Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; l’avvento delle fotocamere 35mm Leica con attacco a vite sancì di fatto la nascita di un nuovo approccio alla fotografia, contrapponendo alle classiche pose statiche su treppiedi, proprie degli apparecchi a lastre, la possibilità di realizzare fotografie fresche e colte al volo scattando a mano libera; proprio questa caratteristica distintiva, sottolineata dalle pubblicità del tempo con la Leica “sempre pronta” e tenuta al collo nella sua custodia, ha determinato l’identità di queste fotocamere che, ben presto, si trasformarono nell’icona stessa della fotografia “candid”, scattata in modo discreto e senza che il soggetto si avvedesse di essere ripreso.
Questo tipo di fotografia che sfruttava l’apertura relativa delle ottiche e la possibilità di utilizzare a mano libera tempi di otturazione sostanzialmente dilatati faceva normalmente affidamento sulla sola luce ambiente, pertanto le varie generazioni di Leica che si avvicendarono negli anni ’30 e ’40 fino alle IC, IIC, IIIC e IIID introdurranno vari perfezionamenti e migliorie ma escluderanno sempre la possibilità di sincronizzare il flash, al punto che è nota un’articolata casistica di trasformazioni artigianali più o meno raffazzonate e messe in atto su richiesta del proprietario per applicare una presa di sincronizzazione che permettesse di utilizzare anche i lampeggiatori.
Nel Dopoguerra la diffusione dei flash a lampadine divenne capillare e poco dopo iniziarono anche ad affacciarsi i primi lampeggiatori della tipologia che oggi denominiamo “elettronici”, pertanto il loro utilizzo divenne molto più diffuso e consueto, non soltanto per illuminare in ambiente buio ma anche per aggiungere un lampo di schiarita in condizioni di illuminazione difficili o contrastate; gli apparecchi Leica, per restare al passo coi tempi, non potevano indugiare oltre con questa limitazione ormai inaccettabile, e nel 1950 la casa corse ai ripari presentando il nuovo modello IIIF (cui seguiranno, secondo uno schema consueto, nel 1951 la IIF priva di tempi lenti e nel 1952 la IF priva anche di telemetro e mirino); la Leica IIIF ricalca la fisionomia e le caratteristiche funzionali della precedente IIIC ma introduce finalmente la sincronizzazione fra otturatore e flash, permettendo quindi ai fotografi Leica di utilizzare questo importante accessorio.
La Leica IIIF (così come le versioni semplificate IIF e IF che condividono i dettagli della sincronizzazione) nacque in un difficile momento di transizione nel quale le consolidate lampade flash a combustione, potenti ma ingombranti e con alti costi di gestione, stavano rapidamente cedendo il testimone ai flash elettronici, in grado di garantire un numero molto elevato di lampi consecutivi con una sola carica delle batterie e quindi molto più adatti alla foto d’azione e anche decisamente più economici da gestire; il problema per il fabbricante di fotocamere stava nei tempi di reazione delle due tipologie: infatti alla lampada serviva un certo tempo fra l’innesco e il raggiungimento del picco di illuminazione massima, mentre il flash elettronico garantiva un’emissione praticamente immediata, senza ritardo; a questa netta distinzione iniziale andavano poi aggiunte altre variabili insite nelle caratteristiche stesse delle lampadine: a seconda della marca e/o della potenza il picco veniva raggiunto con ritardi diversi, così come esistevano lampade progettate per l’uso con otturatore centrale e altre con otturatore a tendina, a loro volta caratterizzate da un lag differente; infine, modificando il momento dell’accensione rispetto all’apertura della tendina dell’otturatore, e gestendo un numero guida differente, era anche possibile utilizzare la stessa lampada con tempi di posa molto brevi, nonostante l’uso di un otturatore sul piano focale.
I progettisti di Wetzlar si trovarono quindi stretti a morsa fra la consueta vocazione alla massima precisione ed efficacia e la necessità di garantirle anche in presenza di questo marasma di variabili; ben presto si resero conto che, per promuovere la compatibilità dell’apparecchio sia con i flash elettronici che con le lampade a combustione e consentire al cliente di gestire tutte le variabili introdotte da queste ultime, non era sufficiente predisporre una doppia presa di sincronizzazione X ed FP, ciascuna calibrata su un ritardo mediamente corretto per i due tipi di lampo (cosa eventualmente possibile con l’elettronico ma non con le lampadine) ma sarebbe stato necessario un sistema per controllare e modificare manualmente l’anticipo di sincronizzazione rispetto alla corsa delle tendine, e così venne fatto, dando vita alla famosa ghiera coassiale al selettore dei tempi rapidi presente su questa generazione di apparecchi Leica e che permette di selezionare una serie di numeri da 0 a 20 il cui significato e utilizzo è sempre stato criptico, soprattutto ai giorni nostri, dopo vari decenni dal momento in cui tali fotocamere erano in auge; siccome oggi la Leica IIIF è un modello che sta vivendo una seconda giovinezza, grazie al fatto che è un apparecchio funzionale ed affidabile ed è rimasta una delle ultime Leica a telemetro dal prezzo ancora abbordabile, ritengo utile fare un po’ di chiarezza sulla gestione della sua sincronizzazione flash, avvalendoci delle peraltro complicate istruzioni e documentazioni disponibili all’epoca; come nota sistematica, la serie di numeri legati alla sincronizzazione flash fu di colore nero dal 1950 al 1952 e rossa dal 1952 al 1957, definendo quindi le corrispondenti Leica IIIF “BD” (Black Dial) ed “RD” (Red Dial), queste ultime ulteriormente differenziate perché dal 1954 venne aggiunto anche l’autoscatto, quindi esistono IIIF “RD” senza autoscatto (1952-53) e IIIF “RD” con autoscatto (1954-57); come già accennato, questo nuovo dispositivo di sincronizzazione fu applicato anche ai modelli più semplici IIF e IF.
Va anche detto che dalla “RD” del 1952 l’otturatore venne aggiornato, variando anche alcuni tempi di posa (da 1/20”, 1/30”, 1/40”, 1/60”, 1/100” della “Black Dial” si passò a 1/25”, 1/50”, 1/75”, 1/100” della “Red Dial”); le tabelle e le istruzioni con i relativi parametri sono quindi funzionali all’una o all’altra scala di tempi, a seconda dell’anno in cui il documento è stato prodotto e stampato.
Le nuove Leica prodotte dal 1950 prevedevano quindi una scala aggiuntiva coassiale alla ghiera dei tempi brevi; questa scala, numerata da 0 a 20, era servita da una piccola ghiera supplementare dotata di un settore che permetteva di selezionare facilmente uno di tali valori; sul retro della calotta era invece predisposta la presa di sincronizzazione per il cavo del lampeggiatore e all’epoca i cavetti originali erano dotati di un dispositivo di sicurezza che impediva lo svincolo accidentale: per assicurare il cavo, lo spinotto andava inserito orizzontalmente e quindi occorreva ruotarlo di 90° in senso orario, in modo da direzionare il cavo verso il basso.
Prima di procedere ad ulteriori descrizioni occorre una premessa: al giorno d’oggi la disponibilità delle lampade a combustione utilizzate all’epoca è praticamente nulla ed è ragionevole pensare che i proprietari di Leica IIIF la utilizzeranno solamente con lampeggiatori elettronici; in questo caso non è necessario approfondire tutte le eventuali variabili e opzioni di settaggio possibili con le lampadine, anche se le istruzioni del 1952 relative al lampeggiatore elettronico sono ad un tempo laconiche e criptiche: settaggio 20 per flash elettronico senza ritardo e settaggio 0 (in pratica gli estremi di gamma…) per i modelli con ritardo; all’atto pratico i lampeggiatori attuali, per le loro caratteristiche, vanno utilizzati con la regolazione su 0 (ed anche un opuscolo supplementare di istruzioni specifiche realizzato all’epoca esclusivamente per descrivere la sincronizzazione della IIIF suggerisce il settaggio di anticipo 2 – quindi prossimo a 0 – per lampeggiatori elettronici dell’epoca con ritardo del flash fino a 5 millisecondi); ovviamente il massimo tempo di sincronizzazione ammesso sarà quello limite senza sovrapposizione nella corsa delle tendine, quindi 1/30”.
Passando invece alla sincronizzazione con lampadine a combustione, il problema si complica molto perché subentrano molte variabili; innanzitutto c’è il discriminante iniziale fra lampade progettate per otturatori a tendina (con tempo di combustione più lungo) e per otturatori centrali (con emissione più breve), un elemento che modifica drasticamente i tempi di anticipo di sincronizzazione necessari per garantire il picco di emissione luminosa nel momento di apertura dell’otturatore stesso; poi, nell’ambito della stessa categoria, esistono lampade di potenza maggiore o minore e con diagramma di combustione leggermente differente; infine, a seconda del tempo di sincronizzazione selezionato, la situazione si stravolge ulteriormente perché passando a tempi più rapidi, con i quali la finestra temporale utile si riduce, anche a parità di lampadina occorre modificare l’anticipo di accensione rispetto a tempi più lunghi e, in ogni caso, progredendo verso quelli più rapidi il numero guida dello stesso bulbo si riduce progressivamente; per rendere ancora più ingarbugliata la situazione, occorre anche ricordare che queste vecchie tabelle forniscono il numero guida non riferito alla sensibilità di 100 ISO, com’è consuetudine odierna, ma al valore medio delle emulsioni del tempo, cioè 17° DIN, corrispondenti a 40 ISO; occorre anche ricordare che i numeri guida di queste tabelle (in origine divulgate negli U.S.A.) sono espressi in piedi e non in metri, pertanto, se ad esempio un numero guida indicato è pari a 115 e noi utilizziamo l’apertura di diaframma 1:11, la distanza ottenuta 115 / 11 = 10,45 sarà in piedi, corrispondente a 10,45 x 0,3048 = 3,18 metri circa.
Dopo queste necessarie premesse, la scheda illustrata riporta due tabelle con vari modelli di lampadine a combustione commercializzate ai tempi della IIIF: quella in alto comprende esemplari concepiti per l’uso con otturatori a tendina, quella inferiore lampade progettate all’origine per otturatori centrali; osservando la prima tabella, troviamo vari tipi di lampade con numero guida in feet compreso fra 90 e 200 e possiamo notare come il fabbricante abbia previsto il loro utilizzo praticamente con tutti i tempi rapidi forniti dall’otturatore, da 1/25” ad 1/1000”, nonostante stiamo parlando di un modello a tendina e non centrale: questo naturalmente costituiva un grande vantaggio per il fotografo, libero di aggiungere lampi di schiarita anche in pieno Sole, tuttavia c’era uno scotto da pagare perché il tempo complessivo di combustione delle lampade è relativamente lungo e accorciando progressivamente la posa l’emissione viene sfruttata in modo solo parziale.
Per compensare a questo fattore era quindi necessario modificare l’anticipo di sincronizzazione gestito dalla nuova ghiera della IIIF, passando progressivamente dal valore 16 con il tempo lento di 1/25” al valore 0 con quello più rapido di 1/1000”; nonostante questo adattamento funzionale, il tempo di esposizione via via più breve non consentiva comunque di sfruttare completamente il potenziale del lampo, quindi il numero guida effettivo viene ridotto di conseguenza: se prendiamo come esempio la prima categoria di lampade, il numero guida iniziale ad 1/25” è pari a 90 (sempre in piedi) ma si riduce progressivamente a 70 con 1/50”, 60 con 1/75”, 50 con 1/100”, 40 con 1/200”, 25 con 1/500” e infine ad appena 20 con 1/1000”; questa decrescita non era comunque preoccupante perché con tempi di posa così rapidi si stava operando in forte luce diurna e il lampo serviva unicamente per schiarire le ombre nel soggetto in primo piano, tuttavia è indubbio che fossero presenti numerose variabili, tutte da gestire, e immagino che la soluzione più semplice fosse quella di realizzare una riproduzione di queste tabelle e portarla con sé quando si utilizzava l’apparecchio con il flash.
La seconda tabella è riferita invece a lampadine progettate per l’uso preferenziale con otturatori centrali; come detto, questi modelli hanno un tempo di combustione più breve e anche sfruttando le regolazioni consentite dalla ghiera della IIIF non era comunque possibile utilizzarle con un tempo più rapido di 1/100” o addirittura 1/50” con i modelli Osram.
L’utilizzo del flash con la IIIF, la grande novità della decade, era quindi una procedura meticolosa e da fotografi esperti, e le istruzioni Leitz si prodigavano anche a descrivere le procedure per verificare che la sincronizzazione dell’apparecchio funzionasse correttamente, eventualmente utilizzando una piccola lampadina inserita in un circuito con una batteria e collegando le due estremità ad uno spinotto applicato all’apparecchio.
Naturalmente Leitz dovette anche progettare e mettere a corredo i relativi accessori come portalampada, parabola collassabile, staffa, porta-batteria con capacitatore e adattatori per bulbi, tutti indispensabili per affrontare questo tipo di riprese; l’uso di una batteria ausiliaria può sembrare curioso ma era necessaria per innescare la lampada e all’epoca si utilizzavano piccole batterie a secco da 22,5V, oggi desuete, che a quei tempi erano comunemente utilizzate in apparecchi acustici.
La complessità delle procedure e le numerose variabili indussero il fabbricante a realizzare anche opuscoli esplicativi dedicati esclusivamente alla sincronizzazione flash della IIIF, più semplici e trasportabili dell’intero manuale d’istruzioni dell’apparecchio e probabilmente concepiti per essere portati sempre con sé.
Le informazioni e le schede contenute in quest’ultimo documento sono interessanti perché risultano antecedenti a quella già discusse, pertanto sono riferite al modello Leica IIIF “Black Dial” dei primi due anni di produzione (come confermato anche dall’esemplare illustrato nella copertina, la cui matricola corrisponde alla 14^ Leica IIIF prodotta) e le tabelle prendono quindi in considerazione i tempi di posa disponibili su questa prima versione, specificamente la sua particolare sequenza intermedia 1/30”, 1/40”, 1/60”; la prima tabella in alto descrive vari modelli di lampadine progettate con un diagramma di accensione ottimizzato per otturatori a tendina e riporta per ciascuna di esse il numero guida effettivo in piedi (testo normale) e il relativo settaggio della ghiera sul corpo macchina (testo in grassetto) per i vari tempi di sincronizzazione compresi fra 1/30” e 1/1.000”; anche la seconda tabella è utile perché anche in questo caso il numero guida delle lampade è riferito ad una sensibilità della pellicola pari a 40 ISO, pertanto viene fornito uno schema di conversione rapida che indica quanti f/stops occorre aprire o chiudere, dopo aver ottenuto il valore di partenza dividendo il numero guida per la distanza in piedi, qualora si stia effettivamente utilizzando una pellicola con sensibilità differente; infine, la terza tabella prende in esame le lampade progettate per l’uso preferenziale su otturatori centrali, e quindi nuovamente caratterizzate da un tempo di combustione più breve; anche in questo caso vengono indicati i numeri guida e i valori da impostare sulla ghiera della IIIF, riferiti a 40 ISO e in funzione dei tempi di posa scelti per la sincronizzazione; come già visto in precedenza, la combustione breve non permette di accedere ai tempi di otturazione più rapidi e il massimo concesso per queste tipologia varia da 1/40” ad 1/100”, comunque più che sufficiente per un utilizzo flash convenzionale in interni.
In quel particolare momento di transizione fra lampadine e flash elettronici la Leica IIIF fu quindi concepita per operare con qualsiasi tipologia di lampo e – limitatamente alle lampade a combustione – accedendo in pratica a tutti i tempi di posa, come se si trattasse di una fotocamera ad otturatore centrale; queste caratteristiche mettevano il fotografo competente e smaliziato nella condizione di utilizzare il lampeggiatore in ogni situazione operativa e sfruttando l’intera offerta commerciale, tuttavia questa versatilità richiedeva molta attenzione e concentrazione perché l’effettiva potenza del lampo emesso dipendeva da svariati fattori: numero guida iniziale della lampada, caratteristiche del suo diagramma di combustione e ritardo del picco massimo di emissione luminosa, durata del tempo di posa e anticipo scelto per la sincronizzazione, il tutto naturalmente in funzione della distanza dal soggetto e della sensibilità del film; in realtà la prassi era più semplice e verosimilmente il fotografo sceglieva una tipologia di lampade preferita e adottava un tempo di sincronizzazione ripetitivo, ottenendo in tal modo un settaggio costante per la ghiera dell’anticipo di sincronizzazione e un singolo numero guida, col quale calcolare il diaframma dividendo l’NG per la distanza di messa a fuoco espressa in piedi ed eventualmente compensando il valore ottenuto se stava utilizzando una pellicola con sensibilità dissimile dalla referenza di 40 ISO; in ogni caso, nonostante la precisione dei riferimenti, le istruzioni suggeriscono comunque di abbondare col tempo di trattamento durante lo sviluppo del film e, qualora lo spezzone debba prevedere la compresenza di immagini realizzate con flash e in luce ambiente, pregano di sovraesporre le immagini col lampeggiatore, aprendo il diaframma di 1 f/stop rispetto a quanto ricavato dai calcoli del numero guida.
L’interfaccia utente così attiva e cosciente richiesta da queste procedure rappresentava naturalmente per il fotografo parte del piacere stesso ricavato dal realizzare la fotografia e imponeva una tale attenzione e applicazione da allontanare il rischio di errori o prese banali, a tutto vantaggio del risultato finale; oggi l’amatore che si diletta ancora con questa veterana non deve più affrontare l’assillo della complessa gestione richiesta dalle lampade a combustione, non reperibili, ma può sicuramente dilettarsi utilizzando un moderno lampeggiatore elettronico, magari utilizzando un modello equipaggiato con fotocellula incorporata per la gestione dell’automatismo con diaframma prefissato che semplifica drasticamente le operazioni; la IIIF è comunque un modello storico, sebbene piuttosto comune, proprio perché introdusse questa fondamentale miglioria che la rese un apparecchio completo.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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