Rivestimento antiriflesso Carl Zeiss T

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il problema delle riflessioni speculari sulla superficie delle lenti ha rappresentato uno scoglio contro il quale gli ottici hanno dovuto misurarsi fin dagli albori e che per molto tempo ha condizionato la progettazione stessa dei sistemi; solamente dopo circa un secolo dalla nascita dei primi obiettivi fotografici è stato possibile risolvere il problema grazie all’invenzione del rivestimento antiriflesso operata nel 1935 dalla Carl Zeiss Jena; vediamo quindi come è nato e come si è evoluto nel tempo il trattamento Zeiss che costituito uno dei maggiori conseguimenti nel settore.

 

 

In un sistema ottico complesso come un obiettivo fotografico (in questo caso un normale con schema Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi) le interriflessioni sono numerose e complesse perché non si limitano alla superficie esterna ed interna della lente nell’interfaccia vetro-aria: infatti queste riflessioni primarie rimbalzano a loro volta più volte su altre superfici, creando un domino che da un lato penalizza in contrasto dell’immagine e dall’altro riduce anche la trasmissione luminosa effettiva del sistema, arrivando a perdite consistenti nel caso di obiettivi complessi oppure zoom.

 

 

In rivestimento antiriflessi della lente (qui visualizzato con efficacia in un’immagine Nippon Kogaku nella quale è trattata solamente la metà di destra) riduce drasticamente le riflessioni, risolvendo i due problemi citati.

 

 

Schematizzando rozzamente, il trattamento antiriflesso funziona così: prendendo ad esempio una lente ricavata da vetro ottico a media rifrazione (1,6), si deposita sulla sua superficie uno strato di materiale trasparente ed omogeneo a bassissima rifrazione (l’ideale sarebbe un valore intorno ad 1,2 ma, all’atto pratico, si utilizzano fluoruri dalla rifrazione prossima ad 1,4) con uno spessore pari ad 1/4 della lunghezza d’onda della luce i cui riflessi si vogliono attenuare: dal momento che la luce visibile prevede lunghezze comprese all’incirca fra 4 e 7 decimillesimi di millimetro, lo spessore del rivestimento è estremamente ridotto, in certi casi appena 1 decimillesimo di millimetro.

La luce incidente attraversa il sottile rivestimento e genera due differenti riflessi, uno sulla superficie esterna e uno su quella a contatto con la lente, e siccome il riflesso esterno e quello interno, grazie al posizionamento differenziato di 1/4 della lunghezza d’onda, risultano congruenti ma non in fase, questo esito ha un effetto distruttivo e i due fasci si annullano a vicenda, finalizzando il risultato prefisso; naturalmente un rivestimento antiriflesso con uno specifico spessore e indice di rifrazione del materiale è efficace con una corrispondente lunghezza d’onda della luce che rientra in una banda piuttosto ristretta, risultando invece meno performante con altri “colori” della luce con lunghezza differente: un antiriflesso singolo è quindi un compromesso e questa constatazione ha portato allo sviluppo di rivestimenti a strati multipli, ciascuno ottimizzato per spessore e materiali su una differente lunghezza d’onda, in grado di limitare i riflessi in tutto lo spettro della luce visibile e migliorare drasticamente le prestazioni finali.

 

 

Infatti questo schema Asahi mette a confronto un antiriflessi semplice con una versione intermedia a più strati e l’SMC Pentax multicoating definitivo, documentando una progressiva riduzione dei riflessi non solo in termini assoluti ma anche per uniformità di distribuzione su uno spettro di frequenze della luce sempre più ampio; tralasciando gli effetti sul contrasto, il vantaggio in termini di fotometria effettiva è consistente: secondo questo documento, un obiettivo con schema Doppio Gauss a 7 lenti con 12 passaggi aria-vetro lascia passare solo il 41,8% della luce incidente in assenza di rivestimento, valore che passa all’81,4% con un antiriflessi di penultima generazione e addirittura al 97,6% con un multicoating allo stato dell’arte: in pratica lo stesso obiettivo senza antiriflesso o equipaggiato con un rivestimento a strati multipli moderno denuncerebbe una differenza nell’effettiva apertura fotometrica T= superiore di 1 f/stop, davvero molto consistente.

Come anticipato, sebbene il benefico effetto di affioramenti spontanei sui vetri fosse già stato osservato nell’800 e molti avessero cercato di riprodurli in modo omogeneo e controllato sulle lenti con vari processi, la soluzione definitiva e l’invenzione ufficiale del trattamento antiriflessi come ancora oggi lo concepiamo va accreditata alla Carl Zeiss Jena che, a metà anni ’30, mise a punto un procedimento i cui principi essenziali sono sfruttati tuttora; vediamo quindi com’è nato e come si è evoluto il rivestimento antiriflessi Zeiss.

 

 

Le ottiche di produzione antecedente, come questo Tessar 8cm 1:4,5 del 1929 destinato ad un apparecchio Stereo-Palmos, risultano ovviamente prive di qualsiasi rivestimento e, infatti, la progettazione degli schemi ottici era indirizzata su modelli con pochi passaggi ad aria come il Tessar, il Protar, il Sonnar o l’Herar; con queste ottiche non trattate il flare e la perdita di contrasto erano sempre dietro l’angolo ed occorreva scegliere con attenzione la direzione di ripresa rispetto alla fonte di luce e schermare sempre accuratamente la lente frontale dai raggi solari diretti.

 

Olexander Smakula

 

Questa situazione di stallo venne superata nel 1935 grazie al lavoro del Dr. Olexander Smakula (1900-1983), personaggio nato a Dobrovody (oggi Ucraina) e da alcuni anni in forza alla Carl Zeiss Jena; Smakula fu il primo a perfezionare un sistema di deposizione del rivestimento antiriflessi tramite evaporazione a caldo di fluoruri in campane sotto vuoto; l’avvento di questa nuova tecnica fu in parte possibile perché queste metodologie erano già state previste per applicare sottili strati di selenio sulle superfici sensibili destinate a fotocellule di esposimetri, pertanto hardware di quel tipo, come le campane a vuoto con resistori per sublimare i materiali, erano state sviluppate e prodotte in precedenza da aziende come la W. C. Heraeus di Hanau-am-Main, che infatti reagirà prontamente fornendo già nel 1938 le relative campane per antiriflesso alla Carl Zeiss Jena; il merito di Smakula fu quello di definire i principi teorici (il corretto spessore e la tipologia di materiali) e adattare questi apparecchi alla deposizione di tali strati sulle lenti.

 

 

Il brevetto di Smakula per questa nuova tecnologia fu depositato a nome di Carl Zeiss Jena presso il  Reichspatentamt del Dritten Reich il primo Novembre 1935; gli elementi chiave della sua invenzione riguardano la deposizione sotto vuoto e l’utilizzo del fluoruro di calcio (fluorite) come materiale.

L’invenzione sottendeva evidenti implicazioni di interesse strategico (obiettivi, binocoli, sistemi di puntamento e quant’altro non avrebbero più prodotto riflessi, divenendo difficilissimi da individuare), pertanto il brevetto venne rubricato come scoperta di interesse militare e la sua applicazione vincolata a dispositivi per tale destinazione, con l’esclusione dei prodotti per uso civile; per identificare sul pezzo la presenza dell’innovativo trattamento, la Carl Zeiss Jena scelse di applicare una T smaltata in rosso, elemento che col tempo sarebbe divenuto leggendario; tale consonante è l’acronimo di Transparenz, ad indicare la chiarezza cristallina del vetro trattato: infatti Smakula aveva un’ossessione personale per l’Unsichtbares Glas, il vetro invisibile, un conseguimento quasi magico che venne poi finalizzato grazie ai suoi studi.

I primi obiettivi Carl Zeiss Jena con destinazione militare a ricevere il trattamento antiriflesso T vennero prodotti il 21 Febbraio 1938 e si trattava di 120 esemplari di IR-Tessar 50cm 1:5 per riprese aeree ad infrarosso e destinati alla Luftaufklaerungs-Reihnmesskamera RMK 5/3030.

 

 

A metà del 1938 venne realizzato un prototipo di Biotar 5cm 1:1,4 T per uso cinematografico (illustrato in foto) e un lotto di Tessar 4cm 1:2,8 per fotocamere Zeiss Ikon Tenax o Berning Robot destinate a fotografi militari; a fine anno arriveranno anche i primi Sonnar 5cm 1:1,5 T, prodotti con specifica richiesta e gestione prioritaria da parte delle SS, come indicato nei registri di produzione dalla relativa annotazione SS-STUFE.

Durante gli anni del Conflitto la Carl Zeiss Jena realizzò varie tipologie di obiettivi per uso militare con rivestimento T, alcuni addirittura con strato ottimizzato sulla lunghezza d’onda di 1.014 nm per l’impiego in infrarosso; ecco alcuni esemplari, oggi rarissimi oggetti da collezione.

 

 

Questo prototipo (Versuch 1940 n° 3) riguarda un lungo fuoco da 50cm 1:5 per riprese aeree prodotto nel 1940 e il trattamento antiriflessi sulle lenti risulta evidente.

 

 

Questo Carl Zeiss Jena Sonnar 7,5cm 1:4 T era destinato alla cinepresa 16mm Zeiss Ikon Movikon 16; appartiene ad un lotto di 300 esemplari con produzione iniziata il 10 Ottobre 1941 e venne trattato antiriflessi perché era destinato a cineoperatori militari della Luftwaffe, come indicato da una incisione sulla baionetta di innesto; inizialmente i rivestimenti erano poco resistenti e facilmente deteriorabili, come si può osservare dalle condizioni del trattamento sulla lente posteriore dopo ripetute pulizie evidentemente frettolose; addirittura i primissimi esemplari di obiettivi T non prevedevano il trattamento sulle superfici esposte delle lenti esterne.

 

 

 

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Per concludere, una spigolatura curiosa sul protagonista di questa rivoluzione, Olexander Smakula: individuato dagli Alleati come soggetto rilevante e depositario di informazioni tecniche avanzate, venne trasferito negli States nell’ambito dell’Operation Paperclip e iniziò una nuova vita, progettando innovazioni tecnologiche per il nuovo datore di lavoro; non si trattava tuttavia di qualcosa correlato al campo dell’ottica, come immaginabile: Olexander Smakula firmò importanti sviluppi nel settore dei lubrificanti speciali e dei combustibili solidi per razzi, dimostrandosi quindi non soltanto geniale ma anche poliedrico; in ogni caso, come fotografi, siamo tenuti a rivolgergli un pensiero benedicente per il grande dono che ha riservato a tutti noi.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

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