Olympus OM Zuiko 300mm 1:4,5

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; Il sistema Olympus OM, presentato al mondo in occasione della Photokina di Colonia 1972, è diventato famoso per la compattezza che ne costituisce il principio informatore e svariati obiettivi OM Zuiko di corta e media focale sono stati ampiamente apprezzati da molti appassionati e sono ben conosciuti nell’ambiente; in questa occasione desidero invece portare alla ribalta un modello della stessa gamma appartenente alla categoria dei superteleobiettivi, una serie che impone fisicamente dimensioni importanti anche quando la compattezza rappresenta il fattore prioritario di progettazione e per tale ragione, proporzionalmente, si tratta di ottiche Zuiko meno coerenti con la miniaturizzazione istituzionale che caratterizza questa famiglia; l’obiettivo protagonista di queste note è l’Olympus OM Zuiko 300mm 1:4,5.

La focale 300mm sul formato 24×36 definisce un teleobiettivo di rispettabile potenza che garantisce un fattore di ingrandimento 6x rispetto al classico normale da 50mm; l’antesignano di questa categoria è stato il Carl Zeiss Jena Sonnar 300mm 1:4, abbinato al box reflex di messa a fuoco e destinato alle fotocamere Contax della Zeiss Ikon Dresden; fu calcolato a fine anni ’30 e all’epoca la grande apertura 1:4 combinata con la lunga focale rinverdiva il clamore suscitato qualche anno prima dall’Olympia-Sonnar 180mm 1:2,8 destinato agli stessi apparecchi.

 

Nella seconda metà degli anni ’60, un momento di grandi fermenti nel quale si stavano segretamente definendo alcuni sistemi reflex che sarebbero esplosi nel decennio successivo riscuotendo un grande successo, nel settore dei teleobiettivi da 300mm ancora caratterizzato da pochi e sparuti esemplari la Nippon Kogaku definì un equilibrato standard fra apertura massima, ingombri, pesi e costi presentando il Nikkor-P Auto 300mm 1:4,5, lanciato nel Luglio 1964; quest’obiettivo non perseguiva istituzionalmente la massima compattezza e leggerezza ma i suoi ingombri e peso non eccedevano i limiti imposti dal brandeggio a mano libera (grazie all’apertura massima intelligentemente calibrata), l’ampio paraluce telescopico forniva una valida protezione nel controluce senza frapporre indugio per l’applicazione di un elemento separato, il collare girevole con attacco per treppiedi permetteva di fissarlo in asse col baricentro e la qualità ottica era sufficientemente elevata per il suon campo di applicazione pur in assenza di vetri ED a bassissima dispersione; si trattava quindi di un ottimo compromesso fra esigenze contrastanti e in quello scampolo di decennio il 300mm Nikkor-Auto diventò un po’ il riferimento tecnico del settore, passando anche per il ricalcolo dello schema ottico da 5 a 6 lenti (modello Nikkor-H Auto, lanciato nel Gennaio 1969); era quindi abbastanza logico che alla Olympus, definendo abbastanza febbrilmente il parco ottiche per l’ineundo sistema M – OM, abbiano utilizzato l’impostazione generale di questo Nikkor come base di partenza per progettare il 300mm Zuiko; ho parlato di fretta perché il sistema OM era pronto a primavera 1972, tuttavia per 4 anni il team progettò ed affinò solamente i corpi macchina mentre la stragrande maggioranza dei brevetti relativi alle ottiche OM Zuiko fu consegnata a cadenza ravvicinata nel 1971 e 1972, sicuramente con i stringenti termini per la presentazione del corredo che alitavano sul collo dei tecnici.

L’Olympus OM Zuiko 300mm 1:4,5 faceva parte della gamma di obiettivi effettivamente disponibili alla vendita fin dall’esordio del sistema, nel 1972 (sebbene in molti casi i prodotti non arrivassero sugli scaffali prima dell’inizio 1973); come si può osservare, l’architettura del barilotto presenta evidenti richiami a quella del Nikkor di analoghe caratteristiche geometriche, scandita da tre elementi in sequenza: un ampio paraluce telescopio, una ghiera di messa a fuoco di grandi dimensioni e il collare girevole per applicare l’ottica al cavalletto; viceversa, la ghiera con le aperture del diaframma nel Nikkor e posizionata accanto alla baionetta di innesto, per consentire alla sua caratteristica forcella di accoppiarsi all’esposimetro del corpo macchina, mentre nello Zuiko, come di consueto, si trova nella parte anteriore, dettaglio che ha sempre impedito di visualizzare l’apertura impostata nel mirino utilizzando i classici sistemi periscopici.

Nonostante il progettista del gruppo ottico abbia cercato di minimizzare le dimensioni del sistema, la lunga focale con apertura 1:4,5 pretende il suo tributo e l’obiettivo presenta dimensioni già decisamente importanti rispetto al compattissimo corpo macchina OM; in questo caso lo Zuiko 300mm 1:4,5 è montato su una Olympus OM-2n dotata di winder per il trascinamento del film e vetro di messa a fuoco tipo 1-7, con settore a microprismi specificamente progettato per consentire la messa a fuoco anche con teleobiettivi poco luminosi come il 1.000mm 1:11; anche il vetro 1-6 (con microprismi per ottiche di ridotta apertura) e 1-8 (smerigliato e anch’esso specifico per ottiche poco luminose) possono essere molto indicati con un 300mm di apertura 1:4,5, sebbene all’epoca ci si arrangiasse semplicemente ignorando il telemetro di Dodin a immagine spezzata e la corona di microprismi del vetro standard che si annerivano, eseguendo invece la messa a fuoco sul vetro smerigliato circostante; va annotato che i vetri 1-6 e 1-7, dotati di campo chiaro senza smerigliatura, risultano luminosi ma non consentono di esporre manualmente in TTL con le OM-1 e OM-2, mentre con la OM-2 in automatismo a priorità di diaframmi il sistema di lettura OTF sul piano focale in tempo reale garantisce una esposizione comunque corretta, sebbene il tempo di posa indicato preventivamente nel mirino non corrisponda a quello effettivamente utilizzato dal corpo macchina al momento dello scatto.

L’aspetto del 300mm Zuiko replica la consueta e piacevole livrea delle ottiche OM, con la profusione di smalti fluorescenti che consentono una buona leggibilità dei valori; il diametro filtri è da 72mm, con relativo tappo specifico, una misura abbastanza inconsueta per il sistema OM nel quale si passa direttamente da diametri ridotti come 49mm oppure 55mm ai 100mm previsti sui grandi cannoni da 600 e 1000mm; oltre al 300mm 1:4,5, gli altri obiettivi del corredo a sfruttare filtri da 72mm sono gli Zuiko 400mm 1:6,3, 180mm 1:2,8 e 18mm 1:3,5 (con lo stepper opzionale 49-72mm).

Anche il classico elicoide di messa a fuoco che movimenta l’intero gruppo ottico, senza utilizzare flottaggi interni, replica l’analogo dettaglio del 300mm Nikkor di riferimento; proprio l’assenza di un sistema IF ha limitato la messa a fuoco minima a 3,5m, un valore sufficiente per l’impiego generale ma meno favorevole di quello consentito da altri 300mm con messa a fuoco interna presentati successivamente da altri fabbricanti; la necessità di movimentare fisicamente una massa non indifferente rende la ghiera di messa a fuoco abbastanza dura e questo complica un po’ le cose quando passiamo avanti e indietro sul punto di massima messa a fuoco per definirlo esattamente, dal momento che il movimento non può essere così veloce da rendere agevole l’operazione; con le focali superiori da 600mm e 1000mm il problema venne risolto da Olympus adottando un sistema di messa a fuoco lineare con settore a cremagliera e relativo ingranaggio messo in rotazione da pomelli godronati.

Lo sviluppo dell’elicoide che si estende a messa a fuoco minima aumenta ulteriormente la lunghezza del 300mm Zuiko e il colpo di grazia arriva dall’estrazione del paraluce: l’obiettivo configurato in questo modo non si può certo considerare compatto ma, d’altro canto, la fattura è molto razionale e la costruzione, come di consueto impeccabile, rende molto piacevole l’utilizzo dell’ottica, specialmente su treppiedi; naturalmente il diaframma è completamente automatico (sui corpi originali Olympus, si intende), come confermato dalla denominazione Olympus OM System (F.) Zuiko Auto-T 1:4,5 f=300mm, dove Auto, appunto, sta ad indicare il diaframma automatico, un altro dettaglio ereditato dai Nikkor anni ’60, obiettivi che utilizzavano l’identica dicitura per sottolineare questa caratteristica.

Le immagini perimetrali descrivono bene la foggia del collare girevole con attacco per il treppiedi; la sua piastra inferiore è sufficientemente dimensionata e presenta un singolo attacco filettato da 1/4”; la parte destra solidale al collare è separata dal resto della struttura e svitando il nottolino la struttura si allarga, permettendo di ruotare l’obiettivo per riprese in verticale; con il collare allargato è possibile anche estrarlo, dopo aver fatto coincidere un grano in rilievo al suo interno con una scanalatura presente nella serie di godronature che l’obiettivo cela sotto il collare e sulle quali fa presa grazie all’interposizione di una striscia gommata adesiva.

La scala con le distanze in metri e piedi, come di consueto, è smaltata in bianco e arancio e in questo caso gli spazi abbondanti evitano il classico affastellamento delle due serie di valori che si riscontra negli Zuiko più compatti; l’obiettivo, con attacco per treppiedi e tappi originali, pesa 1.166g, valore inferiore a quello della concorrenza ma sempre rilevante, in termini assoluti, considerando la compattezza dei corpi; il barilotto con messa a fuoco all’infinito è lungo 181mm e presenta un diametro massimo di 80mm; con messa a fuoco minima a 3,5m il campo inquadrato è pari a 22x33cm, sufficiente per tutte le esigenze ad esclusione di vere e proprie tele-macrofotografie; l’obiettivo è ufficialmente compatibile col moltiplicatore di focale Olympus 1,4x ma non con il 2x, specificamente concepito per gli obiettivi da 100, 135 e 200mm.

Anche in questo caso occorre prestare attenzione alle godronature sulla ghiera del diaframma (e, specificamente, anche a quelle sulla base del paraluce) perché la loro anodizzazione nera su alluminio non è molto resistente alle abrasioni ed è facile rimuoverla dagli spigoli delle scanalature.

Questi dettagli evidenziano la dovizia di smalti utilizzati sugli OM Zuiko (alcuni dei quali fortemente fluorescenti in luce UV ad onda lunga); il promemoria con la lunghezza focale in smalto verde che si trova accanto ai valori per le aperture di diaframma è una classica cifra delle ottiche OM Zuiko (anche decisamente utile quando si maneggiano velocemente obiettivi da 21 a 50mm, il cui barilotto è molto simile e non si riconosce al volo il modello) e costituisce, assieme alla caratteristica gomma con rilievi a diamante sulla ghiera di messa a fuoco, la principale differenza riscontrabile rispetto agli Zuiko previsti nel 1969 per il prototipo Olympus MDN mai entrato in produzione: infatti il 50mm 1:1,8 definito per la MDN (l’unico obiettivo noto) era già meccanicamente ed esteticamente molto simile ai successivi OM Zuiko, con l’eccezione del settore gommato con scanalature continue e, appunto, del promemoria per la lunghezza focale, mancante; il 300mm 1:4,5 consente di chiudere il diaframma con scatti sui valori interi fino ad f/32, sebbene a tale apertura la diffrazione degradi l’immagine al punto da annullare nella pratica i vantaggi teoricamente ottenibili nell’incremento di profondità di campo.

La linea di fede per la messa a fuoco riporta anche l’indice per la correzione fotografando in luce infrarossa e già il suo posizionamento, fra le iperfocali remote di 1:16 ed 1:32, lascia intendere che la correzione cromatica dell’obiettivo non sia certamente di tipo APO (né il costruttore, ovviamente, lo ha mai dichiarato o preteso).

Queste schede dedicate al 300mm Zuiko appartengono alla brochure Olympus sales information files che veniva distribuita esclusivamente ai rivenditori autorizzati e forniscono lo spunto per qualche considerazione sistematica: l’obiettivo era già presente nella prima foto di gruppo del parco ottiche OM pubblicata sulle brochure dedicate alla Olympus M-1 stampate prima della Photokina 1972, nella quale compaiono ben 31 obiettivi tutti accomunati dalla effimera denominazione originale M-System (in realtà sono prototipi, solo 9 modelli su 31 saranno effettivamente prodotti per breve tempo con la denominazione M e non OM); l’obiettivo di produzione esordì dalla matricola 100.001 con la classica livrea “chrome nose” con filetti cromati nella montatura anteriore e trattamento antiriflessi denominato C, quindi non propriamente multistrato; intorno alla matricola 115.500 l’obiettivo abbandonò la finitura “chrome nose” diventando tutto nero, mantenendo tuttavia l’antiriflessi semplificato “C”; solo intorno alla matricola 133.000 / 135.000 il 300mm Zuiko divenne MC e la produzione continuò fino ad una matricola approssimativa di 145.000.

Possiamo quindi definire 3 varianti principali:

  • chrome nose con antiriflessi C
  • nero con antiriflessi C
  • nero con antiriflessi NMC

La denominazione NMC corrisponde a New MultiCoating e identifica l’ultimo e più avanzato trattamento antiriflessi introdotto in una fase matura del sistema OM; pertanto il 300mm 1:4,5 passò direttamente da C a NMC, mentre gli altri obiettivi Zuiko rimasti a lungo in produzione sono stati caratterizzati anche dallo step intermedio MC.

Anche in queste schede la Olympus non manca di sottolineare che il suo Zuiko 300mm era il più compatto e leggero del lotto, ad indicare una certa coda di paglia sull’argomento; sono certo che, se fosse stato tecnicamente possibile, in azienda avrebbero cercato un piccolo miracolo per realizzare un 300mm 1:4,5 decisamente più compatto.

 

Questi spaccati tecnici originali Olympus evidenziano come il passaggio dall’obiettivo “chrome nose” alla versione tutta nera non comportò solamente queste insignificanti variazioni estetiche ma introdusse anche modifiche e migliorie ad alcuni elementi interni; anche i documenti ufficiali indicano un “type 1” con antiriflessi C relativo alla meccanica “chrome nose” e due versioni (“Type2I” C e “Type 3” NMC) riferite al modello “all black”.

La denominazione ufficiale sulla ghiera di serraggio anteriore presenta due sole varianti:

Olympus OM-System F.Zuiko Auto-T 1:4,5 f=300mm (“chrome nose” C, “all black” C)

Olympus OM-System Zuiko MC Auto-T 1:4,5 f=300mm (“all black” NMC)

Il fatto che circa il 75% degli esemplari prodotti preveda il semplice antiriflessi “C” non deve generare timori: il mio esemplare appartiene al secondo tipo, tutto nero con antiriflessi C, e da questa foto si può intuire come il suo trattamento non sia certo una semplice monostrato da obiettivo anni ’50: si tratta in ogni caso di un rivestimento adeguato alle necessità e se teniamo il paraluce estratto, grazie anche ai numerosi ed efficaci light baffles presenti all’interno del barilotto che intercettano la luce parassita, possiamo tranquillamente scattare in pieno controluce senza perdite di contrasto.

Questa scheda dedicata al 300mm Zuiko proviene da una piccola brochure che conservo personalmente dal Gennaio 1980 e che ho letto e riletto centinaia di volte; ho evidenziato un passaggio perché queste affermazioni costituiscono una costante nelle descrizioni ufficiali di tale modello e, prese senza un distinguo, possono generare equivoci; infatti la brochure fa esplicito riferimento all’introduzione di vetri ottici di nuova concezione, lasciando eventualmente intendere che si tratti di vetro ED a bassissima dispersione, spesso utilizzato sui teleobiettivi di alto livello per ottimizzare una correzione apocromatica; questo naturalmente non è esatto, anche perché ai tempi in cui l’obiettivo venne sviluppato tali vetri esistevano ma il loro costo era ancora proibitivo per un obiettivo come questo; vediamo dunque a cosa si riferivano queste specificazioni.

In questo schema ho aggiunto anche la sezione ufficiale divulgata da Olympus e che consente di apprezzare le numerose ed ampie “trappole per la luce” posizionate fra i grandi elementi anteriori e il diaframma e subito prima del doppietto posteriore, dettagli che riducono efficacemente le interriflessioni e qui utilizzati al massimo della loro efficacia.

Per quanto riguarda lo schema ottico, troviamo una struttura a 6 lenti in 4 gruppi con 2 doppietti collati, un’architettura classica per teleobiettivi di quel periodo e concettualmente non dissimile a quella sfruttata per lo stesso Nikkor-H Auto 300mm 1:3,5 destinato alle Nikon; come anticipato, non sono presenti vetri ED a bassissima dispersione (il cui numero di Abbe che identifica tale parametro è sempre superiore ad 80), tuttavia 5 lenti su 6 sono realizzate con vetri piuttosto raffinati: l’elemento frontale prevede un vetro a bassa dispersione e bassa rifrazione a base di fluoruri, il classico e diffuso tipo FK5, in questo caso fornito da Sumita; questo vetro presenta una dispersione molto contenuta (numero di Abbe vD= 70,1), sebbene non al livello del materiale ED propriamente detto; la seconda lente è realizzata con un vetro Sumita di tipo Crown al lantanio corrispondente alle specifiche LaK13, un materiale ad alta rifrazione (quasi 1,7) e dispersione proporzionalmente bassa (numero di Abbe vD= 53,3); la terza lente prevede un vetro Sumita del tipo Phoshate Crown, un materiale composto da fluoruri e metafosfati che presenta una dispersione ridotta (vD= 63,4) relativamente al suo indice di rifrazione (nD= 1,618); questi tre elementi configurano una sorta di tripletto spaziato con caratteristiche rifrattive e dispersive idonee a correggere l’aberrazione cromatica, tuttavia non abbiamo ancora incontrato materiali “speciali”.

Il vetro speciale sviluppato di recente indicato nelle brochure lo troviamo invece nella quarta lente, applicata alla terza per incollaggio: infatti è realizzata con un vetro Special Dense Flint (una categoria denominata KzSF) le cui caratteristiche corrispondenti non ho trovato in alcun catalogo Schott, Hoya, Sumita, Hikari o Corning, pertanto ignoro chi lo abbia fornito ad Olympus per realizzare questo 300mm Zuiko; il vetro della quarta lente presenta alta rifrazione (nD= 1,7398) e una dispersione media (vD= 31,7); in realtà la caratteristica di spicco di questo materiale va ricercata nella sua dispersione parziale anomala in una certa sezione dello spettro, una caratteristica che, unita alle prerogative dei tre vetri precedenti, consentiva al progettista di correggere in modo soddisfacente le aberrazioni cromatiche senza ricorrere ai vetri ED.

Per finire, il doppietto posteriore prevede un altro vetro Crown al lantanio, un Sumita LaK8, applicato per incollaggio alla sesta lente prodotta con vetro Flint F16 fornito dalla vetreria Ohara (tipo FTM16) perché la Sumita, partner preferenziale di Olympus, evidentemente non lo aveva a catalogo.

Si tratta quindi di uno schema ben più sofisticato di quanto lasci intuire la sua apparente semplicità ed ortodossia; naturalmente uno spettro secondario e comunque avvertibile, specie per i nostri occhi ormai abituati negli anni alle immagini prodotte da modernissimi teleobiettivi apocromatici con vetri ED e in fluorite: occorre quindi contestualizzare il modello nel periodo in cui venne progettato, oltre 47 anni fa, apprezzando comunque la piacevolezza d’immagine che garantisce, sebbene non raggiunga la risolvenza calligrafica dei mostri attuali.

Quest’obiettivo venne disegnato da Koiichi Itoh, un progettista che calcolò anche l’OM Zuiko 200mm 1:5 ed era specializzato in teleobiettivi; il brevetto giapponese originale, del quale possiamo osservare a seguire gli stralci più importanti, fu depositato per la registrazione il 5 Maggio 1972, quando evidentemente i primi prototipi marcati “Olympus M System” erano già stati prodotti per realizzare le relative brochures.

 

Ho proposto queste immagini in guisa di documento storico, rimandando le considerazioni sui relativi claims a quelle che seguono, relative al corrispondente brevetto americano.

La richiesta di brevetto americano fu depositata circa 1 anno dopo quella prioritaria nel paese d’origine del brand e del progettista; lo schema ottico del modello preferenziale individua subito lo Zuiko 300mm 1:4,5 come protagonista di questo documento.

Lo schema con lo stato previsto delle aberrazioni evidenzia una buona correzione generale, mostrando però un percettibile spostamento di fuoco nelle varie frequenze dello spettro luminoso, come prevedibile in un buon teleobiettivo ma privo di correzione apocromatica.

 

Osservando i claims del progetto è possibile comprendere la direzione dello sviluppo e le relative necessità da soddisfare; considerando la proverbiale compattezza di tutti gli obiettivi OM Zuiko, la priorità era quella di garantire un “telephoto ratio” più ridotto rispetto alla media dei concorrenti, possibilmente inferiore a 0,8 (ingombro longitudinale del sistema ottico partendo dal piano focale inferiore a 0,8 volte la lunghezza focale; nel modello di produzione questo valore sarà un eccellente 0,75); per ottenere questo risultato Itoh-San aveva l’esigenza di limitare lo spazio fra il gruppo di elementi anteriore e il doppietto posteriore, tuttavia, per ottenere questo, il valore diottrico dei due moduli (rispettivamente positivo e negativo) doveva aumentare, una condizione che promuove un possibile incremento delle aberrazioni; la mission del progettista fu quindi quella di incrementare e bilanciare il valore diottrico positivo e negativo dei due gruppi di lenti, ottenendo quindi un sistema molto compatto, correggendo nel contempo le aberrazioni in modo ottimale, con particolare riguardo a quelle cromatiche.

Il brevetto specifica che, per contenere le aberrazioni in una struttura compatta, è necessario combinare con grande perizia il valore rifrattivo dei moduli anteriori e posteriori e selezionare in modo opportuno i relativi vetri ottici; a tale proposito, per finalizzare tale correzione il documento conferma l’adozione per la quarta lente del già discusso vetro speciale Dense Flint tipo KzSF dotato di una dispersione parziale anomala che consente la messa a punto dell’aberrazione cromatica in combinazione con gli altri elementi del modulo posteriore.

Per ridurre le altre aberrazioni è necessario contenere la cosiddetta somma di Petzval e Itoh-San soddisfa questa esigenza per il modulo anteriore limitando lo spazio d’aria fra i primi due elementi del gruppo ottico, una soluzione che contribuisce anche a controllare l’aberrazione sferica del sistema; si tratta quindi di uno schema ottico classico ma ben congegnato anche in assenza di vetri ED a bassissima dispersione, come confermato dalla tabella dei parametri grezzi presente nel brevetto.

L’OM Zuiko 300mm 1:4,5 ha rappresentato per i fotografi targati Olympus la porta d’ingresso nel magico mondo dei super-teleobiettivi e costituiva un buon compromesso fra ingrandimento, luminosità, ingombri e portabilità; abbinato ad un corpo OM dotato di winder (la cui impugnatura ergonomica consentiva di sostenere e brandeggiare più facilmente l’obiettivo) permetteva ancora l’impiego a mano libera, un esercizio escluso a priori nei fratelli maggiori da 600mm e 1.000mm, peraltro predisposti per una messa a fuoco a cremagliera ingestibile se non su treppiedi; un 300mm di ragionevole apertura e sfruttabile a mano libera risultava prezioso in moltissimi campi di utilizzo anche amatoriali, dallo sport al paesaggio, dalla caccia fotografica ai dettagli di architettura, dalla figura umana con evidente stacco dello sfondo alle illusioni visive con forte compressione prospettica.

Il prezzo non era popolare ma nemmeno proibitivo: uno Zuiko 300mm 1:4,5 costava il 150% del listino di una OM-1n solo corpo e il 90% di quello della OM-2 oppure, se vogliamo, era proposto al triplo del prezzo di uno Zuiko 50mm 1:1,4, cifre che lo rendevano ancora facilmente abbordabile anche all’amatore non specializzato; l’obiettivo è piacevole e ben fatto, come tutti gli OM Zuiko, e l’unico limite pratico nell’utilizzo a mano libera è rappresentato dalla messa a fuoco elicoidale che movimenta masse notevoli e crea una certa resistenza all’azionamento, impedendo di reagire fulmineamente; oggi questo modello costituisce un po’ il limite superiore per chi collezioni il sistema OM oppure utilizzi quotidianamente i suoi obiettivi adattandoli su fotocamere moderne, vista la rarità, l’ingombro e il prezzo delle focali maggiori, e costituisce un esempio paradigmatico di obiettivo classico e ben costruito, curato in tutti i dettagli e prodotto per durare: caratteristiche molto apprezzabili e che oggi spesso cerchiamo inutilmente nei prodotti di massa moderni!

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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