Normali per Contarex. Zeiss Planar 55mm 1:1,4

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; Questo articolo chiude una trilogia sugli obiettivi normali destinati alla reflex 35mm Contarex prodotta dalla Zeiss Ikon Stuttgart, l’ultima “vera” fotocamera Zeiss, e descrive il modello di maggiore luminosità, ovvero il famoso Carl Zeiss Planar 55mm 1:1,4.

Per il sistema Contarex, evidentemente impostato ancor prima di metà anni ’50, era stato inizialmente previsto che un normale di apertura 1:2 (il futuro Planar 50mm) fosse sufficiente a soddisfare le esigenze della clientela, dal momento che la sparuta schiera di sistemi reflex concorrenti disponibili a quel tempo non poteva offrire modelli superluminosi; la situazione era tuttavia fluida e negli anni richiesti per arrivare finalmente alla commercializzazione vari costruttori presentarono obiettivi normali di grande apertura per apparecchi a telemetro, spingendosi ad 1:1,2 e anche 1:1,1, senza contare che la stessa Zeiss Ikon (Dresden, a quel tempo) era stata la trendsetter del settore introducendo il magnifico Sonnar 50mm 1:1,5 già nel lontano 1932 e del quale al momento era ancora commercializzata la versione postbellica ricalcolata e prodotta ad Oberkochen per le Contax IIa e IIIa; pertanto il management considerò che il nuovo sistema reflex professionale non poteva essere da meno e se la telemetro Contax prodotta n casa offriva regolarmente un obiettivo standard con apertura 1:1,5, la nuova reflex professionale che di fatto andava a raccoglierne il testimone del prestigio non poteva essere da meno.

Pertanto, proprio quando a Stuttgart fervevano i preparativi per esporre finalmente la Contarex alla Photokina 1958, ad Oberkochen ci si strava applicando per calcolare un normale superluminoso, una scelta logica e anche informata di una certa preveggenza, perché di lì a poco la nuova Nikon F di Nippon Kogaku avrebbe calcato le scene e quasi subito sarebbe stato disponibile un normale Nikkor-S Auto 5,8cm 1:1,4 destinato alla visione reflex.

Il calcolo del nuovo Planar 1:1,4 fu completato nel Maggio 1959, ancora prima che le linee di produzione della Contarex iniziassero il loro balletto (Settembre 1959), tuttavia i tempi tecnici non si potevano annullare e inizialmente la nuova ed ambiziosa fotocamera non potè contare sulla disponibilità effettiva del suo superluminoso.

 

 

Infatti, questo bollettino informativo per i dealer statunitensi è relativo all’uscita del Luglio 1961 e la disponibilità di questo nuovo obiettivo viene rivelata per la prima volta, ad oltre due anni dalla richiesta di brevetto per il gruppo ottico; come potete osservare la focale adottata per il nuovo Planar 1:1,4 non fu 50mm bensì 55mm, una scelta condivisa a quel tempo anche da altri fabbricanti di apparecchi reflex perché la focale leggermente più lunga facilitava il calcolo ottico per ottenere l’ampio spazio retrofocale richiesto dalle esigenze dello specchio reflex; inoltre, come vedremo, dietro la focale effettiva di quest’obiettivo si dipanerà un’interessante questione.

Il fatto stesso che nel testo la Zeiss si affretti subito a specificare che l’obiettivo, nonostante l’angolo di campo ridotto a 41°, rientri a pieno titolo nella categoria dei normali per impiego generale tradisce un certo imbarazzo e fastidio per esser stati costretti a questo compromesso sulla lunghezza focale, mentre la descrizione del rendimento rientra nel classico alveo demagogico vantando prestazioni eccellenti ad 1:1,4 e a tutte le altre aperture, affermazione sicuramente ottimistica quando riferita al diaframma spalancato, mentre è vero che calcolare un luminoso di questo genere con lo spazio retrofocale necessario ad una fotocamera reflex presenta maggiori difficoltà.

Naturalmente, trattandosi di un bollettino a diffusione limitata e riservato ai rivenditori, il documento riporta sia il prezzo di ingrosso con relative accise che quello finale al pubblico; incidentalmente, un rapido calcolo mostra come l’utile garantito a rivenditore fosse nell’ordine del 49% rispetto al costo pattuito, un valore che oggi può far strabuzzare gli occhi al negoziante del settore abituato ai margini ridottissimi offerti da certi importatori nazionali sulla merce ufficiale, tuttavia occorre considerare che questi ampi guadagni erano pattuiti perché a quei tempi negli States in rivenditore effettuava un servizio di prim’ordine, consentendo al cliente di provare dal vivo le attrezzature prima di acquistarle e spendendo pazientemente pomeriggi interi a spiegare e descrivere ogni dettaglio o a rispondere ad ogni tipo di domanda, una prassi diffusa che giustificava gli abbondanti margini di ricarico offerti dall’importatore e che, in ogni caso, contribuivano a far lievitare ulteriormente prezzi già salati in partenza.

 

 

Il Carl Zeiss Planar 55mm 1:1,4 per Contarex venne ufficialmente distribuito col codice interno 11.2407, rivelando quindi che è stato il primo obiettivo ad arrivare dopo il sestetto iniziale, subito dopo il tele lungo Sonnar 250mm 1:4 a preselezione con codice 11.2406, e venne ufficialmente prodotto dal 1961 al 1970; questo catalogo generale Zeiss Ikon inglese 1962-63 illustra già il nuovo e prestigioso obiettivo con una fotografia a piè pagina ma erroneamente omette di indicarlo nel testo assieme agli altri modelli forniti come accessorio (il Planar 50mm 1:2 non è compreso perché considerato un bundle-lens commercializzato con la macchina) e l’unico riferimento lo troviamo nella descrizione della custodia in cuoio 20.7757, indicata idonea sia per il Sonnar 85mm 1:2 che per il Planar 1:1,4 (notate come la focale curiosamente non sia indicata, poi vedremo le ragioni)

 

 

Per quanto riguarda il prezzo di listino, notoriamente il costo delle ottiche Contarex, se escludiamo modelli specialissimi come i Mirotar a specchio, era abbastanza uniformato all’interno della gamma, ad indicare come fossero i protocolli stessi di eccellenza che si estendevano anche alle caratteristiche meccaniche comuni a definire il prezzo finale più che la specifica complessità o meno del relativo schema ottico; infatti, osservando questo listino statunitense effettivo dal 15 Maggio 1965, notiamo che il Planar 50mm 1:2 cromato primo tipo 11.2401 costava 185 Dollari e quello nero secondo tipo con accoppiamento al numero guida 11.2412 arrivava a 207 Dollari (il 1965 fu l’anno in cui le due versioni si avvicendarono, e in questo listino curiosamente coesistono), mentre il prestigioso e luminoso Planar 55mm 1:1,4 tipo 11.2407 costa solamente 266 Dollari, una differenza modesta e inferiore a quella ipotizzabile.

Tornando alla particolare lunghezza focale di questo modello, come avevo anticipato dietro la sua esatta definizione si cela un piccolo giallo che andremo ad indagare grazie a questa immagine di Hans-Juergen Kuc.

 

 

In effetti, quando lo schema ottico venne definito, per ottenere l’adeguato spazio retrofocale la lunghezza focale adottata dai progettisti era addirittura superiore a 57mm (la focale effettiva caratteristica è 57,1mm), una scelta obbligata e del resto condivisa anche da Nippon Kogaku col suo Nikkor-S Auto 5,8cm 1:1,4 del 1960 che abbiamo citato in precedenza o da Canon per i suoi primi luminosi destinati alle reflex; pertanto le preserie dell’obiettivo erano ufficialmente denominate Planar 58mm 1:1,4, come si può osservare nel prototipo a sinistra che, appunto, prevede la scritta “Planar 1 : 1,4  f = 58mm”; tuttavia, prima di arrivare alla produzione di serie e alla distribuzione sul mercato, il management argomentò che questa focale anomala da 58mm poteva risultare troppo insolita per i clienti: pertanto, sfruttando le tolleranze ammesse dalle norme DIN, l’obiettivo venne semplicemente ribattezzato “Planar 1 : 1,4  f = 55mm”, sebbene ovviamente la focale effettiva rimanesse 57,1mm, arrivando alla configurazione finale che vediamo a destra.

Sul “misterioso” Planar 58mm 1:1,4 scese quindi un velo di oblio e questa damnatio memorie si spinse al punto che tutte le ghiere già approntate in officina con la scritta 58mm vennero distrutte; ringrazio quindi Hans-Juergen Kuc per questa eccezionale fotografia che documenta una storica fase nella definizione del Planar Contarex luminoso.

 

 

Giunto finalmente sul mercato dopo questi travagli, il Planar 55mm 1:1,4, nuova flagship del corredo, si configurò come l’obiettivo per il fotografo raffinato o per il giornalista/foto-documentarista e montato sul relativo corpo macchina faceva la sua splendida figura, mentre la grande lente frontale a rivaleggiava con l’occhio ciclopico dell’esposimetro al selenio; questa è l’immagine originale che illustra la copertina del pregevole volume “Zeiss – un gigante dell’ottica” scritto da Pierpaolo Ghisetti e Giulio Forti per Editrice Reflex, e non a caso vennero scelti proprio questi pezzi per simboleggiare idealmente l’intera storia Zeiss.

 

 

Il Planar 55mm 1;1,4 tipo 11.2407 fu prodotto in appena 8,275 pezzi (numeri risibili per i volumi nipponici ma consueti per questo elitario sistema) e fu disponibile inizialmente in finitura satinata cromo e quindi nera; l’obiettivo condivideva la stessa, complessa architettura del diaframma già vista con il Planar 50mm 1:2, con numerose lamine dalla sagoma fantasiosa che componevano forme differenti a seconda dell’apertura selezionata e che a diaframmi centrali davano vita a questa spettacolare stella a nove punte; il diametro della lente anteriore ha consentito di mantenere a malapena la classica baionetta di servizio B56 mentre è scomparsa la filettatura supplementare da 49×0,75mm presente nei 50mm Planar 1:2 e Tessar 1:2,8 e che consentiva di applicare alla bisogna filtri a filetto di tale misura; approfitto ora di immagini che realizzai anni fa durante un intervento casalingo sul mio Planar 55mm 1:1,4 per descrivere la sua struttura meccanica.

 

 

Come già descritto nell’articolo dedicato al Planar 50mm 1:2, il barilotto meccanico dell’obiettivo costituisce un pre-assemblato completo, così come il cannotto metallico che racchiude il gruppo ottico e che è già stato calibrato e sigillato prima dell’applicazione; in pratica l’obiettivo è composto solamente da tre moduli principali; la baionetta cromata per i filtri con la relativa flangia di interfaccia alla parte anteriore dell’obiettivo, il barilotto con l’elicoide di messa a fuoco e la guida di intercetto per la camma del diaframma montata su cuscinetto a sfera e il cannotto di metallo anodizzato che contiene il gruppo ottico con la relativa camma sporgente per aprire e chiudere il diaframma.

 

 

Pertanto, disponendo di questi elementi, per il montaggio finale il reparto meccanico doveva semplicemente calzare il nocciolo ottico all’interno del barilotto fino a mandare in battuta il suo labbro metallico sporgente contro la parte anteriore del barilotto stesso e quindi serrare il modulo di lenti avvitandoci sopra la baionetta di servizio; in questo modo il labbro perimetrale anteriore del cannotto col gruppo ottico rimaneva stretto fra la battuta del barilotto e la parte interna della baionetta B56, e questo bastava per fissarlo in posizione.

 

 

La vista di profilo del pre-assemblato di lenti mostra la costruzione in metallo anodizzato, la camma mobile che gestisce la regolazione dell’iride con la relativa asola che ne consente l’escursione e la lunghezza focale effettiva dell’esemplare sgorbiata sulla finitura esterna e necessaria per le calibrazioni di infinito (in questo caso 57,3mm, a fronte dello standard medio di 57,1mm).

 

 

Naturalmente le operazioni di assemblaggio non erano così elementari come descritto in precedenza, e c’erano due importanti fasi da finalizzare, la prima delle quali consisteva nel registro di infinito, in modo tale che con la ghiera delle distanze a fondo corsa l’obiettivo montato sul relativo corpo macchina fosse effettivamente a fuoco ad infinito; per garantire questo importante dettaglio il reparto meccanico semplicemente effettuava misurazioni preliminari su mire e poi provvedeva a fresare la battuta interna del labbro anteriore (evidentemente mantenuta abbondante di default), arretrando di fatto la posizione del gruppo ottico fino a collimare un infinito perfetto.

 

 

La seconda operazione, ovviamente, era quella di accoppiare la camma del diaframma alla relativa interfaccia mobile del barilotto, operazione agevole perché quest’ultima è costituita da una sorta di forchetta nella quale andava semplicemente infilata la camma mentre il cannotto di lenti entrava nel barilotto, ruotandolo poi fino a posizionare l’iride alla massima apertura con il sistema di rinvio mantenuto all’inizio della sua corsa.

Questa fotografia è interessante perché svela un dettaglio meccanico negato dalla documentazione ufficiale: come ho descritto negli altri due articoli dedicati ai normali Contarex, i 50mm Planar e Tessar disponevano di un sistema automatico che apriva leggermente il diaframma rispetto al valore nominale impostato quando l’obiettivo veniva focheggiato a distanze molto brevi, compensando quindi il naturale assorbimento luminoso; secondo la documentazione Zeiss il luminoso Planar 55mm 1:1,4 ne sarebbe sprovvisto, forse perché la messa a fuoco minima dello schema ottico, sicuramente più critico in questo parametro, era stata contenuta nei classici 0,45m (contro i 0,3m e 0,35m di Planar 1:2 e Tessar 1:2,8); tuttavia, osservando l’interno del barilotto nel mio esemplare, si nota come la forchetta che intercetta la camma del diaframma e le consente di scorrere avanti e indietro seguendo il gruppo di lenti durante la messa a fuoco presenti il caratteristico orientamento diagonale degli obiettivi provvisti di compensazione automatica del diaframma, e l’immagine ne illustra il funzionamento in modo comprensibile: quando il gruppo di lenti avanza assieme la relativa camma del diaframma mettendo a fuoco a coniugate brevi, la camma stessa scorre nella guida diagonale e cambia posizione rispetto all’orientamento del gruppo ottico, di fatto impostando in automatico un diaframma leggermente più aperto, fenomeno che si ripete al contrario tornando a focheggiare verso infinito.

Il Planar 55mm 1:1,4 è quindi inequivocabilmente fornito di compensazione automatica del diaframma a distanze brevi, nonostante la messa a fuoco a 0,45m sia meno critica rispetto a quella garantita dai fratelli minori, mentre il suo diaframma rimane a tutta apertura fino allo scatto come negli altri modelli ma può essere chiuso solamente fino ad 1:16.

 

 

Il Planar 55mm 1:1,4 Contarex, con questa dotazione ottica e meccanica di prim’ordine, pesa ben 375g e prevede un barilotto abbastanza tozzo (diametro e lunghezza non sono molto dissimili, 68mm x 55mm), tuttavia l’estetica complessiva sinuosa e lineare risulta molto piacevole e il barilotto minimale, spogliato di tutti i fronzoli inutili fino alla stessa ghiera del diaframma, preconizza un’estetica di grande modernità anche a sessant’anni dalla produzione, e basta osservare un recente obiettivo Canon EF come quello illustrato per vedere quanta preveggenza ci fosse nel design della Contarex: un altro esempio? La rotella zigrinata ed ergonomica trasferita sul corpo per comandare l’apertura del diaframma e analoga a quelle tuttora ampiamente utilizzate nella maggioranza dei corpi macchina digitali.

 

 

Il Planar 55mm 1:1,4 fu dunque disponibile in due versioni, accomunate dall’identico codice interno 11.2407 (tale denominazione non cambiava per semplici aggiornamenti estetici non strutturali); il tipo satinato cromo degli esordi fu prodotto dal 1961 al 1964 e si caratterizzava per una scala delle distanze singola (in metri oppure piedi) e, naturalmente, barilotto interamente satinato; normalmente il passaggio alla versione nera interessò altri modelli intorno al 1965, tuttavia proprio il Planar 55mm fu un modello-pilota che diede il via a questa piccola rivoluzione nella serie, e la transizione al secondo tipo con barilotto parzialmente rifinito in nero avvenne dunque l’anno precedente, 1964, e la produzione continuò fino al 1970, andando poi ad esaurimento scorte; la versione nera è otticamente e meccanicamente identica alla precedente con l’eccezione della doppia scala delle distanze, contemporaneamente in metri e piedi.

 

 

Contestualmente anche i colori delle scritte sul barilotto furono cambiati per garantire la leggibilità, passando dal nero della versione satinata cromo al bianco e rossiccio di quella nera, nella quale anche gli indici della profondità di campo presentano cifre decisamente grassettate rispetto al modello iniziale; naturalmente il paraluce più idoneo è il tipo 50-135mm, disponibile nel tempo sia in finitura satinata su metallo che in finitura nera su metallo o in plastica (le ultime serie), quindi esteticamente accoppiabile ad entrambi i modelli di obiettivo.

Dal momento che il Planar 55mm fu il primo obiettivo a passare nella serie al barilotto nero, sono documentati alcuni esemplari di preserie assolutamente identici a quelli definitivi ma riconoscibili per la matricola particolare.

 

 

Ho potuto infatti documentare questi esemplari (il secondo dei quali ora conservato dal caro amico Giovanni Maria) con matricole appartenenti ai classici lotti prototipici Zeiss, la prima 2.583.898 e la seconda 2.583.903, pertanto esiste almeno una manciata di obiettivi Planar 55mm neri di preserie riconoscibile per la matricola anomala.

Come curiosità statistica, esistono prototipi di Planar 50mm 1:2 primo tipo, Sonnar 85mm 1:2 o Sonnar 135mm 1:4 interamente neri, compreso il settore della ghiera di messa a fuoco, tuttavia nessun 55m 1:1.4 Planar rientra in tali specifiche, nemmeno i prototipi.

 

 

La finitura nera della seconda serie fornisce un look più moderno, aggressivo e crepuscolare al Planar luminoso (sebbene il settore godronato in metallo a vista sulla ghiera della messa a fuoco e la baionetta cromata anteriore rimandino al passato) e l’obiettivo si sposava bene con le rare Contarex nere, come questa Super illustrata da un’insolita pubblicità giapponese.

 

 

Naturalmente anche la versione originale satinata cromo è molto elegante e con un’estetica vintage fuori dal tempo; chiaramente si intona meglio a corpi macchina cromati come questa rara Super secondo tipo “Zeiss Contarex Vertieb”.

Vediamo ora i segreti che si nascondono dietro al suo complesso schema ottico.

 

 

Quest’obiettivo venne calcolato da Johannes Berger e Guenther Lange, gli stessi stecnici che sei anni prima avevano concepito anche il futuro Planar 50mm 1:2 con cui la Contarex esordì sul mercato; Lange iniziò la sua carriera in azienda praticamente quando la Oberkochen Opton venne fondata e ben presto le sue abilità lo portarono a dirigere il dipartimento di calcolo ottico, mentre Johannes Berger era un autentico specialista nei progetti di tipo Doppio Gauss che a quei tempi diede vita anche ai Planar 80mm 1:2,8 per Hasselblad a 6 lenti e 7 lenti e al Planar 75mm 1:3,5 per Rolleiflex a 5 lenti; il calcolo venne finalizzato fra il 1958 e i primi mesi del 1959 e la richiesta proprietaria di brevetto tedesco, cioè il documento che stiamo osservando, venne depositata il 16 Maggio 1959.

 

 

Il brevetto descrive uno schema Doppio Gauss asimmetrico con 7 lenti in 5 gruppi e una coppia di doppietti collati adiacenti al diaframma, una struttura poi largamente sfruttata su svariati 50mm 1:1,4 per reflex di molti fabbricanti fino a inizio-metà anni ’70; notate come un timido tentativo per contenerne i costi si può riscontare nel piano d’incollaggio del doppietto anteriore, con tutti gli altri parametri dello schema modificati in sua funzione per mantenerne il raggio infinito, quindi con due superfici di contatto piatte che facilitavano le operazioni di molatura.

Notate anche come nel progetto originale l’angolo di campo previsto sia di 40° (+- 20°), individuando una corrispondente lunghezza focale decisamente superiore ai classici 50mm, ai quali corrisponde un campo di 46°.

Osservando i parametri grezzi di calcolo, troviamo conferma dell’interfaccia fra gli elementi L2 ed L3 con raggio infinito, cioè piatti, mentre l’esperto nota subito nella sequenza di valori rifrattivi/dispersivi delle lenti  la presenza di quattro elementi realizzati in vetri alle Terre Rare con alta rifrazione e bassa dispersione (L1, L5, L6, L7).

 

 

Questa precisissima sezione è stata disegnata dal caro amico Pierre Toscani partendo dai parametri matematici del progetto e le quote sono state definite basandosi sulla lunghezza focale media effettiva degli esemplari effettivamente prodotti, cioè 57,1mm; notate come lo spazio retrofocale sia di ben 37,86mm, quindi sufficiente per abbinarlo ad un apparecchio reflex con specchio mobile; proprio questa notevole distanza fra vertice dell’ultima lente e piano focale garantisce oggi una proiezione sufficientemente telecentrica per funzionare senza problemi anche su corpi macchina full-frame, sebbene la particolarissima architettura della baionetta posteriore e del rinvio per il diaframma limiti l’impiego solamente a corpi mirrorless o Leica M di ridotto tiraggio.

 

 

Per quanto riguarda la scelta dei vetri, il Planar 55mm 1:1,4 utilizza quattro lenti in vetro lanthanum Flint LaF: due in LaF3 (L1 ed L7) e due in LaF10 (L5 ed L6); si tratta di materiali con un rapporto molto favorevole fra alta rifrazione e bassa dispersione, specialmente il tipo LaF10, che hanno permesso di finalizzare questo schema; oggi il vetro LaF10 risulta obsoleto e sostituito da una versione simile denominata LaF33.

Per quanto riguarda le prestazioni sul campo, l’obiettivo non ha mai condiviso la nomea di eccellenza assoluta che ha accompagnato il meno luminoso e più facile Planar 50mm 1:2 e viene ricordato più per la resa tridimensionale e la scansione del piani che per la nitidezza tout-court, per quando col diaframma anche solo parzialmente chiuso il rendimento sia di tutto rispetto con un particolare macrocontrasto, mentre ad 1:1,4 i risultati semplicemente non reggono il confronto con quelli ai quali ci hanno abituato i luminosi moderni ma questo era anche prevedibile, considerando la complessità del progetto luminoso retrofocus e l’anno di realizzazione.

Anche in questo caso a inizio anni ’70 (esattamente il 24 Novembre 1970) nel laboratorio di Oberkchen vennero misurati i valori di trasferimento di modulazione del contrasto (MTF), la caduta di luce ai bordi e la distorsione di un esemplare, invariabilmente riportati a mano su carta millimetrata poi allagata da un’esondazione che ha lasciato vistose tracce sui documenti.

 

 

Come di consueto le misurazioni definiscono il trasferimento di contrasto dal centro (sinistra) ai bordi (destra) misurato a 5, 10, 20 e 40 cicli/mm di frequenza spaziale con orientamento sagittale (mire parallele alla semidiagonale, linea tratteggiata) e tangenziale (mire perpendicolari alla semidiagonale, linea continua), valutando i risultati alle aperture 1:1,4 ed 1:8; anche per il Planar 55mm 1:1,4 la modeste differenza nell’altezza delle coppie di curve testimonia l’attenzione al controllo di astigmatismo e curvatura di campo, sebbene in modo meno radicale rispetto al più semplice Planar 50mm 1:2; notate come il trasferimento di contrasto ad 1:1,4 con 40 cicli/mm, cioè la frequenza spaziale più esigente, in orientamento sagittale arrivi al valore zero prima dei bordi, indicando l’impossibilità fisica di risolvere dettagli corrispondenti a quella risolvenza, anche con contrasto minimo; a diaframma ben chiuso (1:8) le curve migliorano ma l’asse del fotogramma (estrema sinistra del diagramma) resta insolitamente indietro rispetto alle zone mediane, come se uno focus shift lo avesse messo fuori fuoco chiudendo il diaframma (caratteristica condivisa da altri luminosi e legata all’andamento dell’aberrazione sferica); complessivamente i valori sono discreti per un luminoso 1:1,4 ma naturalmente, se cerchiamo nitidezza e contrasto senza compromessi anziché bokeh e tridimensionalità, è forse meglio dirottare sul classico Planar 50mm 1:2; se aspiriamo ad immagini espressive, basate sul contributo dello sfuocato e sulla resa onirica/pittorica, il Planar 55mm a tutta apertura non delude, anche se esistono altri obiettivi vintage che a diaframma spalancato si comportano in modo simile ad una frazione del prezzo.

 

 

Passando alle misurazioni di contorno, la caduta di luce ai bordi ad 1:1,4 è consistente (oltre 2 f/stop) nonostante l’ampio diametro degli elementi e la montatura che non presenza strozzature geometriche, tuttavia è sufficiente chiudere soltanto ad 1:4 perché la trasmissione ai margini superi il 70% di quella espressa al centro, un risultato a parità di apertura sicuramente migliore rispetto ai 50mm Contarex meno luminosi, mentre la distorsione a barilotto, che nel Tessar 1:2,8 era allo 0,6% e nel Planar 50mm 1:2 non andava oltre 1%, in questo caso paga pegno per la complessità dello schema e si spinge al 2%, valore che costituisce la soglia di visibilità evidente con soggetti critici, quindi ancora entro l’ambito della normalità.

 

 

Il Planar 55mm 1:1,4 è stato quindi un obiettivo prestigioso e assolutamente “necessario” in un sistema con dichiarate velleità professionali come il Contarex, tuttavia il suo schema è nato forse il leggero anticipo, pochi anni, rispetto alle naturali evoluzioni della tecnologia che hanno portato allo sviluppo di modelli più performanti e corretti; oggi è un pezzo ricercato dai collezionisti del marchio (spunta anche quotazioni interessanti) e tenerlo in mano fornisce sensazioni appaganti come solo un monumento di meccanica e ottica fine possono dare, tuttavia ne suggerisco l’utilizzo effettivo soprattutto per ottenere le tipiche immagini legate alle grandi aperture di diaframma con evidente contributo del bo-keh sullo sfondo più che per risolvere l’ultima linea per millimetro, l’anzianità del suo calcolo richiede infatti un po’ di reverente rispetto!

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

 

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