Leitz Elmarit 90mm f/2,8. Le origini e la storia

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; certi oggetti di uso comune sono fatalmente destinati a diventare dei classici che segnano il costume di un’epoca o lasciano un segno indelebile nel loro settore di riferimento; uno di questi prodotti-feticcio, sospeso fra realtà e mito, è sicuramente il medio-tele Leitz Elmarit 90mm 1:2,8 per apparecchi Leica a telemetro, obiettivo famosissimo che ha condizionato con la sua presenza lo stile di generazione di Leicisti; questo articolo vuole essere un tributo a questo fortunato modello e fornire informazioni specifiche e capillari sulla sua origine, le sue caratteristiche e la sua sistematica.

 

 

Il Leitz Elmarit 90mm 1:2,8 primo tipo, qui in versione a baionetta e montata per l’occasione su un corpo M3, è un modello storico per varie ragioni: innanzitutto segnò la nascita di una nuova generazione di ottiche Leitz, la famiglia Elmarit, e questo è già di per sé un evento, poi proprio il suo arrivo coincise con una riorganizzazione tassonomica nella quale le varie denominazioni venivano rigidamente collegate all’apertura massima del modello in questione e non più alle sue caratteristiche individuali (ad esempio; Elmarit = apertura 1:2,8, Summicron = apertura 1:2, etc.); infine, l’Elmarit 90mm 1:2,8 nacque in una fase turbolenta e propositiva scandita da grandi innovazioni tecniche e servì come testa di ponte per traghettare i classici teleobiettivi Leitz, caratterizzati da un disegno ottico semplice con apertura modesta, in un futuro identificato da modelli sempre più luminosi e performanti; se a tutto questo aggiungiamo un’estetica squisitamente classica, senza tempo, e un rendimento ottico molto adatto al ritratto e alla ripresa di figura umana, abbiamo completato l’identikit di un modello veramente significativo; approfitto per far notare che in quel periodo venne coniata una seconda denominazione nata da una costola dal venerabile nome Elmar, ovvero Elmaron; quest’ultimo brand name è stato sfruttato soprattutto per ottiche da proiezione ed identificava semplici schemi ottici basati sul tripletto di Cooke a 3 lenti spaziate ad aria.

 

 

Agli albori della fotografia 35mm certi stereotipi visivi e formali che oggi sono il comune bagaglio di tutti i fotografi e fotoamatori erano al di là da venire e, a parte l’eccezione di correnti d’avanguardia dedite alla sperimentazione, ai tempi in cui la Leica emetteva i primi vagiti i potenziali clienti sfruttavano un apparecchio di quel tipo soprattutto per scene di vita familiare quotidiana e per riprese più ravvicinate o ritratti dei propri cari; in quest’ottica la disponibilità di un medio-tele che consentisse riprese a mezzo busto o foto del volto con prospettiva più gradevole e una rassicurante distanza di lavoro che non turbasse il soggetto era un’esigenza che si stava rapidamente diffondendo, una richiesta prontamente recepita da Leitz che, non appena fu disponibile la Leica ad obiettivi intercambiabili, trasferì rapidamente i gruppi ottici dei suoi Elmar per medio e grande formato in un barilotto elicoidale per Leica e mise quindi a disposizione dei clienti una serie di lunghe focali, fra le quali il più interessante per i ritrattisti era sicuramente l’Elmar 9cm 1:4, un obiettivo dalla focale particolarmente indovinata che sarebbe stato il progenitore di una famiglia di medio-tele tuttora in produzione.

 

 

L’Elmar 9cm 1:4 diverrà rapidamente il classico obiettivo da ritratti per la Leica e il suo nocciolo ottico passerà attraverso numerose trasfigurazioni, restando in produzione fino al 1969 e rimanendo idealmente presente anche oltre, quando altri obiettivi da 90mm 1:4 verranno calcolati e prodotti, fra i quali il famoso Elmar-C 90mm 1:4 per Leica CL e il Macro-Elmar-M 90mm 1:4 di recente introduzione, senza considerare un ricalcolo su 3 lenti lanciato nel 1963 che ne migliorava le prestazioni nonostante la semplificazione dello schema, rimasto relegato ad una tiratura sostanzialmente limitata.

L’Elmar 9cm 1:4, sebbene coprisse come vedremo un formato effettivo 6x6cm, solo parzialmente sfruttato, era un obiettivo dalle buone prestazioni che per oltre vent’anni incontrò il favore dei soddisfatti clienti; arrivati negli anni ’50, alla Leitz non potevano tuttavia ignorare i passi avanti della concorrenza con pezzi come il Sonnar 85mm 1:2 per Contax, sul mercato dal 1936 e recentemente ricalcolato da Bertele per la Zeiss di Oberkochen migliorandone ulteriormente le caratteristiche, o le aperte provocazioni di pezzi come i Canon e Nikkor 8,5cm 1:1,5, pezzi di classe Summarex che naturalmente non si relazionavano direttamente col compatto, leggero ed economico Elmar 9cm 1:4 ma condizionavano le aspettative del mercato, facendo brillare gli occhi degli appassionati con aperture eccezionali che aprivano nuove possibilità nell’available light.

A inizio anni ’50 questa sequenza di circostanze convinse la casa di Wetzlar ad affiancare il classico 9cm da ritratto con un modello che garantisse un’apertura massima 1:2,8, offrendo un f/stop di vantaggio; quest’obiettivo sarebbe diventato l’Elmarit 90mm 1:2,8 protagonista di questo pezzo.

 

 

Come si può osservare in queste brochure distribuite nel 1960 e nel 1963, il nuovo Elmarit 90mm non andò a sostituire un modello preesistente ma si affiancò senza traumi al meno pretenzioso e ben collaudato Elmar 1:4 e, addirittura, l’arrivo simultaneo del prestigioso Summicron 90mm 1:2 completò un terzetto di medio-tele da ritratto fra i quali il cliente poteva scegliere sicuro di trovare il pezzo giusto per le proprie esigenze specifiche.

Vediamo ora quali furono i presupposti teorici alla base del calcolo ottico del nuovo Elmarit 90mm 1:2,8 e quali erano i limiti tecnici ereditati dall’Elmar 1:4 da superare.

 

 

Come accennato, l’Elmar 9cm 1:4 nacque in realtà come obiettivo normale su otturatore centrale per fotocamere di medio formato 6x6cm, e infatti il suo cerchio di copertura utile prevedeva un diametro di ben 80mm contro i 43,2mm necessari al 24x36mm della Leica; il suo schema ottico si basa pertanto su un classico modello Elmar-Tessar a 4 lenti in 3 gruppi che è caratteristico delle ottiche standard; questo tipo di schema, quantomeno ai tempi del progetto, quando non erano disponibili i moderni vetri speciali ad alta rifrazione e bassa dispersione, garantiva una buona brillantezza ma presentava anche nelle zone periferiche un certo sfero-cromatismo (combinazione di aberrazione sferica di ordine superiore ed aberrazione cromatica), un difetto che cresce funzionalmente alla lunghezza focale, risultando così trascurabile in ottiche di focale normale per il 24x36mm come 40mm, 45mm o 50mm ma diventando progressivamente più evidente all’aumentare della focale in questione; nel caso dell’Elmar 9cm 1:4, il problema dello sfero-cromatismo periferico con una focale da 90mm è stato drasticamente aggirato perché la fotocamera, in effetti, sfrutta solo una porzione da 43mm di diametro nel cerchio di copertura originale, molto più ampio, quindi le “zone periferiche” effettive proiettate dall’obiettivo non vengono utilizzate dalla Leica; tuttavia, accingendosi a calcolare un obiettivo con schema di questo tipo ma nato come autentico tele, nel quale si sfrutta in modo più completo la copertura periferica, e soprattutto spingendo l’apertura fino ad 1:2,8, lo sfero-cromatismo periferico diviene troppo evidente, richiedendo nuove soluzioni per superare questo stallo tecnico.

 

 

Due importanti elementi supportarono lo sviluppo del nuovo teleobiettivo più luminoso: l’introduzione dei moderni vetri ottici agli ossidi delle Terre Rare come i lanthanum Crown e lanthanum Flint, accreditati di alta rifrazione e bassa dispersione, e l’applicazione di potenti computers nel calcolo ottico; in casa Leitz furono lungimiranti e negli anni ’50 investirono somme ingenti per acquisire gli strumenti di calcolo più avanzati disponibili a quel tempo, impegnando ben 816.000 Marchi dell’epoca nel corso di 5 anni, una cifra spropositata; il primo computer moderno ad arrivare a Wetzlar, dopo anni di attesa dalla commessa per aspettare la sua realizzazione ad hoc, fu lo Zuse Z5 prodotto dalla Zuse AG di Konrad Zuse, il genio tedesco dei computer che già prima della guerra aveva realizzato il primo apparecchio programmabile di questo tipo; lo Zuse Z5 era un macchinario smisurato, in esercizio consumava 5 Kw e venne consegnato a Leitz nel Luglio 1953; grazie al Zuse Z5 Otto Zimmermann potè ricalcolare subito il suo Summicron 5cm 1:2 (migliorando le prestazioni a distanza ravvicinata, in vista dell’avvento di un modello Dual Range con campo di messa a fuoco esteso) e quindi dedicarsi allo sviluppo del nuovo 90mm 1:2,8; lo Zuse Z5 nel Febbraio 1958 verrà poi soppiantato da un ancora più moderno Elliott 402F di fabbricazione britannica, 150 volte più potente del precedente e molto “assetato”: servivano infatti ben 11 Kw per alimentare le sue 1.000 valvole… A quel tempo la terra d’Albione era all’avanguardia in questo settore, dopo le esperienze del tempo di guerra per decrittare i codici tedeschi, e infatti anche il partner di Erhard Glatzel in Zeiss nello sviluppo dei programmi di calcolo adattivi era un inglese, il Dr. Wilson.

 

 

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In entrambi i casi la resa complessiva dell’immagine è “bella”, plastica, gradevole, e pur notandosi nel moderno Elmarit tipo 11807 una superiore incisione e un maggior contrasto il vecchio e glorioso ELRIM non sfigura affatto nonostante l’impietoso utilizzo a tutta apertura, mantenendo una gradevole lettura dei dettagli in ombra del volto grazie al contrasto più contenuto.

La morale che possiamo inferire è questa: ogni obiettivo Leitz è stato progettato allo stato dell’arte del suo tempo e invariabilmente produce immagini di qualità superiore ad uno livello che possiamo considerare molto soddisfacente anche con standard attuali; naturalmente ciascuno esprime sfumature di comportamento peculiari che è bene conoscere per sfruttarli al meglio, tuttavia l’Elmarit 90mm 1:2,8, caposaldo della produzione Leitz degli ultimi sessant’anni, in qualsiasi delle sue incarnazioni messa in mani capaci è in grado di emozionare e commuovere per i suoi risultati perché esprimono un’anima, una personalità propria mentre molti concorrenti sono solamente perfetti assemblati di metallo e vetro.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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