Il frutto di questi sforzi concitati iniziò a palesarsi nel 1976, quando comparvero i primi apparecchi compatti come la Pentax MX e soprattutto le prime ottiche della nuova linea miniaturizzata, denominata SMC Pentax-M; parte di tali obiettivi è visibile in questa brochure della prima ora nella quale campeggia il frutto più estremo del nuovo corso, il pancake SMC Pentax-M 40mm 1:2,8 a 5 lenti che sporgeva dalla fotocamera per appena 18mm.
Ovviamente anche la conversione del classico normale professionale non poteva attendere molto, pertanto nel 1977 venne presentato il nuovo SMC Pentax-M 50mm 1:1,4, qui illustrato assieme al fratellino 50mm 1:1,7 lanciato nello stesso anno e destinato ad un’utenza più amatoriale; in realtà lo schema di un obiettivo simile non può essere stravolto inventando dal nulla soluzioni mirabolanti, quindi il guadagno in compattezza longitudinale rispetto all’SMC Pentax K è di appena 5mm (37mm contro 42mm) e il contenimento del peso di 30 grammi (235g contro 265g), tuttavia questo vantaggio apparentemente risicato, come vedremo meglio in dettaglio, ha comportato il completo ricalcolo della parte ottica, introducendo quindi il terzo schema (tipo C) e facendo a meno di materiali radioattivi al torio, ormai completamente soppressi dalle vetrerie nipponiche.
Dal punto di vista estetico il nuovo 50mm tipo M è estremamente simile al K prodotto dal 1975 al 1977 e la differenza più ovvia è solo la maggiore compattezza; incidentalmente, faccio notare che del superluminoso SMC Pentax K 50mm 1:1,2, anch’esso presentato nel 1975, non è mai esistita una versione M, probabilmente perché uno schema doppio Gauss di simile apertura non si riusciva a compattare più di così e anche la montatura originale non prevedeva sprechi in tal senso.
L’SMC Pentax-M 50mm 1:1,4 è stato un obiettivo fondamentale perché venne prodotto nell’epoca d’oro della fotografia analogica, nella quale a corpi macchina sempre più evoluti, con una rapidità di aggiornamento mai vista prima, facevano contraltare la diffusione di massa di questa passione, il proliferare di riviste, circoli fotografici, concorsi ed eventi, un’acme forse irripetibile perché aveva permeato l’immaginario collettivo; il nuovo 50mm 1:1,4 tipo M si sposava perfettamente con le reflex Pentax miniaturizzate e questo nuovo sistema riscosse un certo successo.
Tale obiettivo è ancor più rilevante in quanto costituiva lo standard anche della Pentax LX, la prima e unica reflex professionale con messa a fuoco manuale prodotta da Asahi, spesso in mano a fotografi smaliziati e con aspettative elevate.
Questi stralci da varie brochure mostrano la progressione dei modelli coi relativi gruppi ottici negli anni 1972-77; il Pentax tipo K risulta immediatamente più moderno rispetto all’SMC Takumar di 3 anni prima, tuttavia i 2 obiettivi condividono lo stesso schema ottico, mentre il tipo M del 1977 sfrutta un nuovo schema apparentemente simile ma in realtà ridisegnato dal foglio bianco per ridurre dove possibile spessori, spazi e raggi di curvatura e guadagnare preziosi millimetri, un lavoro certosino che appare immediatamente evidente osservando il tipo K e il tipo M posti uno sopra l’altro.
Un vantaggio dell’SMC Pentax-M è anche l’utilizzo di un filtro da appena 49mm, mentre i predecessori richiedevano un diametro da 52mm; in realtà, in fase di definizione, una delle specifiche per l’ineunda serie M era quella di estendere l’impiego del solo filtro da 49×0,75mm a tutti i modelli, proposito un po’ velleitario che venne poi definitivamente abbandonato non appena furono previste focali da 200, 300 e 400mm.
Abbinando in scala reciproca lo schema ottico a 7 lenti utilizzato dall’SMC Takumar del 1966 all’SMC Pentax K del 1975 e quello poi sfruttato nell’SMC Pentax-M dal 1977 si apprezza ancora meglio il grande lavoro messo in campo per ridurre l’ingombro longitudinale: infatti gli elementi L1, L2, L3, L5 ed L6 del tipo M prevedono tutti uno spessore inferiore e/o un raggio maggiore per ridurre la curvatura della lente e guadagnare quindi spazio, un’opera completata poi dai progettisti della meccanica che hanno fasciato il sistema ottico in un barilotto adeguatamente attillato.
Sovrapponendo i 2 schemi si riesce ad apprezzare ancora meglio tale procedura: la grafica di colore giallo definisce il guadagno finale che può sembrare poca cosa a fronte di una simile rivoluzione ma non dimentichiamo che venne ottenuto a parità di schema ottico, focale e apertura massima; appositamente per questo articolo ho passato in rassegna tutti i brevetti di Asahi Optical Co. consegnati negli anni ’60 e ’70, ovvero migliaia, tuttavia non è stato possibile identificare documenti collegati direttamente ai modelli di produzione 50mm 1:1,2 e 50mm 1:1,4 nelle varie declinazioni, quindi non sarà possibile analizzare tecnicamente gli schemi e i vetri adottati.
Tornando a 50mm tipo M, alcuni sostengono che proprio questa miniaturizzazione forzata rispetto ad uno schema dal design ottimale avrebbe prodotto compromessi nelle prestazioni e che la precedente versione (Takumar a 7 lenti nelle varie declinazioni e Pentax K) risulterebbe più performante, specie a tutta apertura; a tale scopo ho predisposto alcuni scatti di prova realizzati appositamente, tuttavia prima osserviamo alcune misurazioni strumentali realizzate sul 50mm 1:1,4 M a suo tempo, aggiungendo che il tipico feedback degli utenti parla di un ottimo obiettivo a diaframmi medi ma non troppo inciso e contrastato ad 1:1,4.
Questo test statunitense definisce la percentuale di contrasto residuo (da 100% a 0) trasmessa dall’obiettivo alla frequenza spaziale di 50 coppie di linee al millimetro (un concetto di chiara derivazione MTF) e misurata alle aperture 1,4, 2, 2,8, 4 e 5,6 al centro, a 1/3 di campo, a 2/3 di campo e ai bordi, mentre la barra verticale identifica il range prestazionale tipico di un obiettivo del genere, in cui gli intervalli superiori ed inferiori sono evidentemente ricavati da test pregressi.
Nel caso dell’SMC Pentax-M 50mm 1:1,4 abbiamo valori piuttosto bassi ad 1:1,4 (confermando in questo la vox populi degli utilizzatori), e mentre il centro e le zone ad 1/3 di campo recuperano rapidamente su livelli ottimi già ad 1:2, mantenendoli e migliorandoli fino a diaframma chiuso, per le zone periferiche a 2/3 di campo questa impennata arriva solo ad 1:2,8 e per i bordi ad 1:4; si configura quindi un obiettivo non molto nitido ad 1:1,4 che tuttavia recupera molto in fretta e fornisce valori molto buoni ed uniformi ad aperture medie.
Notate come residui di coma e astigmatismo siano indicati ai bordi fino ad 1:6,3, causando il ritardo nell’acquisizione di buone prestazioni rispetto al centro, mentre il flare generato dal sistema (barra a destra) è estremamente contenuto; è anche interessante osservare come la trasmissione luminosa complessiva del sistema sia stata valutata nel 93,3% con 12 passaggi aria/vetro (quindi un risultato buono ma inferiore ai claims ufficiali) e che l’apertura teorica 1:1,4 corrisponda ad un geometrico 1:1.47 e ad un fotometrico T= 1,52, ancora sufficientemente vicino al dato ufficiale.
Questo test britannico misura il trasferimento di modulazione del contrasto (MTF) secondo lo standard Zeiss, a 10, 20 e 40 cicli/mm di frequenza spaziale, dal centro (sinistra) ai bordi (destra) e con doppia curva relativa alla lettura sagittale (con mire orientate parallelamente alla semidiagonale, linea continua) e tangenziale (con mire perpendicolari alla semidiagonale, linea tratteggiata); purtroppo il protocollo operativo prevede la verifica al diaframma più aperto e con 2 soli f/stop di chiusura, quindi nel nostro caso ad 1:1,4 ed 1:2,8, mentre l’obiettivo migliora drasticamente almeno fino ad 1:5,6, pertanto le curve non forniscono un valore assoluto sulla resa massima e consentono solo di verificare quanto detto prima, cioè che chiudendo anche poco il diaframma le zone centrali si impennano rapidamente mentre quelle periferiche e i bordi rimangono indietro e richiedono una maggiore chiusura ad 1:4 ed 1:5,6 per avvicinare i valori dell’asse; in entrambi i test è stato rilevato un certo decentramento delle lenti, dettaglio che ci può stare in una produzione di serie su grandissimi numeri ma che naturalmente influenza il risultato.
Dopo queste considerazioni preliminari confrontiamo ora alcuni scatti che ho realizzato in condizioni identiche utilizzando il vecchio schema a 7 lenti utilizzato dal 1966 al 1977 (in questo caso sfruttando un SMC Takumar 50mm 1:1,4) e lo schema compatto utilizzato sull’SMC Pentax-M 50mm 1:1,4 dal 1977 al 1984, impiegando entrambe le ottiche sullo stesso corpo macchina Sony mirrorless 24x36mm.
Una considerazione preliminare, in quest’immagine realizzata a tale scopo, va dedicata all’ingiallimento delle lenti solitamente presente negli obiettivi che utilizzano lo schema a 7 elementi prodotto dal 1966 al 1967, un cast simile a quello del the.
L’immagine a sinistra è stata scattata con l’SMC Pentax-M 50mm 1:1,4 ad 1:1,4 con bilanciamento del bianco automatico, e le regolazioni base del relativo RAW risultano essere 4750° Kelvin e +4 magenta.
L’immagine al centro è stata ripresa sullo stesso corpo macchina con l’SMC Takumar 50mm 1:1,4 dalle lenti radioattive, anch’esso a tutta apertura 1:1,4, e la forte dominante gialla è stata annullata dal white balance automatico, che addirittura ha contro-compensato e con una regolazione definita a 4000° Kelvin e +7 magenta ha prodotto addirittura una visione più fredda rispetto all’altra.
Infine, l’immagine a destra è la stessa realizzata ad 1:1,4 con l’SMC Takumar 50mm 1:1,4, applicando però nell’apertura del RAW i valori di temperatura colore e tonalità previsti dalla macchina con l’SMC Pentax-M, cioè 4750° Kelvin e +4 magenta; a parità di settaggio, il cast delle lenti appare in tutta la sua evidenza e l’immagine sembra scattata attraverso un filtro giallo-ambra.
Ovviamente, lavorando in digitale con file RAW, questo evidente slittamento si può facilmente correggere, mentre operando in analogico a colori, ad esempio con pellicola invertibile, l’unica possibilità consiste nell’adozione di un filtro antagonista freddo che tuttavia riduce l’apertura disponibile; quest’ultima risulta in effetti già parzialmente compromessa anche dal cast caldo delle lenti, e riprendendo lo stesso soggetto con identica apertura e settaggio ISO l’SMC Takumar utilizzava sistematicamente un tempo di posa più lungo (circa 1/3 di f/stop) rispetto all’SMC-Pentax-M privo di dominanti; naturalmente si può provvedere a sbiancare l’obiettivo esponendo le lenti per lungo tempo ad una forte sorgente UV, come anticipato.
Questa immagine è stata invece scattata ad 1:5,6 con entrambi gli obiettivi e nella medesima sono stati ricavati dei crop da 550×650 pixel al 100% del file, al centro e in 2 zone più lontane, che vedremo affiancati.
In asse ad 1:5,6 normalmente tutti i 50mm di alta qualità tendono a fornire risultati simili, a maggior ragione 2 obiettivi della stessa marca e con lo stesso tipo di schema ottico, tuttavia anche in questo caso si nota nel tipo M un’acutanza dei dettagli leggermente superiore, percettibile ad esempio sulle croci (ovviamente non è stato introdotto alcuno sharpening durante il processo).
Passando ad una zona più lontana sul campo il vantaggio del tipo M sull’SMC Takumar diventa più evidente, ed anche l’area fuori fuoco sullo sfondo nell’M appare più dettagliata, a parità di messa a fuoco.
Spostandoci ancora fuori asse l’SMC Pentax-M continua a tenere egregiamente mentre rispetto all’SMC Takumar la differenza diviene ancora più vistosa, col vecchio modello che palesa anche un comportamento più astigmatico, apprezzabile nella copertura del tetto con orientamento differente.
Limitatamente al comportamento dei 2 esemplari in mio possesso, a diaframma ottimale 1:5,6 abbiano quindi una delineazione più netta nell’SMC Pentax M, minima in asse e via via più marcata allontanandoci dal medesimo.
Passiamo ora ad uno scatto ad 1:1,4, condizione difficile per via della ridottissima profondità di campo che suggerirebbe soggetti bidimensionali come questo per mantenere a fuoco tutta la scena, condizione teorica che tuttavia deve ancora fare i conti con eventuale curvatura di campo e astigmatismo; anche in questo caso la procedura è identica alla precedente e l’immagine non ha subito alcun intervento migliorativo sviluppando il RAW.
In questo caso nessuno degli obiettivi utilizzati appare un cannone quanto a resa, tuttavia nel primo crop al 100% l’SMC Pentax-M risulta marginalmente più nitido.
Anche nella seconda serie di ritagli l’SMC Pentax-M mostra una maggiore nitidezza e acutanza nei dettagli, sebbene il rendimento sia oggettivamente modesto in entrambi i casi.
Allontanandoci dall’asse il tipo M degrada ulteriormente ma conserva un minimo margine nell’acutanza dei passaggi chiaroscurali rispetto all’SMC Takumar.
Questa velocissima verifica sembra quindi contrapporsi all’opinione che il precedente schema a 7 lenti con torio radioattivo fornisse risultati superiori a quelli del compatto e successivo SMC Pentax-M 50mm 1:1,4, un obiettivo iconico che tuttora si fa apprezzare per il gradevole design, la grande compattezza, l’efficacia delle protezioni antiriflesso e il rendimento complessivo, particolarmente a diaframmi medi dove esibisce un invidiabile microcontrasto e una piacevole resa cromatica, mentre ad 1:1,4 naturalmente i progetti più recenti, molto più complessi e ingombranti, sanno fare meglio ma complessivamente non ci si può certo lamentare di questo piccolo luminoso lanciato 45 anni fa, e chi ha la necessità di un “effeunoquattro” limitando al massimo peso e ingombro del corredo difficilmente nei prodotti attuali può trovare qualcosa di simile a questo M.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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