Leitz Elmar 3,5cm 1:3,5 e la produzione pionieristica di obiettivi

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; l’interessante dei documenti storici è che spesso nascondono segreti e nuove rivelazioni celate fra le righe, permettendo a chi li osserva con occhio attento di trarre deduzioni inedite che definiscono un quadro altrimenti incompleto; un caso recente in cui mi sono imbattuto riguarda una scheda originale con i parametri di progetto dell’obiettivo grandangolare Leitz Elmar 3,5cm 1:3,5.

 

 

Il 3,5cm 1:3,5 fu il primo obiettivo per Leica con angolo di campo superiore a quello del classico normale e venne commercializzato a partire dal 1930 con il codice interno EKURZ; la genesi dell’acronimo è facilmente intuibile: EKURZ = Elmar Kurz, cioè Elmar corto, di corta focale, così come il corrispondente Elmar 13,5cm 1:4,5 fu catalogato EFERN, acronimo di Elmar Fern, cioè Elmar lungo fuoco; l’obiettivo venne definito da Max Berek nel corso del 1929 semplicemente adattando lo schema dell’Elmar 5cm 1:3,5: infatti la struttura tipo Tessar-Elmar a 4 lenti prevede fisiologicamente un angolo di campo leggermente superiore a quello richiesto per un normale da 5cm, pertanto Berek ridusse la focale per sfruttare completamente tali caratteristiche ed introdusse le minime variabili necessarie per aggiungere all’angolo di campo quei 10° in più oltre il limite strutturale standard ed ottenne questo primo, compattissimo grandangolare che, grazie alla focale più contenuta, garantiva dimensioni ridotte anche senza la necessità di collassare il cannotto all’interno del corpo Leica.

 

 

Questo foglio provato dalle ingiurie del tempo è un documento preziosissimo perché costituisce la scheda compilata da Max Berek il 24 Aprile 1929 che riassume tutte le caratteristiche tecniche dell’Elmar 3,5cm 1:3,5 in procinto di entrare in produzione; tale documento, molto dettagliato, riporta anche i valori di diaframma relativi alla doppia scala continentale ed internazionale, con i relativi diametri di calibrazione in millimetri, e i valori numerici delle distanze da applicare sulle scale di messa a fuoco calibrate in metri o piedi con il corrispondente aumento di tiraggio richiesto (ovviamente minimo, considerando la corta focale) e la rotazione angolare della relativa ghiera rispetto alla posizione di infinito; tuttavia l’elemento più interessante e significativo è rappresentato dall’insieme dei parametri matematici del gruppo ottico, con le corrispondenti caratteristiche rifrattive e dispersive dei vetri utilizzati; infatti, su 4 lenti complessive, in ben 3 casi i parametri caratteristici dei vetri ottici sono stati modificati e corretti a matita rossa, e accanto ad ogni sequenza aggiunta a posteriori è riportato un numero di 5 cifre con la dicitura Schm, ovvero l’abbreviazione di Schmelz che significa fusione; questi dettagli ci fanno comprendere un dettaglio molto importante: a quei tempi le procedure di fusione del vetro ottico, sebbene ormai consolidate da decenni dopo l’operato pionieristico di Otto Schott, non permettevano ancora di realizzare lotti differenti dello stesso vetro ottico replicando esattamente gli stessi parametri rifrattivi e dispersivi di quelli precedenti, quantunque fossero prodotti con gli stessi ingredienti e procedure; pertanto, a quei tempi, la progettazione ottica pagava ancora questo retaggio e il calcolo completato dall’ottico era valido e funzionale solamente nell’ambito di esemplari prodotti utilizzando non soltanto i vetri ottici previsti dal progettista ma anche prelevati nello stesso lotto di fusione dal quale provenivano quelli da lui utilizzati per mettere a punto i calcoli del disegno preliminare!

La scheda fornisce un’ulteriore conferma di questa iniziale difficoltà tecnica: infatti per la prima e la questa lente dell’Elmar 3,5cm 1:3,5 è previsto l’utilizzo dello stesso vetro ottico, un Dense Crown tipo SK4; ebbene, anche osservando i dati dei vetri adottati nel calcolo originale non modificato, riportati in inchiostro nero, si può notare come i valori rifrattivi e dispersivi del vetro SK4 differiscano nei due elementi: nella prima e quarta lente gli indici di rifrazione nD sono rispettivamente 1,61080 e 1,61457, mentre la dispersione vD è parimenti diversa, 58,4 e 59,8; si tratta di differenze piccole ma tutt’altro che trascurabili in un calcolo critico come quello di uno schema ottico per un obiettivo di alta precisione e risolvenza, e un’ipotesi affascinante potrebbe suggerire che Berek abbia scelto deliberatamente di impiegare nelle due lenti lo stesso vetro SK4 proveniente da due lotti differenti per sfruttare le differenze dovute ai limiti produttivi come ulteriori variabili di calcolo.

Probabilmente, in una fase successiva, il fornitore ha esaurito i lotti di vetro utilizzato negli elementi L1, L3 ed L4 ed ha provveduto a realizzare nuove fusioni, col risultato di avere a catalogo gli stessi materiali però abbinati a valori rifrattivi e dispersivi leggermente differenti, e quindi imponendo a Berek un frettoloso ricalcolo del suo nuovo obiettivo ancor prima dell’ingresso in produzione; infatti, come si può notare, il raggio di curvatura esterno dell’ultima lente e lo spessore sull’asse della seconda risultano corretti rispetto alla stesura originale, probabilmente proprio in seguito ad una revisione del progetto alla luce dei nuovi valori rifrattivi/dispersivi che caratterizzavano i lotti di vetro disponibili in tale momento, ed indicati esplicitamente in rosso; l’ulteriore difficoltà affrontata da Berek riguarda le leggere differenze presenti nei valori dei due vetri tipo SK4 presenti nel calcolo originale; il fatto che fossero state introdotte a ragion veduta è confermato dall’evidenza che anche nella versione aggiornata con nuovi vetri il progettista utilizzò materiale tipo SK4 proveniente da due diversi lotti di fusione per mantenere le leggere differenze già presenti nella prima stesura.

 

 

La scheda originale di Berek definisce quindi un obiettivo tipo Elmar-Tessar a 4 lenti in 3 gruppi realizzato utilizzando 3 vetri ottici: il Dense Crown SK4 in L1 ed L4, il Flint F5 in L2 e il Crown allo zinco ZK7 in L3, abbinato per incollaggio all’elemento L4; tutto questo è valido e subordinato all’utilizzo di materiali corrispondenti ai lotti di fusione (Schmelz) n° 26891 e 26554 per le due lenti in vetro SK4, n° 26610 per il flint F5 e n° 29529 per lo zinc Crown ZK7.

Per semplificazione grafica, la superficie anteriore del doppietto collato appare piatta ma in realtà presenta una modestissima concavità, come indicato dal relativo raggio negativo dal valore numerico molto elevato (-280,10), difficile da rendere nel disegno a questa risoluzione.

 

 

Queste valutazioni illuminano uno scenario inedito e dimostrano come, nelle fasi adolescenziali della progettazione e produzione di obiettivi, i vari esemplari fossero quasi delle realizzazioni artigianali; spesso, analizzando diversi obiettivi d’epoca corrispondenti allo stesso modello prodotti in sequenza, sono state riscontrate piccole variazioni nei valori geometrici delle lenti stesse, anomalia che si giustifica con quanto descritto sopra: per molto tempo la fusione del vetro ottico non fu una scienza esatta e prevedibile, pertanto il progettista doveva sempre essere all’erta e pronto a rimettere eventualmente in discussione i suoi calcoli alla luce delle nuove ed inaspettate variabili introdotte dall’avvicendamento dei lotti di vetro con le relative tolleranze rifrattive e dispersive; se le fluttuazioni randomiche non deterioravano in modo apprezzabile le prestazioni originali, il calcolo poteva rimanere invariato; superando invece il limite definito, il matematico doveva rimboccarsi le maniche e aggiustare il tiro, un’operazione sicuramente noiosa (all’epoca si lavorava di matita, foglio e tavole logaritmiche) e con la quale Berek dovette abituarsi a convivere, considerando anche le note vicissitudini iniziali con la fornitura di vetro Goerz, poi sospesa dopo l’annessione dell’azienda berlinese nella Zeiss Ikon (1926) e il passaggio forzato ai vetri Schott.

Queste problematiche oggi fanno sorridere ma rimandano a tempi eroici che incarnano, in definitiva, la grande storia romantica di questo meraviglioso settore.

 

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

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