Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; per macrofotografia si intende una serie di riprese a distanza ravvicinata nelle quali un soggetto di piccole dimensioni arriva a riempire il fotogramma; sebbene, a rigor di termini, immagini di quel tipo andrebbero considerate tali solamente approcciando e superando sul formato 24x36mm il rapporto di riproduzione 1:1, cioè riproducendo soggetti da 24x36mm o ancora più piccoli, in realtà si tende a considerare “macro” tutto quello che supera il rapporto 1:5, cioè inquadrando meno di 12x18cm; sull’altro versante i massimi ingrandimenti normalmente accessibili con attrezzature macro convenzionali arrivano intorno a 15:1 (e sul formato 24x36mm stiamo già fotografando un soggetto di appena 1,6×2,4mm), limite oltre il quale si accede alla microfotografia propriamente detta e finalizzata con attrezzature specifiche.
Fino agli anni ’60 la macrofotografia amatoriale era limitata all’utilizzo di prolunghe per aumentare il tiraggio dell’obiettivo normale o all’anteposizione di lenti addizionali positive che riducevano la coniugata di fuoco anteriore, soluzioni che funzionavano per la foto domenicale del fiore di campo o per lo still-life sul tavolo del soggiorno in una serata piovosa ma che non garantivano la planeità di campo e la soppressione delle aberrazioni a distanze brevi richieste da applicazioni più critiche; questo portò vari fabbricanti, Nippon Kogaku in primis, a creare obiettivi il cui gruppo ottico fosse disegnato in sede di progetto per fornire le migliori prestazioni a distanze brevi, normalmente ottimizzando la planeità di campo anastigmatica intorno ad un rapporto 1:10; questa scelta consentiva di riprodurre originali piani di formato A4 – A3 lavorando in prossimità dello sweet spot e anche ad ingrandimenti superiori la curvatura di campo (che inevitabilmente subentrava aumentando il tiraggio meccanico in un sistema ottico privo di flottaggi compensativi) risultava inferiore rispetto ad un obiettivo classico ottimizzato a infinito.
Le ottiche macro furono diffusamente apprezzate dagli appassionati perché garantivano ottime prestazioni generali e nell’uso potevano sostituire vantaggiosamente un obiettivo convenzionale di focale analoga, aggiungendo la versatilità della ripresa a distanze insolitamente ravvicinate; gli obiettivi di questa serie fiorirono quindi in una copiosa messe di modelli, differenziandosi su un range di 3 focali: normale (50-55-60mm), medio-tele (90-100-105mm) e tele (180-200mm); pur con tutte queste variabili, un denominatore comune dei vari gli esemplari era l’ingrandimento massimo limitato al rapporto 1:2 o al massimo 1:1 (quindi con campo inquadrato da 48x72mm o 24x36mm, rispettivamente).
Queste prestazioni sono sicuramente sufficienti per la macrofotografia generica ed amatoriale, tuttavia esistono ambiti professionali nei quali è necessario un ingrandimento decisamente superiore e inaccessibile alle ottiche macro generiche; questa realtà era ben nota alla Olympus Corporation, azienda leader per decenni nella produzione di microscopi e relativi accessori, pertanto la linea di ottiche macro del sistema reflex OM lanciato nel 1972 prevedeva ab origine alcuni obiettivi destinati ad ingrandimenti superiori al normale, il più spinto dei quali era un 20mm 1:3,5 che venne in seguito aggiornato e migliorato approdando al luminoso 20mm 1:2, cioè il protagonista di questo articolo.
L’Olympus OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 è un’ottica molto specialistica ma insostituibile per figure professionali che operano a forti ingrandimenti con elevate esigenze qualitative; le sue caratteristiche insolite si intuiscono immediatamente osservandolo accanto ad un classico OM Zuiko da 21mm per fotografia convenzionale e sono assolutamente necessarie e funzionali alla sua prassi operativa, trattandosi di un obiettivo calcolato per lavorare in un intervallo fra 4x e 16x, inquadrando cioè un soggetto compreso fra 6x9mm e 1,5×2,25mm; questi valori sono impressionanti e definiscono immediatamente l’eccezionalità del modello, specialmente considerando la sua grande apertura (come vedremo fondamentale) e il fatto che con alcuni accessori mantenga il diaframma automatico a tutta apertura come in un qualsiasi OM Zuiko convenzionale.
La forma rastremata del barilotto è finalizzata al posizionamento avanzato del gruppo ottico, a sbalzo nella parte anteriore e senza elementi perimetrali di contorno, una configurazione funzionale ad una corretta illuminazione del soggetto perché la tipica distanza di ripresa ai vari ingrandimenti ammessi è di appena 18-20mm dalla lente frontale.
Pur condividendo il classico family-feeling con gli altri OM Zuiko, il 20mm 1:2 Auto-Macro si differenzia per dettagli caratteristici, a partire dal citato gruppo ottico a sbalzo e passando per una flangia con filettatura interna da 49mm destinata all’esclusivo tappo conico in plastica, la ghiera del diaframma convenzionale con funzionamento a tutta apertura e chiusura automatica al momento dello scatto (caratteristica insolita in ottiche di questo genere) e una ghiera gommata con elicoide per la correzione di fuoco micrometrica, priva di riferimenti e servita da una linea di fede bianca per visualizzarne la posizione; la baionetta d’innesto è la classica Olympus OM con i relativi rinvii per la chiusura automatica del diaframma, tuttavia l’obiettivo non è inteso per un montaggio diretto sulla fotocamera ed è necessario interporre prolunghe per finalizzare un rapporto di riproduzione minimo di 4:1, intervallo inferiore del range al quale è ottimizzato.
La serie originale di ottiche OM per forti ingrandimenti, lanciata nel 1972 assieme al resto del sistema, comprendeva un 20mm 1:3,5 e un 38mm 1:3,5 con attacco filettato RMS e relativo adattatore intermedio Olympus PM-MTob e prevedeva un diaframma esclusivamente manuale; questi modelli rimasero teoricamente a catalogo, ad esaurimento scorte, fino al 1985, tuttavia già nell’Aprile 1984 l’azienda aveva presentato 2 versioni completamente riprogettate con nuovo gruppo ottico Gaussiano a 6 lenti in 4 gruppi, diaframma automatico, attacco diretto con baionetta OM e apertura incrementata rispettivamente ad 1:2 ed 1:2,8; quest’ultimo fattore è di primaria importanza per la macrofotografia a forti ingrandimenti, e non soltanto per agevolare la messa a fuoco.
Infatti la procedura standard nella macro suggerisce di chiudere molto il diaframma per incrementare la modesta profondità di campo disponibile a tali ingrandimenti, tuttavia il valore fotometrico T= effettivo ad elevati rapporti di riproduzione si riduce a sua volta drasticamente pr via delle prolunghe applicate, pertanto può succedere che la classica apertura 1:8 a simili ingrandimenti possa diventare anche superiore ad 1:100, e come sappiamo la diffrazione abbatte il potere risolutivo dell’obiettivo proprio in funzione della chiusura del diaframma.
Può quindi succedere che, ad ingrandimenti elevati, una concomitante chiusura abbondante del diaframma porti a valori T= così ingenti da limitare per diffrazione la risolvenza a poche linee al millimetro, producendo risultati inaccettabili, e infatti i veri specialisti della macro spinta lavorano invece con ottiche molto luminose (spesso obiettivi planapocromatici da microscopio con aperture di 1:1,4 o superiori), operando addirittura a tutta apertura proprio per minimizzare il detrimento causato dalla diffrazione e recuperando la profondità di campo con la tecnica dello stacking, cioè eseguendo anche centinaia di scatti allo stesso soggetto con staffe micrometriche a controllo elettronico che avanzano il sistema di pochi micron alla volta, ottenendo così una “mappatura” del soggetto su numerosi piani di fuoco differenti che vengono poi prelevati e assemblati in una singola immagine finale da uno specifico software, ottenendo capra e cavoli, cioè una foto nitida e con adeguata profondità di campo, sia pure al prezzo di tale complicata proceduta statica.
Pertanto, considerando queste ulteriori informazioni, portare l’apertura del 20mm da 1:3,5 ad 1:2 consente un evidente guadagno di risolvenza agli ingrandimenti spinti previsti da questo modello, ovviamente lavorando a diaframma spalancato e con il metodo stacking multishot.
Passando dall’OM Zuiko Macro 20mm 1:3,5 del 1972 al successivo OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 lo schema ottico venne drasticamente rivisto, abbandonando un tipo “Tessar” invertito a 4 lenti in favore di un Doppio Gauss simmetrico con 6 lenti, necessario per finalizzare l’aumento di apertura massima.
Il nuovo 20mm Auto-Macro costituiva un progresso evidente perché non incrementava solamente l’apertura massima di 1,5 stop ma rendeva anche più agile e pratica la prassi operativa grazie a diaframma automatico gestibile su specifici accessori come l’OM Extension Tube 65-116mm, un accessorio con allungamento telescopico gestibile a piacere e rinvii meccanici per l’automatismo del diaframma; in questa immagine potete notare anche l’esclusivo tappo a vite anteriore, sagomato per il caratteristico sbalzo dell’obiettivo e identico a quello fornito con l’OM Zuiko Auto-Macro 38mm 1:2,8.
Il tubo telescopico 65-116mm è un piccolo gioiello di meccanica (anche i rinvii del diaframma sono collassabili per adeguare il tiraggio) e applicato a tale accessorio l’OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 può arrivare fino ad un rapporto di riproduzione superiore a 9:1 con diaframma completamente automatico a tutta apertura; questo tubo di prolunga venne presentato nel 1980 ed era funzionale all’utilizzo col nuovo OM Zuiko Auto-Macro 135mm 1:4,5 Bellows e con la nuova versione di OM Zuiko 1:1 Auto-Macro 80mm 1:4, e infatti i primi esemplari come quello illustrato prevedono scale di riferimento solo per questi 2 obiettivi; poi, a partire dal 1984, alla gamma vennero aggiunti i nuovi OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 e 38mm 1:2,8 per elevati ingrandimenti, e sul tubo 65-116 prodotto da quell’anno fino al 2002, quando scomparve dalla scena, vennero applicate anche le scale di riproduzione per i macro da 20mm e 38mm.
Come vedremo, il gruppo ottico del nostro 20mm 1:2 venne disegnato per ingrandimenti sul 24x36mm compresi fra 4x e 16x, tuttavia nella pratica tali valori sono vincolati dalle relative prolunghe interposte fra l’obiettivo e il corpo macchina; nel caso del tubo 65-116mm ci si può spingere fino a 9,2x (eventualmente incrementabili aggiungendo in cascata tubi di prolunga automatici OM da 7, 14 e 25mm), mentre adottando il classico soffietto OM Auto Bellows e sfruttando i suoi intervalli di regolazione il range disponibile spazia fra 5,3x e 13,5x (con lo stesso soffietto il vecchio OM Zuiko Macro 20mm 1:3,5 lavorava da 4,3x a 12,4x), ed è possibile mantenere comunque il diaframma automatico sfruttando lo scatto flessibile doppio OM inserito nel pulsante di scatto del corpo macchina e nell’apposito attacco del soffietto; per arrivare ai fatidici 16x previsti in teoria dall’obiettivo è quindi necessario sfruttare il soffietto OM completamente allungato e aggiungere anche tubi di prolunga OM (oppure abbinare il tubo 65-116mm al soffietto non completamente esteso); in questa immagine possiamo osservare una classica configurazione d’epoca per alti ingrandimenti, con l’OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 montato sull’OM Auto Bellows a sua volta fissato al supporto OM Stand VST-1 con barra di prolunga Extension Bar VST-E e sistema di fissaggio Stand B Adapter; sul soffietto è montato un corpo Olympus OM-2m equipaggiato con vetro di messa a fuoco speciale 1-12, trascinatore OM Winder 2 e mirino a 90° con ingrandimento variabile OM Varimagni Finder, a sua volta un gioiellino di ottica e meccanica; per finalizzare il funzionamento del diaframma automatico occorre applicare anche il citato scatto flessibile doppio, qui non illustrato.
In questo sistema macro molto articolato e sinergico si percepisce tutto il know-how nel settore mutuato ad Olympus Corporation dalla sua esperienza come fabbricante di microscopi.
Questa percezione viene ribadita osservando alcuni accessori di evidente retaggio micro che l’azienda confezionò per questi obiettivi: ad esempio, la serie di Mirror Housing PM-EL prevede alcuni box d’illuminazione che si applicavano nella flangia anteriore (erano previsti modelli per le versioni da 20mm, quelle da 38mm e i macro da 50mm 1:3,5 e 80mm 1:4) ed includevano un settore argentato a 45°: proiettando una forte luce nell’apertura laterale il fascio veniva direzionato a 90° e proiettato direttamente dall’obiettivo sopra il soggetto, una epilluminazione frontale che eliminava le ombre e non creava alcun problema tecnico, nonostante il flusso luminoso fluisse direttamente sull’asse di ripresa; specificamente, la versione per gli obiettivi da 20mm era il PM-EL-20.
Sempre restando nell’ambito dei sistemi d’illuminazione speciali derivati dalle procedure da microscopio, per gli OM Macro da 20mm e 38mm furono confezionati anche i riflettori di Lieberkuehn PL-LM; tali dispositivi, utilizzati col sistema fotografico montato verticalmente sullo stand, si fissano nella parte anteriore degli obiettivi (come un paraluce) e la loro parabola lucidata a specchio intercetta la luce della transilluminazione dal basso (solitamente fornita all’OM Stand VST-1 dalle relative basi accessorie Trans-Illuminator Base XD-E oppure VL-DIA-A) e la riflette indietro, finalizzando quindi un’illuminazione simultanea del soggetto sia dal basso che dall’altro, sebbene si sfrutti una singola sorgente luminosa da sotto; la versione per il 20mm è la PL-LM-20.
Questi accessori incrementavano ulteriormente la versatilità degli obiettivi e permettevano al tecnico o allo scienziato con adeguate competenze di realizzare macro spinte con illuminazione impeccabile.
Nella seconda metà degli anni ’80, dopo l’assestamento del corredo OM macro con la scomparsa di modelli obsoleti e l’avvento di nuove ottiche ed accessori, il cliente poteva quindi contare su 4 obiettivi “bellows” in montatura corta da 20mm 1:2, 38mm 1:2,8, 80mm 1:4 e 135mm 1:4,5, tutti utilizzabili con diaframma automatico sul tubo di prolunga ad allungamento variabile 65-116mm (il 135mm partendo da infinito) ed ottimizzati in modo differenziato per coprire un ampio intervallo di ingrandimenti senza compromessi qualitativi: infatti il 135mm lavorava al meglio da 1:5 a 1:2, l’80mm da 1:2 a 2:1, il 38mm da 1,7:1 a 6,7:1 e il 20mm da 4:1 a 16:1; questo overlap consentiva quindi di operare con soggetti compresi fra 120x180mm e 1,5×2,25mm con la garanzia di ottenere in ogni caso la massima qualità teoricamente possibile.
Questa gamma era ulteriormente arricchita da 3 obiettivi macro convenzionali, muniti di elicoide di fuoco che spaziava da infinito ad 1:2; questi modelli sono tutti flottanti e corrispondono agli OM Macro 50mm 1:3,5, 50mm 1:2 e 90mm 1:2; al sistema anni ’80 andava naturalmente aggiunto il classico soffietto OM Auto Bellows, disponibile fin dal 1972, e la speciale lente addizionale composita destinata all’80mm 1:4 1:1 Auto Macro per raggiungere il rapporto 2:1 sul tubo 65-116mm mantenendo il diaframma automatico.
Osservando i prezzi di listino del 1988 è interessante osservare i valori del nuovo e confrontarli con i prezzi attuali dell’usato; il 20mm 1:2 Auto-Macro protagonista del pezzo costava 390 Dollari, quindi poco più rispetto al classico 50mm 1:3,5 Macro (350 Dollari), mentre oggi un 20mm 1:2 in ottime condizioni spunta cifre molto superiori al 50mm, probabilmente per la maggiore rarità (la produzione fu nell’ordine dei 3.000 pezzi); notate anche come il complicato tubo estensibile 65-116mm costasse quasi come il soffietto (285 Dollari contro 305 Dollari) e anche la lente addizionale speciale per l’80mm 1:4 1:1 Auto-Macro faceva valere la sua complessità e costava 102 Dollari, quasi come un OM Zuiko 50mm 1:1,8.
Le istruzioni originali del 20mm 1:2 sottolineano la prima mondiale di un obiettivo macro che garantisca elevati rapporti di riproduzione prevedendo comunque la comodità del diaframma automatico; la tabella con le caratteristiche ci ricorda l’angolo di campo al massimo ingrandimento pari ad appena 9°, lo schema con trattamento antiriflesso multistrato, la regolazione dell’ingrandimento sfruttando i tubi di prolunga, il tubo estensibile 65-116mm e il soffietto e la regolazione micrometrica di fuoco grazie alla relativa ghiera incorporata (effettivamente utilissima); l’obiettivo misura 46x60mm e pesa 170g, mentre l’intervallo dei rapporti di riproduzione ammessi risulta fuorviante perché si riferisce a quelli fisicamente concretizzabili sfruttando la variazione di tiraggio del soffietto OM, e questi fisicamente spaziano fra 4,2x e 13,6x, tuttavia nessuno vieta di utilizzare tubi aggiuntivi per finalizzare l’ingrandimento massimo previsto di 16x.
Questi macro in montatura corta sono oggettivamente ottiche di nicchia che non venivano pubblicizzate sistematicamente dall’azienda, tuttavia in una brochure della Olympus OM-4 ho recuperato questo stralcio che parla delle ottiche macro Zuiko illustrando proprio gli Auto-Macro 20mm 1:2 e 38mm 1:2,8 e dilungandosi a descriverne le caratteristiche come lo schema a 6 lenti che garantisce ottimi risultati, il diaframma automatico come nelle ottiche convenzionali e la possibilità di ottenere forti ingrandimenti; anche in questo caso il testo contribuisce a creare confusione perché indica in 12x il massimo ingrandimento realizzabile, tuttavia l’obiettivo da 20mm è previsto fino a 16x e anche con il semplice soffietto OM era in grado di arrivare a 13,5x.
Proprio l’OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 risulta il più interessante della compagine perché con l’intervallo garantito da 4x a 16x chiude l’ampio gap oggettivamente presente fra le prestazioni delle ottiche macro comuni e la vera microfotografia; in questa immagine l’ho abbinato ad un obiettivo come il Canon EF Macro 65mm 1:2,8 MP-E che si sposa magnificamente col 20mm Zuiko, coprendo a sua volta senza soluzione di continuità gli intervalli fra 1x e 5x con diaframma automatico e interfaccia completa al corpo EOS, aggiungendo anche vecchie glorie del settore come i Carl Zeiss Luminar 16mm 1:2,5 e 25mm 1:3,5 e il Canon FD 35mm 1:2,8 MP Bellows, un obiettivo di eccellenti prestazioni che copre all’incirca l’intervallo garantito dall’Olympus OM Auto-Macro 38mm 1:2,8.
La nuova accoppiata di ottiche Olympus OM macro 20mm e 38mm del 1984 con diaframma automatico, destinata a soppiantare gli originali modelli manuali con apertura 1:3,5, venne calcolata nel 1980 e durante le prime settimane del 1981, procedendo prima a disegnare il 38mm 1:2,8 e in seguito il 20mm 1:2; questi obiettivi sono stati calcolati da Yuko Kobayashi, uno specialista del settore che in seguito disegnerà altri interessanti schemi per ottiche macro Olympus OM di lunga focale con vetri ED a bassissima dispersione, progetti purtroppo rimasti nel cassetto.
La richiesta prioritaria di brevetto giapponese venne depositata da Yuko Kobayashi per conto di Olympus Optical Co. il 27 Febbraio 1981, tuttavia propongo stralci dalla successiva versione statunitense, più comprensibile; l’intestazione del documento mostra chiaramente il nuovo schema ottico simmetrico di tipo Doppio Gauss con 6 lenti in 4 gruppi, nella realtà minuscolo, e il testo puntualizza immediatamente che tale progetto ha permesso di correggere le aberrazioni in un intervallo di ingrandimenti compreso fra 4x e 16x garantendo anche l’elevata apertura 1:2.
Il documento propone il monitoraggio di varie aberrazioni ai fattori di ingrandimento 4x, 6,7x (curiosa quest’ultima scelta) e 16x; è interessante notare il controllo del coma anche a rapporti molto spinti, solitamente problematico spingendo a questi limiti ottiche meno specialistiche, e anche altre aberrazioni presentano una fluttuazione modesta nell’ampio intervallo monitorato.
Le specifiche del brevetto sono interessanti perché evidenziano le direttrici primarie che hanno guidato il progetto e anche i vantaggi dell’obiettivo rispetto ad ottiche convenzionali portate a simili ingrandimenti; infatti, nonostante la grande apertura e l’intervallo ottimizzato compreso fra 4x e 16x, l’andamento dell’aberrazione sferica e la giacitura dei piani-immagine fuori asse prevedono variazioni contenute spaziando sull’intero range, e lo schema è concepito per gestire i movimenti fuori asse in modo da mantenere il centro del fotogramma e le zone periferiche sullo stesso piano di fuoco in un ampio intervallo di ingrandimenti; infine, l’aberrazione sferica è gestita per escludere spostamenti di fuoco fra il piano a tutta apertura e quello a diaframma chiuso; tutte queste caratteristiche, in effetti molto favorevoli ed eccezionali in un macro così luminoso destinato a superare l’ingrandimento di 15x, definiscono un obiettivo dalle prestazioni superiori.
Lo schema Doppio Gauss utilizzato nel 20mm 1:2 sembra adottare varie superfici piatte, a raggio infinito e quindi più facili da molare e lucidare, tuttavia basta un’occhiata ai dati grezzi di progetto presenti nello stralcio precedente per osservare invece come tutte quelle superfici prevedano in realtà una leggerissima curvatura, definite da un raggio di grande entità, pertanto la loro lavorazione risulta invece complessa, soprattutto considerando le minuscole dimensioni di tali elementi; si tratta quindi di un gruppo ottico che chiama in causa tutte le competenze Olympus nella produzione di minuscole lenti per obiettivi da microscopio.
Nell’OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 sono stati impiegati 5 tipi di vetro ottico e 4 elementi sono prodotti con vetri agli ossidi delle Terre Rare ad alta rifrazione e bassa dispersione; osservando le caratteristiche rifrattive/dispersive dei materiali tendo a propendere per una fornitura da parte della vetreria Ohara e passando in rassegna la struttura troviamo in L1 ed L4 il lanthanum Dense Flint LaSF016, il L2 il lanthanum Crown LaK18, in L3 il Dense Flint SF10, il L5 il Dense Crown SK10 e in L6 il lanthanum Flint LaF010 (ovviamente i codici sono quelli interni della gamma Ohara).
E’ quindi uno schema piuttosto raffinato ma i costi di produzione non dipendono tanto dai vetri ottici scelti bensì dalle dimensioni insolitamente ridotte abbinate ad elementi con curvature infinitesimali.
L’Olympus OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2, distribuito fino al 2002 come il resto del sistema Olympus OM, è stato un obiettivo speciale rimasto lontano dai clamori della ribalta, tuttavia le sue caratteristiche ottiche e meccaniche tracciavano un solco eloquente con la versione originale da 20mm 1:3,5 e davano vita ad un modello che costituiva lo stato dell’arte per chi doveva operare giocoforza a simili ingrandimenti e sapeva anche sfruttare la grande apertura con buona planeità e assenza di coma per massimizzare la risolvenza disponibile; a tale proposito un famoso rivenditore specializzato in materiale Olympus OM mi riferì che uno specialista in forza ad un team di investigazioni scientifiche e forensi della Capitale riuscì a finalizzare risultati mai ottenuti prima proprio passando allo Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 e facendo tesoro delle sue caratteristiche.
Senza entrare in ambiti così specialistici il 20mm 1:2 può comunque essere allettante per chiunque ambisca a realizzare macrofotografie così spinte di qualsiasi soggetto e magari accetti di attrezzarsi e impratichirsi un po’ nella tecnica dello stacking a scatti multipli, tuttavia anche in condizioni di esercizio tradizionali l’obiettivo può fornire risultati adeguati, anche considerando la facilità con la quale oggi sia possibile adattarlo a vari sistemi e corredi digitali di varie marche; ad esempio, questa immagine ritrae un minuscolo ciuffetto di Millerite, un solfuro di nichel che si può trovare nelle fessure di quarzo scheletrico delle idrotermaliti presenti sull’Appennino Bolognese; questa ripresa la realizzai nel 2015 ad ingrandimento 10x (il campo visibile effettivo è 2,4×3,6mm) montando l’OM Zuiko Auto-Macro 20mm 1:2 su un soffietto Nikon PB-6, a sua volta equipaggiato con una Canon EOS 5D Mark II adattata, ed illuminando la scena con un flash anulare TTL Canon MR-14EX; lavorando a scatto singolo chiusi il diaframma ad 1:8 che, considerando le prolunghe e il fattore pupillare del gruppo ottico, corrisponde ad un T= effettivo di ben 114,7; naturalmente, con tali valori, la diffrazione penalizza drasticamente il potere risolutivo residuo, tuttavia l’immagine costituisce ancora un compromesso accettabile fra profondità di campo e dettaglio, mostrando di cosa sia capace in relativa scioltezza questo notevole obiettivo super-macro.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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Bellissimo articolo, grandi competenze Marco. Grazie! Un saluto a tutti.