Rodenstock Geronar e Geronar-WA per grandi formati (prima parte)

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in questa escursione voglio parlare di obiettivi per fotocamere di grande formato, i classici apparecchi a lastre i cui modelli più diffusi sfruttano materiale sensibile da 9x12cm / 4×5” ma naturalmente possono anche salire ben oltre; si tratta di apparecchi che ormai sono usciti dalla classica routine quotidiana del fotografo di bottega ma conservano una nicchia di appassionati amatori che ne apprezzano la scansione dei tempi dilatata che ne caratterizza l’atto creativo, i valori tonali e di nitidezza consentiti dal formato e, non ultime, le possibilità di gestione dei piani prospettici e di profondità di campo permesse da questi particolari apparecchi.

In questa particolare circostanza voglio altresì tralasciare i modelli più famosi e performanti che tutti conoscono per dedicare la mia attenzione ad una coppia di figli di un dio minore, modelli commercializzati ad inizio anni ’80 con l’esplicita intenzione di fornire un’alternativa di primo prezzo a giovani fotografi dal budget limitato o amatori pronti al grande salto senza però minare il portafogli: modelli dunque viepiù meritevoli perché la loro missione era quella di diffondere l’impiego dei grandi formati in fasce sempre più ampie della fotografia.

Questi obiettivi vennero progettati e offerti dalla Optische Werke G. Rodenstock di Monaco di Baviera, appartengono alla linea Geronar e Geronar-WA e quelli che seguono sono la storia e i retroscena che li riguardano.

 

 

La G. Rodenstock di Monaco di Baviera è un’azienda ottica di tradizione secolare e per puntualizzare il suo ruolo chiave nello sviluppo del settore basti ricordare che l’immenso Ludwig Jackob Bertele, quando era appena un adolescente negli anni Dieci del Ventesimo Secolo, svolse un apprendistato presso tale ditta (qui è immortalato al suo tavolo di lavoro) presso la quale apprese i rudimenti del mestiere prima di spiccare il volo e creare leggende come Ernostar, Sonnar o Biogon; si tratta quindi di un brand che ha sempre svolto un ruolo di primo piano nel settore dell’ottica applicata alla fotografia e ai processi industriali (e ancor più al settore oftalmico) che dagli anni ’60 volle specializzarsi anche negli obiettivi di grande formato, operazione commerciale messa in atto con notevole efficacia e dando altrettanto fastidio allo storico rivale tedesco, la Schneider di Bad Kreuznach.

 

 

A inizio anni ’80 la linea di obiettivi di grande formato Rodenstock risultava molto completa e copriva tutte le nicchie sfruttate dalla clientela, dal modello a fuoco morbido per ritratti Imagon alla versione da riproduzione per arti grafiche Apo-Ronar.

Restando in un impiego generalista, le ottiche più sfruttate dai fotografi attivi nel grande formato erano solitamente un normale (impiegato come “cavallo da tiro” per una moltitudine di impieghi) e un grandangolare (che, con la sua copertura ridondante, consentiva di perfezionare le prese di architettura sfruttando i decentramenti); a quei tempi tali categorie erano coperte rispettivamente dalle linee Sironar-N e Grandagon/Grandagon-N (quest’ultima differenziata in modelli di identica focale ma apertura e copertura differente), obiettivi di qualità ottima e indiscussa ma non certo regalati, specialmente i grandangolari.

Pertanto a Monaco decisero di replicare l‘identico palinsesto dei Rodenstock da ingrandimento, che per la stessa focale e formato fornivano le molteplici scelte di un Rogonar a 3 lenti, un Rogonar-S a 4 lenti, un Rodagon a 6 lenti e un Apo-Rodagon a 6 lenti con correzione cromatica spinta, tutti ovviamente ben differenziati nel listino, e ipotizzarono di creare una limitata offerta di normali e grandangolari medi caratterizzati da apertura inferiore, struttura ottica più semplice e prezzo decisamente più abbordabile.

Questa inedita alternativa di casa Rodenstock si concretizzava nei normali Geronar e nel grandangolare Geronar-WA (ovvio acronimo di Wide Angle), dei quali una coppia di esemplari da 210mm 1:6,8 e 90mm 1:8 è visibile proprio in questa foto di copertina di una brochure del 1982 affiancata ai pari categoria Sironar-N e Grandagon di prima fascia, non solo più costosi ma anche più ingombranti, come si può apprezzare dall’immagine.

 

 

Per queste linee a base di gamma vennero messe in produzione 3 differenti obiettivi di focale normale e uno grandangolare; nella serie Geronar troviamo infatti il 150mm 1:6,3, il 210mm 1:6,8 e il 300mm 1:9, destinati rispettivamente ai formati 9x12cm / 4×5”, 13x18cm / 5×7” e 20x25cm / 8×10”, mentre per il tipo grandangolare Geronar-WA, sebbene il brevetto originale ipotizzasse lo sfruttamento dello schema per obiettivi da 60mm a 150mm di focale, venne approntato solamente il 90mm 1:8, destinato al 9x12cm / 4×5”.

Come si può osservare, le aperture sono più modeste rispetto ad altri modelli Rodenstock di focale equivalente e gli schemi ottici scelti furono i più semplici teoricamente ipotizzabili per quel tipo di obiettivo e copertura, a vantaggio dell’economia di produzione; osserveremo successivamente in dettaglio tali architetture.

Questi modelli impiegano otturatori centrali giapponesi Copal, altro punto a favore nel contenimento dei costi, e specificamente il tipo 0 nel Geronar 150mm 1:6,3 e il tipo 1 in tutti gli altri, tuttavia con un distinguo: a causa delle lenti posteriori così vicine al piano dell’otturatore stesso (il vertice dell’ultimo elemento è appena 14mm dietro tale giacitura), per evitare vignettature l’otturatore Copal 1 applicato al Geronar-WA 90mm 1:8 prevede una flangia posteriore il cui diametro corrisponde al foro sulla relativa piastra da otturatore tipo 3, quindi molto più grande del normale, un dettaglio sistematicamente trascurato sulle relative brochure e che molti anni fa ebbi modo di verificare direttamente; il questo caso il diametro del cannotto metallico dell’obiettivo destinato ad entrare nella piastra è 68mm, mentre per gli altri Geronar con Copal 1 è pari a 47mm e con Copal 0 si ferma a 40mm.

Infine, il passo filtri anteriore è da 58×0,75mm nei Geronar 300mm 1:9 e Geronar-WA 90mm 1:8, 49×0,75mm nel Geronar 210mm 1:6,8 e appena 40,5×0,5mm nel piccolo Geronar 150mm 1:6,3, un attacco da ottica per ingranditore preso a prestito dalla corrispondente linea prodotta in azienda.

 

 

La descrizione ufficiale di queste serie sottolinea come tali obiettivi permettessero ai fotografi alle prime armi di equipaggiarsi con un esborso limitato ma estende la loro pertinenza anche ai fotoamatori che avrebbero potuto rimanere affascinati dai numerosi aggiustamenti consentiti dalle relative fotocamere.

Il testo riconosce poi onestamente che la riduzione di prezzo tipica di questi obiettivi ha richiesto alcuni sacrifici, affermando che a fronte di una resa d’immagine comunque buona bisogna accettare un’apertura massima più limitata (problema comunque marginale con questi apparecchi) e un cerchio di copertura dal diametro più ridotto, quest’ultimo la vera nota dolente per chi sappia sfruttare al 100% gli apparecchi a corpi mobili.

Per quanto riguarda specificamente i normali Geronar, il fabbricante assicura che – nonostante l’adozione di un semplicissimo tripletto – la scelta di un’apertura massima conservativa ha garantito comunque un’ampia copertura angolare, intorno ai 60°, quindi non troppo lontana da quella offerta dai classici “normali” da banco ottico, che all’epoca per Rodenstock era intorno ai 72° (le coperture effettive dei Geronar a diaframma 1:22 sono 62° per il 150mm, 58° per il 210mm e 59° per il 300mm); siccome lo schema a 3 lenti garantisce opzioni di correzione più limitate, il fabbricante suggerisce anche di lavorare soprattutto ad 1:16 e ad 1:22, aiutandosi quindi in tal senso col diaframma; inoltre, negli obiettivi la chiusura dell’iride aumenta il diametro del cerchio di copertura, pertanto tale comportamento aiuta a minimizzare i limiti intrinseci del Geronar in tal senso (in questi modelli il guadagno angolare passando da tutta apertura ad 1:22 è di circa 6° – 8°, quindi apprezzabile).

 

 

Relativamente al Geronar-WA 90mm 1:8 grandangolare, all’apertura 1:22 è in  grado di coprire 85° di campo e anche in questo caso si suggerisce di chiudere ad 1:16 ed 1:22, ipotizzo non soltanto per incrementare la copertura (ad 1:8 abbiamo infatti solamente 80°) ma anche per contrastare leggermente la forte vignettatura fisiologica che caratterizza questo specifico schema ottico e che andremo successivamente a vedere in dettaglio.

 

 

Questa tabella mette in relazione la lunghezza e la copertura dei Rodestock Geronar e Geronar-WA con una corrispondente focale nel 24x36mm (confronto un po’ arbitrario per le differenti proporzioni del formato), col risultato che il Geronar-WA 90mm 1:8 corrisponderebbe ad un 28mm sul 9x12cm e ad un 25mm sul 4×5”, mentre il Geronar 150mm 1:6,3 sarebbe l’equipollente di un 46mm e di un 42mm sui corrispondenti formati; per i Geronar di focale e copertura superiore vengono prese in considerazioni 2 coppie di formati: 9x12cm / 4×5” e 13x18cm / 5×7”, e col 210mm 1:6,8 l’equipollenza sarebbe 64mm e 59mm per il primo e 43mm e 44mm per il secondo, mentre col 300mm 1:9 avremmo 92mm e 84mm per quelli inferiori e 62mm per i superiori.

Passiamo ora a descrivere in dettaglio questa 2 famiglie di obiettivi budget-oriented, partendo dal normale Geronar.

 

 

Il Geronar prevedeva una finitura interamente nera dall’aspetto moderno e aggressivo, con otturatori Copal 0 e Copal 1 coordinati con tale finitura e le classiche caratteristiche meccaniche e funzionali dei modelli forniti a quel tempo; in tutti e 3 gli esemplari (150mm, 210mm e 300mm) il diaframma chiude fino ad 1:64, valore che aiutava a perfezionare la profondità di campo in abbinamento ai basculaggi del corpo, e come si può osservare lo schema è un semplicissimo tripletto di Cooke nel quale la terza lente è stata molto distanziata e gli elementi esterni sono dimensionati e sagomati in modo da contenere la vignettatura quando si sfrutta completamente il cerchio di copertura.

Vediamo dunque i suoi segreti grazie al brevetto originale tedesco.

 

 

Lo schema della serie Geronar venne calcolato da 2 espertissimi tecnici della casa con numerosi progetti all’attivo, Franz Schlegel e Josef Weiss e la richiesta prioritaria di brevetto venne formalizzata il 27 Aprile 1978, un antequem che dimostra come questo calcolo venne in seguito congelato per un paio d’anni attendendo l’arrivo della versione grandangolare WA; l’intestazione del documento parla di un “obiettivo fotografico da ripresa per grande formato”.

 

 

La discussione del testo mostra come il progetto base fosse per un modello da 210mm 1:6,8, corrispondente quindi al Geronar 210mm, mutuando poi lo schema anche al 150mm 1:6,3 e al 300mm 1:9 e adattando di conseguenza l’apertura massima a focale, formato e diametro limite dell’otturatore; i progettisti introducono l’esempio di un brevetto precedente che descrive un tripletto per ingrandimento con ampia apertura massima, tuttavia con angolo di campo limitato e la necessità di impiegare alcuni vetri ottici costosi, opzione negata nel nostro caso; in alternativa viene invece proposto un nuovo tripletto di grande formato che copra almeno 56°, con un buon controllo della vignettatura e la cui realizzazione richieda solamente vetri economici, come i tipi Dense Crown, Very Light Flint e Borosilicate Crown.

In effetti questo progetto descrive un obiettivo semplice solo in apparenza, perché partendo da un uno schema limitante come il tripletto doveva mantenere elevata qualità, ampia copertura, vignettatura ridotta e l’uso di vetri a basso prezzo, una complessa quadratura resa possibile probabilmente solo grazie alla limitata apertura massima.

 

 

Lo schema riportato nel brevetto conferma quello di produzione e ribadisce la particolarità di una terza lente molto spaziata e sovradimensionata.

Per ribadire l’abilità dimostrata da Schlegel e Weiss creando un tripletto di buona qualità solo con vetri comuni, aggiungo anche un brevetto consegnato nell’agosto del 1939 da Arthur Warmishan di Taylor, Taylor & Hobson Ltd., Leichester, ovvero l’azienda nel cui seno il tripletto era nato.

 

 

Questo documento descrive 3 modelli di tripletto di ampia apertura, tuttavia per la loro confezione Warmishan chiamò in causa vetri ottici estremamente costosi e all’epoca quasi fantascientifici che erano stati ipotizzati solamente da poco; nella fattispecie, in ogni tripletto è inclusa una lente realizzata con un vetro la cui rifrazione è nD= 1,901 e il numero di Abbe (dispersione cromatica) è vD= 42,5: si tratta di valori assolutamente estremi e addirittura superiori a quelli di famosi vetri Lanthanum Dense Flint attuali come il tipo “Noctilux” di Leitz o l’LASF31A di Schott; questo vetro nel 1939 doveva fare l’effetto di un UFO che atterra in un accampamento medievale, tuttavia il suo costo gravava inevitabilmente in modo pesantissimo sulla semplice architettura ottica concepita dal progettista.

 

 

La discussione del brevetto fa specifico riferimento all’analogo documento che tutela le caratteristiche di tale vetro (ritengo di origine Kodak, calcolato dal suo chimico Dr. Morey), quasi a rassicurare gli increduli che all’epoca un tale materiale esistesse realmente; questo lusso sibaritico non era purtroppo concesso ai tecnici Rodenstock, il cui compito era invece quello di limare i costi in ogni modo possibile, a partire dal numero di lenti e passando per la scelta dei vetri.

 

 

Il semplice tripletto del Geronar prevede quindi la prima lente in Dense Crown Schott SK16, la seconda in Very Light Flint Schott LLF1 e la terza in Borosilicate Crown Schott BK7, il tutto comunque mantenendo un controllo professionale in parametri come distorsione, aberrazione cromatica, astigmatismo e vignettatura.

Questo schema è riferito al 210mm 1:6,8 ma è valido ad ogni buon conto anche per il 150mm ed il 300mm.

 

 

A suo tempo Rodenstock aveva condiviso diagrammi MTF misurati sul Geronar 210mm 1:6,8, tuttavia prima di esaltarci eccessivamente per i valori che vediamo è bene ricordare che con formati così grandi le 3 serie di curve (ciascuna rispettivamente con lettura di una mira parallela o perpendicolare alla semidiagonale di campo) non venivano più misurate alle frequenze spaziali di 10, 20 e 40 cicli/mm sfruttate nel piccolo 24x36mm, semplicemente perché nei grandi formati il fattore di ingrandimento è più limitato e gli elementi che sulla stampa hanno le dimensioni medie da attrarre l’occhio per produrre l’impressione soggettiva di qualità sono più grandi, pertanto diventano importanti frequenze spaziali differenti, più basse, e le curve sono ora relative solamente a 5, 10 e 20 cicli/mm.

In questo caso la scala di riproduzione è 1:30, praticamente assimilabile ad infinito, e le aperture di riferimento sono quelle già suggerite in precedenza, ovvero 1:16 ed 1:22; in queste curve del Geronar 210mm una sapiente gestione dei piani astigmatici fa si che le calotte sagittale e tangenziale (relative al contrasto di mire con orientamento perpendicolare fra loro) si intreccino nel piano senza mai allontanarsi troppo, favorendo quindi un buon controllo dell’astigmatismo, e i valori fino alla copertura del 4×5” sono favorevolmente uniformi, sebbene si evidenzi la caratteristica presente in alcuni tripletti di una modulazione leggermente negativa sull’asse del formato (origine delle curve a sinistra) rispetto ad altre zone del campo.

Chiudendo ad 1:22 la diffrazione appiattisce un po’ i valori massimi ma nel contempo l’ulteriore chiusura produce un leggero miglioramento nelle zone marginali della copertura, e questo rende l’obiettivo sfruttabile praticamente fino ai bordi del campo ammesso, ai quali corrisponde un cerchio di copertura da circa 230mm, piuttosto abbondante in senso assoluto, che permette sufficienti movimenti di controllo.

(continua nella seconda parte)

 

 

 

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