioni contenute ed elevate prestazioni, compatibili con sensori ad elevata risoluzione, garantendo un semiangolo di campo iniziale da 37°, un’escursione zoom 2,5x ed un’apertura di esordio 1:3,5, ribadendo anche la volontà di creare un modello che fosse compatto ed economico da produrre pur garantendo prestazioni ottiche favorevoli.
I parametri di progetto originali evidenziano l’utilizzo di vetri moderni con elevate caratteristiche ed ho evidenziato la posizione delle 5 superfici asferiche: entrambe le facce della quarta lente, entrambe le superfici della settima e il profilo posteriore dell’ottava.
Lo schema con i dati grezzi prevede anche un decimo elemento piano-parallelo (i due raggi relativi alla curvatura delle superfici esterne 19 e 20 sono infiniti, indicando superfici piatte) e realizzato in vetro BK7: questo elemento in realtà è il filtro anteposto al sensore e che, prevedendo sul modello Alpha 7 base uno spessore non indifferente, è stato di conseguenza considerato nel calcolo ottico complessivo dell’ottica.
I dettagliati dati “raw” presenti nel brevetto comprendono anche i parametri di asfericità delle 5 superfici interessate e altri interessanti dati, come focali, aperture e angoli di campo effettivi alle impostazioni 28mm, 45mm e 70mm (rispettivamente: focali 28,82mm, 44,26mm, 67,90mm; aperture 1:3,56, 1:4,50, 1:5,74; angoli di campo 73,8°, 52,1°, 35,34°) e gli spazi previsti fra i gruppi mobili con lo zoom impostato sugli stessi 3 valori.
Gli stessi parametri ricavati dal brevetto statunitense risultano più comprensibili e il paragrafo di testo conferma la posizione delle 5 superfici asferiche.
Lo schema ottico è quindi apparentemente semplice e limitato ad appena 9 elementi, tuttavia è infarcito di soluzioni tecniche avanzate che non si limitano ai numerosi profili asferici ma si estendono anche alle tipologie di vetri ottici utilizzati; infatti, pur nella sua dichiarata economicità, il SEL2870 utilizza 6 tipologie di vetri ottici, 3 delle quali (lanthanum Dense Flint LASF, lanthanum Flint LAF e lanthanum Crowk LAK) sono moderne versioni agli ossidi delle Terre Rare caratterizzate da un favorevole rapporto fra alta rifrazione e bassa dispersione cromatica, mentre un’alta lente è realizzata con un vetro Phosphate Crown PK a bassissima dispersione di categoria ED.
Procedendo lungo lo schema dall’elemento frontale verso quello posteriore, L1 prevede un vetro Lanthanum Dense Flint di categoria Schott LASF41, L2 un Lanthanum Flint di categoria Schott LAF2, L3 un Dense Flint ad altissima rifrazione (addirittura 1,922) di categoria Schott SF66, L4 ed L7 un Dense Crown di categoria Schott SK12, L5 un Phosphate Crown ED di categoria Schott PK52A, L6 un Dense Flint di categoria Schott SF7, L8 un lanthanum Crown di categoria Schott LAKN13 e L9 un Lanthanum Flint di categoria Schott LAF7; abbiamo quindi 5 lenti a rifrazione molto alta, 4 delle quali agli ossidi delle Terre Rare, ed una in vetro ED.
Naturalmente il riferimento alle sigle della vetreria tedesca Schott serve solo ad identificare in modo inequivocabile il tipo di vetro impiegato, mentre la fornitura effettiva avveniva da aziende nipponiche; le superfici asferiche sono ottenute direttamente su vetri di tipologia SK12 ed LAKN13, con esclusione quindi dell’impiego di materie plastiche o dell’iniezione superficiale di resine contro maschera asferica di riscontro per finalizzare il profilo parabolico, ottenuto invece con un glass-molding a caldo, sagomando l’elemento in vetro ad alta temperatura in uno stampo che prevede l’opportuna curvatura asferica, una soluzione lodevole perché nel tempo garantisce maggiore stabilità rispetto all’impiego di resine, sul cui comportamento nel lungo termine non si hanno ancora informazioni precise.
L’impiego di vetri moderni con numerose superfici asferiche è coadiuvato anche da una configurazione dei flottaggi relativamente complessa, con lo schema ottico suddiviso in 4 gruppi principali dei quali il quarto (l’elemento posteriore L9) rimane stazionario e gli altri si muovono reciprocamente grazie a 3 camme; nella fattispecie, a 28mm il gruppo 1 è completamente avanzato e i gruppi 2 e 3 sono completamente arretrati verso il gruppo 4 stazionario; passando da 28mm a circa 50mm il gruppo anteriore 1 arretra e i gruppi 2 e 3 avanzano con corsa asincrona, quindi il secondo procede più speditamente distanziandosi a sua volta dal terzo, mentre entrambi si allontanano dal quarto che resta immobile; dopo 50mm e procedendo verso la posizione tele, l’avanzamento ulteriore del gruppo 2 lo porterebbe in collisione col gruppo 1, pertanto quest’ultimo inverte la sua corsa e torna indietro, allontanandosi nuovamente dalla fotocamera, mentre i gruppi 2 e 3 continuano la loro corsa asincrona in avanti, con il secondo che continua a guadagnare spazio sul terzo, per cui durante l’intera escursione da 28mm a 70mm il gruppo 3 (costituito dall’elemento singolo L8) vede aumentare la propria distanza progressivamente sia dal gruppo 4 stazionario che lo segue sia dal gruppo 2 che lo precede e la cui camma gli impone un avanzamento di maggiore ampiezza.
Questi cinematismi, abbinati alle 5 superfici asferiche e alla scelta di vetri ottici di alto profilo, permettono quindi di finalizzare buone prestazioni anche utilizzando solamente 9 lenti e contenendo i costi sui materiali e le lavorazioni delle superfici grazie alle ridotte dimensioni degli elementi stessi.
In questo schema è possibile notare anche il notevole spessore del filtro anteposto al sensore e tale da richiedere che venisse incorporato nel calcolo stesso dell’obiettivo,
Il brevetto prevede anche lo stato di correzione delle principali aberrazioni alle focali estreme e a quella centrale; l’aberrazione sferica appare ottimizzata a 50mm, dov’è irrilevante, mentre risulta più vistosa a 28mm e soprattutto 70mm; per la curvatura di campo, apparentemente si è accettato un po’ di astigmatismo (nel quale i piani di giacitura con mire in orientamento sagittale e tangenziale, perpendicolari fra loro, si trovano su livelli diversi quindi uno dei 2 è sempre fuori fuoco), ammesso per mantenere ragionevolmente in piano la calotta con orientamento sagittale (linea continua) rispetto a quella con orientamento tangenziale (linea tratteggiata), una scelta che può avere dei vantaggi ma risulta diametralmente opposta a quelle operata spesso da case come Leitz o Zeiss, secondo le quali è preferibile una curvatura di campo anche vistosa se garantisce l’eliminazione dell’astigmatismo, una sorta di “coperta corta” che impone questo tipo di scelte drastiche e che, come possiamo osservare, ciascuno interpreta a suo modo; infine, la distorsione rappresenta un elemento ammesso per rendere più economica la progettazione complessiva: infatti i valori sono pari o superiori al 5% sia a 28mm (a barilotto) che a 70mm (a cuscinetto) e in assenza di correzione la deformazione con simili entità risulta molto avvertibile; evidentemente questo è stato accettato contando sull’ormai diffusissima correzione on camera che minimizza tale difetto presente all’origine, tuttavia azzerare un barilotto superiore al 5% a 28mm significa interpolare e tagliare un settore non irrilevante ai bordi, riducendo di fatto la copertura grandangolare teoricamente disponibile.
Le curve MTF ufficiali Sony, il cui protocollo di misurazione è descritto in dettaglio direttamente nell’immagine, confermano quanto visto nei diagrammi precedenti, con le letture in orientamento tangenziale (linee tratteggiate, con mire perpendicolari alla semidiagonale di campo) che lontano dall’asse mostrano valori decisamente più bassi delle corrispondenti curve misurate in orientamento sagittale (linee continue, con mire perpendicolari alla semidiagonale di campo); spesso questo comportamento dipende da aberrazione cromatica laterale ma in questo caso è proprio l’astigmatismo che mette fuori fuoco la giacitura in orientamento tangenziale mentre il corrispondente piano in orientamento sagittale resta più vicino a quello scelto per la lettura e quindi risulta più a fuoco e produce risultati migliori.
Il Sony FE 28-70mm 1:3,5-5,6 OSS del 2013 è quindi un kit-lens progettato con l’intenzione di creare un modello entry-level per le fotocamere mirrorless in attacco Sony E che fosse compatto e leggero ma anche il più possibile economico, senza tuttavia produrre risultati ottici non all’altezza dei corpi di destinazione, solitamente acquistati da fotografi già piuttosto esperti e smaliziati; in quest’ottica il risultato si può dire raggiunto, perché se è vero che alternative professionali come il Sony 24-70mm 1:2,8 OSS GM garantiscono prestazioni più elevate ai bordi e fin dalla massima apertura, peraltro più ampia, bisogna anche considerare che il prezzo di listino risulta drasticamente differente ed incompatibile con un bundle kit; dal punto di vista ottico le limitazioni si possono rilevare in una nitidezza non eccelsa ai bordi alle massime aperture, problema ovviabile chiudendo un po’ il diaframma e facendo affidamento sullo stabilizzatore d’immagine o sulla resa dei moderni corpi ad alti ISO, e nella citata distorsione, corretta in digitale ma a prezzo di un evidente ritaglio a 28mm; in realtà le economie più evidenti sono forse di natura meccanica, come il sistema di fissaggio della lente posteriore in sede costituito da una clip di materiale sintetico che, devo ammetterlo, a prima vista mi creò un leggero sconcerto.
Considerazioni teoriche a parte, nell’uso pratico il SEL2870 svolge adeguatamente il suo compito, soprattutto se non si indulge nel pixel peeping ad ogni costo in ogni zona del campo; queste istantanee in strada le scattai proprio con quest’obiettivo su ILCE7M2, pochi giorni dopo averlo acquistato, durante una toccata e fuga di lavoro a Bucarest in un freddo Gennaio e dimostrano che l’ottica in questione ha prestazioni sicuramente adeguate al target di obiettivo economico da kit entry-level.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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