Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la moderna produzione di obiettivi fotografici ci ha abituato a prestazioni mirabolanti e una focale impegnativa come il supertele da 400mm viene ormai coperta tranquillamente da compatti zoom stabilizzati e con vetri a bassa dispersione che consentono di sfruttarla a mano libera senza troppe difficoltà.
La questione era totalmente diversa anche solo poche decine di anni fa, quando i “cannoni” da 400mm erano rappresentati da ben pochi modelli, rigorosamente con messa a fuoco manuale e spesso frutto di compromessi ottici per non sfruttare gli allora costosissimi vetri ED; a quei tempi ci si accostava a simili strumenti con reverenza e non era assolutamente facile ottenere una fotografica corretta, ferma, bene a fuoco e ragionevolmente nitida.
Un obiettivo molto iconico e rappresentativo di tale periodo è il Nikon Nikkor AiS 400mm 1:5,6 IF ED, un modello che costituiva un interessante compromesso perché sacrificando un’apertura massima iperbolica riusciva a contenere peso e dimensioni a livelli ben più che accettabili, mentre la presenza di una lente ED a bassissima dispersione lo connotava comunque come modello professionale ad alte prestazioni (del resto costava il quadruplo di un Nikkor AiS 300mm 1:4,5…) e l’adozione della messa a fuoco interna (IF) garantiva una rotazione morbidissima e precisa della relativa ghiera.
Vediamo quindi di dedicare a questo modello lo spazio adeguato, iniziando dalla cronistoria dei 400mm Nikkor con messa a fuoco manuale.
Il primo 400mm venne lanciato da Nippon Kogaku nell’Agosto 1964 e faceva parte di un gruppo di potenti teleobiettivi (400mm, 600mm, 800mm e 1.200mm) appositamente realizzati per le Olimpiadi di Tokyo di quell’anno; questi obiettivi costituivano un sistema modulare perché le teste ottiche con relative lenti andavano tutte applicate ad uno speciale tubo di messa a fuoco comune denominato AU-1 che incorporava la ghiera delle distanze e il controllo del diaframma; il Nikkor-Q Auto 400mm 1:4,5 così configurato garantiva al professionista una buona luminosità con una distanza di fuoco minima ancora apprezzabile (5,5m), tuttavia il peso del massiccio complesso arrivava a ben 4,3kg, un valore che escludeva la possibilità di utilizzarlo a mano libera sebbene l’apertura 1:4,5 con film a 400 ISO avrebbe consentito tempi di posa sufficientemente rapidi.
Fra le caratteristiche pregevoli di questo primo modello abbiamo il filtro da 52mm con cassetto a inserimento (quelli standard anteriori sono da ben 122mm), il collare di fissaggio al treppiedi con sistema di rotazione, il paraluce telescopico estraibile e speciali prese di forza da avvitare alla ghiera di messa a fuoco per agevolare le operazioni; nonostante il tubo di messa a fuoco mantenesse il diaframma alla massima apertura chiudendolo brevemente solo al momento dello scatto, non era tuttavia previsto alcun accoppiamento ad eventuali mirini-esposimetro Photomic e quindi l’esposizione TTL andava misurata col metodo stop-down, chiudendo l’iride al valore effettivo di lavoro.
Lo schema ottico utilizza una struttura classica e datata a 4 lenti spaziate ad aria; questo modello, prodotto fino al 1977 quando era ormai un fossile vivente, prevede ingombri ragguardevoli (lunghezza: 471,5mm con tubo AU-1) e nella progettazione meccanica sembra quasi che abbiano voluto abbondare con certe quote per rendere l’ottica visivamente imponente, prevedendo uno sbalzo di 47,3mm davanti alla prima lente e un diametro anteriore da ben 135mm che non era assolutamente richiesto dalla misura delle lenti frontali; probabilmente lo sbalzo è stato adottato per fornire un paraluce telescopico sufficientemente efficace, e il suo avanzamento rispetto alla lente anteriore ha imposto di conseguenza un diametro importante per escludere la vignettatura meccanica.
Il tubo di messa a fuoco AU-1 prevedeva una lunghezza di 312,5mm e nella parte anteriore l’accoppiamento con la testa ottica era garantito da una robusta filettatura da 88×1,5mm; il tubo prevede l’attacco girevole per treppiedi, la ghiera di messa a fuoco e quella del diaframma, con aperture da 1:4,5 ad 1:22 (logicamente 1:4,5 era utilizzabile solo col più luminoso 400mm).
Alla Nippon Kogaku si resero conto che molti clienti avrebbero tratto giovamento da un 400mm utilizzabile a mano libera, pertanto progettarono un nuovo modello radicalmente differente, non più asservito al tubo AU-1 e limitato all’apertura massima 1:5,6 ma, per contro, con dimensioni e pesi compatibili col brandeggio diretto.
Questo nuovo teleobiettivo è il Nikkor-P.C Auto 400mm 1:5,6, equipaggiato all’origine col rivestimento multicoating NIC e prodotto dal Febbraio 1973 al Settembre 1975, quindi in affiancamento alla versione 400mm 1:4,5 per tubo AU-1; in questa immagine tratta da una brochure del 1974 il nuovo 400mm 1:5,6 P.C Auto è affiancato alla testa ottica del 400mm 1:4,5 Q Auto e l’opera di snellimento messa in atto è molto evidente.
Il nuovo 400mm mantiene il paraluce telescopico estraibile e l’attacco per il treppiedi (quest’ultimo mirabilmente miniaturizzato) mentre la forcella presente sulla ghiera del diaframma consente l’accoppiamento diretto all’esposimetro delle fotocamere Nikon.
Questo nuovo 400mm impiegava uno schema a 5 lenti ma non faceva uso di vetri speciali a bassissima dispersione, mantenendo quindi un certo spettro secondario irrisolto; intorno al 1975 la vetreria controllata da Nippon Kogaku riuscì finalmente a fornire stabilmente tali materiali e per professionalizzare ulteriormente il modello i tecnici dell’azienda introdussero una lente ED nel palinsesto dello schema ottico preesistente.
Questa importante miglioria diede vita ad un terzo modello, il Nikkor 400mm 1:5,6 ED, assemblato dal 1975 al 1983 in versione “K” gommata pre-Ai e in versione Ai; nonostante la produzione mantenuta fino al 1983 non fu mai creato il modello AiS, sebbene tale standard di montatura fosse effettivo dal 1981.
Questo Nikkor 400mm 1:5,6 ED manteneva complessivamente il barilotto della versione precedente, aggiornando il paraluce telescopico (ora completamente lineare) e aggiungendo il filetto dorato che identifica le ottiche Nikkor con vetri ED; del predecessore restano anche il passo filtri da72mm e la messa a fuoco minima a 5 metri, così come il peso risulta ancora assestato su 1,4kg, valore accettabile per l’impiego a mano libera.
La sezione del modello mostra il classico schema da teleobiettivo a 5 lenti con doppietto anteriore e doppietto divergente posteriore ereditato dal 400mm 1:5,6 P.C Auto; lunghezza e diametro rispettivamente di 262,7mm e 83mm mostrano il grande progresso rispetto al 400mm 1:4,5 per tubo AU-1 del 1964.
Questo secondo schema mostra come la lente ED si trovi in posizione frontale; effettivamente alcuni obiettivi Nikkor ED sviluppati e commercializzati da metà anni ’70 a inizio anni ’80, come ad esempio il già discusso AiS 180mm 1:2,8 ED, adottavano quel tipo di vetro in tale posizione e senza alcun filtro anteriore protettivo; poi la casa si è resa conto della maggiore vulnerabilità di questo materiale, più tenero e fragile della norma, e per lenti ED in prima posizione ha iniziato ad anteporre un vetro piano-parallelo fisso di protezione.
Come anticipato, il Nikkor 400mm 1:5,6 ED fu disponibile dal 1975 al 1983 e venne prodotto fino al 1977 in versione “K”, successivamente Ai; esteticamente i 2 obiettivi sono identici e l’unica differenza per il secondo riguarda la ghiera del diaframma, con forcella forata, camma sporgente per l’accoppiamento esposimetrico Ai e seconda scala delle aperture per la lettura diretta nel mirino; come l’illustrazione ci suggerisce, è interessante notare che grazie al modello Nikkormat EL era possibile utilizzare anche il modello “K” pre-Ai in automatismo a priorità di diaframmi, grazie al fatto che tale apparecchio si avvaleva ancora della vecchia interfaccia esposimetrica tramite forcella.
A questo punto Nippon Kogaku aveva ridotto il peso del 400mm dagli iniziali 4,3kg ad appena 1,4kg, confezionandolo in un barilotto facilmente utilizzabile anche a mano libera e incrementando le prestazioni grazie all’aggiunta del vetro ED; l’ultima ulteriore miglioria possibile a quell’epoca consisteva nel velocizzare la messa a fuoco, dal momento che anche nel 400mm 1:5,6 ED l’elicoide movimentava tutto il cannotto anteriore con l’intero gruppo ottico, richiedendo un certo sforzo, e contestualmente anche ridurre la distanza minima disponibile.
Questi ulteriori affinamenti arrivarono proprio col Nikkor 400mm 1:5,6 IF ED, il protagonista dell’articolo; questo modello, introdotto in montatura Ai nell’Agosto 1978, passato a quella AiS nel Febbraio 1982 e rimasto a listino fino all’Agosto 2002, utilizzava un nuovo schema ottico derivato da quello del fratellone Nikkor 400mm 1:3,5 IF ED (lanciato nell’Aprile 1976 dopo un forsennato tour de force per completarlo prima delle Olimpiadi di Montréal dello stesso anno); questo schema si caratterizza per un gruppo mobile che consente la messa a fuoco interna e nell’Agosto 1978 arrivarono in contemporanea sia il 400mm f/5,6 IF ED che il 300mm 1:4,5 IF ED, 2 teleobiettivi che in pratica condividevano sia il nuovo gruppo ottico che un inedito barilotto snello ed elegante, con diametro ridotto e ghiera di messa a fuoco che ruotava in punta di dita.
Naturalmente, ai giorni nostri, obiettivi come questo sono stati superati dalle moderne tecnologie come i reticoli diffrattivi, la disponibilità di vetri a bassissima dispersione e fluorite a costi drasticamente inferiori e dall’avvento di comodità come l’autofocus con motore ad ultrasuoni e lo stabilizzatore d’immagine, tuttavia ancora oggi si può apprezzare l’impeccabile fattura meccanica e le prestazioni soddisfacenti per un utilizzo statico che il nostro 400mm 1:5,6 IF ED può offrire, mentre contestualizzato nella sua epoca rimane un significativo trait d’union fra le allora inarrivabili ottiche IF ED professionali e le tasche dei comuni mortali, sebbene – non dimentichiamolo – costasse sempre una piccola fortuna.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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