Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; questo pezzo conclude la trilogia relativa ai tele superluminosi Olympus OM presentati nel 1983 ed è dedicato al più lungo di essi, ovvero l’Olympus OM Zuiko Auto-T 350mm 1:2,8, un obiettivo la cui focale permetteva di affrontare situazioni in settori come caccia fotografica, sorveglianza e riprese sportive all’aperto da notevole distanza parzialmente preclusi ai fratelli da 180mm e 250mm di focale, sebbene questi ultimi potessero vantare un’apertura massima superiore di un intero f/stop; il 350mm 1:2,8 fu anche il primo dei 3 ad essere calcolato (il suo schema fu completato nel Luglio 1981) e ad inaugurare l’inedito sistema di messa a fuoco interna con flottaggi di elementi multipli che poi vedremo.
L’OM Zuiko 350mm 1:2,8 finalizzava quindi il trittico di “cannoni” superluminosi con lenti a bassa dispersione che comprendeva anche i modelli da 180mm 1:2 e 250mm 1:2 trattati in precedenti articoli; naturalmente anche per la focale maggiore valgono le stesse considerazioni già condivise su peso e ingombri davvero fuori norma per un sistema che nel decennio precedente aveva fatto di miniaturizzazione e leggerezza la sua bandiera, così come la scelta di proporli in convenzionale montatura con messa a fuoco manuale senza uno sbocco futuro per eventuali versioni autofocus li ha resi quasi subito obsoleti non appena i principali rivali del settore professionale hanno sfornato sistemi evoluti con messa a fuoco automatica, un vantaggio impagabile nei settori d’uso di supertele luminosi come questi, ed è un vero peccato perché dal punto di vista ottico e meccanico questi OM Zuiko garantivano uno standard molto elevato.
Trattandosi di un obiettivo prettamente professionale e proposto ad un prezzo selettivo (5.490 Dollari di fine anni ‘80, ovvero quasi 6 volte in più del pur luminoso OM Zuiko 180mm 1:2,8), il 350mm 1:2,8 era naturalmente fornito con dotazione di serie che comprendeva una robusta valigia metallica, a sua volta contenuta per il trasporto da fabbrica a rivenditore in una grande scatola di cartone; quest’ultima non era sicuramente concepita per celare discretamente il prezioso obiettivo che proteggeva, dal momento che all’esterno numerose scritte cubitali e di grandi dimensioni strillavano ai quattro venti la natura del contenuto…
La valigia metallica allungata prevedeva una robusta maniglia di trasporto e un doppio sgancio dotato di serratura a chiave per l’apertura: in questo caso l’obiettivo risultava sdraiato orizzontalmente, mentre le corrispondenti valigie per i 300mm 1:2,8 Canon FD-L e Nikkor Ai IF-ED prevedevano invece uno sviluppo verticale, con l’obiettivo in piedi appoggiato sul tappo posteriore; la stessa soluzione di Olympus venne invece adottata da Carl Zeiss per il suo Tele-Apotessar 300mm 1:2,8 T* Contax-Yashica.
Gli OM Zuiko 350mm 1:2,8 e 250mm 1:2 non condividevano solamente aspetto, dimensioni complessive e identico prezzo ma utilizzavano anche la stessa valigia di trasporto, identificabile dall’esterno solamente per le scritte sulla placca identificativa presente nell’angolo del coperchio.
La valigia aperta mostra l’obiettivo adagiato orizzontalmente e con la parte anteriore protetta da un tappo morbido in vinilpelle che abbraccia tutta la parte frontale; questa soluzione era già stata adottata da Canon e Nikon per teleobiettivi dalle analoghe caratteristiche e venne riconosciuta come valida anche da Olympus che la adottò nei suoi supertele; curiosamente, anche se il diametro anteriore delle 2 ottiche è identico, il 250mm 1:2 e il 350mm 1:2,8 sfruttavano cappucci dedicati e differenti, con la versione per il 250mm identificata dalla relativa scritta e apribile tramite 2 chiusure lampo.
La valigia prevede dimensioni più abbondanti e un settore di imbottitura rimuovibile per consentire il trasporto dell’obiettivo in abbinamento ad un corpo macchina con winder di trascinamento.
L’Olympus OM Zuiko 350mm 1:2,8 presenta il classico aspetto dei supertele professionali della categoria; riguardo alla finitura, occorre precisare che sia il 250mm 1:2 che il 350mm 1:2,8 erano inizialmente commercializzati anche il livrea completamente nera, tuttavia l’iconica finitura bianca introdotta da Canon per limitare l’escursione termica nelle lenti in fluorite era ormai impressa nell’immaginario dei professionisti come simbolo di ottica pro ad alte prestazioni, pertanto Olympus cessò quasi subito la produzione di tali versioni concentrandosi solamente su quelle bianche.
La struttura del 350mm 1:2,8 risulta molto logica e funzionale, anche grazie al lavoro pregresso svolto dai citati concorrenti e al quale Olympus si ispirò largamente; la parte anteriore di grande diametro prevede un ampio paraluce telescopico con i dati dell’obiettivo e 2 settori gommati: uno frontale come protezione da urti e abrasioni e uno posteriore inserito per agevolare l’estrazione ma anche con funzioni estetiche, come stacco ad effetto optical su fondo bianco.
La porzione centrale è occupata da un’ampia ghiera di messa a fuoco manuale con esteso settore gommato rifinito “a diamante” e scale di messa a fuoco insolitamente smaltate in arancio e nero a causa del colore del barilotto; pur essendo un obiettivo realizzato con lenti di tipo ED a bassissima dispersione, la correzione cromatica su tutto lo spettro non è assoluta e infatti è presente un riferimento per l’aggiustamento di fuoco ad infrarossi corrispondente al riferimento remoto di iperfocale all’apertura di diaframma 1:16; la distanza di messa a fuoco minima a 3m appare favorevole ma, come vedremo, arrivando in produzione è stata invece limitata moltissimo rispetto alle specifiche originali di progetto.
Procedendo oltre troviamo un ampio collare di fissaggio al treppiedi guarnito di robusti occhielli per la cinghia di trasporto, con possibilità di rotazione per foto in verticale e blocco grazie al relativo nottolino; l’ampia staffa inferiore incorpora un settore gommato per agevolare la presa trasportando l’obiettivo sottosopra con la staffa stessa utilizzata come una maniglia.
Nella parte posteriore del barilotto è presente un cassetto estraibile per speciali filtri da 46mm di diametro (altra soluzione mutuata dai supertele Canon e Nikon), la ghiera del diaframma in posizione insolita per il marchio e la caratteristica baionetta Olympus OM con doppio pulsante incorporato per sbloccare l’ottica e chiudere manualmente il diaframma; quest’ultimo può operare da 1:2,8 a 1:32 mentre l’obiettivo misura 142mm di diametro massimo, 280mm di lunghezza e pesa 3.900g, valori che solo pochi anni prima difficilmente si sarebbero immaginati per un obiettivo Olympus OM.
Un dettaglio detta staffa mostra come sia applicata al collare con 4 robuste viti e rivela anche la presenza di ben 4 attacchi filettati da 1/4” per treppiedi, una soluzione che consentiva di bilanciare il baricentro sia montando corpi macchina “lisci” che versioni con motore o altri accessori.
Il cassetto portafiltri estratto mostra grandi analogie nel design con le corrispondenti versioni Canon e Nikon e al suo interno andavano applicati filtri da 46mm a spessore ridotto creati appositamente.
Le confezioni di due filtri (UV e Skylight) evidenziano la scritta “FILTER REAR 46mm” e confermano la specificità di queste versioni, non intercambiabili con comuni filtri anteriori da 46mm.
Per quanto riguarda lo schema ottico, l’architettura dell’OM Zuiko 350mm 1:2,8 ricorda immediatamente agli esperti quella utilizzata nel primo Nikon Nikkor 300mm 1:2,8 IF-ED, sia manual focus che AF, tuttavia vedremo in seguito che il suo sistema di messa a fuoco interna propone evidenti migliorie rispetto a quello del Nikkor; lo schema è ufficialmente descritto come composto da 9 lenti in 7 gruppi ma questa affermazione comprende anche il filtro piano-parallelo posteriore, mentre gli elementi effettivamente rifrangenti sono 8 in 6 gruppi; notate anche in sezione il grande “light baffle” che scherma la luce dopo la terza lente, riducendo il rischio di riflessi indesiderati.
Riproponendo gli schemi dei 3 tele superluminosi OM, si può immediatamente osservare come il flottaggio per la messa a fuoco interna del 350mm 1:2,8 segua lo stesso schema del 250mm 1:2 (in realtà quest’ultimo fu completato solo l’anno successivo, adottando quindi la soluzione dal 350mm), sfruttando il movimento di ben 3 differenti moduli; questa soluzione, come vedremo, era stata concepita non soltanto per mantenere una buona correzione su tutto l’intervallo di fuoco ma anche per accedere a distanze eccezionalmente ridotte, con il proposito di realizzare incredibili supertele extraluminosi e realmente macro.
Infatti, anticipando i contenuti tecnici del relativo brevetto, nel progetto originale dell’OM Zuiko 350mm 1:2,8 la distanza minima di messa a fuoco prevista scendeva addirittura fino a 0,6m, un valore senza precedenti che avrebbe consentito autentiche riprese macro ad elevato rapporto di riproduzione pur mantenendo una distanza ragionevole dal soggetto.
Per finalizzare una simile escursione i moduli L4-L5 (giallo), L6 (verde) ed L7-L8 (magenta) prevedevano un flottaggio indipendente: passando da infinito a 1m, i moduli L4-L5 ed L6 arretravano con corsa differenziata, riducendo lo spazio interposto fra essi, mentre il modulo L7-L8 avanzava andandogli incontro; passando da 1m a 0,6m i moduli L4-L5 ed L6 continuavano ad arretrare riducendo contestualmente il gap fra essi grazie alla corsa maggiore del primo, mentre il terzo modulo L7-L8 invertiva la corsa, retrocedendo, per evitare l’impatto con gli altri che proseguivano nella sua direzione; dal momento che il modello di serie venne poi limitato a 3m, il sistema non raggiungeva mai le condizioni dell’ultima configurazione, pertanto il gruppo posteriore L7-L8 si spostava in avanti per tutta l’escursione ammessa senza mai retrocedere nuovamente.
Se invece osserviamo il brevetto per l’analogo supertele Nikon a messa a fuoco interna, disegnato da Soichi Nakamura e consegnato per la registrazione in Giappone il 28 Dicembre 1974, troviamo una struttura concettualmente simile (e modelli di serie utilizzeranno anche un doppietto posteriore cementato analogo a quello Olympus), tuttavia il flottaggio per la messa a fuoco interna era semplificato e le lenti evidenziate in grafica si muovevano tutte assieme, con una singola traslazione.
Lo schema ottico dell’OM Zuiko 350mm 1:2,8 venne disegnato da Hiroshi Takase e la richiesta per il brevetto prioritario giapponese (del quale osserviamo la prima pagina) venne depositata il 21 Luglio del 56° anno dell’era Showa (1981).
Osservando la tabella con i dati grezzi di progetto (raggi di curvatura delle superfici, spessori sull’asse degli elementi ottici, spazi fra i medesimi e valori rifrattivi e dispersivi dei vetri usati) si osserva immediatamente la presenza di vetro ED a bassissima dispersione per i 2 grandi elementi frontali (subito riconoscibile per il numero di Abbe 81,6, tipico di tali materiali e spia di una dispersione cromatica molto ridotta), mentre i dati relativi agli spazi fra certi elementi che definiscono il flottaggio di fuoco confermano nuovamente che lo schema originale del 1981 era stato previsto per una regolazione estesa fino a 0,6m.
Lo schema del brevetto conferma il triplo flottaggio, l’accesso ipotizzato alla distanza di 0,6m e l’inversione della direzione per il modulo posteriore oltrepassando la distanza di 1m per evitare il contatto col la sesta lente.
Queste tabelle simulano le aberrazioni con tale configurazione a infinito (sinistra) e con messa a fuoco minima a 0,6m (destra); le componenti sferocromatiche (a sinistra) e il coma (in basso) peggiorano ma si tratta di un intervallo di regolazione davvero molto esteso, senza contare l’enorme apertura relativa relazionata alla focale.
Il gruppo ottico dell’OM Zuiko 350mm 1:2,8 venne realizzato impiegando 4 tipi di vetri ottici, e l’adozione di materiale ED per le 2 enormi lenti anteriori in un momento in cui era ancora molto costoso giustifica in parte il prezzo elevato di questo modello, senza contare la complicazione meccanica del sistema di camme e asole per il flottaggio indipendente di 3 moduli distinti; anche in questo caso il delicato vetro ED risulta esposto direttamente e senza il filtro neutro protettivo fisso adottato da Canon e Nikon in analoghe circostanze; evidentemente Olympus contava sulla resistenza del rivestimento antiriflesso per evitare danni, tuttavia l’utente di questo teleobiettivo dev’essere cosciente di tale dettaglio e prestare estrema cura a non danneggiare la lente frontale.
Partendo dagli elementi anteriori troviamo quindi un vetro Phosphate Crown PK di specifiche ED tipo Sumita K-PFK80 in L1 ed L2, un Dense Flint SF8 tipo Sumita K-SFLD8 in L3 ed L7, un Dense Flint SF18 tipo Sumita K-CD120 in L4, un barium Crown BAK4 tipo Ohara S-BAL14 in L5 ed L6 e un lanthanum Crown LAK14 tipo Sumita K-LAKn14 in L8; il filtro posteriore a cassetto da 46mm con superfici piano-parallele era invece realizzato con un Borosilicate Crown BK7.
L’excursus nel listino Ohara per il barium Crown si giustifica con l’assenza di un vetro con quelle identiche caratteristiche nel catalogo Sumita, abituale partner Olympus nella fornitura di vetro per le ottiche OM Zuiko.
Un obiettivo così costoso e di nicchia difficilmente veniva sottoposto a test dalla stampa specializzata, considerando i costi di acquisizione e il ridotto numero di lettori potenzialmente intenzionati o in grado di acquistarlo, tuttavia negli anni ’80 la rivista “Fotografiamo” fece eccezione e provò l’Olympus OM Zuiko 350mm 1:2,8, sebbene limitandosi a misurare la risoluzione disponibile sull’asse del fotogramma, trascurando le zone mediane e i bordi; la qualità venne giudicata elevata, con l’unica osservazione relativa alla massima apertura 1:2,8 che presentava un evidente flessione, suggerendo quindi di lavorare ad 1:4 non appena possibile; naturalmente la redazione metteva in guardia contro entusiastiche velleità di impiego a mano libera e curiosamente considerava un vantaggio la messa a fuoco minima ad “appena” 3 metri, ignara del reale potenziale previsto in sede di progetto e poi non sfruttato.
Il 350mm 1:2,8 completava quindi un trittico di teleobiettivi superluminosi di squisita estrazione professionale che, assieme al lancio di corpi sofisticati come le Olympus OM-3 ed OM-4 (poi sublimate nella corrispondente versione Ti), evidenzia un progetto di ampio respiro introdotto negli anni ’80 per trasformare il sistema OM, universalmente amato per la compattezza ma diffuso soprattutto fra i fotoamatori, in un’alternativa credibile per i professionisti che fino ad allora si affidavano quasi esclusivamente a Canon e Nikon; le intenzioni erano lodevoli e le risorse dispiegate davvero ingenti, tuttavia a remare contro c’era l’assenza di un vero corpo “panzerkamera” a prova di strapazzi e uso esasperato e, soprattutto, la rivoluzione autofocus che i citati concorrenti seppero gestire adeguatamente mentre Olympus mancò l’aggancio, limitandosi a proposte amatoriali e senza una transizione dell’intero corredo verso la nuova realtà, costringendo il sistema a vivacchiare e spegnersi lentamente.
A parte queste amare considerazioni, quanto detto nulla toglie ai grandi meriti intrinseci dell’OM Zuiko 350mm 1:2,8, un supertele luminoso che quantomeno eguagliava il corrispondente Nikkor AiS 300mm 1:2,8 di riferimento per prestazioni, design e qualità costruttiva; se l’azienda avesse introdotto corpi professionali autofocus di alta gamma come i citati rivali nipponici e trasformato in AF questi cannoni, forse la storia del marchio e del sistema OM oggi sarebbe radicalmente differente!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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