Redazione Sensei:
Questo articolo di Marco Cavina avrebbe dovuto essere stato riservato ai soli utenti con abbonamento a pagamento, ma abbiamo deciso di “aprirlo” a tutti i lettori come dono natalizio.
Sperando di aver fatto cosa gradita, la redazione e tutti gli autori si uniscono nel farvi i migliori auguri di buone festività!!!
A tutti voi, Buone Feste!
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; qualsiasi appassionato conosce perfettamente il classico sistema Hasselblad costituito da fotocamere monoreflex 6x6cm ad obiettivi intercambiabili, con otturatore centrale incorporato nell’ottica o a tendina sul piano focale; quest’ultima tipologia venne introdotta negli anni ’70, dopo due decadi di dominio incontrastato dei modelli della serie 500, tuttavia la genealogia dei corpi dotati di otturatore incorporato sul piano focale dev’essere debitamente retrodatata alle origini stesse della stirpe, nell’immediato Dopoguerra.
A quel tempo Victor Hasselblad, assieme alla moglie Erna, gestiva l’importante azienda di famiglia con sede a Goteborg, un’attività commerciale in piedi da generazioni che garantiva, fra l’altro, l’importazione dei prodotti Eastman Kodak sul territorio svedese; Victor Hasselblad era sempre stato genuinamente appassionato alla fotografia e negli anni del conflitto, dopo aver acquisito in necessario know-how in micromeccanica realizzando i meccanismi per orologi richiesti dall’autarchico mercato della Svezia neutrale, rispose alla richiesta governativa per lo sviluppo di una fotocamera per ricognizione aerea da brandeggiare a mano e destinata ai velivoli biposto di produzione SAAB; le caratteristiche tecniche sviluppate e messe a punto per questa macchina verranno poi ampiamente sfruttate per creare il primo apparecchio Hasselblad civile, una monoreflex 6x6cm con dorsi porta-pellicola intercambiabili.
Nel corso del 1946 Hasselblad acquisì una ingente quantità di attrezzature di precisione per la lavorazione dei vari componenti e mise a punto un raffinato e versatile apparecchio il cui progetto prevedeva tolleranze ben più restrittive di quelle consentite dagli strumenti di misura dell’epoca, rendendo difficile la vita alle maestranze; proprio questa ossessione di Victor per la precisione assoluta sarebbe stata il principio informatore dei suoi prodotti, giustamente famosi per la loro qualità, e il frutto di questi sforzi si concretizzò nell’Hasselblad 1600F, un’opera prima che venne presentata alla Photokina di Colonia dell’Ottobre 1948 raccogliendo immediati consensi fra giornalisti e fotografi professionisti.
Naturalmente, oltre al notevole otturatore che garantiva l’incredibile tempo di posa da 1/1.600”, una caratteristica dell’Hasselblad 1600F era l’intercambiabilità degli obiettivi (un evidente plusvalore rispetto alle medio formato biottica o folding disponibili all’epoca e vincolate ad una singola focale), e per affrontare questo nuovo argomento occorre quindi fare un passo indietro e tornare alla fasi della progettazione.
Victor Hasselblad iniziò subito a guardarsi intorno perché era chiaro che la sua piccola azienda non avrebbe mai potuto provvedere in proprio alla realizzazione delle parti ottiche; gli assi nella sua manica erano l’apprendistato prebellico in casa Zeiss, che gli aveva lasciato buoni rapporti col personale del management, e la lunga tradizione aziendale come importatore nazionale Kodak.
In quella delicata fase, anno 1946, le officine originali Carl Zeiss Jena erano rimaste nell’area di controllo sovietica e la neonata Zeiss occidentale emetteva ancora i primi vagiti e non pareva in grado di garantire a breve termine lo sviluppo e la fornitura del parco ottiche necessario alla 1600F per soddisfare le esigenze dei professionisti; il patron passò quindi al piano B, girando la richiesta in casa Kodak che, a fronte delle ottime relazioni che intratteneva da decenni con la famiglia Hasselblad, fornì rapidamente il suo assenso, anche perché negli anni di guerra a Rochester erano stati sviluppati molti schemi ottici, alcuni dei quali potevano essere facilmente convertiti a questo ruolo sfruttando anche l’assenza di otturatore centrale fra le lenti; venne quindi definito l’accordo per 4 differenti obiettivi, il cui sviluppo specifico fu condotto nel corso del 1947.
Gli obiettivi Kodak previsti per la neonata Hasselblad 1600F appartenevano alla linea Ektar, una serie che si posizionava al top di gamma e prometteva ottime prestazioni; le ottiche comprendevano un normale Kodak Ektar 80mm 1:2,8, un corto tele Ektar 135mm 1:3,5, un teleobiettivo Kodak Ektar 254mm 1:5,6 (la focale anomala dipende dalla misura originale pari a 10”) e il grandangolare Kodak Wide Field Ektar 55mm 1:6,3, quest’ultimo rimarchevole perché all’epoca non erano ancora stati concepiti obiettivi ad ampio angolo di campo utilizzabili su un corpo reflex monobiettivo (e infatti, come vedremo, esistevano limitazioni operative).
Sfruttando vecchie brochures dell’epoca cerchiamo di definire la timeline di questi obiettivi; fortunatamente la Kodak utilizzava un codice composto da due lettere per indicare l’anno di produzione, e la chiave di lettura era la parola CAMEROSITY (priva di significato) con le singole lettere abbinate alla sequenza numerica 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0; questa fotografia è molto indicativa perché ad un corpo di pre-serie (evidenziato dal pomello di avanzamento/selezione tempi ancora provvisorio e in metallo a vista) è abbinato proprio il primo prototipo di obiettivo Kodak Ektar assemblato dall’azienda di Rochester, un normale da 80mm 1:2,8 la cui matricola è ES0000; la sigla ES indica 47, pertanto l’esemplare venne costruito nel 1947 ed è l’unico attualmente noto assemblato in quell’anno, mentre la numerazione 0000 identifica ovviamente un prototipo.
Questa immagine ritrae in vista frontale lo stesso apparecchio della precedente ed è nuovamente in evidenza la matricola prototipica ES0000 attribuita all’obiettivo, probabilmente fornito in fretta a furia proprio per esigenze di documentazione fotografica destinata a brochure ed advertising.
Questa Hasselblad 1600F appartiene invece ai primi lotti effettivamente commercializzati, a inizio 1949, e anche il suo obiettivo Kodak Ektar 80mm 1:2,8, ormai regolarmente prodotto in serie, venne realizzato nello stesso anno, come confermato dal codice ET = 49; pertanto nel 1947 fu realizzato e consegnato il primo prototipo (Ektar 80mm 1:2,8), nel 1948 Hasselblad ricevette da Eastman Kodak altri prototipi relativi alle differenti focali (per realizzare brochure e immagini di esempio e presentare il sistema alla Photokina) e nel 1949 iniziò la produzione in serie delle ottiche Ektar per Hasselblad.
L’effettiva distribuzione al pubblico a partire dalla primavera 1949 è confermata anche da questa nota in calce ad una brochure dell’importatore statunitense che, appunto, prevedeva le prime spedizioni a partire dal mese di Marzo di tale anno.
La serie di ottiche Ektar calcolate a fine anni ’30 – inizio anni ’40 si poteva a buon diritto considerare l’acme tecnologico di quel tempo per prodotti regolarmente in vendita e destinati al mercato civile: infatti già allora prevedevano schemi sofisticati, l’accesso a vetri agli ossidi delle Terre Rare ad alta rifrazione/bassa dispersione (materiali che le vetrerie tedesche avrebbero proposto con un ritardo di oltre 10 anni) e trattamento antiriflessi regolarmente esteso a tutta la produzione.
Il rivestimento delle lenti viene comunemente considerata una conquista tecnologica delle aziende ottiche tedesche che ne avrebbero mantenuto l’esclusiva fino al dopoguerra ma, in realtà, anche a Rochester avevano messo a punto sofisticate metodologie e fin dal 1940 le ottiche Ektar se ne avvalevano regolarmente; questo brevetto depositato da John McLeod per Eastman Kodak il 28 Settembre 1940 descrive proprio una campana a vuoto per la deposizione di rivestimenti antiriflessi sulle lenti, con i relativi plateau di supporto e sistemi a resistenza per la vaporizzazione dei materiali.
Il coating era quindi una sorta di segreto di Pulcinella sul quale in realtà tutti stavano lavorando, con la differenza che in Germania tale tecnologia fu subordinata al controllo militare e non venne destinata all’utilizzo civile per tutto il periodo bellico (salvo eccezioni per prodotti esportati in paesi neutrali ed estranei al conflitto) mentre negli Stati Uniti ogni scoperta del settore veniva regolarmente travasata nella serie, fornendo quindi alle ottiche Kodak commercializzate in tale periodo un evidente vantaggio tecnologico; Victor Hasselblad aveva dunque azzeccato una scelta che al momento risultava assolutamente vincente.
Le brochure realizzate per la Photokina 1948 descrivevano quindi le 4 ottiche previste per la nuova 1600F, e assieme a classiche foto di esempio iniziavano a trapelare le prime informazioni tecniche; la distanza minima di messa a fuoco era 1 metro (40”) per il grandangolare da 55mm 1:6,3 e il corto tele da 135mm 1:3,5, 2,2 metri (7’ 10”) per il 254mm 1:5,6 e appena 50cm (20”) per il normale da 80mm 1;2,8: quest’ultimo valore è molto favorevole (sicuramente fu reso possibile dall’assenza di otturatore centrale e relativi rinvii) e aumenta drasticamente la versatilità dell’apparecchio; si noti che ogni obiettivo viene definito “Lumenized”, una denominazione molto suggestiva scelta da Kodak per indicare il trattamento antiriflessi e che venne addirittura presa a prestito dalla Nippon Kogaku nella descrizione della sua prima fotocamera a telemetro del Dopoguerra; per quando riguarda la montatura, l’attacco di questi obiettivi sfrutta una filettatura limitata ad alcuni settori che consente un inserimento in linea come se si trattasse di una baionetta: secondo il costruttore questa scelta coniugherebbe la rapidità d’innesto di quest’ultima con la rigidità dell’attacco a vite; infine, per gli obiettivi fu realizzato un sistema di preselezione del diaframma che consentiva di chiuderlo manualmente subito prima dello scatto e senza bisogno di verificare visivamente all’operazione.
Per promuovere il nuovo corredo di ottiche Hasselblad la Eastman Kodak scomodò addirittura Ansel Adams nel ruolo di tester, facendo leva sul consolidato rapporto di collaborazione tecnica che intercorreva fra l’azienda e il celebre fotografo paesaggista (grande consumatore di lastre piane Eastman, immagino fornite da Rochester a condizioni molto favorevoli); ad Adams venne assegnato un corpo 1600F e un completo corredo di ottiche Ektar con le quali realizzò pregevoli immagini a colori nella sua Yosemite, foto che vennero poi girate ad Hasselblad per illustrare le sue brochure.
Vediamo ora in dettaglio l’aspetto e le caratteristiche dei 4 obiettivi Ektar per Hasselblad.
Il modello sicuramente più enigmatico e meno conosciuto è il grandangolare Wide Field Ektar 55mm 1:6,3; si tratta di un modello interessantissimo perché garantiva un approccio grandangolare che all’epoca costituiva ancora una primizia, soprattutto in corpi macchina reflex per i quali era necessario garantire un ampio spazio retrofocale; in realtà la Kodak non si era lanciata in alcun exploit tecnologico e questo 55mm non sfruttava un rivoluzionario schema Retrofocus ante litteram bensì una convenzionale struttura simmetrica che posizionava le lenti molto vicine al piano focale, troppo per consentire il regolare funzionamento dello specchio reflex e, infatti, questa brochure del 1948 utilizzata per la presentazione alla Photokina specifica come sia necessario utilizzare un mirino esterno con lo specchio sollevato!
Questa è l’unica immagine ufficiale del Wide Field Ektar 55mm 1:6,3, un obiettivo che in pratica rimase solamente allo stadio di prototipo e non venne mai effettivamente commercializzato, probabilmente per le difficoltà connesse all’utilizzo con specchio sollevato e mirino esterno; la fotografia evidenza chiaramente il grande arretramento del nocciolo ottico che andava posizionarsi in profondità all’interno del corpo macchina; il ridottissimo sbalzo esterno ha richiesto anche qualche acrobazia per posizionare le ghiere di messa a fuoco e del diaframma, quest’ultimo con un’apertura minima che arriva addirittura ad 1:45, forse per garantire estesa profondità di campo in un obiettivo da mettere a fuoco su scala metrica; proprio l’assenza di visione reflex ha consentito di omettere il sistema di chiusura rapida sul preselettore del diaframma, nel caso specifico inutile.
Lo schema ottico del Kodak Wide Field Ektar 55mm 1:6,3 per Hasselblad è stato ricavato da un brevetto depositato da Max Reiss per Eastman Kodak nel Febbraio 1946, giusto in tempo per far parte del nuovo corredo; la struttura si ispira al classico simmetrico Carl Zeiss Jena Topogon, un obiettivo che garantisce una elevata ed uniforme risoluzione ma prevede anche una vistosa vignettatura (la legge di Lambert è pienamente funzionale) ed un ridotto spazio retrofocale: infatti, calcoli alla mano, la versione da 55mm per Hasselblad garantiva uno spazio di appena 49,64mm fra il vertice della lente posteriore e il piano focale della 1600F, di gran lunga insufficiente per l’utilizzo fattivo dello specchio; la vignettatura è stata invece controllata semplicemente limitando l’angolo di campo che, nel progetto originale, arrivava a 80 gradi e in questa configurazione si ferma a circa 70.
Lo schema costituisce una evoluzione rispetto al Topogon originale sviluppato una dozzina di anni prima, dal momento che si è rinunciato alla perfetta simmetria nelle due parti contrapposte dello schema: in questo caso gli elementi posteriori sono di diametro maggiore, probabilmente per garantire una migliore illuminazione periferica, e il vetro impiegato nei due menischi esterni prevede lo stesso indice di rifrazione ma dispersione (numero di Abbe) leggermente differente; non sono stati utilizzati vetri agli ossidi delle Terre Rare, evidentemente non necessari per finalizzare il progetto.
L’obiettivo non fu commercializzato e risulta sconosciuto anche l’aspetto del relativo mirino esterno necessario per l’inquadratura, del quale non è mai stato mostrato un singolo esemplare; infatti questa brochure realizzata nelle primissime fasi di commercializzazione del sistema illustra il classico mirino sportivo ripiegabile con cornici di campo intercambiabili che accompagnerà per decenni il corredo ma non si fa alcun cenno ad un mirino per il grandangolare da 55mm.
Questo schema simil-Topogon non ebbe quindi fortuna nel sistema Hasselblad 6x6cm ma negli anni ’50 verranno poi prodotti dei Wide Field Ektar 1:6,3 con focali da 100mm a 250mm e otturatore centrale; questi modelli utilizzano la stessa architettura ed erano destinati ad apparecchi di grande formato.
Per il normale che avrebbe equipaggiato ogni corpo macchina venne scelto un Ektar 80mm 1:2,8, obiettivo compatto e leggero che si rendeva utile in una miriade di circostanze diverse grazie alla buona luminosità e alla favorevole distanza minima di messa a fuoco; la sua miniaturizzazione è tale che Kodak dovette prevedere tre piccole prese di forza sporgenti, simili a quelle presenti in certi obiettivi Leica a vite, per gestire più comodamente la messa a fuoco, la preselezione del diaframma e la sua chiusura rapida.
In questo Ektar 80mm 1:2,8 del 1949 si può apprezzare il trattamento antiriflessi delle lenti e la loro posizione incassata all’interno del cannotto debitamente annerito, dettaglio che favoriva buoni risultati in condizioni d’illuminazione difficili, e la presenza di un riferimento rosso fra 1:5,6 ed 1:8, probabilmente considerato lo sweet spot per il rendimento ottico e quindi suggerito al cliente; tutti gli Ektar per Hasselblad erano forniti con un’elegante finitura in metallo lucido a vista.
Lo schema ottico dell’Ektar 80mm 1:2,8 risulta più sofisticato rispetto ai classici “tipo Tessar” in voga all’epoca perché utilizzava un’architettura a 5 lenti con 2 doppietti collati esterni di ispirazione Voigtlaender Apo-Lanthar, una configurazione che garantiva elevata nitidezza e ariosa scansione dei piani; questo schema venne disegnato da Fred Altman, un mostro sacro nel dipartimento di calcolo ottico alla Eastman Kodak e autore anche di molti progetti sfruttati in ambito militare, e fu consegnato per la registrazione del relativo brevetto nel Gennaio 1941.
Questo schema venne inizialmente utilizzato per l’obiettivo Kodak Ektar 100mm 1:3,5 montato sulla Kodak Medalist 6x9cm, anch’essa proposta nel 1941, e siccome questo tipo di struttura consente di variare entro certi limiti la lunghezza focale semplicemente ridefinendo la spaziatura fra le lenti, si è speculato molto sul fatto che l’80mm 1:2,8 dell’Hasselblad potrebbe ricalcare il 100mm 1:3,5 della Medalist semplicemente introducendo questo tipo di modifiche, tuttavia al momento attuale non esiste alcun riscontro certo e scientifico che ciò corrisponda al vero.
La lente posteriore dell’Ektar 80mm 1:2,8 utilizzava già un vetro con valori rifrattivi e dispersivi simili a quelle del moderno lanthanum Flint LaF2 (indice di rifrazione nD= 1,744 dispersione vD= 45,7), tuttavia negli anni ’40 tali caratteristiche esclusive erano ottenute aggiungendo apprezzabili percentuali di ossido di torio che, decadendo, ha causato l’ingiallimento delle lenti e una leggera radioattività, caratteristica degli esemplari di questo modello.
Il terzo modello della serie è il corto teleobiettivo Ektar 135mm 1:3,5, una focale concepita per il ritratto ma in realtà ancora troppo corta per garantire sul formato 6x6cm una resa prospettica piacevole del volto (con le dovute cautele, si potrebbe assimilare ad un obiettivo da circa 72-73mm sul formato 24×36); la messa a fuoco minima ad 1 metro e la buona apertura massima lo rendono comunque un obiettivo ben sfruttabile, eventualmente anche nello still-life su tubo di prolunga per ottenere una più opportuna compressione dei piani prospettici rispetto all’80mm.
Il Kodak Ektar da 135mm 1:3,5 replica la stessa finitura satinata cromo già vista nei fratelli da 55mm e 80mm e prevede a sua volta il riferimento rosso fra 1:5,6 ed 1:8 che dovrebbe indicare il contesto di massimo rendimento ottico.
Il 135mm mette a disposizione lo stesso sistema di preselezione con chiusura rapida del diaframma già visto nell’80mm, sebbene in questo caso lo spazio abbondante abbia consentito di disporre le ghiere in modo diverso: la sezione con i valori di apertura ruota grazie alle due prese di forza diametralmente contrapposte e permette di prefissare il diaframma sfruttando il piccolo indice rosso fisso e smaltato sulla ghiera anteriore, mentre la ghiera dotata di vistosa godronatura continua su tutta la sua struttura consente di chiudere l’iride prima dello scatto, ruotando la ghiera stessa finchè non arriva in battuta al valore di chiusura predefinito, condizione in cui il suo punto di fede rosso è allineato col trattino presente nella ghiera frontale.
La messa a fuoco è gestita da una seconda ghiera e la sua scala, nel caso di obiettivi in feet, prevede misure in piedi di colore nero da infinito a 5 piedi (1,5m) e in seguito riferimenti in pollici di colore rosso da 60” (1,5m) a 40” (1m).
Ai lettori non sarà sfuggito che questa finitura satinata cromo e la particolare foggia delle godronature fresate sulle ghiere riecheggiano e anticipano quelle che saranno poi utilizzate da Carl Zeiss nelle successive ottiche per Hasselblad; in particolare, la godronatura delle ghiere in metallo a vista farà capolino anche fuori da questo sistema (pensiamo, ad esempio, al Carl Zeiss Sonnar 250mm 1:4 per Contarex primo tipo); pertanto questi elementi così caratterizzanti nella produzione degli obiettivi Zeiss Hasselblad, e rimasti invariati per decenni fino al 1982, non nacquero da scelte autonome del personale di Oberkochen ma vennero in pratica “ereditati” dai barilotti dei precedenti Kodak Ektar e mantenuti per garantire una sorta di “family feeling”, una continuità stilistica con la dotazione precedente.
Teoricamente le ottiche Kodak Ektar vennero fornite ad Hasselblad dal 1949 al 1953, quando già il Sonnar 250mm 1:4 marcato Zeiss Opton si stava affiancando in un ideale scambio di consegne; questo esemplare di Ektar 135mm 1:3,5 costituisce quindi una misteriosa anomalia, perché il suo codice RS si riferisce all’anno di produzione 1957, quando le ottiche Kodak per Hasselblad non erano più in vendita da anni e, addirittura, la nuova generazione di obiettivi Zeiss tipo C con otturatore centrale stava arrivando sugli scaffali di vendita; al momento non trovo spiegazioni ragionevoli a questo arcano ma possiamo invece osservare il caratteristico logo con una “L” cubitale riportata sugli obiettivi e che sta ad indicare il rivestimento antiriflessi, appunto “Lumenized”.
Lo schema ottico dell’Ektar 135mm 1:3,5 si basa su una variante del tripletto con 4 lenti ed è stato ricavato da un embodiment di questo brevetto di Fred Altman, presentato per la registrazione a nome di Eastman Kodak l’11 Maggio 1942; dal momento che gli schemi ottici di questi obiettivi per Hasselblad F non sono mai stati ufficialmente illustrati sulla documentazione tecnica, non è attualmente possibile definire con esattezza a quale dei 3 modelli corrisponda l’esemplare di produzione; in ogni caso per questo progetto non sono stati impiegati vetri alle Terre Rare, sebbene Eastman Kodak potesse vantare brevetti pionieristici in tale senso fin da metà anni ’30.
L’Ektar 135mm 1:3,5 e l’Ektar 80mm 1:2,8 sono gli unici 2 obiettivi concordati fra Kodak e Hasselblad ad essere prodotti in serie, sebbene in quantitativi comunque limitati.
Il quarto esemplare che completa la gamma è un teleobiettivo Kodak Ektar da 254mm 1:5,6, una focale assimilabile ad un 135mm sul 24×36 e probabilmente richiesto da Victor Hasselblad in persona, appassionato fotografo naturalista e sempre affamato di lunghe focali per immortalare i suoi amati uccelli; come anticipato, la focale insolita deriva dal progetto originale per un obiettivo da 10” esatti (appunto 254mm) mentre finitura e meccanica replicano quelle già viste sul 135mm 1:3,5; in particolare, il sistema di preselezione è identico e prevede un punto di fede fisso sull’ultima sezione del cannotto anteriore, una ghiera per la preselezione dei valori con due prese di forza godronate e una seconda ghiera completamente zigrinata per la chiusura rapida del diaframma; il diaframma degli Ektar da 254mm, 135mm e 80mm chiude fino a 1:22, contrariamente a quanto visto con il 55mm grandangolare.
L’esemplare illustrato, nonostante la foto servisse come documentazione negli States, presenta una ghiera di messa a fuoco con scala in metri e, come parimenti avviene sugli altri modelli, viene specificato che le distanze indicate sono riferite al piano focale della fotocamera.
Quest’obiettivo risulta prodotto nel 1948 (codice EI) e la matricola 0002 lo identifica come un prototipo, probabilmente fornito tempestivamente ad Hasselblad per approntare queste immagini da inserire nella borchure in vista della Photokina; non risulta che questo modello sia mai stato prodotto in serie e commercializzato e le ragioni di tale scelta sono oscure, sicuramente Victor Hasselblad fu contrariato dalla piega presa dagli eventi perché, ancor prima che la fornitura di ottiche Kodak terminasse, aveva convinto la Zeiss di Oberkochen a realizzare una versione da 250mm 1:4 del celebre Sonnar 135mm con il gruppo ottico progettato da Bertele e lo aveva affiancato ai 2 Kodak Ektar residui, l’80mm e il 135mm, dando quindi vita ad un corredo ibrido ma almeno arricchito dalla focale 250mm.
Lo schema ottico dell’Ektar 254mm 1:5,6 costituisce una variante del tripletto con sdoppiamento dell’elemento divergente centrale: uno schema analogo è stato utilizzato per la storica serie di ottiche Leitz Hektor di lunga focale, partendo dal 135mm 1:4,5 per Leica e passando per i modelli da proiezione, tuttavia in casa Kodak sono andati oltre e il modulo centrale non è costituito da 2 bensì da 3 lenti collate, probabilmente per gestire meglio l’aberrazione cromatica; questa particolare struttura a 5 lenti con tripletto centrale è stata molto usata in astronomia e lo schema è comunemente noto come “tripletto fotografico astronomico”.
Anche questo schema fu calcolato dall’espertissimo Fred Altman, avvalendosi della collaborazione di Rae Wyland McIntire, e la richiesta di registrazione per il relativo brevetto statunitense a nome di Eastman Kodak fu depositata nell’Agosto 1946, giusto in tempo per derivare una versione da 10” per il corredo della 1600F; oltre che per il tripletto centrale l’obiettivo si caratterizza per la prima lente realizzata in un vetro di specifiche lanthanum Crown che, all’epoca, faceva nuovamente uso di ossido di torio, quindi se il 254mm fosse stato prodotto in serie avremmo probabilmente assistito al tipico ingiallimento degli elementi con blanda radioattività.
Le istruzioni dell’epoca sottolineano la praticità del sistema di preselezione, nel quale la ghiera di chiusura rapida dell’iride si appoggia a fondo-corsa al valore prefissato e consente un azionamento rapido del diaframma senza la necessità di supervisionare l’operazione; nel caso dell’80mm la chiusura avviene agendo sulla piccola presa di forza appositamente predisposta, mentre nel 135mm e nel 254mm si utilizza una ghiera indipendente (invece, come visto, nel 55mm non era previsto un preselettore).
L’innesto prevede una funzionalità analoga a quella di una baionetta convenzionale (innesto in linea e rotazione di 1/3 di giro per fissare l’obiettivo), sfruttando però settori filettati per un aggancio più robusto.
Escludendo quindi dall’equazione i Kodak Wide Field Ektar 55mm 1:6,3 ed Ektar 254mm 1:5,6, dei quali esistono solamente i prototipi qui illustrati, le uniche ottiche Kodak per Hasselblad 1600F prodotte in serie furono il normale 80mm 1:2,8 e il corto tele 135mm 1:3,5 (affiancati nel 1951, come detto, dallo Zeiss Opton Sonnar 250mm 1:4); complessivamente la Kodak fornì ad Hasselblad circa 3.000 obiettivi, dei quali la stragrande maggioranza furono normali da 80mm.
Questo bilancio naturalmente è poco favorevole e si può dire che l’impatto delle ottiche Kodak nella storia del sistema Hasselblad sia stato davvero marginale, seppure ricco di suggestioni interessanti, considerando la lunga militanza dell’azienda di Goteborg come importatore nazionale dei suoi prodotti; a posteriori è lecito chiedersi cosa non abbia funzionato: sicuramente le ottiche Kodak erano all’avanguardia della tecnica, meccanicamente impeccabili e in grado di fornire ottimi risultati, tuttavia la valuta statunitense, nell’immediato Dopoguerra, prevedeva valori di cambio molto svantaggiosi rispetto a quelle europee, Corona svedese compresa e, in parole povere, le sofisticate ottiche Ektar erano semplicemente troppo costose per i nostri mercati in lenta ripresa dopo la tragedia bellica; infatti Victor Hasselblad, da accorto imprenditore, fin da subito puntò molto anche sul mercato a Stelle e Strisce proprio perché le tasche degli yankee erano in grado di affrontare il prezzo di listino imposto dalle ottiche da loro stessi fornite.
Naturalmente questa situazione non poteva trascinarsi a lungo, e infatti Victor continuò a monitorare da vicino i progressi tecnici e aziendali della neonata Zeiss di Oberkochen, e appena quest’ultima fu in grado di proporsi come fornitore dell’intero corredo il nostro imprenditore saltò il fosso senza rimpianti, impostando a partire dalla nuova Hasselblad 1000F del 1953 un sistema radicalmente nuovo, con occhi tedeschi.
Volendo cercare motivazioni più specifiche per l’assenza degli annunciati 55mm 1:6,3 e 254mm 1:5,6, nel primo caso probabilmente arrivarono in Photokina feedback negativi legati alla complicazione d’uso con lo specchio alzato e il fantomatico mirino esterno che forse suggerirono al management di rinunciare a tale focale, anche considerando che un 80mm sul 6x6cm è già leggermente grandangolare e che all’epoca la cultura visiva del “wide” con il suo palinsesto di attributi estetici e prospettici era al di là da venire; nel caso del 254mm non ci sono spiegazioni apparentemente logiche, e l’unica ipotesi personalissima che mi sovviene è che questo schema, disegnato da poco quando il prototipo da 254mm è stato realizzato, abbia poi suscitato interesse da parte delle autorità militari (molti obiettivi progettati da Kodak, e da Altman nello specifico, venivano utilizzati in tale settore), venendo quindi classificato per tale impiego ed escludendo un utilizzo civile da parte di clienti esterni.
E’ comunque molto interessante e suggestivo ripercorrere la breve storia di queste ottiche perché, nell’immaginario collettivo degli appassionati, Hasselblad e Carl Zeiss sono un binomio indissolubile, un’endiadi indiscutibile, invece le origini del sistema presero avvio proprio con obiettivi Ektar prodotti sull’altra sponda dell’oceano.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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