Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il sistema Olympus OM lanciato nel 1972 scatenò un autentico terremoto nel settore delle fotocamere reflex 35mm e con la sua compattezza raccolse rapidamente schiere di proseliti, obbligando di fatto la concorrenza a reagire mettendo a sua volta in cantiere apparecchi ed obiettivi progettati privilegiando leggerezza e ridotte dimensioni.
Nel volgere di qualche anno più o meno tutti i principali concorrenti si allinearono, tuttavia il brand che più di ogni altro accettò la sfida con Olympus Corporation fu la Asahi Optical Company, azienda di lunga tradizione e con notevole e diversificato know-how, che a partire dal 1976 mise in commercio la linea di fotocamere ed obiettivi tipo M; questi prodotti rivaleggiavano effettivamente con quelli Olympus per compattezza e in breve tempo fu disponibile un assortimento completo, quantunque fra le ottiche M latitassero i modelli più professionali e luminosi, impossibili da miniaturizzare secondo gli standard di tale sistema; naturalmente la Asahi Optical predispose anche varie ottiche M a focale variabile, e una delle più interessanti ancora oggi è lo zoom professionale SMC Pentax-M 35-70mm 1:2,8-3.5 lanciato nel 1979 al quale l’articolo è dedicato.
Come ho anticipato in un pezzo analogo dedicato all’Olympus OM Zuiko 35-70mm 1:3,6 commercializzato nello stesso periodo, gli zoom standard di estrazione professionale progettati dai vari brand ancora negli anni ’70 garantiscono prestazioni ottiche complessive che possono essere sufficienti e soddisfacenti ancora oggi, grazie ad una scelta di focali non estrema e alla progettazione finalizzata alle massime performance tecnicamente possibili, senza particolari considerazioni per il budget (all’epoca lo zoom era ancora visto dai clienti come una sorta di miracolo ed un prezzo elevato era universalmente atteso ed accettato); naturalmente questo 35-70mm luminoso Pentax-M rientra in tale casistica e con barilotto collassato a 70mm risulta anche ragionevolmente compatto per un obiettivo 1:2,8-3,5, pertanto le ridotte dimensioni, le buone prestazioni e il prezzo di mercato abbordabile lo rendono interessante come all-rounder anche per il fotografo digitale moderno che può portarlo al seguito senza il timore di strapazzare un pezzo magari pagato una fortuna.
Nonostante si tratti di un modello appetibile e professionale, non esiste molta documentazione dedicata al 35-70mm 1:2,8-3,5 fra le brochure Pentax dell’epoca e ho dovuto faticare un po’ per trovare questa citazione.
La serie M che esordì nel 1976 venne seguita dalla linea A, lanciata nel 1984, e questa brochure “The many eyes of Pentax” dedicata alle ottiche 35mm venne pubblicata intorno al 1980.
Al suo interno compare il nostro zoom assieme ad altri modelli coevi, e il barilotto impostato su 70mm appare effettivamente molto compatto per le caratteristiche geometriche dell’ottica, come si conviene ad un SMC Pentax-M.
I relativi dati tecnici ci svelano che l’angolo di campo disponibile spazia fra 64° e 34,5° (sulla diagonale), il diaframma (a 7 lamelle) può chiudere fino ad 1:22 (che diventa 1:26 a 70mm, focale che esordisce da 1:3,5 anziché 1:2,8) con funzionamento automatico a tutta apertura, lo schema utilizza 7 lenti in 7 gruppi, la messa a fuoco minima arriva a 1 metro / 3,5 piedi, il barilotto (evidentemente collassato a 70mm) misura 67mm di diametro per 76mm di lunghezza e il peso si assesta su 470g; risulta invece errato il dato relativo al diametro filtri, 67mm, dal momento che la misura esatta è 58×0,75mm; una particolare caratteristica del paraluce originale dedicato richiederà di tornare su questo argomento.
Vediamo ora le caratteristiche salienti di questo modello.
L’obiettivo, per semplificare e compattare la meccanica, prevede una montatura anteriore rotante (svantaggiosa con filtri polarizzatori o digradanti lineari); come detto, il passo filtri è da 58×0,75mm mentre l’appartenenza alla linea compatta M viene palesata dalla corrispondente sigla sulla ghiera frontale e dal caratteristico filetto cromato anteriore; l’obiettivo prevede il moderno rivestimento antiriflesso multistrato Pentax SMC che contribuisce a migliorare il contrasto, la profondità dei neri e la riproduzione cromatica.
Lo zoom è strutturato secondo la configurazione “one touch”, con una singola ghiera che gestisce in rotazione la messa a fuoco e, traslando in linea, anche la variazione di focale; la ghiera prevede un ampio settore gommato a rilievi rettangolari che garantiscono un’ottima presa ed include una doppia scala delle distanze, smaltata con colori diversi, che spazia da infinito a 1 metro / 3,5 piedi, senza alcuna posizione macro aggiuntiva; nella parte inferiore del cannotto scorrevole per lo zoom è presente una linea di fede arancione destinata alla messa a fuoco, mentre il bordo inferiore metallico definisce di fatto la focale impostata e selezionabile grazie alla scala riportata sul barilotto con i valori 35, 40, 50, 60 e 70mm: per esigenze meccaniche la corsa del cannotto scorrevole non è simmetrica e l’escursione fra 60 e 70mm è davvero minima; questa soluzione meccanica ha sempre comportato un vistoso indurimento sia per raggiungere 70mm che per tornare a focali inferiori, un piccolo difetto che si manifestava in tutti gli esemplari, anche nuovi.
Nella parte inferiore del barilotto è presente la ghiera del diaframma con valori compresi fra 1:2,8 e 1:22 e servita da 2 differenti linee di fede: una di colore arancio e forma romboidale che serve come riferimento per il fotografo e l’altra, leggermente spostata e di colore verde, che indica l’apertura geometrica effettiva realmente disponibile alla focale 70mm, dove il valore effettivo scende da 1:2,8 a 1:3,5; anche la focale 70mm è smaltata in verde per indicare graficamente l’accoppiamento alla seconda linea di fede.
Sempre nella parte inferiore è presente il riferimento in rilievo che facilita l’allineamento la fotocamera in fase di montaggio, e naturalmente l’obiettivo è servito da una baionetta tipo Pentax K.
Come curiosità, in questo modello il rivestimento SMC produce sull’elemento frontale un intenso bagliore rossiccio e in Giappone questo zoom è molto amato dagli appassionati perché tale lente accesa di rosso purpureo ricorda molto il Sol Levante simbolo della nazione.
Per l’SMC Pentax-M Zoom 35-70mm 1:2,8-3,5 era previsto un paraluce metallico a vite, tipo MH-R, contenuto in un astuccio in finta pelle nera a sua volta confezionato in scatola di cartone.
Osservando questo esemplare inusato, new old stock, si può notare una caratteristica insolita: tale accessorio in realtà è composto da 2 pezzi, il paraluce vero e proprio con filettatura da 67×0,75mm, e uno stepper con doppia filettatura avvitato al pezzo principale che riduce le dimensioni dell’attacco filettato ai 58×0,75mm previsti dall’obiettivo.
Quando notai tale caratteristica, tempo fa, pensai subito che il paraluce fosse stato previsto per 2 grandangolari differenti e con diverso passo filtri, utilizzandolo sul 35-70mm con lo stepper e nell’altro obiettivo senza; tuttavia, a parte che il paraluce è specificamente dedicato al nostro esemplare, con la relativa scritta “SMC PENTAX ZOOM 1:2,8-35mm 1:3,5-70mm”, quando nel 1979 l’SMC Pentax-M 35-70mm 1:2,8-3.5 venne commercializzato non esisteva alcun obiettivo grandangolare prodotto da Asahi, fisso o zoom, che fruttasse il passo filtri 67×0,75mm, e i primi esemplari con tali caratteristiche furono i modelli A 35-105mm 1:3,5 del 1984 e A 35-210mm 1:3,5-4,5 del 1986; pertanto la ragione per cui il paraluce sia stato prodotto con tanto di scritte personalizzate ma filettatura di dimensioni eccessive, richiedendo quindi uno stepper, resta tuttora un mistero, a meno che non fosse stata inizialmente immaginata una montatura con filtri da 67mm, progettando di conseguenza il paraluce, poi miniaturizzata prima della serie a 58mm quando la produzione del paraluce era già stata pianificata con 67mm, utilizzando quindi lo stepper 67-58mm per adattare i 2 elementi; questa naturalmente è solo una supposizione personale priva di riscontri.
L’obiettivo completo di paraluce; l’ampio angolo di campo a 35mm ha imposto un accessorio di ridotte dimensioni, mentre alle focali superiori sarebbe stato possibile utilizzare un modello che fornisse maggiore protezione.
In precedenza abbiamo brevemente accennato allo schema ottico dell’obiettivo, basato solamente su 7 lenti tutte spaziate; solitamente gli zoom di questo tipo e di estrazione professionale progettati all’epoca utilizzavano da 10 a 13 lenti, pertanto stupisce come alla Asahi abbiano invece scelto di realizzare uno zoom standard di ampia apertura 1:2,8-3,5 utilizzandole così poche, e lo stupore aumenta osservando come dallo stesso progetto di base siano addirittura stati sviluppati 3 obiettivi differenti, ovviamente con escursione focale simile ma tutti invariabilmente luminosi; vediamo quali.
Oltre all’SMC-Pentax-M Zoom 35-70mm 1:2,8-3,5 del 1979 lo stesso schema venne anche impiegato in un obiettivo per certi versi simile ma che andava oltre, compattando ulteriormente il barilotto, passando alla regolazione con doppia ghiera girevole e prevedendo una sofisticata meccanica per la macro assente sul 35-70mm e che vedremo in altra sede; questo secondo modello è l’SMC Pentax-M 40-80mm 1:2,8-4, lanciato l’anno successivo (1980); entrambi i modelli usciranno di scena nel 1984 per lasciare la ribalta alla nuova linea Pentax-A.
Infine, il terzo modello che utilizza lo stesso schema base a 7 lenti in 7 gruppi è lo speciale SMC Pentax AF Zoom 35-70mm 1:2,8, un obiettivo prodotto dal 1981 al 1989 che costituisce il primo approccio di Asahi al concetto autofocus; questo modello era specificamente dedicato alla Pentax ME-F, incorporava motore e batterie necessarie al funzionamento e in abbinamento a tale fotocamera consentiva la regolazione automatica della messa a fuoco, seppure con i limiti tecnologici del tempo.
Quest’obiettivo utilizza a sua volta la stessa architettura ottica, sebbene la sua apertura massima sia 1:2,8 costante e non variabile da 1:2,8 a 1:3,5 come nella versione M protagonista dell’articolo; in ogni caso gli schemi dei 3 obiettivi sono praticamente identici ed evidentemente derivati dallo stesso progetto, anche considerando il fatto che questi modelli vennero sfornati in rapida successione nel 1979, 1980 e 1981.
Vediamo ora quali segreti si nascondono dietro il gruppo ottico del 35-70mm 1:2,8-3,5 grazie alla disponibilità del brevetto originale/prioritario giapponese.
Lo schema di questo modello venne calcolato per Asahi Optical Company da Sadao Okudaria, un progettista molto talentuoso che qualche anno dopo azzardò anche un’ipotesi molto ambiziosa, disegnando un 50mm 1:1,2 con una lente GRIN (Gradient Index Lens), cioè con vetro il cui indice di rifrazione cambiava senza soluzione di continuità fra 2 valori passando dalla parte anteriore a quella posteriore della lente; Okudaria-San calcolò il 35-70mm 1:2,8-3,5 nel 1974, quindi le sue prestazioni vanno rivalutate anche considerando l’intero lustro intercorso fra il progetto e l’effettiva commercializzazione, e la richiesta di brevetto giapponese venne formalizzata il 18 Gennaio 1975 o, come specificato nel documento, nel 50° anno dell’era Showa legata al regno dell’Imperatore Hirohito.
La configurazione scelta dal progettista è un classico schema a 2 soli gruppi mobili e ricalca la tradizionale struttura semplificata all’osso che solitamente troviamo negli zoom 35-70mm consumer degli anni ’80 e ’90, caratterizzati da aperture più modeste come 1:3,5-4,5 oppure 1:3,5-4,8, mentre la concorrenza di prima fascia del periodo, come i vari Canon FD 35-70mm 1:2,8-3,5, Nikon Nikkor Ai – AiS 35-70mm 1:3,5, Minolta MD – Leica-R 35-70mm 1:3,5 o Carl Zeiss Vario-Sonnar 40-80mm 1:3,5, sfruttavano invece schemi dello stesso tipo ma più complessi che, nel caso dello Zeiss, arrivavano fino a 13 lenti; in casa Asahi hanno scelto invece di mantenere la semplicità rarefatta di una struttura con appena 7 lenti spaziate ad aria e Okudaria-San è riuscito a garantire comunque una qualità ottica di alto livello e la superiore apertura 1:2,8-3,5 sfruttando una impressionante batteria di vetri ottici moderni alle terre Rare, caratterizzati da alta rifrazione e bassa dispersione, preferendo pertanto questa via a quella di uno schema più complesso con un maggiore numero di elementi; lo schema sfrutta gli elementi da L1 ad L3 per il primo gruppo mobile e da L4 ad L7 per il secondo, prevedendo un ulteriore movimento per il primo modulo destinato alla messa a fuoco (a parità di configurazione ottica per una determinata lunghezza focale, focheggiando a distanze ravvicinate il primo gruppo avanza allontanandosi dal secondo); successivamente analizzeremo le tipologie di vetro ottico impiegate con un apposito schema.
I diagrammi con le aberrazioni previste mostrano un elevato livello di correzione; osservando i diagrammi occorre prestare molta attenzione alla scala di riferimento dei medesimi, dal momento che a 35mm troviamo un valore limite di 0,1 che alle focali superiori passa a 0,5, mentre per la distorsione sulla focale grandangolare è 10% e alle altre 1%; proprio osservando la distorsione si nota come a 35mm sia apprezzabile mentre alle altre focali è perfettamente controllata e addirittura trascurabile a 70mm, consentendo eventualmente la ripresa di dettagli geometrici senza vistose e fastidiose deformazioni.
Questo schema consente di apprezzare come Sadao Okudaria sia riuscito nella quadratura del cerchio (apertura 1:2,8-3,5 con appena 7 lenti) dando fondo alle possibilità consentite dai moderni vetri ottici: infatti, su 7 elementi, troviamo 2 lenti in lanthanum Dense Flint LaSF, 2 in lanthanum Flint LaF, 2 in lanthanum Crown LaK e la settima prevede un Dense Flint ad alta rifrazione (superiore ad 1,8, i comuni vetri “da finestre” sono poco oltre 1,5) ed alta dispersione; questo tipo di configurazione, pur nella sua semplicità geometrica, evidentemente venne ritenuta molto promettente se, come anticipato, fra il 1979 e il 1981 fu utilizzata in ben 3 zoom standard, tutti con apertura d’esordio ad 1:2,8; questa struttura consente naturalmente una notevole compattezza, in linea con l’indirizzo Asahi del tempo, tuttavia non sono così convinto che la scelta di ridurre il numero di elementi realizzandoli al contempo con vetri ottici fra i più costosi garantisse anche un vantaggio economico; come ultima annotazione, le particolari versioni utilizzate rimandano ad una fornitura da parte della vetreria nipponica Ohara Kogaku Kabushiki Kaisha di Kanagawa, l’unica che all’epoca garantisse a catalogo tutti i vetri ottici impiegati con perfetta corrispondenza di rifrazione e dispersione rispetto ai dati del brevetto.
L’SMC Pentax-M 35-70mm 1:2,8-3,5 ricevette un immediato apprezzamento da parte dei clienti per le elevate prestazioni che garantiva, anche grazie a rivestimenti antiriflesso e sistemi di soppressione delle luci parassite molto moderni che supportavano un ottimo contrasto; a inizio anni ’80 il mensile “Il Fotografo” – Mondadori, non più in edicola da decenni, organizzò un test su alcuni zoom SMC Pentax-M che includeva anche il 35-70mm.
Gli obiettivi vennero provati fotografando mire ed ottenendo il potere risolutivo misurato in 4 zone del campo (metodo che, ovviamente, palesa alcuni limiti) e risultarono di ottima qualità; vediamo quindi come si è comportato il nostro zoom.
L’SMC Pentax M 35-70mm 1:2,8-3,5 superò benissimo il test, evidenziando valori di risoluzione eccezionalmente elevati per uno zoom, pari o superiori a quelli di molte focali fisse di marca provate in precedenza; peraltro questo tipo di test fornisce indicazioni solo parziali perché definisce un potere risolutivo ma non indica con quale contrasto o nettezza le mire siano risolte, e nell’uso pratico occorre aggiungere che il punto di forza di quest’obiettivo è proprio l’elevato contrasto con neri profondi che supporta l’immagine fornendo una impressione di nitidezza soggettiva ancora superiore; proprio il rendimento di ottiche come questo 35-70mm Pentax-M evidenziano l’autentico progresso nei confronti dei migliori obiettivi del decennio precedente, vantaggio che non si quantifica tanto in potere risolutivo quanto nella riduzione del flare in situazioni di luce difficile e nel contrasto.
Per verificare come si posizioni oggi un 35-70mm Pentax-M del 1979 adattandolo alle fotocamere digitali full-frame che comunemente utilizziamo mi sono concesso una rapida passeggiata nei pressi dell’abitazione ed ora condividerò alcuni scatti d’esempio; l’uso pratico continua a suggerire che il punto di forza del modello non è la risoluzione (buona ma oggi ormai siamo assuefatti ad ottiche iper-nitide) quanto l’elevato contrasto e la capacità di riprodurre neri profondi e senza flare.
Pertanto, più che in immagini convenzionali come questa, realizzata a 35mm con apertura 1:11, vedo questo 35-70mm più tagliato per soggetti con elementi grafici, textures e contrasti che mettano in risalto tali prerogative.
Un altro limite nell’utilizzo indiscriminato è legato alla vistosa distorsione a barilotto presente a 35mm, focale grandangolare che invece viene spesso sfruttata per immagini di architettura e strutture geometriche in bolla che la mettono fatalmente in evidenza, come dimostrano queste 2 fotografie scattate a 35mm con apertura 1:11; per il resto le immagini prodotte sono soddisfacenti confermando la sfruttabilità dell’obiettivo ancora oggi.
Queste 2 immagini, scattate rispettivamente a 50mm con 1:8-11 e a 70mm con 1:8, mostrano sia l’elevato contrasto con resa “moderna” garantiti dall’obiettivo che la piacevole riproduzione cromatica, da sempre vanto delle ottiche Asahi.
In questo scatto realizzato a distanza ravvicinata con focale 70mm e apertura 1:8-11 si può apprezzare nuovamente il buon contrasto e la percezione di correzione complessiva delle aberrazioni; inquadrando queste prestazioni nella sua epoca possiamo sicuramente definire il 35-70mm 1:2,8-3,5 come un obiettivo di qualità superiore.
Il moderno antiriflesso SMC consente anche di finalizzare una corretta riproduzione cromatica, come in questa immagine realizzata a 35mm con apertura 1:11, garantendo risultati adeguati anche con il corrente workflow digitale.
Queste 3 immagini scattate in rapida successione a 35mm con 1:11, 50mm con 1:8-11 e 70mm con 1:8-11, quindi nelle migliori condizioni di esercizio, mostrano un rendimento consistente e costante sull’intera escursione, e l’unica pecca residua rimane l’avvertibile distorsione a barilotto su focale grandangolare; oggi è naturalmente possibile correggere tale deformazione in digitale, tuttavia tale operazione determina un evidente ritaglio periferico dell’immagine, limitando la copertura grandangolare consentita.
Questo dettaglio, ripreso a 50mm e apertura 1:8-11, mostra la corretta riproduzione dei neri e l’assenza di distorsione visibile alle focali superiori a 35mm.
I ritagli al 100% estrapolati dalla stessa immagine mostrano la buona nitidezza ma soprattutto il contrasto intrinseco con il quale il soggetto viene riprodotto, un risultato finalizzato non solo dalle caratteristiche ottiche ma anche da elementi come il trattamento SMC, il ridotto numero di lenti e gli annerimenti interni.
Questo mio viaggio nel tempo fra gli zoom standard professionali della prima ora fornisce quindi nuove conferme al principio informatore già definito: questi modelli vennero effettivamente confezionati sfruttando al 100% le risorse disponibili, contando anche sulla possibilità di porli in vendita a prezzi adeguati ed accettati dai clienti di allora, e sfruttando anche un’escursione focale sicuramente funzionale ma non eccessivamente spinta garantivano prestazioni complessive sufficienti a soddisfare anche il fotografo moderno; nel caso dell’SMC Pentax-M 35-70mm 1:2,8-3,5, i suoi atout peculiari si possono individuare nella superiore resistenza al flare e nell’elevato contrasto intrinseco con ottima resa cromatica, tutti elementi che ne attualizzano ancora di più la sua performance.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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