Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; per i fabbricanti di obiettivi, oltre al proprio brand name e alla matricola seriale, è prassi comune riportare sul barilotto dati aggiuntivi come lunghezza focale, apertura massima e diametro filtri che consentono di riconoscere il modello e avere informazioni utili per l’uso; in alcuni casi, principalmente negli anni ’60 e ’70, furono aggiunte altre sigle la cui comprensione può risultare criptica, e siccome queste ottiche oggi sono state rivitalizzate dalla passione per il vintage e vengono regolarmente commercializzate ed utilizzate, ritengo utile dedicare questo articolo alla descrizione di questi codici, prendendo in esame gli obiettivi prodotti da Nippon Kogaku, Minolta, Olympus e Vivitar.
Nel caso delle ottiche Nikkor, gli appassionati ben sanno che i modelli prodotti prima della serie “K” gommata (1974) erano spesso accompagnati da una sigla alfabetica come Nikkor-Q, Nikkor-H oppure Nikkor-S, eventualmente abbinata ad una “C” aggiuntiva (NIkkor-HC, Nikkor-SC, etc.).
In tempi in cui la fotografia non era ancora un fenomeno di massa e chi la praticava era spesso molto appassionato e competente, la Nippon Kogaku ritenne utile inserire una sigla che consentisse di conoscere il numero di lenti che componevano lo schema ottico dell’obiettivo, utilizzando l’acronimo della corrispondente etimologia latina oppure greca; pertanto, in questo classico Nikkor-SC Auto 50mm 1:1,4 di inizio anni ’70, la “S” ci informa che lo schema utilizza 7 lenti (dal latino Septem), mentre la “C” aggiuntiva definisce la presenza del nuovo antiriflessi multistrato NIC, appena introdotto.
Questa codifica fu prevista da Nikon per obiettivi con schema ottico compreso fra 3 lenti (T) e 16 lenti (HD), in pratica riprendendo da capo la numerazione dopo il 10 (Decem) e aggiungendo alla sigla D un’altra lettera per la seconda cifra; in questo ambito sono molto famosi modelli come i Nikkor-Q Auto 135mm 1:2,8 e 135mm 1:3,5, Nikkor-P Auto 55mm 1:3,5 Micro, Nikkor-H Auto 50mm 1:2, Nikkor-S Auto 50mm 1:1,4 oppure Nikkor-O Auto 35mm 1:2, mentre la sigla “C” aggiuntiva fu appannaggio di alcuni modelli nell’interregno 1972-74; sebbene Nikon avesse definito una sequenza continua, in realtà alcuni codici non vennero mai utilizzati su modelli prodotti in serie e li ritroviamo soltanto su prototipi, come i Nikkor-D 15mm 1:4 e Nikkor-D Auto 20mm 1:4 (10 lenti), Nikkor-BD Auto 18mm 1:3,5 (12 lenti), Nikkor-TD Auto 20mm 1:2,8 (13 lenti) o Nikkor-HD Auto 13mm 1:8 e Nikkor-HD-C Auto 13mm 1:5,6 (16 lenti).
Con l’avvento della cosiddetta serie “K” del 1974, caratterizzata da obiettivi con ghiera di messa a fuoco gommata e estetica analoga ai successivi Ai, questa codifica non venne più utilizzata; occorre doverosamente aggiungere che queste sigle erano già state introdotte con le ottiche a telemetro per gli apparecchi della serie Nikon S; in questo caso nei grandangolari veniva utilizzata la sigla generica W-Nikkor (per Wide-angle), condivisa dai vari modelli, mentre per gli obiettivi di focale normale e tele entrava in gioco la sigla alfabetica che indica il numero di lenti, come nel caso dei normali Nikkor-H 5cm 1:2, Nikkor-S 5cm 1:1,4 e Nikkor-N 5cm 1:1,1 o dei teleobiettivi Nikkor-P 10,5cm 1:2,5 e Nikkor-Q 13,5cm 1:3,5; nelle prime serie era presente anche la denominazione “C” (HC, SC, etc.) ad indicare semplicemente la presenza di antiriflessi, una sigla poi omessa quando tale miglioria era ormai data per scontata e quindi reintrodotta nelle ottiche per Nikon F del 1972-1974 per sottolineare il nuovo e più efficace rivestimento multicoating.
Un altro famoso fabbricante ad utilizzare un sistema analogo fu Minolta; la casa di Osaka lo mantenne fino al 1974-75 e prevedeva una codifica ancora più complessa di quella Nikon.
Infatti, negli obiettivi Rokkor erano presenti due lettere, la prima delle quali seguiva la procedura Nikon (usando l’acronimo del relativo etimo greco o latino) ed indicava il numero di gruppi presenti nello schema ottico, e la seconda definiva il numero complessivo delle lenti, attribuendo ad ogni lettera il numero corrispondente alla sua posizione nell’alfabeto; pertanto, nell’MC W-Rokkor 35mm 1:1,8 della foto, la sigla HH sta ad indicare uno schema ottico con 6 gruppi e 8 lenti complessive (H deriva da Hex, cioè 6, e H è anche l’ottava lettera dell’alfabeto, quindi 8).
Minolta ha previsto serie che coprono un intervallo compreso fra 3 e 10 gruppi di elementi e fra 3 e 12 lenti; nel primo caso la sequenza è ispirata alla versione latina e/o greca del corrispondente numero, nel secondo le lettere da “C” ad “L” si trovano dal terzo al dodicesimo posto nella serie alfabetica.
Un terzo fabbricante che negli anni ’70 ha utilizzato stratagemmi simili è Olympus; infatti gli appassionati hanno sicuramente familiarità con la singola lettera (spesso “F” oppure “G”) che precede la denominazione Zuiko nelle ottiche Olympus OM della prima ora, talvolta caratterizzate anche da sigle aggiuntive.
Anche in questo caso la lettera che precede la denominazione Zuiko sta ad indicare il numero di lenti presenti nello schema ottico; ad esempio, in questo raro e interessante Zuiko 50mm 1:1,4 appartenente alla preserie “M System” del 1972, la “G” ci informa che lo schema ottico è composto da 7 lenti, dal momento che risulta essere la settima lettera dell’alfabeto.
La Olympus Corporation ha definito un codice che può coprire un numero di lenti comprese fra 1 e 12, sebbene le sigle più diffuse siano “E”, “F” oppure “G”, relative a diffusi obiettivi con 5, 6 o 7 lenti; inoltre, le ottiche Olympus OM della prima generazione, dopo la scritta “Auto” che sottolineava il diaframma automatico, riportavano un’ulteriore sigla alfabetica che definiva grossolanamente il tipo di obiettivo: W per grandangolare (Wide), S per normale (Standard) e T per teleobiettivo (Tele); infine, nei primi anni di produzione le ottiche con rivestimento antiriflessi multistrato beneficiavano anche dell’ulteriore sigla MC (Multicoating).
Infine, un altro brand che nascondeva molte informazioni codificate è senz’altro Vivitar; la famosa azienda californiana, che per prima sdoganò il concetto di obiettivo universale di alta qualità, senza compromessi rispetto ai più costosi originali, negli anni ’70 e ’80 incontrò un grande successo commerciale grazie alla qualità dei suoi obiettivi proposti a costi più abbordabili rispetto a quelli dei grandi nomi, spesso inavvicinabili, ed è sempre rimasta fedele ad una politica aziendale particolare: le ottiche erano progettate negli Stati Uniti, sfruttando le competenze di tecnici molto qualificati, e successivamente la produzione veniva appaltata ad aziende ottiche esterne in possesso delle relative strutture e competenze, soprattutto in Giappone dove i costi industriali erano più favorevoli; la Vivitar non si limitava a questo: dopo aver individuato tutti i marchi in grado di soddisfare teoricamente le sue commesse, ogni anno rinnovava il bando per la produzione dei diversi modelli da lei progettati e nei 12 mesi successivi ogni obiettivo veniva effettivamente costruito dall’azienda che lo aveva vinto, suppongo offrendo di produrlo ad un prezzo più ridotto rispetto ai concorrenti.
Pertanto ogni modello Vivitar non venne soltanto creato da un’azienda esterna ma quest’ultima poteva anche cambiare annualmente nell’ambito dello stesso tipo di obiettivo, creando un quadro sommerso piuttosto complesso e per certi versi sconcertante; in realtà l’azienda aveva previsto una codifica nascosta nel numero di matricola di ogni esemplare che consentiva di risalire non soltanto al subappalto ma anche all’anno e settimana di produzione; vediamo come.
Negli obiettivi Vivitar dell’epoca d’oro, prodotti da inizio anni ’70 a fine anni ’80 e anche oltre, la matricola individuale sfruttava i primi 5 numeri per fornire le citate informazioni, ovvero: le prime due cifre corrispondevano alla codifica dell’effettivo produttore, la terza cifra all’anno di produzione (occorreva quindi indovinare la decade dalla tipologia di modello) e quarta e quinta definivano la settimana di quell’anno in cui il pezzo era stato effettivamente assemblato, numerata da 01 a 52; nel caso di ottiche prodotte da Olympus e Cosina, il cui codice 6 e 9 prevedeva solo una cifra, analizzando la matricola occorreva considerare che l’informazione iniziale relativa al produttore era definita da un solo numero, pertanto con ottiche Vivitar il cui seriale inizia con 6 e 9 bisogna tenere a mente questo dettaglio.
Le aziende indipendenti che hanno effettivamente assemblato le ottiche progettate e appaltate da Vivitar sono ben 16, tuttavia la relativa numerazione randomica da 6 a 81 lascia quasi intendere che il brand californiano avesse monitorato tutte le società papabili, numerandole progressivamente, e forse l’elenco non sequenziale oggi disponibile, in realtà, indica solo quelle che si sono aggiudicate gli appalti per produrre i vari modelli, mentre altre aziende non hanno mai sottoscritto contratti e sono quindi escluse dal novero dei collaboratori effettivi.
In questa serie spiccano nomi eccellenti, e sebbene le dettagliate specifiche di progetto e produzione imposte da Vivitar dovrebbero garantire una qualità omogenea a prescindere dal fabbricante, sono certo che un po’ di sano feticismo possa farsi strada nel cuore del fotografo e magari inorgoglirlo apprendendo che il proprio obiettivo è stato effettivamente costruito da nomi come Olympus, Schneider Kreuznach o Perkin Elmer (quest’ultima azienda statunitense è sconosciuta al grande pubblico ma può vantare importanti realizzazioni ottiche in campo militare, specialmente fotocamere ad elevata risoluzione per riprese di spionaggio ad alta quota su velivoli come il famoso U-2).
Va anche annotato che la stragrande maggioranza delle ottiche prodotte nella ex-Unione Sovietica sfruttava una codifica concettualmente simile, aggiungendo le due cifre corrispondenti all’anno di produzione davanti al numero di matricola effettivo (ad esempio: 6815342: 15.342° esemplare prodotto nell’anno 1968).
Abbiamo quindi messo a fuoco il significato di queste sigle, a volte un po’ misteriose e addirittura fonte di illazioni incontrollate, come quella circolata di recente secondo la quale gli obiettivi Nikon vintage marcati Nikkor-Q apparterrebbero ad una linea più economica e prodotti con standard inferiori, informazione ovviamente ed assolutamente falsa; questa dovizia di informazioni fin troppo tecniche, come il numero di lenti e gruppi dello schema ottico, rimandano ad un’era in cui il fotografo era sicuramente più specializzato rispetto ad oggi (pensiamo anche alla totale manualità degli apparecchi, sovente privi di esposimetro, e alla diffusa prassi di sviluppare e stampare in casa) e molto coinvolto dai presupposti tecnici del suo hobby, giustificando quindi le note aggiuntive previste dai fabbricanti e poi invece omesse a partire da metà anni ’70, quando l’effettiva diffusione della fotografia e la sua trasformazione in un fenomeno di massa ha diretto il tiro verso attrezzature sempre più automatizzate, semplici ed intuitive da utilizzare, previste per utenti che pensavano più alla fase ludica che a dati tecnici per loro assolutamente capziosi.
Anche questo è un segno dei tempi che cambiano, tuttavia è bene conoscere il significato di queste sigle ormai obsolete o delle numerazioni aggiuntive nelle matricole in quanto parte integrante di una fase epica ed entusiasmante di questo meraviglioso mondo.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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