Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI il protagonista odierno è un normale superluminoso Leitz che ha traghettato l’azienda nel Dopoguerra, tenendola sul mercato in questo settore in attesa della scadenza di brevetti che vincolavano il calcolo autarchico di nuovi schemi e versioni di grande apertura, un modello che non è passato alla storia per prestazioni mirabolanti ma ha rivestito un importante ruolo commerciale e di immagine per la Leitz; stiamo parlando del Summarit 5cm 1:1,5 e questo articolo ne descrive la genesi.
Nelle prime fasi del sistema Leica, intorno al 1930, lo stesso Max Berek (padre della prima serie di ottiche) affermava che sarebbe stato possibile disegnare fin da allora versioni più luminose, come ad esempio 1:2, tuttavia argomentava che il frequente utilizzo degli obiettivi a diaframma spalancato da parte di utenti non molto smaliziati riduceva al minimo la profondità di campo e con essa la tolleranza disponibile per gli errori di messa a fuoco, pertanto il normale Elmar 50mm 1:3,5 risultava ottimale perché a tutta apertura la profondità di campo residua era ancora sufficiente a compensare eventuali imprecisioni regolazione della distanza, condizione non più garantita con una versione più luminosa.
Questo avveniva prima che la Zeiss Ikon muovesse la prima sfera di un grande pendolo di Newton, nel 1932, quando presentò la sua fotocamera 35mm a telemetro Contax, posizionata nello stesso segmento della Leica, ed equipaggiandola fin da subito con con due eccezionali normali superluminosi calcolati da Ludwig Jackob Bertele, i celebri Sonnar 50mm 1.2 e 50mm 1:1,5; apprezzamento per questi due ottimi obiettivi di grande apertura fu immediato, innescando un domino che mise Leitz alle strette, obbligandola di fatto a muovere un pezzo sulla scacchiera e presentare a sua volta risposte adeguate; per fronteggiare il Sonnar 50mm 1:2 venne quindi rapidamente predisposto il corrispondente Summar 50mm 1:2, tuttavia per la versione ultraluminosa 1:1,5 le limitare risorse Leitz del tempo e soprattutto la dipendenza da forniture di vetri esterne non consentivano una replica in tempi brevi, e le ragioni erano più legali che tecniche: per realizzare un obiettivo così luminoso ma al contempo compatto come si conveniva ad una Leica le uniche vie erano il nuovo schema tipo Sonnar, tuttavia già blindato dai relativi brevetti, oppure uno schema Doppio Gauss che, per arrivare ad 1:1,5, imponeva di sdoppiare il menisco posteriore in due elementi spaziati ad aria; sfortunatamente quest’architettura era già stata registrata in precedenza da William Horace Lee, ottico dello studio Kapella Limited, a sua volta nell’orbita dell’azienda ottica inglese Taylor, Taylor & Hobson; pertanto Max Berek e i suoi collaboratori si trovarono con le mani legate dai veti incrociati dei vari brevetti, e per reagire rapidamente l’unica soluzione fu quella di acquisire i diritti sul Doppio Gauss luminoso di Lee, producendolo su licenza; il titolare dei diritti di sfruttamento di quel brevetto sul suolo tedesco era la Schneider Kreuznach, quindi Leitz interpellò quest’ultima e si accordò per l’utilizzo dello schema, dovendo anche sottostare al diktat legale di utilizzare un brand name Schneider e di specificare sull’obiettivo l’origine Taylor, Taylor & Hobson e gli estremi del brevetto statunitense di Lee; dopo questo tourbillon di questioni burocratiche l’obiettivo arrivò finalmente sul mercato nel 1936 come Leitz Xenon 5cm 1:1,5.
Lo Xenon 5cm 1:1,5, qui ritratto su una rara Leica 250 Reporter prodotta nel 1937, rispondeva al Sonnar 50mm 1:1,5 della Contax quanto a requisiti geometrici teorici, tuttavia il particolare tripletto modificato Zeiss, con appena 6 superfici aria-vetro, garantiva un contrasto superiore in periodo pre-antiriflesso mentre lo Xenon, con ben 10 passaggi ad aria, soffriva cronicamente di flare e ridotto contrasto; si trattava quindi di una soluzione di compromesso per salvaguardare l’immagine tecnologica di Leitz nei confronti del colosso rivale.
Il problema col famoso brevetto U.S. 2.019.985 di Lee, che impediva a Leitz una progettazione indipendente di ottiche analoghe, stava nella sua validità protratta fino a metà anni ’50, pertanto quando nel Dopoguerra l’azienda si era riorganizzata e decise di rinnovare il suo 50mm superluminoso si dovette scontrare con gli stessi limiti legali di metà anni ’30, e impostando il nuovo Summarit 5cm 1:1,5 del 1949 non poté fare altro che riutilizzare lo stesso schema del precedente Xenon, semplicemente implementandolo col trattamento antiriflesso che comunque garantiva un notevole miglioramento nel contrasto.
Questo giogo tecnico/burocratico surreale è evidenziato dalla necessità, nelle prime serie di Summarit, di specificare ancora gli estremi del brevetto Taylor, Taylor & Hobson su tutti gli esemplari commercializzati nel Regno Unito e negli States, ottenendo solo la parziale concessione di eliminare finalmente la denominazione Xenon di matrice Schneider.
Inoltre era parimenti richiesto su quei lotti la presenza della denominazione in chiaro Taylor, Taylor & Hobson sul barilotto, un elemento che palesava l’origine esterna del calcolo e sicuramente bruciava a Otto Zimmermann (successore di Max Berek) e ai suoi collaboratori che si vedevano obbligati ad attendere con le mani in mano che il calendario li svincolasse, permettendogli di calcolare finalmente il primo 50mm superluminoso made in Wetzlar.
Il Summarit, presentato nel 1949 con attacco a vite 39×1, è un obiettivo molto compatto ma piacevolmente pesante per l’elevato numero di lenti e il barilotto interamente realizzato in ottone cromato; maneggiandolo si ha immediatamente una rassicurante percezione soggettiva di qualità, precisione meccanica e robustezza.
La sudditanza allo schema del precedente Xenon, curiosamente, sembra aver influenzato in qualche modo anche il disegno meccanico: è infatti presente la serie di settori godronati paralleli che caratterizzava il 50mm 1:1,5 Leitz del 1936; l’obiettivo prevede una montatura rigida con guida di messa a fuoco rettilinea che mantiene allineata la montatura anteriore e la ghiera di regolazione dei diaframmi, il cannotto anteriore accetta filtri E41 e paraluci XOONS e XIOOM mentre la ghiera del diaframma prevede un punto di fede triangolare mobile, con le relative numerazione fisse e riportate sul barilotto dell’obiettivo; il diaframma ad iride prevede ben 16 lamelle e produce un’apertura circolare, mentre i valori selezionabili vanno da 1:1,5 ad 1:16 (il precedente Xenon si fermava ad 1:9).
La spaziatura di questi indici non è equidistante ma logaritmica, e il punto centrale della scala corrisponde all’incirca con 1:2,8, pertanto Leitz ha scelto di visualizzare ad ore 12 sull’obiettivo montato in macchina questo valore, lasciando per l’indice mobile una corsa equidistante ai due lati verso gli estremi 1:1,5 ed 1:16; tuttavia, siccome sui corpi a vite il punto di fede per la messa a fuoco rimane ruotato a sinistra e sui corpi M si trova invece esattamente ad ore 12, sui Summarit 39x1mm la scala dei diaframmi incisa sul cannotto è ruotata verso destra, in modo da far coincidere 1:2,8 in alto ad ore 12 quando l’obiettivo è montato, mentre nei modelli con baionetta M 1:2,8 è allineato con il punto di fede della messa a fuoco perché quest’ultimo si trova ad ore 12 e non spostato a lato come negli obiettivi a vite: questo spiega tale curiosa anomalia.
La ghiera di messa a fuoco prevede un blocco di infinito con relativo svincolo a “campanello” che funge anche da presa di forza per la sua rotazione; la scala delle distanze è singola, in metri o piedi a seconda del mercato di destinazione, e permette di scendere con accoppiamento telemetrico fino ad 1 metro.
L’obiettivo con attacco a vite pesa circa 320g e la sua finitura cromata con grosse viti a vista e godronature è un classico del design che personalmente trovo ancora piacevolissimo.
La versione a vite, con codice SOOIA, fu affiancata nel 1954 dal modello a baionetta, il cui codice era inizialmente SOOIA-M e in seguito 11120; la versione in attacco M è strutturalmente analoga al modello a vite ma prevede una flangia di interfaccia strombata verso l’esterno per adattarsi al maggior diametro dell’attacco a baionetta, rifinita con il punto di allineamento rosso; entrambe le versioni usciranno ufficialmente dai cataloghi nel 1960.
Fra le anomalie statistiche va segnalato questo esemplare di SOOIA-M a baionetta con matricola 1.052.613, appartenente ad un lotto di 2.000 obiettivi (1.052.001 – 1.054.000) prodotti nel 1953, quindi un anno prima rispetto alla corrispondente Leica M3, il primo modello a baionetta; notate come in quest’obiettivo in attacco M il valore 1:2,8 che definisce il punto intermedio della scala dei diaframmi si trovi allineato con la linea di fede della messa a fuoco.
I Summarit 50mm 1:1,5 sono stati prodotti tutti a Wetzlar, con la sola eccezione di un ridottissimo quantitativo assemblato a Midland da Leitz Canada, e riconoscibile per la corrispondente scritta sul barilotto; si tratta di obiettivi molto rari e ricercati che idealmente fanno perfetto pendant con l’altrettanto insolita Leica IIIF Midland, come in questa foto; osservate anche, nell’obiettivo a vite correttamente montato in macchina, che il valore 1:2,8,“centro” ideale della scala dei diaframmi, si trova ad ore 12 in perfetta vista ma ruotato a destra rispetto alla linea di fede della messa a fuoco, dal momento che quest’ultima sulle ottiche a vite rimane spostata a sinistra, come anticipato.
Fra le curiosità legate al mondo Summarit abbiamo anche l’obiettivo che ricevette la storica matricola Leitz di un milione: infatti un lotto di 1.000 Summarit 5cm 1:1,5 del 1952 fu prodotto con seriali compresi fra 999.001 e 1.000.000 e questa rèclame Leitz illustra proprio l’ultimo esemplare, realizzato il 24 Ottobre.
Per quanto riguarda la sistematica, ufficialmente risultano prodotti 39.181 esemplari con attacco a vite 39x1mm e 25,689 con attacco a baionetta M, per un totale di 64.870 pezzi, tuttavia la somma dei lotti di matricole corrispondenti al modello portano in realtà ad un computo di 68.390 pezzi; la prima matricola della serie è 740.001 e risale al 1949 mentre l’ultima è 1.537.000 e corrisponde all’anno 1957; pertanto dal 1957 al 1960 l’obiettivo andò ad esaurimento scorte.
A questi seriali va aggiunto anche un lotto di appena 150 pezzi del 1957 (con matricole 1.546.001 – 1.546.150) applicate ad obiettivi 50mm con apertura portata ad 1:1,4 ai quali negli archivi Leitz è ancora abbinato misteriosamente il nome Summarit ma che, in realtà, sono preserie del nuovo Summilux calcolato da Otto Zimmermann.
Vediamo ora qualche scheda informativa ufficiale su quest’obiettivo, scorrendo i dati in ordine cronologico.
Questi dati sul Summarit con relativo schema ottico sono stati divulgati intorno al 1950 e provengono direttamente da Otto Zimmermann, delfino di Max Berek quando era ancora attivo e quindi suo successore al dipartimento di calcolo ottico Leitz; naturalmente Zimmermann non aveva calcolato quest’obiettivo (si rifarà comunque con i successivi Summicron 50mm 1:2 a 7 lenti, Summilux 50mm 1:1,4 primo tipo e Summicron-R 50mm 1:2 primo tipo), tuttavia ne conosceva bene pregi e difetti e in questa scheda, forzatamente apologetica per esigenze istituzionali, parla addirittura di ottima nitidezza e contrasto a tutta apertura, una valutazione quantomeno ottimistica, aggiungendo che l’obiettivo raggiunge le prestazioni ottimali già ad 1:4; la ridotta vignettatura e la correzione generalizzata delle aberrazioni corrisponde invece a realtà, così come un’apprezzabile uniformità di rendimento sul campo.
Questa pagina di brochure italiana del 1952 omette i dettagli tecnici e si limita a suggerire le situazioni di ripresa ideali per questo 50mm 1:1,5, quali foto a teatro, in interni, con pioggia e maltempo, sottolineando la sua versatilità.
Questa pagina di brochure italiana del 1954 scende più nel dettaglio tecnico, affermando che questo anastigmatico a 7 lenti fornisce già a tutta apertura perfetta incisione, nitidezza e brillantezza; proprio il rimarcare la brillantezza a tutta apertura risulta una scelta francamente forzata, dal momento che, sebbene equipaggiato di trattamento antiriflesso, la pecca principale del Summarit è proprio il flare e il ridotto contrasto a diaframma aperto.
Il documento aggiunge anche un’argomentazione insolita e interessante, ovvero la possibilità di coniugare grandi aperture con tempi di posa fino ad 1/1.000” grazie all’otturatore a tendina (possibilità ovviamente preclusa ad altre fotocamere 35mm ad otturatore centrale), consentendo quindi di congelare rapidi movimenti anche in condizioni di luce sfavorevoli.
Questa ulteriore pagina presa da una brochure italiana stampata nel 1957 chiama finalmente in causa anche la versione a baionetta SOOIA-M, in produzione già da tre anni; anche in questo caso si sottolinea la possibilità di eseguire prese istantanee in situazioni difficili come a teatro e in interni e viene aggiunto un dettaglio importante: diaframmando l’obiettivo la sua resa sarebbe analoga a quella di altri modelli più comuni, elemento che sottolinea la versatilità del Summarit, evidentemente in grado di operare al buio ma anche in condizioni normali, alla bisogna, come sostituto di un 50mm meno luminoso.
Passando invece ad una brochure statunitense dell’Aprile 1960, quando teoricamente il Summarit 50mm 1:1,5 sarebbe stato ancora a catalogo, di questa versione non troviamo più traccia, sostituito dal nuovo pupillo di casa Leitz, il moderno Summilux 50mm 1:1,4 progettato a Wetzlar; immagino che in azienda fossero impazienti di togliere dagli scaffali un obiettivo il cui calcolo ottico, con i relativi vetri, risaliva al 1930 e proporre finalmente un pezzo al passo cui tempi come il Summilux, realizzato sfruttando i più moderni vetri alle Terre Rare e il potenziale di calcolo del Zuse Z5.
Tuttavia il Summarit fece ancora il suo giro d’onore prima di scomparire nei limbo dei ricordi perché alcuni prototipi del nuovo Summilux 50mm 1:1,4 furono in realtà denominati Summarit 5cm 1:1,4, come questo rarissimo esemplare con matricola 0000215.
Vediamo ora le caratteristiche tecniche del Summarit 5cm 1:1,5.
Ecco il famoso brevetto U.S. 2.019.985, chiave di volta di tutte le situazioni già descritte; il documento fu presentato da William Horace Lee per conto dello studio Kapella Ltd., Leicester (Regno Unito), una sussidiaria della Taylor, Taylor & Hobson, e un’applicazione venne registrata già il 26 Dicembre 1930 mentre il brevetto fu effettivamente rilasciato il 5 Novembre 1935; il documento illustra uno schema Doppio Gauss con due doppietti collati ai lati del diaframma e l’elemento caratterizzante che giustifica la sua richiesta è costituito dai due menischi posteriori spaziati ad aria, come evidenziato in grafica; questo particolare dettaglio tecnico si rivelerà un elemento chiave nella progettazione degli schemi gaussiani molto luminosi, al punto che la stragrande maggioranza dei 50mm 1:1,4 moderni e recenti se ne avvale; a quei tempi, con le tecnologie e i vetri di allora, anche Leitz avrebbe dovuto sfruttare questo elemento brevettato per disegnare un 50mm Luminoso, vedendosi quindi costretta ad ottenerlo su licenza, indicando sulla ghiera anteriore sia il titolare dei diritti (Taylor – Hobson) che il numero di brevetto, come evidenziato in grafica, e questo sia in tutti gli Xenon che anche sui primi lotti di Summarit.
Un dettaglio curioso di questa intricata storia è che il 29 Marzo 1943 Charles Gorrie Wynne, celebre progettista ottico e anch’esso in forze alla Kepella Ltd. di Leicester, ricalcolò il normale 1:1,5 di Lee, sfruttando nuovi vetri Kodak con ossido di torio ad alta rifrazione e bassa dispersione (in particolare, il Kodak E.K.2 nella quinta e sesta lente); con un indice di rifrazione pari a 1,7445 e una dispersione contenuta (numero di Abbe 45,8) questo vetro consentiva al nuovo schema un netto incremento qualitativo rispetto alla versione originale anni ’30, tuttavia Leitz non beneficiò mai di questo aggiornamento del calcolo e continuò a sfruttare il gruppo ottico originale, con la sua progettazione e i suoi vetri obsoleti.
Non ci sono testimonianze che possano aggiungere dettagli a quanto sopra; è possibile che Leitz, dopo avere pagato le royalties per utilizzare lo schema originale di Lee, non abbia voluto investire ulteriormente in un momento difficile come l’immediato Dopoguerra e sia rimasta su quello che già aveva in casa, migliorandolo con l’antiriflesso, tuttavia qualsiasi considerazione è mera speculazione personae; resta il fatto che lo schema venne sensibilmente migliorato al tempo di guerra ma Leitz non ebbe mai accesso a tale versione.
Il Summarit 50cm 1:1,5 replica quindi le caratteristiche del precedente Xenon ed il suo schema prevede solamente tre tipi di vetro ottico: Dense Crown SK (L1, L2, L6, L7), Light Flint LF (L3, L4) e barium Flint BaF (L5); la dispersione contenuta di questi vetri anni ’30 ha consentito una buona correzione dell’aberrazione cromatica, avvertibile nell’uso pratico, tuttavia la modesta rifrazione ha imposto compromessi e la progettazione datata è percettibile a prima vista dai raggi di curvatura molto accentuati di certi elementi.
Volendo ripercorrere lo sviluppo ottico dei modelli storici di 50mm luminosi Leitz, lo stallo tecnico imposto dal brevetto di Lee è evidente negli schemi identici degli Xenon e Summarit prodotti dal 1936 al 1957 (produzione effettiva); il primo Summilux 50mm 1:1,4 di Zimmermann risente ancora di questa consuetudine e sudditanza decennale, avvantaggiandosi tuttavia con nuovi vetri (tre lenti sono in lanthanum Flint LaF21 sviluppato a Wetzlar e una il lanthanum Flint LaF2) mentre la versione definitiva di Walter Mandler, arrivata sul mercato nel 1962, interpreta in Doppio Gauss in modo completamente originale ed autonomo, con due doppietti collati posteriori, sfruttando anche al massimo il potenziale consentito dai nuovi vetri ottici, al punto che 5 elementi su 7 sono in lanthanum Flint di diverse tipologie e comunque nessuno dei vetri utilizzati prevede un indice di rifrazione inferiore a 1,72.
Le curve MTF misurate sul Summarit 5cm 1:1,5 a 10, 20 e 40 cicli/mm di frequenza spaziale, da centro (sinistra) a bordi (destra) e con lettura sagittale (linee della mira parallele alla semidiagonale di campo) o tangenziale (linee della mira perpendicolari alla semidiagonale di campo), mostrano a tutta apertura un contrasto molto basso, evidente per i modesti valori letti anche a frequenze spaziali ridotte come 5 cicli/mm (curva più alta), tuttavia l’andamento è abbastanza uniforme e almeno sull’asse è presente uno spot decente; diaframmando ad 1:4 le zone centrali raggiungono valori ottimi mentre l’andamento delle curve in lettura sagittale (linea continua) e tangenziale (linea tratteggiata) documenta l’insorgere di un certo astigmatismo oltre metà campo, tuttavia i valori si possono considerare senz’altro buoni per uno schema così datato.
Il Summarit è quindi un obiettivo del 1949 confezionato con un gruppo ottico calcolato a inizio anni ’30 sfruttando i vetri di quell’epoca, ed è ovvio che l’utente moderno che utilizza quotidianamente modelli attuali non può approcciare quest’ottica vintage con aspettative assolute; vediamo quindi cosa possiamo ottenere nell’uso pratico con immagini scattate sfruttando il mio esemplare a vite del 1953, considerando comunque che è già un piacere utilizzare un obiettivo così compatto, ben fatto e nato per un’interfaccia utente accurata e gratificante.
La condizione di utilizzo classica di un obiettivo del genere è a luce ambiente, con illuminazione debole ed eventualmente forti contrasti generati da fonti di luce artificiale; in questo scatto realizzato col diaframma quasi completamente aperto si nota il ridotto contrasto e un alone attorno alle luci puntiformi generato sia dal flare, conseguenza del rivestimento antiriflessi primitivo, che, soprattutto, da una classica aberrazione correlata a schemi Gaussiani molto luminosi e progettati anni addietro con vetri a bassa rifrazione, ovvero quella che viene definita “sagittal oblique spherical aberration”; in ogni caso, anche a diaframma sostanzialmente chiuso (1:4, 1:5,6) le situazioni in interni e controluce (finestre al sole, etc.) generano un evidente flare nel passaggio chiaro/scuro; pertanto il Summarit mostra una risoluzione buona e uniforme sul campo ma soffre vistosamente per queste perdite di contrasto in condizioni luminose avverse, comportamento che lo rende meno sfruttabile in alcune situazioni di available light; suggerisco eventualmente a chi lo volesse utilizzare in bianconero con pellicola argentica, scattando alle massime aperture in queste condizioni, di sottoesporre e sovrasviluppare per accentuare la pendenza della curva gamma densitometrica del film e/o stampare utilizzando carta con gradazione di contrasto più elevata rispetto alla norma.
Di contro, se in contrasto alle massime aperture è modesto e l’obiettivo è prono al flare e ad un veloi di aberrazione sferica sagittale obliqua, il potere risolutivo non è affatto disprezzabile e basta diaframmare un po’ per garantire una definizione apprezzabile e uniforme sul campo, rendendo il Summarit utilizzabile alla stregua di ottiche più facili e meno luminose, come dichiarato in una delle brochure viste in precedenza; questo scatto era molto critico perché il soggetto (un Christus Patiens con angeli e simboli della passione, opera di Biagio d’Antonio Tucci e realizzato nella seconda metà del ‘400), oltre ad essere sotto vetro si trova in una cappella buia illuminato solamente da due fonti di luce laterale su fondo chiaro che proiettano anche verso la fotocamera, mentre il dipinto si trova al centro ed è molto meno illuminato; ho realizzato questa foto col Summarit 5cm 1:1,5 chiuso ad 1:4 e lavorando a mano libera con 1/60” ed alti valori ISO, quindi uno scatto di emergenza e con un obiettivo assolutamente inadatto, in teoria, alla riproduzione di soggetti piani e dettagliati in una situazione di forte luce rivolta verso le lenti; tuttavia, nonostante queste problematiche, l’immagine è accettabile e anche la definizione nei crop al 100% mostra come il Summarit parzialmente diaframmato lavori già in modo soddisfacente anche fuori asse, sempre naturalmente considerando che utilizza un calcolo e vetri di inizio anni ’30.
Lavorando in esterni con diaframma chiuso ad 1:8, come se fosse un normale qualsiasi di apertura più contenuta, il Summarit 5cm 1:1,5 mostra una risoluzione più che buona e distribuita su tutto il fotogramma che restituisce una confortante sensazione di nitidezza, sebbene rimanga una certa soglia di velo nelle ombre e nei passaggi chiaroscurali ad alto contrasto che è un po’ la pecca principale del modello, restituendo una scala tonale un po’ compressa; un altro effetto collaterale della sua progettazione datata con vetri privi di ossidi delle Terre Rare è un’apprezzabile tendenza a produrre una dominante fredda/azzurrognola nelle zone d’ombra (non visibile in questi esempi ma ben apprezzabile in altre foto di prova che ho eseguito): infatti i vetri moderni contengono ossidi che producono nel vetro un blend leggermente caldo e le lenti stesse funzionano come un filtro di selezione che trattiene gli ultravioletti, per non menzionare in casa Leica il famoso collante Absorban che li filtra specificamente, mentre i materiali con cui è formulato il Summarit trasmettono bene le lunghezze d’onda della luce più corte, e l’antiriflessi primitivo con collanti tradizionali fa il resto, causando questa intonazione fredda nelle ombre alla quale si può naturalmente ovviare utilizzando un filtro UV.
Ho voluto infine attualizzare il Summarit 5cm 1:1,5, utilizzandolo per una vista panoramica composta da 6 scatti verticali a mano libera con apertura 1:8, uniti in una singola immagine, e contrastando il “velo” e le perdite di profondità nelle ombre con opportune contromisure durante lo sviluppo preliminare dei files RAW, un divertissement volto a capire che tipo di risultati un obiettivo così datato e critico potesse fornire innestandolo in un workflow assolutamente moderno, e quanto ottenuto mi sembra molto soddisfacente, anche considerando che a questa apertura il potere risolutivo è sufficiente per leggere tutte le etichette nelle bancarelle di prodotti gastronomici sulla destra; notate nuovamente l’intonazione azzurrina nelle ombre, ad esempio sul retro del furgone bianco.
Il Leitz Summarit 5cm 1:1,5 è stato quindi un obiettivo di transizione che ha riempito un settore di mercato mentre uno snervante conto alla rovescia scandiva i tempi del brevetto di William Horace Lee, nell’attesa di un via libera che permettesse finalmente di ricalcolare il normale luminoso direttamente a Wetzlar; al Summarit toccò l’ingrato compito di soddisfare i palati raffinati dei clienti Leitz anni ’50 in un settore critico come quello dello standard superluminoso, nicchia che stava attraversando una frenetica fase di sviluppo tecnico scandita da modelli sempre nuovi ed avanzati, mentre il campione Leitz doveva combattere con le polveri bagnate, vincolato com’era ad un calcolo ottico francamente datato, per quanto mirabilmente realizzato con i mezzi del tempo, e basato su vetri dalle caratteristiche modeste; nonostante queste premesse possiamo comunque considerare il Summarit un obiettivo di successo perché circa 65.000 pezzi venduti in poco più di 10 anni sono un risultato lusinghiero per un obiettivo Leitz, casa spesso abituata a numeri ben più esigui, segno che i fotografi del tempo erano ormai entrati nell’ordine di idee che un normale molto luminoso fosse necessario, anche e soprattutto per dominare le moderne pellicole invertibili a colori di bassa sensibilità; oggi il raffinato utente Leica è più intrigato dai successivi Summilux 50mm 1:1,4 di Zimmermann e Mandler, il cui contrasto a tutta apertura è decisamente superiore e da quasi vita ad una cifra stilistica, tuttavia il Summarit 1:1,5 non va disprezzato per varie ragioni: è reperibile a prezzi decisamente più abbordabili, è costruito e rifinito secondo standard di design e robustezza ammirevoli, diaframmato garantisce prestazioni molto buone ed ha il fascino del sopravvissuto, un obiettivo nato già vintage con schemi e vetri del 1930 e attualizzato dal rivestimento antiriflesso che porta incisa sulle sue cromature buona parte della storia evolutiva dell’ottica e della relativa meccanica applicata.
Infine, una considerazione: è curioso come per anni i tecnici di Wetzlar siano stati legati a doppio filo con l’ottica britannica: infatti gli schemi di Xenon e Summarit 5cm 1:1,5 erano di progettazione T,T&H ma anche il primo vetro lanthanum Crown al torio utilizzato nel prototipo Summitar * 50mm 1:2 e nelle preserie del Summicron 50mm 1:2 rientrante era fornito dalla vetreria inglese Chance Brothers, un curioso gemellaggio che decadde negli anni ’50 quando la Leitz acquisì potenti strumenti di calcolo automatizzato e soprattutto mise a ruolo due geniali chimici per la vetreria interna che progettarono una nuova generazione di vetri.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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