Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la storia della reflex 35mm Olympus M-1, poi rapidamente rinominata in OM-1 per ragioni che vedremo, è una delle più affascinanti nel panorama della fotografia moderna per le variegate implicazioni tecniche, commerciali, industriali e umane che sottende.
La Olympus M-1, antesignana della nota fotocamera compatta che ha cambiato il mondo della fotografia reflex e il modo di approcciarsi al medesimo, è un apparecchio completamente meccanico a funzionamento manuale che per miniaturizzazione, materiali, squisita fattura e precisione richiama per certi versi addirittura il mondo dell’orologeria; questa piccola reflex fu presentata in anteprima il 20 Luglio 1972 solamente per mercato interno giapponese, in attesa del lancio mondiale alla Photokina di Colonia in Ottobre, e la maturità del design unita alle soluzioni tecniche inedite e spesso di rottura sottendono un grande labor limae pregresso, un’impressione che corrisponde a verità perché la definizione, la genesi e lo sviluppo dell’ambiziosissimo sistema M (poi, appunto, OM) presero il via addirittura nel 1966 e trovarono compimento solamente nel 1972; artefice di questo immane lavoro destinato a condizionare negli anni ’70 tutti i concorrenti è un personaggio il cui nome nell’ambiente è leggenda: Yoshihisa Maitani.
Yoshihisa Maitani è qui immortalato con la sua classica espressione angelica mentre impugna un esemplare di preserie del suo secondo capolavoro, la OM-2 manuale e automatica, e per celebrare degnamente le sue geniali intuizioni allego a seguire lo stralcio di un suo brevetto con dettaglio del mirino OM-2 e il relativo sistema per modificarne le indicazioni cambiando la modalità di funzionamento.
Maitani, classe 1933, era un ingegnere meccanico favorito da talenti fuori dalla norma e che fin dalla giovane età si dilettava a scattare fotografie amatoriali utilizzando una Leica a vite tipo IIIF, apparecchio notoriamente compatto, tascabile e facilmente impugnabile che ha probabilmente indirizzato i gusti del futuro progettista; dopo la laurea in ingegneria meccanica venne assunto immediatamente presso la Olympus e fin dall’opera prima di esordio fece intendere le sue eccezionali capacità, dal momento che a soli 24 anni impostò il celebre sistema Olympus Pen di mezzo formato, una serie di fortunate fotocamere 18x24mm su pellicola 35mm che culminò in sofisticati modelli reflex come la Pen F o la Pen Ft.
L’imprinting giovanile con Leica a telemetro si può inferire da questo eccezionale progetto, un piccolo lingotto di metallo primo di sbalzi anteriori e sommitali come in una fotocamera di quel tipo, mentre in realtà siamo in presenza di una reflex vera e propria concepita con soluzioni innovative e fantasiose, come l’otturatore a disco rotante, lo specchio incernierato orizzontalmente e il rinvio al mirino ottenuto tramite un complesso sistema di specchi e prismi contenuti all’interno del top che nel modello esposimetrico prevedeva addirittura un elemento fotosensibile al solfuro di cadmio posto dietro lo specchio accanto al pulsante di scatto; la linea Olympus Pen ebbe una grande diffusione e il successo della formula mezzo formato su corpo compatto con grande autonomia indusse altri concorrenti a seguirne le orme, un leit motiv che si ripeterà in seguito anche per il sistema reflex M – OM a pieno formato 24x36mm.
Terminato lo sviluppo del corredo Pen, il giovane Maitani (allora appena 33enne) si trovò di fronte una nuova sfida, per certi versi ancora più complessa: creare un grande sistema reflex 35mm professionale per traghettare l’azienda fra i grandi fabbricanti primari del settore e la relativa fotocamera destinata all’esportazione e in grado di fronteggiare la più qualificata concorrenza; in questo compito era ostacolato non soltanto dall’ovvia portata dell’impresa (si trattava di concepire ex-novo circa 250 prodotti, fra fotocamere, obiettivi e accessori di ogni genere) ma anche dallo scetticismo interno dei suoi stessi manager, convinti che per ottenere il successo fosse necessario copiare le “panzerkamera” della concorrenza e proporre quindi prodotti di grandi dimensioni, visti come garanzia di qualità e affidabilità, mentre apparecchi miniaturizzati erano liquidati con sufficienza, considerati quasi giocattoli.
Yoshihisa Maitani era invece di un altro avviso e nelle sue schermaglie durante i meeting definiva esplicitamente dimensioni, peso e rumorosità come i 3 difetti delle reflex monobiettivo, proponendo in alternativa un modello di leggerezza e compattezza che a suo parere costituiva la reale novità e il plusvalore del nuovo progetto.
Questa sorta di braccio di ferro interno paralizzò di fatto ogni iniziativa concreta per tutto l’anno 1966 e Maitani-San adottò svariate strategie per convincere il management sulla validità di quanto proponeva; un famoso episodio racconta come il progettista avesse copiato in sala conferenze le specifiche tecniche di un modello concorrente, proponendole successivamente durante la riunione; il consiglio le ritenne valide, avvallando la produzione, e a quel punto Maitani svelò il piccolo inganno, ribadendo la necessità di proporre qualcosa di realmente innovativo come viatico per il successo commerciale.
Soltanto a Dicembre 1966, dopo un anno di stallo infruttuoso, Maitani ebbe finalmente il via libera per impostare fotocamere e sistema come preferiva (se per reale convinzione o sfinimento non è dato saperlo), tuttavia il principio informatore della massima compattezza e leggerezza coniugate con soluzioni tecniche fresche e innovative già sfruttato con la mezza formato Pen si rivelerà vincente anche per il corredo M – OM, dando nuovamente ragione al coraggioso progettista che seppe opporsi al management e ribattere punto su punto senza farsi intimidire.
Lo sviluppo del corredo M richiese 5 anni interi, un tempo peraltro messo candidamente in preventivo da Maitani a precisa richiesta dei manager, e ritenuto ragionevole dal consiglio a fronte dei 250 pezzi da concepire (in pratica uno a settimana di media!).
La progettazione di questo corredo, assieme a quello Canon FD, fu uno dei covert affairs meglio nascosti nella storia della fotografia; infatti, mentre sotto traccia il lavoro procedeva metodico creando pian piano lo straordinario sistema che tutti conosciamo, in superficie il brand Olympus si limitava a mantenere una posizione simbolica sul mercato, commercializzando reflex anonime e senza afflati acquisite esternamente da terze parti; ancora nel 1971, quando il materiale M ormai era quasi pronto per il lancio a sorpresa, la proposta corrente del marchio era questa anonima Olympus FTL, una reflex di aspetto massiccio e spigoloso, priva di personalità e ancora ferma all’attacco a vite 42x1mm, sebbene con misurazione esposimetrica a tutta apertura; osservando questa FTL ancora oggi sembra impossibile che la raffinatezza meccanica e il nitore formale della M-1 fossero già disponibili dietro le quinte.
Per quanto riguarda il brand name del sistema, quest’ultimo venne definito quasi subito e la lettera M fu scelta in quanto veniva pronunciata in modo analogo nelle principali lingue, sebbene tutti gli appassionati continuino a pensare che si trattasse di un omaggio al padre di tale corredo; lo stesso Maitani ammise la coincidenza ma pudicamente non si è mai arrogato esplicitamente tale onore.
Come ho già anticipato in un altro articolo su NOCENSEI specificamente dedicato al prototipo MDN, il corredo M concepito da Maitani e qui visibile in un suo organigramma del Gennaio 1969 era di impressionante ambiziosità, dal momento che la reflex 35mm compatta di foggia classica, la futura M-1, costituiva solamente un corpo alternativo (allora denominato MDS) che ruotava attorno al vero modello principale, la Olympus MDN, una reflex 35mm concepita se vogliamo come una sorta di piccola Mamiya 645 sul formato 35mm ovvero un’antesignana della Rolleiflex SL2000F, un apparecchio strutturato come una reflex di medio formato, servito da una serie di moduli intercambiabili ma tuttavia compatto e destinato al formato 24x36mm.
Nel sistema era anche previsto un corpo a tiraggio ridotto con telemetro accoppiato in stile Leica, vari motori, mirini, vetri di messa a fuoco, dorsi porta pellicola di differente capienza e una batteria di obiettivi addirittura suddivisi in 4 categorie: ottiche reflex con ampio spazio retrofocale, ottiche accoppiate al telemetro per lo specifico corpo con schema a disegno simmetrico, obiettivi macro tipo bellows da soffietto senza ghiera di messa a fuoco e ottiche LS con otturatore centrale e sincronizzazione del flash su tutti i tempi: un programma realmente impressionante che alla stretta finale venne drasticamente ridimensionato, decidendo di eliminare dal sistema la MDN modulare, il corpo telemetrico, i relativi mirini, magazzini e motori intercambiabili, le ottiche per telemetro e quelle con otturatore centrale, promuovendo a corpo principale (e anche unico, almeno inizialmente) la piccola reflex MDS, passata poi alla storia come M-1 / OM-1.
La Olympus M-1, lanciata limitatamente al mercato interno giapponese il 20 Luglio 1972, era già praticamente identica alla successiva OM-1 introdotta dopo la Photokina di Ottobre; infatti la nuova denominazione fu adottata solamente dopo le rimostranze presentate in fiera da Leitz Wetzlar, già sul mercato col sistema M dal 1954 e con modelli come le varie Leica M1, M2, M3, M4, MD o MDa, la quale giustamente paventava confusione con l’ineunda linea di reflex nipponiche; la richiesta di Leitz venne immediatamente accolta già in fiera a Colonia, decidendo di aggiungere al brand name l’iniziale di Olympus e dare quindi vita al corredo OM che tutti conosciamo.
Pertanto le M-1 sono state prodotte solamente dal Luglio 1972 fino alla Photokina di Ottobre, successivamente i corpi ancora da assemblare o parzialmente montati utilizzarono le nuove calotte con la sigla OM-1, mentre quelle già esistenti marcate M-1 e ancora inutilizzate vennero distrutte.
In questo esemplare di M-1 ho evidenziato 2 elementi che discuteremo in seguito per alcune variabili osservate.
Osservando la struttura di un prototipo Olympus MDN del 1969, pur nella radicale differenza di struttura compaiono elementi in seguito ripresi dalla M-1, come il nottolino godronato su un fianco e anche il caratteristico anello coassiale all’obiettivo che seleziona i tempi di posa; notate come nella MDN la numerazione dei tempi sia interamente nera.
Anche la piastra sagomata anteriore che sulla MDN regge la flangia della baionetta la ritroviamo praticamente invariata sulle M-1 / OM-1 e assieme alla citata ghiera dei tempi costituisce un forte elemento di continuità, mentre il nottolino godronato evidenziato prima sul fianco del prototipo è stato riutilizzato sul frontale per mettere a frizione la griffa di trascinamento prima di riavvolgere il film.
La nuova M-1 era un concentrato di chicche tecnologiche e si avvaleva anche di un’immagine forte e con grafiche accattivanti, come si può notare ammirando la copertina del relativo manuale di istruzioni, decisamente più moderna rispetto agli analoghi documenti del tempo.
Nel breve interregno fra il lancio a fine Luglio e la fiera di Colonia ad Ottobre 1972 la nuova M-1 venne abbondantemente reclamizzata in patria mostrando in questo caso uno spaccato che evidenziava molti elementi significativi del progetto.
In effetti la M-1 riusciva ad apparire rivoluzionaria pur essendo a tutti gli effetti una “semplice” reflex 35mm meccanica a funzionamento solamente manuale e con esposimetro TTL al solfuro di cadmio accoppiato a tutta apertura, caratteristiche presenti da anni in modelli concorrenti di riferimento.
In questa grafica è possibile apprezzare il grande diametro della baionetta anteriore, scelto immediatamente nelle fasi iniziali del progetto per consentire l’applicazione anche su telescopi e microscopi prodotti dalla casa; per non limitare una corretta visione con lunghe focali venne predisposto anche uno specchio reflex di dimensioni insolitamente ampie, al punto che il mirabox della M-1 era il più ampio del settore nonostante le dimensioni corrispondenti a quelle di un corpo Leica M, come voluto da Maitani; un altro elemento qualificante, e visibile nello schema accanto alla leva dell’autoscatto, è un sofisticato smorzatore ad aria che riduceva drasticamente il rumore e le vibrazioni prodotte dallo specchio reflex in esercizio (classico problema di questi apparecchi); questo damper pneumatico venne messo a punto dopo aver sondato tutte le opzioni possibili, è frutto di un grande lavoro di ricerca / affinamento e costituisce un punto di forza della M-1.
Un’altra soluzione originale adottata da Maitani per rendere la M-1 il più compatta possibile fu il trasferimento di molti componenti meccanici funzionali nella parte bassa della fotocamera, sotto il box reflex, un alloggiamento favorito anche dalla posizione della ghiera per i tempi di posa in stile Nikkormat.
Un ulteriore elemento distintivo della M-1 era lo sbalzo del pentaprisma ridotto ai minimi termini, perseguendo sempre l’obiettivo di replicare gli ingombri di una Leica a telemetro; in questo caso la compattezza venne finalizzata inguainando di stretta misura gli elementi ottici sottostanti, tuttavia l’argentatura di elevata qualità e le caratteristiche degli elementi accostati all’oculare garantirono un fattore di ingrandimento e una chiarezza di visione che sono tuttora proverbiali.
Anche il posizionamento del selettore per la sensibilità sul top superiore, mimando la classica ghiera dei tempi per restituire un’estetica consueta, è funzionale allo snellimento del progetto perché lo metteva in linea direttamente col circuito esposimetrico, eliminando cablaggi superflui.
Un elemento di rottura con lo status quo pregresso fu anche la scelta di creare un apparecchio molto miniaturizzato ma sul quale i comandi principali e di uso più frequente risultassero invece sovradimensionati rispetto alla media, facilitando quindi le operazioni; questa eloquente pagina di una brochure originale M-1 evidenzia infatti molti elementi fondamentali del corpo che risultano ben dimensionati e facilmente raggiungibili ed azionabili, fra i quali troviamo la leva di carica, il selettore ASA, il pulsante di scatto, l’interruttore di accensione per l’esposimetro, l’oculare del mirino, il nottolino per la frizione della griffa e la manetta di riavvolgimento telescopica, le ghiere sugli obiettivi, la ghiera dei tempi e la leva di azionamento dell’autoscatto: tutti elementi grandi e facilmente azionabili.
Anche in questo caso ho evidenziato in dettaglio la ghiera dei tempi e il nottolino della frizione, dettagli che richiederanno un supplemento di indagine.
Questo trafiletto è ricavato dalla brochure M-1 in lingua Inglese e riassume un po’ la filosofia di progetto del sistema, un corredo che si contrappone a fotocamere ingombranti, pesanti e rumorose e introduce un concetto nuovo, con prodotti basati su molte innovazioni originali Olympus; naturalmente il lustro di certosino lavoro e i grandi investimenti necessari per finalizzare questo risultato vengono orgogliosamente puntualizzati.
La brochure continua a sciorinare vari dettagli molto tecnici e specifici, partendo dalla coscienza che proprio la condivisione del grande potenziale innovativo della M-1 costituisce il suo selling point, ben oltre le caratteristiche di targa che non propongono in realtà funzionalità operative fantasmagoriche e quindi non sono la reale ragione per procedere all’acquisto.
Sottolineando nuovamente le ridotte dimensioni (appena 136x83x81mm con ottica) il documento afferma che tale miniaturizzazione non pregiudica le prestazioni elevate e nemmeno l’affidabilità grazie all’utilizzo di parti sovradimensionate anche all’interno dell’apparecchio; la brochure scende nel dettaglio aggiungendo che i 660g di peso della M-1 con ottica 50mm 1:1,8 costituiscono una riduzione del 35% rispetto alla media dei concorrenti di pari caratteristiche, così come il volume complessivo pari a circa 400cm3 rappresenta un contenimento di pari entità rispetto alle corrispondenti rivali; ne deriva quindi che in una borsa corredo solitamente riempita da una reflex concorrente con 3 obiettivi troverebbero ora posto 2 corpi macchina M-1 con 5 obiettivi Zuiko, permettendo di affrontare nella stessa sessione situazioni fotografiche più diversificate.
Proprio il pentaprisma così minimale viene nuovamente citato riferendosi a modelli della concorrenza (chiara frecciata al corpulento Photomic Nikon), e il suo profilo così ribassato viene indicato come la più evidente prova di questa miniaturizzazione.
Il documento si dilunga a spiegare le ragioni di un simile risultato, ricordando che la compattezza è stata perseguita sviluppando componenti inedite ed originali e rifiutando soluzioni ormai ampiamente consolidate e diffuse; un esempio di tale approccio è l’otturatore, che viene indicato come completamente rivisto nel concetto, spingendosi fino a dettagli come un innovativo materiale per i tiranti delle tendine; soprattutto, viene ribadito come la compattezza è frutto di una ingegnerizzazione più accurata e non di una semplice riduzione di dimensioni e sezioni, alternativa che oltre certi limiti comporterebbe invece un calo di affidabilità e scomodità operativa.
Maitani-San aveva imposto con risoluta testardaggine questo suo approccio inedito e radicale che informò tutto il sistema e anche la campagna promozionale, puntando tutto su questa carta che effettivamente si rivelò vincente: la M-1 / OM-1 col relativo corredo furono un immediato successo e per la seconda volta il giovane progettista, all’epoca non ancora quarantenne, era l’artefice di un sistema fotografico di successo.
La reputazione di Yoshihisa Maitani in seno all’azienda crebbe quindi esponenzialmente, e se vogliamo fu anche eletto a simbolo della grande penetrazione Olympus nel settore fotografico concretizzata da inizio anni ’60 ai primi anni ’70; spesso Maitani-San venne infatti scelto come testimonial per pubblicità aziendali legate al sistema, come in questa rèclame dedicata alla OM-2, presentandolo in via ufficiale come il personaggio che ha fattivamente progettato il prodotto, un onore sicuramente rilevante in brand nipponici nei quali si tende a dare risalto alla realtà aziendale a scapito dei singoli soggetti coi relativi meriti personali; Maitani-San invece faceva eccezione, venendo trattato come un vero fiore all’occhiello della compagnia, un plus del quale essere orgogliosi e da mettere apertamente sotto i riflettori.
Naturalmente per l’immediato successo dei corpi M-1 / OM-1 buona parte del merito va anche attribuito alla gamma di obiettivi M / OM Zuiko appositamente predisposti in parallelo: queste ottiche non offrivano solamente la stessa compattezza e leggerezza della fotocamera ma anche in questo caso una progettazione spesso innovativa garantiva alte prestazioni e comportamenti inediti, come grandangolari caratterizzati da resa molto buona ai bordi; pertanto la M-1 non era soltanto un bell’oggetto di design ingegnerizzato con perizia da ammirare stupiti bensì un efficace strumento di lavoro in grado di produrre effettivamente ottime fotografie; proprio l’ambizione di accedere quanto prima ad un ambito professionale suggerì di introdurre fin da subito anche obiettivi molto luminosi, in grado quindi di operare a luce ambiente in sinergia con lo specchio molto ammortizzato della fotocamera, e l’esempio più eclatante è l’Olympus M-System G.Zuiko Auto-S 55mm 1:1,2 illustrato sulla M-1 in questa pubblicità, un obiettivo esistente fin dall’interregno “M – System” nell’estate-autunno 1972 e capace di notevoli prestazioni.
Questa ulteriore pubblicità nipponica risulta molto eloquente perché alla “nuova sensazione” scaturita dall’uso del corredo M-System viene abbinata una coppia di mani che stringono una M-1 con teleobiettivo M-System E.Zuiko Auto-T 135mm 1:3,5 e la cui miniaturizzazione risulta estremamente evidente mentre vengono serrati da quelle robuste dita; questa rèclame ribadisce nuovamente come tutto il focus della promozione fosse concentrato sulle dimensioni molto ridotte.
Questa immagine ricavata da una brochure della M-1 mostra la nuova fotocamera assieme ad un modello precedente distribuito da Olympus e acquisito da un fabbricante esterno; in questa immagine ho nuovamente evidenziato la ghiera dei tempi e il nottolino girevole che mette a frizione la griffa per il riavvolgimento, dal momento che nelle varie M-1 osservate ho notato discrepanze in tali dettagli.
(continua nella seconda parte che verrà pubblicata lunedì prossimo, 27 novembre 2023)
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo sito web può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico o in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da New Old Camera srl, viale San Michele del Carso 4, 20144 Milano. info@newoldcamera.it
All rights are reserved. No part of this web site may be reproduced, stored or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical or photocopy on disk or in any other way, including cinema, radio, television, without the written permission of the publisher. The reproductions for purposes of a professional or commercial use or for any use other than personal use can be made as a result of specific authorization issued by the New Old Camera srl, viale San Michele del Carso 4, 20144 Milan, Italy. info@newoldcamera.it
©2023 NOC Sensei – New Old Camera Srl
Servirebbero davvero progettisti ed aziende coraggiose come in passato per dare nuova vita al mondo della fotografia. Questo rimane uno dei progetti migliori in assoluto