Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; questo articolo apre una serie di tre pezzi analoghi nei quali intendo descrivere un piccolo corredo di ottiche Olympus OM Zuiko, dedicandoli sequenzialmente alla focale normale, medio grandangolare e medio-tele; ciascun articolo riferito ad una di tali focali comprenderà due alternative: il modello luminoso e la variante di minore apertura e più abbordabile.
Le ottiche Olympus OM Zuiko, il cui esordio risale al 1972, hanno scosso il mercato introducendo inediti parametri di compattezza ed esplorando nuove opzioni di correzione che permettevano, ad esempio, di ottenere un’insolita qualità ai bordi nelle versioni grandangolari; queste specifiche sono interessanti tuttora e molti appassionati continuano ad utilizzare gli OM Zuiko anni ’70 e ’80 sulle moderne fotocamere digitali anche grazie alla facilità con cui si possono adattare, anche su reflex come Canon EOS; in particolare, lo svincolo dell’obiettivo applicato direttamente sulla flangia del barilotto consente di sostituirlo lasciando il relativo anello fisso in macchina anche nel caso di utilizzo su corpo reflex a lungo tiraggio e con adattatore di ridottissimo spessore, quando con ottiche di altre marche è invece necessario rimuovere l’obiettivo con l’anello solidale, togliere quest’ultimo, applicarlo all’altra ottica e rimontare il tutto in macchina; tutte queste caratteristiche rendono gli OM Zuiko molto appetibili per il fotografo attuale che desideri utilizzare obiettivi vintage o comunque ottenere risultati soddisfacenti con un’esposizione economica contenuta.
In questo pezzo d’esordio descriveremo due obiettivi standard del sistema OM: il classico Zuiko 50mm 1:1,8, fornito a corredo con ogni corpo macchina e prodotto in milioni di esemplari, e il prestigioso Zuiko 55mm 1:1,2, l’obiettivo superluminoso del sistema e molto ambito da tutti gli appassionati del marchio; trattandosi di un approccio mirato all’utilizzo postumo su fotocamere moderne e in mano ad utenti abituati alle elevate prestazioni delle ottiche attuali, nel caso del 50mm 1:1,8 prenderò in considerazione la seconda versione di schema ottico, introdotta nel 1979 e caratterizzata da prestazioni complessivamente superiori al modello originale.
Iniziamo questo breve percorso proprio dal più semplice ed economico 50mm 1:1,8, oggi facilmente reperibile a cifre risibili.
Lo Zuiko 50mm 1:1,8, disegnato come ottica fornita in bundle di primo equipaggiamento, esiste in pratica fin dall’esordio del sistema OM e anche prima: su nocsensei è online da tempo un mio articolo che descrive il prototipo Olympus MDN del 1969, una reflex 35mm avveniristica impostata come una medio-formato in miniatura a moduli intercambiabili, e già questo modello creato tre anni prima era equipaggiato con uno Zuiko 50mm 1:1,8 che risultava otticamente identico alla successiva versione che tutti conosciamo e ne anticipava in gran parte anche le soluzioni meccaniche ed estetiche; con queste premesse è quindi scontato che lo Zuiko 50mm 1:1,8 per OM sia esistito anche in versione “M-System”, appartenente alla tiratura prodotta soltanto per il mercato interno giapponese nel breve interregno fra l’inizio d’Estate e la Photokina 1972, un obiettivo praticamente identico al modello poi distribuito in tutti i continenti con l’eccezione della denominazione “M” e la presenza di viti piane anziché Philips.
Questa illustrazione originale della Olympus M-1 del 1972 con ottica Zuiko 50mm 1:1,8 “M-System” evidenzia per l’obiettivo una matricola 100.011 che testimonia una continuità diretta con la versione vista nel 1969 sulla citata Olympus MDN; infatti sono noti tre prototipi di Zuiko 50mm 1:1,8 per MDN, caratterizzati dalle matricole prototipiche 100.001, 100.003 e 100.004, e l’esemplare qui illustrato con la M-1 riprende quindi tale sequenza, ed è possibile che sia in effetti il primo ad essere stato prodotto in configurazione per M-1 (nella versione per MDN del 1969 la matricola nota più alta è 100.004 ma è plausibile pensare che almeno 10 esemplari fossero stati assemblati, quindi forse fino alla matricola 100.010); escludendo le viti a taglio e la denominazione “M System”, il gruppo ottico e la configurazione esteriore dell’obiettivo illustrato verranno poi mantenute nella serie “OM System” fino all’introduzione del nuovo schema ottico del 1979; in realtà, nel frattempo, furono previsti piccoli aggiustamenti in corsa, modificando alcuni dettagli come le lamelle del diaframma e il relativo fulcro e comando di azionamento, tuttavia non sono palesemente visibili all’esterno e quindi non interessano l’utente.
Lo step evolutivo più importante dell’OM Zuiko 50mm 1:1,8 risale appunto al 1979, quando l’originale schema ottico Doppio Gauss a 6 lenti in 5 gruppi ereditato dalla MDN venne sostituito da una struttura analoga ma caratterizzata dall’unione della seconda e terza lente in un doppietto collato, generando la classica architettura simmetrica a 6 lenti in 4 gruppi; questa struttura, sebbene introdotta principalmente con la finalità di ridurne i costi di produzione, garantiva un rendimento ottico superiore e si avvantaggiava anche dall’applicazione del rivestimento antiriflessi multistrato, finalmente introdotto con un colpevole ritardo che aveva imposto a tutti i proprietari della prima versione a 6 lenti in 5 gruppi di utilizzare estensivamente il paraluce e prestare attenzione alle situazioni sfavorevoli; fra le principali varianti che appartengono alla seconda serie con 6 lenti in 4 gruppi si può citare il modello con denominazione “MC” (Multicoating) in chiaro e la denominazione 1:1,8 f=50mm e quello più recente, aggiornato con antiriflessi evoluto NMC (New Multicoating) e riconoscibile per l’assenza della scritta “MC” e per la denominazione 50mm 1:1,8; ritengo che quest’ultima costituisca la scelta preferenziale per chi voglia acquisire il proprio esemplare fra i milioni di pezzi prodotti.
Il 50mm 1:1,8 consente di diaframmare da 1:1,8 ad 1:16 con scatti sui valori interi, mette a fuoco fino a 0,45m ed utilizza filtri da 49×0,75mm, in comune con almeno un esemplare di ciascuna focale OM compresa fra 21mm e 200mm; l’obiettivo misura appena 31mm di lunghezza per 57mm di diametro e pesa 170g, valori molto contenuti che fecero scuola e che ritroviamo in vari obiettivi dello stesso tipo arrivati in seguito come l’SMC Pentax M 50mm 1:1,7 o i Nikon Nikkor AiS new e Nikon Series E 50mm 1:1,8.
Compatto, ben costruito nonostante la grande serie e il prezzo ridotto e rivestito di una livrea elegante e accattivante, l’OM Zuiko 50mm 1:1,8 si sposava perfettamente con i compatti corpi OM, creando un sodalizio fonte di grandi soddisfazioni per gli utenti.
Analizzando gli esplosi meccanici originali è facile osservare l’evoluzione dello schema ottico introdotta nel 1979: nel primo documento, riferito alla versione 1972-79 con antiriflessi singolo, sono chiaramente in evidenza le tre lenti anteriori del Doppio Gauss tutte spaziate fra loro, mentre nel secondo schema, corrispondente ai modelli successivi e con antiriflessi multiplo, si nota come le prime tre lenti siano assemblate in un singolo modulo, nel quale la seconda e la terza risultano collate in un doppietto; l’accorpamento dei primi tre elementi ottici in una singola sede costituisce anche una semplificazione meccanica volta a ridurre i costi, principio informatore costantemente seguito dai fabbricanti, specie per ottiche fornite di serie come primo equipaggiamento ed il cui prezzo di listino doveva quindi essere contenuto al massimo.
Questo schema evidenzia le modifiche introdotte nella struttura ottica dell’OM Zuiko 50mm 1:1,8 nel passaggio dalla prima alla seconda generazione; la nuova configurazione è molto simile a quella adottata tre anni prima sul Leitz Summicron-R 50mm 1:2 di Walter Mandler, ed osservando la grafica si ha l’impressione che il progettista abbia replicato le stesse soluzioni adottate dal tecnico tedesco per contenere i costi di produzione, cioè rendere piatta la superficie di vari elementi (ad esempio, il piano d’incollaggio del due doppietti o la superficie interna dell’ultima lente), semplificando quindi drasticamente le fasi di molatura.
Come già anticipato, il progetto di questo nuovo schema Olympus inseguiva effettivamente un contenimento dei costi rispetto al precedente, tuttavia non venne perseguito con queste modalità: infatti, mentre il Summicron-R di Mandler prevedeva effettivamente 5 superfici a raggio infinito, cioè assolutamente piatte, nello schema del nuovo OM Zuiko 50mm 1:1,8 gli elementi corrispondenti palesano invece una leggerissima curvatura (sia i due punti d’incollaggio dei doppietti che il raggio anteriore dell’ultima lente sono in realtà leggermente convessi), prevedendo un raggio estremamente ampio e rendendo la lavorazione molto difficile e quindi più costosa; questo sacrificio, d’altro canto, permette di avere 10 superfici rifrangenti, contro le 7 disponibili nel Summicron-R, aumentando drasticamente le variabili di calcolo per ottimizzare le prestazioni.
Vediamo quindi come i progettisti hanno finalizzato una riduzione dei costi rispetto al modello originale, sebbene le procedure di molatura delle lenti fossero rimaste inalterate e, addirittura, avessero aggiunto un secondo punto di incollaggio.
Lo schema ottico del nuovo Olympus OM Zuiko 50mm 1:1,8 venne calcolato nel corso del 1978 e fu presentato per la registrazione prioritaria del brevetto giapponese il 26 Gennaio 1979; i responsabili di questo calcolo furono Hiroshi Takase e Toru Fujii, quest’ultimo personaggio di prima grandezza che, nel corso della carriera, progettò altri obiettivi OM Zuiko come i vari 28mm 1:2, 35-70mm 1:3,6, 75-150mm 1:4 e 500mm 1:8 reflex; la via seguita dai progettisti per contenere i costi di produzione fu quella di utilizzare vetri ottici più economici: infatti, solitamente, i due elementi anteriori di un Doppio Gauss normale come questo sono realizzati con vetri ad alta rifrazione e bassa dispersione del tipo lanthanum Dense Flint alle Terre Rare, ovvero la tipologia più costosa presente nei cataloghi; esistono tuttavia anche i vetri della gamma Dense Flint (SF) che garantiscono parimenti l’elevato indice di rifrazione del lanthanum Dense Flint (LaSF) ma prevedono una dispersione cromatica molto più elevata, garantendo però un costo decisamente più ridotto.
La mission di Takase e Fujii fu quella di eliminare i vetri agli ossidi delle Terre Rare delle prime due lenti, sostituendo la prima con un Dense Filnt ad altissima rifrazione (oltre 1,8) e alta dispersione (numero di Abbe 25,4) e la seconda con un Dense Crown SK che garantiva una rifrazione solamente media (1,589) ma anche una dispersione piuttosto contenuta (numero di Abbe 60,1) e tale da compensare il relativo deficit introdotto con la prima lente; considerando che anche gli elementi L3 ed L4 adiacenti al diaframma sono realizzati con dei Dense Flint SF ad alta rifrazione ed alta dispersione privi di Terre Rare, in pratica i più costosi vetri del tipo LaSF sono stati utilizzati solamente negli elementi L5 ed L6, quindi in appena due lenti su sei dello schema; questo è il segreto dell’effettivo contenimento dei costi rispetto al 50mm precedente e la dimostrazione della maestria di chi ha realizzato il progetto è confermata dall’incremento prestazionale ottenuto pur rinunciando a materiali più favorevoli.
Pertanto, in dettaglio, il nuovo 50mm 1:1,8 a sei lenti in quattro gruppi con due doppietti collati utilizza tre vetri Dense Flint SF (Sumita SF6 in L1, Sumita SF11 in L3 e Sumita SF14 in L4), un Dense Crown SK (Sumita SK5 in L2) e due lanthanum Dense Flint (Sumita LaSFN14 in L5 ed L6).
Questa configurazione, nell’uso pratico, non produce il punch cromatico e di contrasto di certi concorrenti e a tutta apertura 1:1,8 la qualità è solo media, con un evidente velo di flare, tuttavia alle medie aperture 1:5,6 ed 1:8 il potere risolvente aumenta drasticamente, raggiungendo livelli realmente calligrafici e con ottima uniformità sul campo, prestazioni che gli permettono di rivaleggiare serenamente con i migliori campioni della categoria; si tratta quindi di un modello indicato per chi cerchi un elevato riconoscimento dei dettagli e preveda di utilizzare l’obiettivo prevalentemente a diaframma ben chiuso, senza sfruttare la massima apertura aspettandosi la presenza di un Summicron.
Aggiungo volentieri in coda questa immagine realizzata da Greg Williams per Esquire, nella quale il celeberrimo attore britannico incarna un modello di eleganza senza tempo, sottolineata dai creativi anche con la presenza di una Olympus OM-1 con OM Zuiko 50mm 1:1,8 realisticamente brandeggiata in mano!
Passando all’OM Zuiko 55mm 1:1,2, occorre puntualizzare che anche questo modello molto luminoso fu disponibile fin dall’esordio del relativo sistema: infatti, negli anni immediatamente precedenti, importanti realizzazioni con apertura 1:1,2 erano già state lanciate da futuri concorrenti diretti come Leitz, Nikon e Canon, quindi probabilmente il management Olympus ritenne che per il nuovo sistema OM, in arrivo con dichiarate velleità professionali, un obiettivo-flagship di identica luminosità fosse irrinunciabile.
Esiste quindi anche per tale modello una piccola tiratura con denominazione “M System” confezionata nell’estate 1972 per il solo mercato giapponese e poi corretta in “OM System” dopo la Photokina d’Autunno e le relative rimostranze dell’azienda Leitz; nel caso del 55mm 1:1,2 la produzione di questa preserie fu decisamente contenuta: non è possibile definire l’overlap esatto, tuttavia l’esemplare “M System” a me noto con matricola più alta arriva a 101.753 (ricordo che, solitamente, le matricole Olympus partivano da 100.001) mentre il primo “OM System” che ho potuto osservare riporta la matricola 102.583; ritengo quindi che i pezzi prodotti con denominazione “M System” possano essere all’incirca 1.800, un valore provvisorio e ovviamente soggetto a revisione qualora in futuro apparissero esemplari “M System” con matricola superiore.
Il primo tipo “M System” utilizza lo stesso schema ottico che verrà mantenuto per tutta la serie, fino ad inizio anni ’80 quando l’obiettivo uscirà di scena senza clamori con l’avvento dell’OM Zuiko 50mm 1:1,2; anche il suo barilotto e le caratteristiche estetiche, come i filetti anteriori cromati (da cui il soprannome “chrome nose”) e la denominazione G.ZUIKO AUTO-S 1:1,2 f=55mm rimarranno invariate nella serie.
Il modello prodotto nei primi anni era riconoscibile per i filetti cromati anteriori ed era virtualmente analogo al tipo “M System” tranne che per la nuova denominazione “OM System” e le viti tipo Philips della baionetta; l’OM Zuiko 55mm 1:1,2 adotterà un antiriflessi semplice per tutta la sua parabola, dalla preserie “M” del 1972 agli ultimi esemplari prodotti, senza mai accedere al multicoating (prerogativa poi acquisita del successivo Zuiko 50mm 1:1,2); si tratta di una scelta aziendale che ha dato origine a molte discussioni e forse nacque nell’alveo di una corrente di pensiero che preferisce antiriflessi semplici applicati ad obiettivi luminosi creati per fotografare a luce ambiente perché la soglia di velo prodotta nelle ombre eleva la loro luminosità, fornendo una percezione apparente di maggior dettaglio in tali zone; questa naturalmente è solo una speculazione personale.
La serie successiva è praticamente identica alla precedente e, a parte aggiustamenti interni che vedremo in seguito, dal punto di vista estetico si riconosce solo per l’eliminazione dei filetti cromati, adottando una livrea tutta nera che risulta più moderna ed aggressiva, pur con la scelta anacronistica di mantenere ancora l’antiriflessi semplice d’origine.
L’obiettivo, considerando l’apertura massima, è sicuramente molto compatto e i tecnici hanno fatto miracoli, avvolgendo lo schema ottico in un barilotto davvero minimale, tuttavia per gli standard Olympus OM le sue dimensioni non sono da record e infatti la stessa Azienda abbinava questo modello all’OM Zuiko 100mm 1:2,8 per evidenziare come il medio-tele replicasse il pratica gli ingombri del 55mm, sottolineando così l’estrema compattezza del 100mm.
In tempi di ottiche standard assemblate con fusioni in resina e moduli semplificati al massimo, sovente fissati con viti filettate direttamente nella plastica, l’esploso dell’OM Zuiko 55mm 1:1,2 ci rivela invece una sofisticata meccanica; questo modello non ebbe aggiornamenti ottici e quindi le relative modifiche meccaniche non ebbero corso, tuttavia passando dal primo tipo “chrome nose” alla successiva versione tutta nera la Olympus riuscì comunque a semplificare qualcosa nell’assemblaggio.
Infatti, aggiornando il barilotto, la Casa ha provveduto a modificare la serie di ghiere e castoni destinati al fissaggio degli elementi ottici, e nel nuovo modello i relativi elementi meccanici sono sei in luogo dei sette impiegati in precedenza.
Garantendo un incremento nell’apertura massima superiore ad 1 f/stop, lo schema ottico del 55mm 1:1,2 è naturalmente più complesso di quello utilizzato nel 50mm 1:1,8 e sfrutta un classico e collaudato schema Doppio Gauss asimmetrico a 7 lenti in 6 gruppi, con un solo doppietto collato dietro il diaframma; questo schema è stato largamente adottato per i normali luminosi di quasi tutti i concorrenti, tuttavia lo Zuiko si differenzia perché il raggio di curvatura nel punto di contatto fra le due lenti collate è negativo, cioè la superficie cementata del doppietto è concava, mentre solitamente in schemi del genere risulta convessa; secondo il fabbricante sarebbe proprio questo il segreto delle sue ottime prestazioni.
Infatti, osservando questa pagina tratta da una brochure degli obiettivi OM stampata negli anni ’70 (questa è la scansione dell’originale che mi venne dato a 15 anni di età con la mia prima OM-1n), il dettaglio della superficie di incollaggio concava viene debitamente sottolineato, un elemento peraltro presente anche nel fratellino 50mm 1:1,4, anch’esso eccellente.
Anche il pamphlet di istruzioni focalizza l’attenzione si questo elemento distintivo della progettazione ottica, sottolineando anche le tipiche prerogative di un obiettivo così luminoso, come la facilità di messa a fuoco e la capacità di isolare il soggetto dallo sfondo grazie ad una ridottissima profondità di campo; il documento si premura anche di gettare acqua sul fuoco affermando che i 43° di copertura sono in pratica corrispondenti al tipico angolo di campo di un obiettivo standard, per replicare ai mugugni della clientela per quella focale aumentata a 55mm in luogo dei classici 50mm; in realtà questa scelta fu condivisa da molti fabbricanti fino ai primi anni ’70 perché risultava molto difficile calcolare un obiettivo così luminoso pur mantenendo l’ampio spazio retrofocale richiesto dai corpi reflex, e l’aumento della focale a 55, 57 o 58mm aiutava il progettista in tal senso.
L’OM Zuiko 55mm 1:1,2 venne calcolato da JIhei Nakagawa, forse il progettista più rilevante e talentuoso messo in campo da Olympus negli anni ’70, un autentico accademico il cui testo fondamentale sull’ottica fotografica veniva utilizzato come riferimento addirittura dai colleghi delle altre aziende fotografiche; curiosamente non esiste un brevetto giapponese prioritario e il documento americano qui allegato rappresenta la prima richiesta in ordine di tempo, consegnato per la registrazione all’United States Patent Office il 5 Novembre 1971, quando a tutti gli effetti il primo lotto di obiettivi marcati “M System” per il mercato interno era già stato prodotto e tale modello era già stato esposto alla Photokina di Colonia.
Come anticipato, Nakagawa-San utilizzò uno schema tipo Doppio Gauss asimmetrico a 7 lenti nel quale, anticipando il trend generale, il doppietto anteriore non era collato ma spaziato ad aria, permettendo quindi di prevedere per le superfici interne contigue due raggi di curvatura differenti che producevano maggiori variabili di calcolo; nello schema del brevetto si osserva bene l’elemento distintivo di questo schema,cioè il raggio concavo nell’incollaggio del doppietto posteriore.
La realizzazione di schemi Doppio Gauss estremamente luminosi richiede l’adozione di vetri sofisticati e costosi con altissima rifrazione e bassa dispersione per contenere il raggio di curvatura degli elementi (favorendo la correzione delle aberrazioni) e ridurre l’aberrazione cromatica grazie al favorevole numero di Abbe di questi materiali, e anche lo Zuiko 55mm 1:1,2 non fa eccezione: tutti i materiali utilizzati nelle 7 lenti hanno un indice di rifrazione molto elevato e compreso fra 1,806 e 1,728 e gli elementi, ad esclusione delle due lenti attigue al diaframma (prodotte come al solito con materiali Dense Flint ad alta rifrazione e alta dispersione), prevedono vetri agli ossidi delle Terre Rare, e precisamente lanthanum Dense Flint per L1 ed L2 e lanthanum Crown per L5, L6 ed L7; non si tratta quindi certamente di un gruppo ottico economico da produrre, anche considerando il diametro degli elementi.
Una caratteristica misteriosa, condivisa da altri modelli come il famoso Canon FD 55mm 1:1,2 asferico della stessa epoca, riguarda la radioattività randomica legata alla presenza di torio nelle lenti: mentre le prime versioni “chrome nose” denunciano l’inconfondibile ingiallimento delle lenti e una lettura apprezzabile, il successivo modello completamente nero risulta inerte, tuttavia non esistono evidenze di alcuna modifica allo schema ottico e alla sequenza di vetri utilizzati.
Dopo molti interrogativi e ricerche ho trovato una risposta plausibile nella storia di uno dei vetri ottici utilizzati, specificamente quello previsto per la seconda lente: questo materiale veniva fornito dalla vetreria Sumita e corrispondeva alle specifiche standard Schott di lanthanum Dense Flint LaSF43; questo materiale inizialmente era commercializzato da Sumita come LaSF1 ed utilizzava effettivamente ossido di torio per la sua formulazione, poi l’azienda riuscì a presentare una versione modificata, con sigla LaSFn1 (dove n sta per new) che eliminava l’ossido di torio, pur mantenendo parametri rifrattivi e dispersivi identici, rendendo quindi il secondo tipo intercambiabile col primo; la serie “chrome nose” venne quindi prodotta utilizzando il tipo LaSF1 mentre il tipo “all black” sfruttava invece la nuova formulazione LaSFn1 e questo spiega perché dello stesso obiettivo esistano esemplari che producono una lettura al dosimetro e altri completamente inerti.
Il 55mm 1:1,2 prevede una lunghezza di 47mm, un diametro di 65mm e pesa 310 grammi, valori contenuti in senso assoluto ma leggermente abbondanti per chi sia abituato allo standard Olympus OM; il diametro della lente anteriore ha imposto di adottare filtri da 55×0,75mm, fuori dallo standard consueto da 49×0,75mm, il diaframma a 8 lamelle chiude da 1:1,2 ad 1:16 con arresti a scatto solo su valori interi e la ghiera di messa a fuoco consente di focheggiare fino a 0,45cm, non presentando quindi alcuna limitazione in questo senso rispetto ai meno estremi 50mm 1:1,4 e 50mm 1:1,8, sebbene questo modello superluminoso venisse sconsigliato per riproduzioni ravvicinate di soggetti piani, evidentemente per via di una curvatura di campo più marcata a distanze ridotte.
Dal punto di vista delle prestazioni, l’OM Zuiko 55mm 1:1,2 non adottava l’elemento asferico presente invece nel famoso obiettivo Canon FD di analoghe specifiche presentato nel 1971 (probabilmente all’epoca solo Canon poteva realizzare superfici paraboliche in larga scala a costi accettabili), tuttavia la sua qualità ottica è sempre stata proverbiale; alla massima apertura occorre fare i conti con un certo veiling glare, un po’ di coma e una vistosa vignettatura, tuttavia il potere risolvente nudo e crudo ad 1:1,2 risulta superiore alla media dei concorrenti di pari categoria, specie ai bordi; anche diaframmato questo normale garantisce un’ottima brillantezza e nitidezza (a diaframmi centrali e sull’asse addirittura superiore a quella dell’eccellente 50mm 1:1,8) e solo ai bordi cede un po’ in omogeneità di rendimento rispetto al fratellino meno luminoso; in ogni caso è un ottimo value for money per il vintagista, adatto anche per l’uso in video.
A titolo di curiosità segnalo anche queste versioni speciali, realizzate artigianalmente in tempi recenti dalla ditta tedesca OM Labor partendo da esemplari normalmente reperiti in commercio che vengono quindi smontati, revisionati completamente e lavorati a macchina per eliminare l’anodizzazione nera originale e restituire questa insolita finitura satinata che ha diviso gli appassionati fra favorevoli e contrari, specialmente nel caso di modelli abbastanza rari la cui originalità veniva pregiudicata.
Riassumendo la nostra chiacchierata, la serie di normali Olympus OM Zuiko presenta dimensioni e pesi contenuti e la qualità ottica è molto buona, specialmente se prendiamo in considerazione la seconda versione del 50mm 1:1,8 lanciata nel 1979; quest’ultimo modello risulta estremamente economico sul mercato, presenta prestazioni eccellenti ed omogenee a diaframmi centrali ed è in grado di soddisfare anche un sensore moderno ad alta densità, mentre non eccelle alla massima apertura, quindi non è un obiettivo per amanti del tutto aperto, sebbene sia oggettivamente luminoso; d’altro canto il 55mm 1:1,2 garantisce buoni risultati anche a diaframma spalancato, accettando una vistosa vignettatura, ed è il vero specialista della luce ambiente, riuscendo comunque a difendersi efficacemente anche in situazioni convenzionali; in ogni caso, scegliendo saggiamente in funzione della destinazione d’uso, l’appassionato non resterà deluso da questi due vecchi ma dotati campioni.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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