Origine degli obiettivi asferici Leica

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; l’utilizzo di lenti con superfici asferiche, con la relativa denominazione Aspherical e poi semplicemente Asph., negli ultimi trent’anni si è trasformato in una sorta di sigillo di fabbrica per le ottiche Leica a telemetro e in pratica, se escludiamo qualche sparuto modello come il Summicron-M 50mm 1:2, l’Elmar-M 50mm 1:2,8, l’Elmarit 90mm 1:2,8 o l’Apo-Telyt-M 135mm 1:3,4, l’intera produzione delle ultime decadi prevede solamente obiettivi equipaggiati con questa fondamentale miglioria; storicamente gli obiettivi asferici Leica nascono con la presentazione del Noctilux-M 50mm 1:1,2 alla Photokina del 1966, tuttavia il complesso e tormentato sviluppo di tale tecnologia va retrodatato al decennio precedente e la missione di questo articolo è proprio ricostruire l’evoluzione delle lenti asferiche Leitz-Leica, partendo dagli esperimenti pionieristici ed arrivando al primo obiettivo che inaugurò la serie moderna.

 

 

Vediamo innanzitutto di definire con molta semplicità in cosa consiste una lente a superficie parabolica, cioè asferica: in pratica, e semplificando moltissimo come concetto, mentre una comune lente sferica presenta una curvatura costante che può essere semplicemente definita da un singolo parametro (il raggio di curvatura, solitamente relazionato alla focale o alle dimensioni del sistema ottico), in una lente asferica il raggio di curvatura cambia a seconda della distanza dall’asse ottico, e per definire esattamente il profilo della superficie occorre una serie di parametri matematici più complessi; naturalmente il raggio di curvatura asferico dello schema è stato volutamente esagerato per facilità di comprensione, mentre nel mondo reale il gradiente di asfericità in una lente destinata ad un obiettivo fotografico non è percettibile ad occhio nudo, salvo casi rarissimi.

In realtà chiunque sia abbastanza attempato da convivere con la fotografia già ai tempi dell’analogico ha sicuramente avuto a che fare con elementi ottici asferici, magari senza esserne cosciente: infatti, ogni volta che si scoperchiava un proiettore per diapositive sostituendo una lampadina bruciata, i grossi condensatori in vetro che comparivano nel percorso del flusso luminoso fra lampada e diapositiva prevedevano un profilo asferico molto marcato; pertanto non è difficile ottenere un elemento ottico asferico, basta stampare lo sbozzo di vetro in una sagoma adeguata per finalizzare il prodotto a costi minimi; in fotografia la parola chiave non è semplicemente produrre la superficie asferica ma realizzarla garantendo le tolleranze infinitesimali necessarie alla bisogna, con precisione che può arrivare ad 1/10.000mm, un ordine di grandezza che lancia sfide inedite al progettista e ai tecnici/meccanici delegati alle fasi di produzione e montaggio, richiedendo solitamente la realizzazione nuovi e specifici macchinari per la lavorazione e il controllo dimensionale.

 

 

I vantaggi promossi dall’utilizzo di superfici a profilo parabolico, almeno in teoria, erano stati intuiti fin dagli albori della progettazione ottica; infatti, ad esempio, questo brevetto firmato da Ernst Abbe, uno dei padri fondatori di Carl Zeiss Jena, risale addirittura al Giugno 1900 e descrive alcuni metodi per misurare con precisione la curvatura di superfici ottiche asferiche, a quel tempo denominate “sferoidali”; sebbene all’epoca non fosse naturalmente possibile realizzare lenti del genere con la precisione necessaria ad un utilizzo concreto negli obiettivi fotografici, i progettisti erano evidentemente ben coscienti che costituivano un notevole plusvalore.

 

 

Un altro caposaldo storicamente interessante nell’avvicinamento all’utilizzo di lenti asferiche in ottiche da ripresa è documentato da un altro brevetto, firmato da Willy Mertè e consegnato per la registrazione prioritaria in Germania nel Dicembre 1940 (quando venne effettivamente ratificato, dopo le vicende belliche e la successiva riorganizzazione, l’azienda di riferimento non era più Carl Zeiss Jena ma Zeiss Oberkochen e l’ufficio brevetti non quello del Dritten Reich bensì il Deutsches Patentamt della Repubblica Federale Tedesca; peraltro, nel frattempo, il progettista era anche trapassato, esule negli States dov’era stato tradotto nell’ambito dell’Operation Paperclip); in questo interessantissimo documento vengono presentati dei modelli di obiettivo Zeiss Tessar equipaggiati con lenti asferiche, una soluzione in questo caso finalizzata ad aumentare l’apertura relativa di quest’obiettivo senza alterare la composizione del suo semplice ed apprezzato schema ottico, passando dalla classica luminosità 1:3,5 oppure 1:2,8 a valori come 1:2 e addirittura 1:1,5, assolutamente incredibili per un “tipo Tessar” a 4 lenti in 3 gruppi; il Dr. Mertè aveva preso in considerazione addirittura 4 differenti soluzioni tecniche, inserendo la superficie asferica sui raggi anteriori della prima lente o del doppietto posteriore, e ipotizzando persino uno o addirittura due elementi asferici sui raggi contigui al punto di incollaggio del doppietto posteriore: in un embodiment risulta asferica solamente la superficie di contatto della lente posteriore, mentre in un altro risultano asferici entrambi i raggi uniti dal cemento, e in questi ultimi esempi le differente fra le curvature dei due elementi accostati vengono assorbite dallo spessore dello speciale cemento utilizzato per l’incollaggio, senza contare l’estrema difficoltà di prevedere un profilo asferico su una superficie concava, difficilissimo da realizzare anche oggi senza ricorrere a stampaggio a caldo o all’iniezione di resina contro una maschera asferica di riscontro; era quindi un progetto veramente all’avanguardia e fin troppo ardito per la tecnologia del tempo, anche targata Zeiss, sebbene sia noto che sono stati effettivamente realizzati dei prototipi partendo da questo progetto.

Possiamo quindi dire che la tecnologia delle lenti asferiche è rimasta viva ma dormiente per la prima metà del ‘900, una brace che arde sotto la cenere pronta a rinfocolarsi non appena la tecnologia avesse superato le enormi difficoltà di calcolo ottico e produzione.

Naturalmente anche i tecnici Leitz erano aggiornati su questa ipotetica miglioria dal grande potenziale e possiamo dire che l’avvio di sperimentazioni concrete in azienda fu stimolato dall’accesso ad un nuovo computer dalle prestazioni drasticamente incrementate ed arrivato in azienda a fine anni ’50; il tecnico che mise a frutto queste accresciute possibilità di calcolo e diede avvio al disegno di prototipi con lenti asferiche fu il Dr., poi Prof., Helmut Marx.

 

 

Il Prof. Marx è un personaggio enigmatico sulla cui biografia e carriera si hanno informazioni scarne; spesso eclissato nella letteratura e nelle discussioni fra competenti dalla figura di Walter Mandler di Leitz Canada, in realtà Marx era un individuo che coniugava a livelli mai visti prima genialità e metodo sistematico, elementi solitamente antitetici che lui seppe far convivere e mettere a frutto con esiti dirompenti; la carriera di Marx in Leitz Wetzlar ebbe origine negli anni di guerra e probabilmente ebbe anche modo di attingere a rudimenti dallo stesso Max Berek, ormai vicino alla dipartita; il primo antequem certo è un brevetto firmato da Helmut Marx e relativo ad un dispositivo a contrasto di fase, la cui richiesta prioritaria venne depositata in Germania il 21 Novembre 1948.

SI può dire che la carriera di Helmut Marx come progettista di obiettivi per fotocamere Leica a telemetro sia stata scandita da una ossessione, un mantra di fondo al quale rimase sempre fedele: lo sviluppo del classico schema ottico Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi fino alle estreme conseguenze possibili, quasi un esercizio di stile che ha dato vita ad obiettivi famosi e anche a prototipi di sconcertante complessità produttiva.

 

 

Non è possibile definire se il giovane Marx avesse contribuito allo sviluppo del Leitz Summaron 35mm 1:3,5: il brevetto del 1948 ci indica che il progettista era già attivo in azienda a metà anni ’40, tuttavia il progetto completo del Summaron 1:3,5 era già disponibile nel 1946, pertanto ritengo che Marx si sia limitato a studiarlo, eventualmente attingendo alle fonti originali; partendo da questo retaggio, Helmut Marx seguì con grande coinvolgimento l’evoluzione dei sistemi di calcolo computerizzati, autentica manna per la sua professione, a partire dai modelli di Konrad Zuse realizzati su commissione ed installati a Wetzlar a inizio anni ’50; in quel decennio Marx iniziò a sviluppare un proprio programma di calcolo adattivo applicato agli schemi ottici (definito Marx Automatisches Korrektionsprogramm), incarnando in pratica in Leitz lo stesso ruolo di pioniere che sarebbe stato di Erhard Glatzel alla Zeiss di Oberkochen; i suoi studi nel settore furono così efficaci che ancora oggi è possibile ravvisare tracce della sua impostazione basilare persino nei moderni software di calcolo utilizzati a Solms!

Proprio sfruttando un modello Zuse più performante e questi programmi di calcolo da lui ideati Hemut Marx iniziò la sua relazione di amore/odio con lo schema Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi, ricalcolando il classico Summaron 35mm 1:3,5 con l’aggiunta del recente vetro LaK9 e finalizzando il nuovo modello 35mm 1:2,8, più luminoso e brillante del precedente; questo calcolo venne concretizzato nel 1957 e l’obiettivo entrò in produzione nel 1958, in attacco a vite e con baionetta M.

 

 

In questa fase l’hardware informatico dell’azienda beneficiò di un radicale aggiornamento, perché nel 1958 arrivò a Wetzlar un mastodontico e potente computer tipo Elliott 402F.

 

 

Si trattava di uno degli strumenti più avanzati disponibili all’epoca, un dispositivo colossale che utilizzava 9 cabinets ventilati per un ingombro pari a 5,16 m di lunghezza, 2,06 m di altezza, 1,12 m di profondità e con un peso di 1.570 kg più 510 kg di motore-alternatore; questo sistema assorbiva in esercizio ben 11 Kw e rappresentò per l’azienda una notevole esposizione economica (a quei tempi anche la Zeiss utilizzava un potente computer IBM semplicemente affittandolo a ore), tuttavia la disponibilità 24/7 di un simile strumento aumentò radicalmente il potenziale di calcolo disponibile, consentendo di progettare in rapida successione vari obiettivi.

 

 

La versione 402F era la più performante della linea e metteva a disposizione dell’operatore anche il floating point, molto importante in certe operazioni.

 

 

Il dispositivo era alimentato da un lettore di carte perforate in grado di analizzarne fino a 400 al minuto.

 

 

La potenza di calcolo del mastodontico Elliott 402F a valvole termoioniche era naturalmente commisurata alle possibilità del tempo e oggi può apparire ridicola, tuttavia un computing speed di 333.000 elementi al secondo ed operazioni semplici eseguite in tempi compresi fra 0,2 e 3,3 millisecondi permettevano realmente di definire in pochi minuti parametri che con sistemi manuali di calcolo avrebbero richiesto mesi.

L’accesso al nuovo Elliott 402F con il proprio programma di calcolo adattivo fu per Marx il trampolino di lancio verso un mondo inesplorato: l’applicazione delle lenti asferiche agli obiettivi di serie, finalizzando quindi la sua ossessione di produrre varie tipologie di ottiche, anche molto luminose, basandole tutte sul tipo Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi e con 2 doppietti centrali collati.

Oltre al potenziale fornito dal grande elaboratore messo al lavoro col suo programma di calcolo, in azienda si verificarono anche favorevoli sinergie personali e Marx trovò in Paul Sindel un eccellente partner per questa nuova avventura così ricca di incognite ma entusiasmante, mentre nel laboratorio tecnico il Dr. Pelz metteva a disposizione una non comune attitudine al rigore estremo e la calma serafica necessaria per effettuare un’infinità di controlli, riscontri e misurazioni ripetitive sui prototipi.

La prima “cavia” sulla quale sperimentare l’applicazione degli elementi asferici sarebbe stata proprio il grandangolare Leitz Summaron 35mm 1:2,8 tipo B638 che Marx e Sindel avevano appena finito di calcolare solo con elementi sferici; fin dagli esordi Marx si orientò sul protocollo di utilizzare 2 raggi asferici sulle superfici esterne dell’obiettivo (raggio anteriore della prima lente e raggio posteriore dell’ultima), gestendo quindi con un profilo parabolico tutti i light pencils in entrata e in uscita dall’obiettivo, una soluzione che secondo la sua esperienza avrebbe consentito un migliore controllo su molte aberrazioni.

 

 

Questa illustrazione mostra in sezione lo schema ottico del Summaron 35mm 1:2,8 in versione asferica (B638a); come anticipato i 2 elementi parabolici sono applicati alle superfici esterne della prima e dell’ultima lente, un aggiornamento che richiede una serie di calcoli infinitamente più complessi rispetto alla normale versione di produzione e che furono possibili solo grazie all’entrata in servizio del nuovo computer Elliott; come si può osservare, i progettisti Marx e Sindel non applicarono variazioni percettibili all’architettura di partenza del Summaron 35mm 1:2,8 convenzionale, dal momento che l’applicazione delle lenti asferiche era un nuovo mondo tutto da esplorare per via empirica e con sperimentazione sistematica, quindi per valutare gli effettivi benefici e individuare le vie più promettenti era necessario partire da una base ben nota e verificata.

 

 

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E’ un epos glorioso e soprattutto colpisce la titanica volontà di Marx e Desch, caparbiamente determinati a realizzare qualcosa di assoluto nonostante i mezzi a loro disposizione fossero decenni indietro rispetto ai requisiti necessari, quasi cercando di artigliare ed ipotecare un futuro già teoricamente intravisto ma ancora lontano; peccato che la precaria situazione finanziaria dell’azienda nei primi anni ’70 abbia messo praticamente in stand-by questi progetti avveniristici ed ambiziosi, dando modo al concorrente nipponico Canon di ritagliarsi il suo momento di celebrità lanciando i superluminosi FD Aspherical 24mm 1:1,4, 55mm 1:1,2 ed 85mm 1:1,2, tuttavia proprio grazie alla lungimiranza e alla tenacia di Helmut Marx e dei suoi collaboratori questa fondamentale miglioria tecnica è approdata stabilmente nel mondo della fotografia, e oggi tutti noi ne traiamo beneficio.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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