Leitz Super-Angulon-M 21mm 1:4 e 21mm 1:3,4 e l’evoluzione di questo celebre schema ottico Schneider con le relative influenze nella progettazione dei grandangolari simmetrici.
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; in questa occasione affronteremo un discorso ad ampio respiro sullo schema grandangolare simmetrico Schneider Super-Angulon descrivendo i famosi obiettivi Leitz 21mm 1:4 e 21mm 1:3,4 destinati alle Leica a telemetro, modelli che fungeranno da pretesto per ripercorrere una storia lunga un secolo, l’evoluzione di questo famoso schema ottico e l’eredità che ha condiviso presso gli altri fabbricanti.
In senso generale si tende a pensare che le ottiche supergrandangolari siano una conquista recente, permessa solamente da tecniche di calcolo, computers e vetri ottici moderni, viceversa gli obiettivi ad angolo di campo molto spinto sono un retaggio che risale addirittura agli albori della fotografia, 150 anni fa: basti pensare al Panoramic Lens di Sutton da 120° o al Globe Lens di Harrison & Schintzer da 90° (con soluzioni anche non convenzionali, come la sfera di vetro riempita di acqua); quando la Carl Zeiss Jena creò il suo famoso obiettivo Protar, a fine ‘800, era subito prevista una versione superwide da ben 110 gradi (l’equivalente attuale di un 15mm sul 24x36mm, per intenderci), e nel 1900 il matematico Emil von Hoegh della Goerz di Berlino calcolò il famoso Hypergon, obiettivo con angolo di campo nominale da circa 135°, un record tuttora insuperato negli obiettivi fotografici per uso convenzionale.
Naturalmente questi modelli ancestrali, che oggi ci stupiscono per una simile copertura relazionata alla loro epoca, dovevano fare i conti con oggettive limitazioni d’uso (piano focale a lastra curva, obiettivo non corretto cromaticamente che richiede speciali lastre ortocromatiche con sensibilità spettrale specifica, stella rotante di compensazione della vignettatura da tenere in rotazione durante la posa con un continuo getto d’aria, etc.) e si avvantaggiavano anche per l’assenza di specchi reflex che consentiva di posizionare il gruppo ottico alla distanza desiderata dal piano focale, sovente molto ridotta; in questo contesto i progettisti dell’epoca si resero rapidamente conto che lo schema più promettente per questo tipo di obiettivi era quello simmetrico, nel quale la sezione di obiettivo posta davanti al diaframma era seguita da un secondo modulo di struttura identica e speculare, in modo da annullare certe aberrazioni introdotte dalla prima serie di lenti.
Pertanto, ripercorrendo il lungo e articolato percorso che dagli albori ha portato al progetto Super-Angulon di Schneider, fino agli anni ’50 troviamo obiettivi con architettura fortemente simmetrica, partendo dal citato Goerz Hypergon di von Hoegh (1900), con il suo schema incredibilmente semplice a due menischi contrapposti, e passando per altri modelli storici come il Carl Zeiss Jena Topogon calcolato nel 1933 da Robert Richter per un angolo di 90°, realizzato partendo dall’Hypergon e sdoppiando la serie di elementi contrapposti, uno schema ulteriormente evoluto nel Bausch & Lomb Metrogon che, su un lato, di elementi falciformi ne propone 3; questi modelli seguono rigidamente la legge di Stefan-Boltzmann, cosiddetta del Cos4 Theta, che vincola la luminosità residua nelle zone periferiche al Cos4 del semiangolo di campo in quell’area dell’immagine (ad esempio, un tipo Topogon con un’altezza sulla semidiagonale corrispondente ad un angolo di campo complessivo da 85° presenta un’illuminazione in tale area pari ad appena il 30% scarso rispetto all’asse, anche con forte chiusura del diaframma, quindi quasi 2 f/stop di vignettatura); una svolta progettuale in questi grandangolari simmetrici avvenne a metà anni ’40, quando l’ottico russo Roosinov fece propri alcuni principi teorizzati dal matematico Slussarev e nel 1946 creò lo schema tipo Russar, fin da subito in grado di approcciare addirittura 122° di campo rettilineari e in seguito reso famoso dal Russar MR-2 20mm 1:5,6 in attacco a vite 39×1; questo schema simmetrico a 6 lenti utilizza in pratica per due volte il modulo anteriore di un grandangolare retrofocus, quindi produce un flusso luminoso più telecentrico all’intersezione del diaframma e inoltre – seguendo i dettami di Slussarev – introduce volontariamente coma pupillare, in pratica aumentando la sezione utile della pupilla di entrata passando dal centro ai bordi del campo; queste soluzioni migliorano drasticamente l’illuminazione ai bordi rispetto ai modelli citati in precedenza, rendendo possibile la progettazione di grandangolari simmetrici ad ampio angolo di campo ed illuminazione sufficientemente uniforme; infine, un’ulteriore svolta nel settore arrivò dal Carl Zeiss Biogon da 90° progettato da Ludwig Bertele nel 1951, uno schema che abbandona l’architettura quasi perfettamente simmetrica per ottimizzare ulteriormente la correzione; tutte queste suggestioni, in modi diversi e a vario titolo, hanno creato il sostrato ideale e tecnico sul quale prenderà vita lo Schneider Super-Angulon; vediamo dunque come ha avuto origine e come si è evoluto.
In casa Schneider, il precursore del progetto Super-Angulon fu l’Angulon calcolato nel 1930 da Albert Wilhelm Tronnier ispirandosi al Goerz Dagor; il primo Super-Angulon, con architettura simmetrica a 6 lenti ed apertura 1:8 arriverà nel 1954 su progetto di Guenter Klemt e incontrando un immediato successo fra i fotografi di architettura dotati di apparecchi di grande formato; nel frattempo lo Zeiss Biogon 21mm 1.4,5 per Contax a telemetro aveva scosso il mondo della fotografia 35mm non solo introducendo uno standard prestazionale mai visto prima ma creando contestualmente una nuova nicchia di mercato, la fotografia supergrandangolare a mano libera e alla portata di qualsiasi amatore; in casa Leitz, ai tempi del Biogon, ci si doveva accontentare di un obsoleto Hektor 28mm 1:6,3 e anche il Summaron 28mm 1:5,6 del 1955, pur migliorando le prestazioni, pagava pesantemente dazio al rivale Zeiss per angolo di campo e apertura massima.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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