L’occhio del Ciclope

L’occhio del Ciclope: le reflex 35mm con cellula esposimetrica esterna sul frontale.

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; l’evoluzione degli esposimetri, fino ad arrivare ai sofisticatissimi dispositivi appannaggio degli apparecchi attuali, è stata lunga e scandita da numerose tappe, partendo dai vetusti ed approssimativi esposimetri ad estinzione e passando per i modelli esterni manuali con elementi al selenio, i primi esemplari inglobati nel tettuccio degli apparecchi e non accoppiati e le successive versioni incorporate e parzialmente accoppiate a lettura esterna, fino ad approdare alla vera rivoluzione del settore: i dispositivi TTL, con lettura attraverso l’obiettivo da ripresa, sempre più perfezionati.

In questo breve intervento voglio richiamare l’attenzione su una specifica fase di questo lungo cammino, quando l’applicazione di esposimetri incorporati ma non ancora TTL coniugò il dettaglio tecnico con attributi estetici inequivocabili e addirittura protagonisti di un design estremamente caratteristico nel quale la grande fotocellula esterna, applicata sul frontale del pentaprisma, rubava la scena al resto dell’apparecchio, fornendo agli astanti l’impressione di una fotocamera estremamente tecnologica e sofisticata.

L’innata attitudine umana di classificare l’oggetto della percezione per poterlo riconoscere e di definirlo in termini antropomorfi non impiegò molto tempo ad associare il grande “occhio” esposimetrico sul frontale al singolo occhio del mitico gigante Ciclope, dettaglio che rendeva ancora più affascinanti questi particolari apparecchi fotografici (come nota a margine, ricordo che la leggenda del gigantesco Ciclope monocolo fu ispirata dal ritrovamento, in Sicilia, di crani fossilizzati appartenuti ad alcuni elefanti preistorici nani del genere Palaeoloxodon falconeri, nei quali l’accesso alle vie respiratore alla base della proboscide corrisponde ad una grande apertura centrale che venne interpretata come l’orbita del singolo, enorme occhio di un misterioso essere di stazza enorme: il Ciclope, appunto).

 

In realtà l’idea di piazzare “l’occhio” esposimetrico sul frontale di una reflex 35mm viene da lontano: tenendo momentaneamente in disparte la Zeiss Ikon Contax III del 1936 (dotata di esposimetro incorporato sul tettuccio con cellula frontale ma appartenente alla categoria delle fotocamere a telemetro) e la coeva Contaflex (parimenti equipaggiata ma strutturata come una reflex biottica), questo brevetto presentato dalla Zeiss Ikon Dresden nel 1940 mostra un’evoluzione del progetto Syntax (la reflex 35mm monobiettivo che gli eventi bellici impedirono di sviluppare e mettere in produzione) nel quale è già prevista una cellula esposimetrica al selenio applicata nella parte frontale del pentaprisma, con relativo galvanometro nella parte superiore, un modello antesignano di quelli che andremo poi a descrivere.

 

Questo progetto venne poi ripreso dalla VEB Zeiss Ikon DDR, che aveva sviluppato il concetto Syntax nella spiegelreflex Contax postbellica, quando nel 1953 presentò la versione Contax E che esibiva il suo impressionante occhio esposimetrico sul frontale, protetto da un’anta mobile.

 

In realtà il modello più iconico, per il quale venne ufficialmente creato il nickname “Cyclope” e che incarna più di ogni altro questo tipo di apparecchi, fu la Contarex I, presentata dalla Zeiss Ikon Stuttgart nel 1958; questa fotocamera, in pratica un corpo Contax sul quale è stato applicato un modulo trapezoidale dalle forme forti e personali e un vero e proprio occhio circolare di aspetto inquietante, ha fortemente caratterizzato l’epoca del suo esordio e, come vedremo, può vantare anche proseliti; la leggenda (non confermata) vuole che il passaggio dei relativi obiettivi Zeiss dalla finitura satinata cromo a quella nera sia stata imposta proprio dalla presenza di questa cellula al selenio esterna, la cui lettura poteva essere eventualmente falsata dal bagliore riverberato dalla prima serie di obiettivi “bianchi”.

 

Questa fase nell’evoluzione degli esposimetri concise anche con la lunga gestazione della Leicaflex, la prima fotocamera reflex 35mm firmata da Leitz e presentata con increscioso ritardo solamente nel 1964; questi lungi ripensamenti permisero di applicare nel modello di produzione una cellula esterna di piccole dimensioni, poco vistosa, e caratterizzata da un fotoresistore al solfuro di cadmio alimentato dalla relativa batteria al mercurio (derivato dall’analoga soluzione presente nel Leicameter per Leica M prodotto da Metrawatt), una tecnologia più avanzata rispetto ai modelli al selenio che permetteva una maggiore selettività di lettura e una migliore sensibilità ai bassi livelli di illuminazione; tuttavia, analizzando questo brevetto del Gennaio 1961 presentato da Paul Neumann e Ludwig Leitz, si può vedere come la prima ipotesi per un corpo Leicaflex prevedesse ancora un grosso elemento anteriore al selenio di forma rettangolare che occupava tutto lo spazio disponibile sul frontale!
Peraltro, la sede per la batteria della versione definitiva fu posta sempre nella parte frontale del pentaprisma, accanto alla cellula al CdS, e questo non solo semplificava la costruzione ma conferiva all’apparecchio un aspetto inconfondibile ed immediatamente riconoscibile, come se il tappo della batteria fosse a sua volta una sorta di “occhio” spalancato verso il soggetto.

 

Anche la Nippon Kogaku, ad inizio anni ’60, non fu immune a questa tendenza; infatti, nel 1962, si sbarazzò degli obsoleti esposimetri esterni per Nikon F parzialmente accoppiati con piastra al selenio dall’estetica discutibile e diede vita ad un gioiello di design: il mitico mirino intercambiabile Photomic (solo il nome è un capolavoro…) col suo inconfondibile taglio asimmetrico ormai sedimentato nell’immaginario collettivo; proprio il Photomic originale del 1962 non era ancora approdato al TTL ed utilizzava a sua volta un fotoresistore al CdS esterno; in questo caso però, contrariamente alla soluzione Contarex in cui “l’occhio” fotosensibile è il protagonista incontrastato del frontale, sulla Nikon la piastra anteriore che strilla ai quattro venti il brand occupa gran parte dell’ampia superficie disponibile e la fotocellula viene relegata in angolo, discreta e poco invadente al punto che quasi non ci si avvede della sua presenza!
Come ho accennato, il design molto personale della Contarex I e l’indubbio allure giustificato dal marchio e dalla eccellente costruzione lasciarono il segno e alcuni costruttori replicarono più o meno integralmente le sue soluzioni estetiche in apparecchi di loro produzione, con un acme nell’anno 1964.

 

Infatti, proprio nel 1964 la Petri Camera Co. presentò la Petriflex 7, una interessante reflex 35mm il cui pentaprisma riecheggia chiaramente quello della Contarex I e nel quale una grande cellula esposimetrica circolare è parimenti protagonista, al punto che – sebbene in realtà le due fotocamere differiscano sensibilmente nella maggioranza dei dettagli – ad una rapida occhiata il richiamo alla reflex prodotta a Stuttgart è immediato ed inequivocabile.

 

Sempre nel 1964, i tecnici sovietici dell’Arsenal Zavod di Kiev presentarono la Kiev 10 Automat, un’altra reflex 35mm nella quale i richiami estetici e funzionali alla Zeiss Ikon Contarex I sono ancora più evidenti: infatti, oltre alla cellula al selenio sul frontale, la Kiev 10 presenta la stessa sezione trapezoidale anteriore mentre la ghiera rotante sul frontale azionabile in punta di dita riecheggia direttamente l’analoga soluzione utilizzata nella Contarex (sul top) per comandare l’apertura del diaframma: un’autentica pletora di citazioni e il dettaglio di maggiore distinzione è rappresentato dall’elemento al selenio, sagomato anch’esso a trapezio anziché in forma circolare come nella fotocamera Zeiss Ikon. La Kiev 10 Automat rimase in produzione per una decina di anni e rappresenta quindi la reflex 35mm equipaggiata con fotocellula anteriore non TTL che si è spinta più avanti nel tempo, quando ormai era a tutti gli effetti un fossile vivente.

Questa carrellata di apparecchi ci ha fatto rivivere momenti ormai lontani, quando i vantaggi della lettura esposimetrica TTL attraverso l’obiettivo non erano oggetto di discussione e molti fotografi si affidavano ancora all’esperienza o a semplici tabelle stampate sulla confezione del film: tempi in cui un esposimetro fotoelettrico incorporato nell’apparecchio, anche se limitato ad una lettura esterna su un campo non definito, costituiva già una raffinatezza notevole in grado di soddisfare anche i clienti più esigenti.

L’elemento più interessante di questa fase sono state tuttavia le implicazioni nel campo del design che hanno dato vita a fotocamere dall’aspetto estremamente caratterizzato e inconfondibile: gli apparecchi con l’occhio del Ciclope.

Un abbraccio a tutti – Marco chiude.

 

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One Comment

  1. Davide Tambuchi Reply

    Non dimenticate il simpatico occhietto quadrato della Praktica LB (di cui sono felice possessore di un esemplare) e la cellula della mitica Zenit E. Questi esposimetri non sono accoppiati all’otturatore o al diaframma (tutti lussi capitalistici…) – in ogni caso il divertimento è assicurato lo stesso con queste macchinette (tanto l’esposimetro non serviva mai di giorno – bastava la regola del 16, mentre in condizioni di scarsa luce era totalmente inaffidabile 😉 !).

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