Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il sistema di obiettivi OM esordì nel 1972 prevedendo a corredo un solo obiettivo a focale variabile, il famoso zoom 75-150mm 1:4, modello che per alcuni anni rappresentò l’unica offerta Olympus in questa categoria dalla frenetica evoluzione; nel frattempo Nikon aveva bruciato i tempi presentando il primo zoom grandangolare, il Nikkor 28-45mm 1:4.5 del 1975, e anche Canon fin dal 1973 aveva prodotto un ottimo FD 35-70mm 1:2,8-3,5 con un sofisticato meccanismo per la posizione macro, brevettato: l’attenzione dei consumatori per l’evoluzione verso modelli ad angolo di campo più ampio ed utilizzo universale era palpabile e anche Olympus si allineò, sviluppando e producendo uno zoom 35-70mm con apertura fissa 1:3,6 concepito secondo criteri di qualità ottica e meccanica professionali e che divenne famoso per le sue elevate prestazioni; proprio questo Olympus OM Zuiko Zoom 35-70mm 1:3,6 sarà il protagonista odierno.
Questo modello era abbastanza costoso e non ebbe una diffusione di massa, così come non esistono molti documenti ufficiali dell’epoca in cui venga illustrato o descritto e le eccezioni sono rare, come ad esempio questa copertina dell’Olympus OM Sales Manual destinata ai rivenditori statunitensi.
Questa scarsità di informazioni inerisce anche l’origine stessa del modello, dal momento che a tuttora non è ben chiaro quando sia stato effettivamente presentato al pubblico e commercializzato: molti suggeriscono l’inizio degli anni ’80 ma non c’è accordo sulle date; basandomi sulle ricerche sistematiche che ho svolto al riguardo posso dire che si è trattato di un lancio decisamente “telefonato”, e vediamo perché.
Il progetto originale, come scopriremo, fu consegnato per la registrazione del brevetto il 17 Giugno 1976; questa tabella con le caratteristiche degli obiettivi OM Zuiko proviene da una brochure divulgata proprio nel 1976 e nel settore degli zoom improvvisamente non compare solamente il classico 75-150mm 1:4 ma anche un più potente 85-250mm 1:5 e, appunto, l’appetitoso modello universale da 35-70mm 1:3,6, già con i parametri geometrici definitivi; in realtà nessuno di questi nuovi zoom era pronto per essere mostrato al pubblico o avviato alla produzione e questo scatto in avanti dell’azienda la possiamo considerare come un piccolo peccato d’orgoglio, commesso con l’intenzione di portare lustro al brand in un settore dov’era entrata da poco, anticipando di fatto la disponibilità di pezzi che sarebbero arrivati solo in futuro (del resto lo zoom di focale maggiore, all’epoca indicato come 90-250mm 1:5, era descritto già nell’organigramma di sistema presente sulle istruzioni giapponesi della Olympus M-1 pubblicate nel 1972…).
In realtà per vedere dal vivo il nuovo OM Zuiko Zoom 35-70mm 1:3,6 sarebbe stato necessario attendere ancora tre anni; infatti, in questo listino prezzi dei prodotti Olympus in vigore da primo Gennaio 1978, l’unico zoom a comparire continua ad essere il classico 75-150mm 1:4.
Passando invece al listino dell’anno successivo, in vigore dal 26 Marzo 1979, il 35-70mm 1:3,6 e l’85-250mm 1:5 fanno finalmente la loro comparsa, col relativo prezzo al pubblico; questi elementi consentono quindi di restringere il campo e si può affermare che i nuovi OM Zuiko Zoom da 35-70mm e 85-250mm vennero presentati ufficialmente alla Photokina dell’Autunno 1978; notate come la complessione professionale del 35-70mm 1:3,6 si riflettesse sul prezzo di listino, pari a ben 501 Dollari dell’epoca, ovvero 3,2 volte il costo del normale luminoso OM Zuiko 50mm 1:1,4.
Osservate anche come, inizialmente, il paraluce venisse fornito come accessorio separato, a pagamento, mentre in seguito entrò a far parte della dotazione di serie.
Ecco alcune pubblicazioni Olympus, ben poche in verità, in cui il nuovo 35-70mm professionale viene illustrato.
Questa immagine illustrava la copertina di una brochure di aggiornamento per i concessionari statunitensi che presentava nuovi prodotti come il Recordata Back 3, il Winder 2 o il flash T32; lo zoom 35-70mm 1:3,6 compare in primo piano abbinato ad una Olympus OM-2n nera.
In questa copertina di una brochure generale del sistema OM di inizio anni ’80 lo zoom 35-70mm 1:3,6 è invece montato su un corpo OM-1n cromato.
All’interno della brochure si può osservare come, a quel tempo, al più professionale 35-70mm 1:3,6 fosse già stato affiancato un modello più amatoriale, con apertura 1:4 e schema ottico semplificato; notate anche come il responsabile della confezione in lingua Italiana avesse completamente dimenticato di inserire i dati con lunghezze focali ed apertura massima, il cui settore è rimasto in bianco, pertanto per capire a quale modello ci si riferisca occorre indovinarne l’identità osservando gli altri parametri…
Vediamo ora le caratteristiche di quest’obiettivo.
L’OM Zuiko 35-70mm 1:3,6 prevede una struttura interamente metallica ed è costruito secondo criteri professionali: la montatura anteriore non ruota durante la messa a fuoco, la variazione di focale avviene tramite una ghiera separata e avvalendosi di un cuscinetto con ben 118 minuscole sfere d’acciaio e l’apertura massima 1:3,6 rimane costante; l’obiettivo pesa 407g e misura 65mm di diametro per 74mm di lunghezza, quest’ultima misurata su focale 70mm, mentre passando a 35mm il cannotto anteriore si allunga fino a circa 120mm di sbalzo dalla baionetta; l’angolo di campo coperto spazia fra 64° e 34°.
L’obiettivo prevede uno schema ottico a 10 lenti in 8 gruppi ed tutti gli esemplari prodotti sono trattati con rivestimento multistrato MC; l’attacco filettato per i filtri è da 55×0,75mm mentre il paraluce in gomma, di ampie dimensioni, prevede un fissaggio a pressione da 60mm che consente al cannotto anteriore con relative lenti di scorrere avanti e indietro al suo interno: questo dettaglio massimizza l’efficacia dell’accessorio perché a 70mm il cannotto è completamente ritratto e l’obiettivo sfrutta su posizione tele l’intera lunghezza del paraluce, mentre a 35mm la parte anteriore avanza e ne utilizza solo la parte terminale, evitando quindi una vignettatura indesiderata con un angolo di campo superiore.
Il grande paraluce, un po’ sproporzionato rispetto all’obiettivo, può essere montato rovesciato per ridurre gli ingombri durante il trasporto e proteggere contestualmente parte del barilotto da urti e abrasioni.
La regolazione avviene tramite due comandi separati; la ghiera di messa a fuoco è rivestita con un settore gommato con rilievi a diamante, prevede una doppia scala in metri (bianchi) e piedi (gialli) e consente di focheggiare fino a 0,8m, senza prevedere una posizione macro, mentre la ghiera per la variazione di focale è parimenti rivestita in gomma con sbalzi longitudinali di ampie dimensioni (utili per riconoscere e distinguere le due ghiere col semplice tocco, quando abbiamo l’occhio al mirino) e prevede indicazioni per le focali 35, 50 e 70mm in smalto verde.
Il design meccanico non ha consentito di inserire gli indici per la profondità di campo alle diverse aperture e alle varie focali, tuttavia sono disponibili complete tabelle allegate alle istruzioni dell’obiettivo; impostando la focale 70mm, alla distanza minima di 0,8m il campo inquadrato è 25×37,5cm, sufficiente per l’impiego generale ma naturalmente ben lontano dall’ambito macro.
La ghiera del diaframma, analoga a quella degli OM Zuiko convenzionali ma spostata accanto alla montatura, prevede arresti a scatto su valori interi e permette di impostare aperture comprese fra 1:3,6 ed 1:22; accanto a questa ghiera abbiamo un settore cromato col punto di fede rosso per il montaggio e i due pulsanti, uno per il controllo manuale della profondità di campo (sul retro, non visibile) e l’altro per lo sblocco, mentre la montatura è la classica baionetta Olympus OM.
Il complesso schema ottico e la costruzione professionale hanno imposto pesi e ingombri leggermente superiori allo standard medio OM Zuiko, tuttavia l’obiettivo è ben bilanciato e le tre ghiere funzionali sono sufficientemente distanziate fra loro per rendere agevole la loro regolazione (cosa invece meno facile in modelli molto compatti come il minuscolo 35-70mm 1:3,5-4,5).
Le istruzioni puntualizzano la sua praticità nelle foto di ogni giorno, la possibilità di focheggiare facilmente senza oscuramenti nel vetro di messa a fuoco grazie all’apertura fissa 1:3,6, la presenza di rivestimento antiriflessi MC e la parafocalità che mantiene l’impostazione di messa a fuoco alle varie focali (in realtà molti esemplari utilizzati oggi presentano vistose variazioni della distanza di fuoco modificando la focale: evidentemente basta una modesta sfasatura del sistema dovuta all’uso per compromettere questo elemento); il documento evidenzia anche l’utilizzo di comuni filtri da 55mm e la possibilità, già descritta in precedenza, di rovesciare il paraluce per il trasporto.
Per quanto concerne la sistematica, non sono disponibili dati ufficiali su matricole e numero di esemplari prodotti, tuttavia analizzando un gran numero di obiettivi si osserva che le matricole prevedono numerazioni invariabilmente superiori a 200.000 e inferiori a 250.000, quindi è lecito arguire che la produzione sia iniziata da 200.001 (spesso le ottiche Olympus OM esordivano con numerazioni del genere, come 100.001 o, appunto, 200.001) e che gli esemplari prodotti siano meno di 50.000, pertanto numeri ancora abbastanza contenuti per prodotti di grande serie.
Vediamo ora le caratteristiche del gruppo ottico, desunte dal relativo brevetto.
L’obiettivo venne calcolato da Toru Fujii, personaggio di rilievo già descritto in altri articoli analoghi, e la richiesta di brevetto prioritario giapponese venne consegnata il 17 Giugno 1976; lo “schema preferenziale” che illustra la prima pagina prevede solamente 9 lenti, tuttavia in alcuni modelli alternativi il secondo elemento anteriore risulta separato in un doppietto, collato oppure leggermente spaziato ad aria, e proprio uno di queste versioni a dieci lenti fu scelta per la produzione di serie.
Anche la descrizione del brevetto specifica come il secondo elemento negativo possa essere eventualmente costituito da due lenti, collate o spaziate fra loro.
Lo schema ottico dell’obiettivo richiama concettualmente quello utilizzato in altri, famosi zoom 35-70mm professionali dello stesso tipo, come i vari Canon FD 35-70mm 1:2,8-3,5 SSC, Nikkor 35-70mm 1:3,5 oppure Carl Zeiss Vario-Sonnar T* 35-70mm 1:3,4 per Contax-Yashica; in questa tipologia la struttura si basa su due moduli principali, uno anteriore ed uno posteriore, che si muovono avvicinandosi o allontanandosi reciprocamente per gestire sia la variazione di focale che il mantenimento della parafocalità, cioè dello stesso piano di messa a fuoco; su focale grandangolare il modulo anteriore è completamente avanzato e quello posteriore arretrato al limite dei minimo spazio retrofocale ammesso, come nelle configurazioni illustrate, mentre passando a 70mm il gruppo anteriore arretra e quello posteriore avanza fino a comporre uno schema con le lenti tutte accostate ad una distanza intermedia, naturalmente con movimento asolidale di almeno un modulo per mantenere la parafocalità.
In questi schemi osserviamo i quattro modelli ipotizzati dal progettista: i primi due utilizzano nove lenti e il secondo elemento divergente è costituito da una lente singola, il terzo passa a dieci lenti e il secondo elemento divergente è sostituito da un doppietto collato mentre il quarto replica questa stessa architettura, introducendo però una leggera spaziatura ad aria fra i due elementi del doppietto in seconda posizione, in modo da poter prevedere anche due raggi di curvatura leggermente differenti per le due superfici adiacenti ma non collate; per la produzione di serie venne scelto il terzo embodiment, evidenziato in grafica, tuttavia la soluzione prevista dal quarto modello, con la lente posteriore del doppietto in seconda posizione ingrandita oltre il necessario per creare un bordo di ancoraggio alla montatura, venne ritenuta vantaggiosa e trasferita anche all’esemplare definitivo.
Fra le raffinatezze va annotato anche il diaframma mobile, che si sposta congiuntamente al secondo modulo di lenti: un dettaglio che complica ulteriormente la già raffinata meccanica ma dovrebbe contenere le fluttuazioni della distorsione alle varie focali.
Questi sono i parametri grezzi di progetto dell’esemplare avviato alla produzione; i dati documentano come nel punto di interfaccia fra le due lenti del doppietto anteriore sia presente un singolo raggio di curvatura comune (r3’), confermando che i due elementi sono collati; notate anche come gli unici spazi variabili siano d6 (punto di separazione dei due moduli di lenti principali) e lo spazio retrofocale, dati che definiscono il classico schema zoom a due gruppi mobili.
Il brevetto prevede anche i diagrammi con la previsione delle principali aberrazioni; considerando il fondo scala restrittivo, i valori sono buoni e definiscono anche una variazione progressiva nella correzione dell’aberrazione sferica che si riscontra anche in prove strumentali su esemplari prodotti; la distorsione è massima a 35mm con valori prossimi al 3%, non molto contenuti ma ancora tali da non essere percettibili se non in riprese prettamente geometriche.
Lo schema del 35-70mm 1:3,6 di produzione prevede una variazione di focale effettiva compresa fra 36,3mm e 68,6mm e la sua architettura somiglia a quella di un complesso grandangolare con schema a teleobiettivo invertito, con un elemento base posteriore costituito da un gruppo tipo Tessar rovesciato; l’allontanamento delle prime quattro lenti dal resto dello schema, con contemporaneo avvicinamento delle lenti posteriori al piano focale, definisce il passaggio alla configurazione grandangolare, quella più ingombrante; utilizzando schemi di questo genere in ambienti polverosi occorre prestare attenzione alla deposizione di pulviscolo sulle superfici della quarta e quinta lente, dal momento che la meccanica si comporta come il mantice di una fisarmonica aspirando ed espellendo aria ad ogni cambio di focale.
Per quanto concerne i vetri ottici, forniti dalla vetreria Sumita, su dieci lenti vengono utilizzate sette tipologie diverse, con due elementi in vetro agli ossidi delle Terre Rare tipo lanthanum Crown (LaK6 in L1 ed LaK8 in L2), uno in lanthanum Flint (LaF70 in L9) e tre elementi in dense Phosphate Crown a dispersione ridotta (PSKN2 in L5, L6 ed L7), utilizzati in sequenza; questa scelta di adottare vetri a dispersione contenuta PSK in varie lenti successive dello schema l’ho notata in altri modelli di ottiche OM Zuiko ed è quasi una “cifra” di questa famiglia di ottiche, una scelta probabilmente deliberata per controllare meglio l’aberrazione cromatica.
Dopo l’esordio nella categoria con il 35-70mm 1:3,6, la Olympus Corporation aggiunse nel tempo altri zoom di analoghe caratteristiche, partendo dal 35-70mm 1:4 e passando poi al 35-70mm 1:3,5-4,5, al 35-70mm 1:3,5-4,8 (arrivato con la OM-2000 e asseritamente prodotto da Cosina) e, infine, il raffinatissimo e costoso obiettivo professionale 35-80mm 1:2,8 con lente ED arrivato negli anni ’90; in questa immagine ho affiancato in scala tutti gli schemi di questi obiettivi (ad esclusione dell’economico 35-70mm 1:3,5-4,8 che proviene da un fornitore esterno); escludendo l’elitario 35-80mm 1:2,8, appartenente ad un’altra generazione di ottiche e disegnato senza compromessi di budget, si può osservare come i modelli con apertura 1:3,5-4,5 ed 1:4, pur progettati da altri tecnici, condividano un’impronta comune con la versione 1:3,6 di Toru Fujii, in pratica semplificando l’architettura del professionale ed aggiungendo nel tipo 1:3,5-4,5 la chicca della lente emisferica posteriore che, a certe focali, è concentrica alla pupilla di uscita (una scelta tecnica poi ripresa anche nello schema dell’OM Zuiko 35-105mm 1:3,5-4,5 seconda serie); il 35-70mm 1:3,6 del 1976 ha quindi dato il La a tutta la successiva produzione di 35-70mm OM che mantengono alleli in comune col predecessore protagonista dell’articolo.
Dal punto di vista meccanico, l’obiettivo conferma la sua estrazione professionale con una struttura raffinata, complessa e definita da componenti metallici di alta qualità; teoricamente non esistono varianti per questo modello in tutto l’arco produttivo, tuttavia analizzando gli schemi meccanici ufficiali si osserva come l’azienda faccia in realtà riferimento a due versioni, definite tipo 1 e tipo 2 e caratterizzate da alcune modifiche meccaniche difficilmente identificabili anche con i pezzi in mano da confrontare direttamente; in questi schemi il primo tipo viene definito “F3,6 f = 35-70mm” e il secondo tipo “35-70mm 1:3,6”, facendo riferimento al protocollo di indicare l’apertura massima dopo la lunghezza focale adottata nella produzione più tarda delle ottiche OM, tuttavia si tratta solo di una convenzione interna perché, in realtà, i dati riportati sulla ghiera frontale sono rimesti identici per tutta la produzione e l’unica variante è costituita dalla progressione della matricola.
Ecco tutti gli schemi d’officina e le relative tabelle con i componenti modificati/migliorati nella serie.
La complessità della meccanica a focale variabile è confermata dalla necessità di due pagine per contenere tutti gli elementi; in grafica ho evidenziato la posizione delle dieci lenti e sottolineato come entrambi in doppietti collati prevedano una delle due lenti con diametro superiore al necessario, ottenendo così un bordo che consente il fissaggio diretto risparmiando componenti, una scelta prevista da Mandler anche nel famoso Summicron-M 50mm 1:2 a 6 lenti in 4 gruppi; notate anche come parte della meccanica zoom sia supportata da un cuscinetto a sfere composto da ben 118 elementi; questa raffinatezza è stata prevista all’origine per garantire una rotazione fluida e pastosa, tuttavia col tempo può sortire l’effetto opposto a causa del degrado di alcuni lubrificanti utilizzati.
Queste pagine descrivono invece il secondo tipo, con componenti aggiornati; purtroppo le modifiche sono troppo minimali per essere visibili in questi schemi, e l’unica eccezione è il settore gommato per la ghiera dello zoom, elemento che ora prevede un labbro rientrante nella parte inferiore.
I quattro schemi che seguono descrivono invece le migliorie introdotte; gli aggiornamenti chiamano in causa molti componenti della struttura, comprese ghiere, elicoidi e cannotti con asole per le camme, tuttavia le modifiche sono di dettaglio e riguardano elementi secondari, risultando poco appariscenti; questi documenti testimoniano tuttavia la reale esistenza di una “versione B”, anche se non è dato di sapere quando gli interventi divennero effettivi (e con che cadenza sequenziale) e da quali matricole; incidentalmente, l’esemplare in mio possesso illustrato in un’immagine precedente riporta una delle matricole più alte fra quelle registrate e quindi suppongo che incorpori già queste modifiche, tuttavia è esteticamente indistinguibile dagli obiettivi più anziani.
Per quanto riguarda le prestazioni ottiche effettive, questo zoom 35-70mm 1:3,6 professionale è sempre rimasto abbastanza “nascosto” sul mercato e poi rapidamente affiancato da modelli più abbordabili di grande tiratura, quindi le riviste fotografiche del tempo non hanno avuto occasione o intenzione di provarlo; l’unica eccezione è la prestigiosa testata statunitense Modern Photography che, sul numero in uscita a Gennaio 1980 (proprio quando da adolescente acquistai la mia prima Olympus OM-1n!), effettuò un test completo dell’obiettivo.
La rivista eseguì la prova dopo circa un anno dal lancio commerciale dell’obiettivo, e la matricola dell’obiettivo utilizzato (206.032) è compatibile con la teoria dell’inizio di produzione a 201.000; i valori di risoluzione misurati con le varie aperture al centro e ai bordi sono molto buoni, superiori a quelli riscontrati con lo stesso metodo su vari obiettivi a focale fissa di alta qualità e risultano ben sfruttabili anche ai diaframmi più aperti, una caratteristica sicuramente molto apprezzabile, mentre il contrasto (definito come percentuale di MTF a 30 cicli/mm di frequenza spaziale) viene considerato medio-basso, tuttavia nell’uso pratico non si ha tale percezione; ovviamente il giudizio, ricondotto agli standard del 1980, è largamente positivo.
Nell’uso pratico l’obiettivo venne trovato bilanciato e piacevole da usare, con ghiere ben distanziate e textures differenti che le identificano al tocco; venne apprezzata anche la fluidità dei comandi mentre si fece notare che, in un obiettivo universale, la distanza minima di 0,8m poteva essere migliorata.
Da queste prove sono passati oltre quarant’anni e la tecnologia ha fatto passi da gigante, pertanto ho realizzato appositamente alcune immagini passeggiando con il mio esemplare montato su una mirrorless full-frame e abbinandolo ad un filtro polarizzatore per vedere se, visivamente, le fotografie scattate oggi con questo modello ormai vintage applicato al digitale sono ancora gratificanti e soddisfano gli standard ai quali siamo abituati; vediamo un po’.

Come si intuisce da queste immagini, scattate in rapida successione camminando per un paese, l’obiettivo garantisce la brillantezza e la correzione delle aberrazioni sufficiente a produrre foto di stampo “moderno”, specie se supportato da un adeguato workflow, senza deficit apprezzabili causati dalla componente ottica del sistema; per quanto riguarda il potere risolvente, osserviamo questa ulteriore immagine.
Realizzai questa panoramica scattando a mano libera con l’OM Zuiko 35-70mm 1:3,6 in verticale chiuso ad 1:11 e producendo varie immagini in sequenza poi assemblate; ovviamente il file originale è di grandi dimensioni ma anche in questa anteprima a risoluzione molto ridotta si percepiscono le qualità dell’obiettivo; osserviamo ora un paio di crops al 100% del file originale prelevati nelle zone a sinistra indicate dalla grafica di colore giallo.
Considerando tutte le interpolazioni e deformazioni vettoriali attuate dal software di stitching, la delineazione dell’immagine è molto soddisfacente per uno zoom progettato a metà anni ’70 ed i risultati attuali confermano e giustificano la lusinghiera nomea che accompagnava questo modello ai tempi in cui era commercializzato.
L’Olympus OM Zuiko 35-70mm 1:3,6 appartiene quindi alla prima generazione di “ragazzi terribili” che accomuna sotto il denominatore della valida qualità ottica e meccanica modelli stagionati come i vari 35-70mm professionali Nikon, Canon FD, Minolta/Leitz, Pentax M e Carl Zeiss, obiettivi datati ma dalle prestazioni ancora incredibilmente attuali grazie all’escursione focale non estrema e ad una progettazione votata all’alto di gamma; questo OM Zuiko non fa eccezione e nell’uso pratico risulta molto gradevole per le masse bilanciate, il feeling dei comandi e anche la prassi completamente manuale che impone al fotografo e che, in tal modo, è costretto a ragionare di più su quanto sta facendo, a tutto vantaggio del risultato finale; la sua correzione e l’efficace trattamento antiriflessi garantiscono risultati di livello tecnico sufficiente per qualsiasi esigenza, quindi ci si può quasi dimenticare di usare uno zoom anni ’70 e pensare solo a divertirsi!
Per concludere, voglio fare presente che anche l’immenso fotografo Andrè Kertèsz, al quale qualsiasi fotografo moderno è debitore di archetipi visivi e formali derivanti delle sue fotografie, al crepuscolo della sua vita utilizzò una Olympus OM-2n nera equipaggiata proprio con l’OM Zuiko Zoom 35-70mm 1:3,6!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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