Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in un articolo analogo a questo ho descritto le numerose novità presentate da Leitz nel parco ottiche della sua reflex Leicaflex SL alla Photokina del 1970, ben 6 obiettivi interamente nuovi più la riedizione di un settimo modello, tuttavia questo grande exploit dedicato alle ottiche per reflex fu possibile anche perchè l’azienda aveva già fatto bene i compiti, e dopo il lancio della nuova Leica M4, un modello radicalmente evoluto rispetto alla famosa M3 primigenia, l’anno precedente (1969) aveva già messo a disposizione la versione otticamente ricalcolata e meccanicamente rivista di ben 4 obiettivi per apparecchi a telemetro; in questa sede voglio quindi descrivere in dettaglio quali furono le novità nel parco ottiche Leica M arrivate nel 1969 e in cosa consistono modifiche e migliorie; anche in questo caso descriveremo vari modelli procedendo dalle focali più corte.
Il primo obiettivo M completamente ricalcolato e rivisto ad arrivare nel 1969 fu la seconda versione dell’Elmarit-M 28mm 1:2,8, un’ottica che aveva esordito nel 1965 recuperando in un sol colpo ben 2 f/stop di apertura massima sul grintoso ma stagionato Summaron 28mm 1:5,6 anni ’50 che lo aveva preceduto; il primo modello utilizzava un complesso schema semi-simmetrico a 9 lenti con ridotto spazio retrofocale che da un lato produceva un’apprezzabile vignettatura e dall’altro non avrebbe consentito l’utilizzo dell’esposimetro TTL nei futuri corpi Leica M che ne sarebbero stati provvisti; venne quindi avviata una progettazione lungimirante, e sebbene la futura M5 si sarebbe fatta aspettare ancora per un paio d’anni, già nel 1969 si corse ai ripari introducendo un secondo schema ottico a 8 lenti con intercetto posteriore più distante che non avrebbe creato problemi sui futuri corpi TTL; curiosamente il fabbricante ha sempre descritto le prestazioni di questa versione con un certo understatement, senza strombazzare qualità straordinarie, tuttavia questo è il 28mm Elmarit-M che io utilizzo regolarmente da anni e devo dire che a mio parere fornisce invece risultati davvero eccellenti, inaspettati.
Notate come nella brochure d’epoca venisse ancora utilizzata la fotografia del primo modello a 9 lenti del 1965, facilmente riconoscibile per il cannotto di lenti posteriori molto sporgente che richiedeva di modificare in assistenza la baionetta se il proprietario intendeva montarlo su M5 per disabilitare il sollevamento del braccetto con fotocellula esposimetrica, evitando così di danneggiarlo con questo elemento che entrava profondamente nella fotocamera.
Questa seconda versione con schema a 8 lenti e spazio retrofocale aumentato venne in realtà prodotto con 2 differenti barilotti, il primo dei quali è conforme alla fotografia di questa brochure, con strozzatura “a vite di vespa” simile a quella del primo tipo del 1965, col quale condivideva anche lo stesso codice interno, 11801, un dettaglio che finì con creare confusione; questo barilotto venne utilizzato da metà 1969 fino al 1972.
La successiva variante adottava invece questo barilotto a sviluppo lineare, fu identificata con il nuovo codice 11802 e venne prodotta dal 1972 al 1979; proprio il dettaglio dei 2 differenti barilotti, poco noto, e l’attribuzione alla prima tipologia 1969-72 dello stesso codice 11801 della precedente a 9 lenti ha confuso molti esperti, anche famosi, e fino al “Libro Elmarit” scritto dal sottoscritto col famoso collezionista ed esperto Pierpaolo Ghisetti si riteneva che la produzione di questa seconda versione fosse iniziata solo nel 1972, col tipo 11802 a barilotto lineare, confondendo la prima versione “a vita di vespa” 11801 con quella del primo tipo a 9 lenti, la cui carriera veniva quindi arbitrariamente allungata fino al 1972, mentre l’avvicendamento fra primo tipo a 9 lenti e secondo ad 8 lenti avvenne a tutti gli effetti a metà 1969.
Gli schemi ottici della prima versione 11801 del 1965 e della seconda versione 11801 – 11802 del 1969 evidenziano la semplificazione introdotta (una lente e un punto di incollaggio in meno), mentre l’adozione di uno spazio retrofocale sufficientemente abbondante fu una scelta davvero lungimirante, dal momento che non solo permise di utilizzarlo con esposizione TTL sui corpi analogici provvisti di tale caratteristica come M5, M6 o M7 ma la sua proiezione risulta sufficientemente telecentrica per funzionare bene persino sui sensori digitali full-frame moderni, e non solo Leica, specificamente adattati, ma anche con mirrorless di terze parti.
Il primo schema è invece una meravigliosa citazione del Biogon da 90° di Bertele, al quale si ispira, tuttavia ereditandone anche dettagli meno favorevoli come, appunto, la proiezione assolutamente non telecentrica e l’ultima lente a distanza molto ravvicinata dal piano focale.
Il secondo obiettivo per Leica M arrivato nel 1969 è la rivisitazione di un modello classico ed estremamente importante del corredo, il Summicron-M 35mm 1:2, ottica che aveva esordito nel 1958 con la celebre versione a 8 lenti, adorata dai Leicisti; questo modello offriva effettivamente una resa plastica e ottima risolvenza anche con ridotta diaframmazione, tuttavia la complessa struttura ad 8 lenti in 6 gruppi con ben 12 passaggi aria/vetro era molto costosa da produrre e rendeva l’obiettivo prono al flare in presenza di forti luci o soggetti molto riflettenti, penalizzando il contrasto; il nuovo obiettivo prendeva quindi i proverbiali 2 piccioni con una fava, introducendo uno schema molto più semplice del tipo Doppio Gauss con appena 6 lenti in 4 gruppi che tagliava drasticamente i costi di produzione, e grazie ai miglioramenti nei rivestimenti antiriflesso e alla presenza di 8 passaggi ad aria soltanto il nuovo Summicron garantiva un migliore contrasto in condizioni di illuminazione critica.
Il nuovo modello era anche leggermente più compatto rispetto al predecessore, una miniaturizzazione fin troppo spinta che ha obbligato l’azienda a prevedere specifiche prese di forza per azionare agevolmente le minuscole ghiere.
Il nuovo Summicron-M 35mm 1:2 a 6 lenti del 1969 mette in mostra un nocciolo ottico visibilmente ridimensionato e sul barilotto sono evidenti i 2 elementi a sbalzo grazie ai quali è possibile ruotare le ghiere di messa a fuoco e diaframmi.
Gli stessi elementi sono ben evidenti in questa brochure del 1974 e imponevano ai fotografi con mani robuste qualche acrobazia per impostare i valori desiderati.
Il confronto fra lo schema ottico a 8 lenti del 1958 e quello a 6 lenti del 1969 evidenzia immediatamente la radicale semplificazione della struttura, resa possibile più dai progressi nel calcolo computerizzato che da nuovi ed avanzati vetri, già presenti anche nel tipo a 8 lenti; uno schema a 6 lenti analogo a questo venne in seguito utilizzato dai progettisti anche per realizzare il Summicron-C 40mm 1:2, realizzando quindi una certa economia di scala perché le esperienze maturate disegnando il Summicron 35mm 1:2 del 1969 furono preziose anche col successivo 40mm.
E’ bene ricordare che le serie più recenti di Summicron-M 35mm 1:2 a 6 lenti hanno subito un ulteriore ricalcolo, spaziando ad aria il doppietto posteriore, e questa è la ragione di tante opinioni contraddittorie sul rendimento di tale obiettivo e sul comportamento relativamente a vari parametri o aberrazioni ottiche: le valutazioni discordanti non sono un paradosso perché in effetti si tratta di 2 obiettivi differenti.
Il terzo obiettivo ricalcolato e rivisto che divenne disponibile nel 1969 è un altro storico modello del corredo M, il Summicron 50mm 1:2, ovvero il normale per eccellenza di tale sistema; in questo caso il passaggio di consegne tecnologico fu altrettanto importante perché Leitz abbandonò il caratteristico ed esclusivo schema Doppio Gauss a 7 lenti con 4 elementi davanti al diaframma (disegnato da Otto Zimmermann e da lui poi ridisegnato e ottimizzato con la versione in montatura rigida) e passò ad un più convenzionale e compatto schema a 6 lenti, migliorando tuttavia il contrasto rispetto al leggendario “7 lenti” grazie ai progressi informatici, all’uso di vetro LaF2 ad alta rifrazione e bassa dispersione nei 4 elementi più esterni e all’eliminazione di 2 passaggi “aria-vetro”; il nuovo schema più compatto permise anche di disegnare una montatura più snella e simile a quella utilizzata in seguito con la versione del 1979; descrivendo le prestazioni, il costruttore cita anche una migliore correzione della curvatura di campo (comunque presente anche nel modello 1969, a mio parere) e una vignettatura ai bordi più contenuta.
Il nuovo Summicron-M 50mm 1:2 presentato nel 1969 è quindi radicalmente differente dalla versione precedente, sia per il compatto gruppo ottico a 6 lenti che per la montatura di foggia moderna; le sue ridotte dimensioni lo rendono un perfetto compagno per la Leica M4 allora commercializzata, con proporzioni molto bilanciate.
Abbinando gli schemi ottici del Summicron-M 50mm 1:2 a 7 lenti “rigido” e del modello 1969 a 6 lenti le differenze balzano subito all’occhio: la complessa e originale struttura con 4 elementi spaziati ad aria davanti al diaframma della versione precedente lascia il posto a un Doppio Gauss quasi simmetrico a 6 lenti di struttura più tradizionale, la cui caratteristica peculiare è lo spazio ad aria fra la quarta e quinta lente, elementi che di solito risultano uniti in un doppietto collato; questa spaziatura è molto esigua (nella grafica l’ho leggermente accentuata per renderla ben visibile) e su molte brochure nella relativa sezione stampata sembra che gli elementi siano cementati, senza alcuna separazione, al punto che molti hanno creduto per anni che questo schema del 1969 e il successivo del 1979 condividessero la stessa architettura simmetrica a 6 lenti in 4 gruppi con 2 doppietti collati, viceversa nel modello del 1969 la simmetria è più legata alla scelta dei vetri (lo stesso Lanthanum Flint LaF2 nelle 4 lenti esterne e lo stesso Dense Flint SF15 nelle 2 interne) e questa lente d’aria fra la quarta e quinta lente con raggi di curvatura contigui di differente valore aggiunge quelle variabili di calcolo negate da una scelta così minimale per le tipologie di vetri ottici, probabilmente introdotta per economizzare ulteriormente sui costi di produzione.
Il quarto ed ultimo obiettivo Leica M ricalcolato e rivisto nel 1969 è l’Elmar 65mm 1:3,5, un modello particolare destinato all’utilizzo sulle scatole reflex Visoflex e la cui insolita focale venne scelta perché era la più corta ancora compatibile con la messa a fuoco a infinito utilizzando l’accessorio reflex appena citato; questo Elmar era specificamente calcolato per fornire le migliori prestazioni a coniugate finite, su piccoli soggetti ripresi a brevi distanze; l’obiettivo esisteva fin dal 1960 e questa nuova versione può vantare non soltanto un lifting estetico del barilotto ma anche una revisione allo schema ottico che, pur rimanendo invariato, a detta del fabbricante forniva risoluzione e contrasto superiori.
L’Elmar 65mm 1:3,5 era un obiettivo in montatura corta, privo del proprio elicoide di messa a fuoco, e si applicava su scatola reflex Visoflex tramite raccordi ed anelli elicoidali, come nell’esempio in foto; la lunghezza focale e l’arretramento del gruppo ottico consentivano di utilizzarlo anche ad infinito, anche se il suo range di elezione era la macrofotografia; la versione 1969 adottava una nuova livrea nera con godronature sottili e simmetriche, decisamente più moderna ed aggressiva, e anche il punto di fede per l’apertura del diaframma era definito da una linea bianca più visibile rispetto alla soluzione precedente.
La versione originale prodotta dal 1960 al 1969 è a sua volta immediatamente riconoscibile per la finitura satinata cromo e le godronature a sbalzi alternati sulla ghiera del diaframma, soluzioni dal sapore decisamente più vintage; anche il rivestimento antiriflesso di questa versione era più primitivo e meno efficace rispetto alla successiva; il modello 1960 era previsto per l’utilizzo preferenziale su Visoflex II con l’anello elicoidale tipo 16464K e come si può osservare il suo schema ottico tipo Elmar è analogo a quello delle comuni versioni da 50mm per Leica, differenziandosi però per la maggiore spaziatura fra l’elemento divergente centrale e il doppietto posteriore.
Lo schema ottico dell’Elmar 65mm 1:3,5 ricalca strettamente il modello Zeiss Tessar/Leitz Elmar classico, distinguendosi tuttavia per la citata spaziatura fra l’elemento centrale e quello posteriore; le modifiche introdotte nel nuovo calcolo del 1969 hanno prodotto un miglioramento delle prestazioni ma geometricamente sono troppo esigue per essere visibili in grafica, pertanto presento una singola sezione.
L’offerta Leitz per l’anno 1969 fu quindi molto interessante: anche mettendo momentaneamente da parte l’Elmar 65mm 1:3,5 ricalcolato, pezzo destinato ad utilizzi di nicchia nel campo scientifico e professionale, i nuovi calcoli ottici di obiettivi importanti come l’Elmarit-M 28mm 1:2,8 e i Summicron-M 35mm 1:2 e 50mm 1:2 introducevano novità radicali in alcune fra le ottiche più importanti ed apprezzate della gamma, preparando il corredo M ad affrontare di slancio un nuovo decennio difficile e frenetico; utilizzando oggi questi obiettivi si resta ancora meravigliati per le loro prestazioni e non ci si può esimere da un sentimento di sincera ammirazione per chi seppe calcolare questi gioielli molti anni addietro e con supporti tecnologici ben più limitati di quelli attuali!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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