Leicameter MC nell’uso pratico

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la fotocamera Leica nacque priva di esposimetro, una caratteristica del resto comune agli apparecchi dell’epoca (curiosa ironia del caso, essa stessa era stata evoluta da un prototipo creato per fungere a sua volta da “esposimetro” cinematografico, impressionando in bracketing e sviluppando rapidamente uno spezzone 35mm per definire la posa corretta da utilizzare nella ripresa cine definitiva); a quei tempi, per le fotografie di tutti i giorni, la rassicurante latitudine di esposizione delle pellicole bianconero rendeva sufficiente stimare la posa affidandosi alle indicazioni di massima riportate sulla relativa confezione o ad altri metodi empirici come la regola del 16, e i primitivi esposimetri ad estinzione previsti per Leica (come lo Justophot del 1929 prodotto dalla Drem in Austria) erano adeguati alle esigenze.

La situazione cambiò con l’arrivo delle emulsioni a colori, specialmente quelle invertibili come il Kodachrome: questi materiali prevedevano tolleranze ben più ristrette e un errore di esposizione anche modesto poteva compromettere il risultato, a maggior ragione lavorando con le diapositive, con le quali non erano ovviamente applicabili le correzioni possibili in fase di stampa; queste nuove esigenze aprirono la via agli esposimetri fotoelettrici nei quali veniva utilizzato il selenio come elemento sensibile: questo materiale, deposto sotto vuoto in strati sottili (proprio la tecnologia sviluppata per tale procedura aprirà la via ai rivestimenti antiriflesso), produce una differenza di potenziale correlata all’intensità luminosa alla quale è esposto, e collegando l’elemento ad un circuito munito di galvanometro è possibile quantificare visivamente la quantità della luce incidente o riflessa dal soggetto con una precisione superiore allo standard precedente, col vantaggio che l’esposimetro non richiede alcuna alimentazione elettrica esterna perché lo stesso elemento sensibile produce una differenza di potenziale.

Queste tecnologie vennero sviluppate a inizio anni ’30 e ben presto comparvero i primi modelli molto miniaturizzati e adatti ad accompagnare la compattissima Leica; inizialmente tali esposimetri non venivano montati direttamente sul corpo ma andavano usati separatamente, nel modo consueto, ed il primo a fregiarsi della dicitura specifica Leicameter fu un modello statunitense, prodotto dalla Weston e commercializzato nel 1934.

La svolta verso i modelli e la configurazione che tutti conosciamo arrivò a fine anni ’30; alla Leitz decisero di controllare direttamente la produzione di un esposimetro al selenio specificamente progettato per essere montato sul tettuccio della Leica ed assecondarne le forme e le esigenze funzionali, individuando nell’azienda Metrawatt di Norimberga il partner ideale, visto che fin dal 1932 si era specializzata proprio in esposimetri fotoelettrici; il primo modello di questa collaborazione fu il tipo LC60, lanciato nel 1939 e prodotto fino alla fine degli anni ’40 con alcune varianti legate agli standard di sensibilità e alle finiture del disco selettore.

Il primo esposimetro Metrawatt per Leica satinato cromo e con vocaboli estetici ormai analoghi ai modelli definitivi e più famosi fu il Leicameter Metraphot MF, lanciato nel 1951 e caratterizzato da una satinatura chiara analoga a quella dei corpi Leica e da dimensioni eccezionalmente contenute; il Metrawatt Leicameter MF si montava sulla slitta, prevedeva gi un booster opzionale con cellula di maggiori dimensioni e si accompagnava armoniosamente alle forme del corpo, senza tuttavia essere ancora accoppiato direttamente al suo selettore dei tempi, operazione del resto impossibile nelle Leica a vite per la caratteristica rotazione di quest’ultimo quando l’apparecchio veniva caricato e scaricato e per la presenza di due differenti ghiere per i tempi lunghi e quelli brevi.

Con l’avvento del modello Leica M3 a baionetta, nel 1954, il selettore dei tempi venne unificato e rimaneva fisso durante le operazioni di scatto e armamento; fu quindi possibile concepire un esposimetro al selenio Metrawatt da fissare alla slitta sul tettuccio della Leica e munito di un sistema di accoppiamento diretto alla ghiera dei tempi, in modo tale che impostando un valore sulla M3 quest’ultimo venisse automaticamente settato anche sul selettore dell’esposimetro, che diventava a tutti gli effetti l’elemento sul quale il fotografo visualizzava il tempo effettivamente selezionato sul corpo, un po’ come avverrà anni dopo con i mirini esposimetrici Photomic di Nippon Kogaku; questo esposimetro, lanciato nel 1955, venne denominato Leicameter M ed era già funzionalmente ed esteticamente conforme alle versioni successive, con due eccezioni: il booster ad inserimento laterale, retaggio di modelli precedenti, e la presenza di uno sportello sollevabile davanti alla fotocellula e munito di una feritoia che andava tenuto chiuso per alti livelli di illuminazione (sfruttando quindi solamente la piccola feritoia) e sollevato per i bassi.

 

 

La versione definitiva degli esposimetri accessori Leica/Metrawatt con cellula al selenio arriverà l’anno successivo, 1956, con l’avvento della versione Leicameter MC; in questo modello la copertura rimuovibile davanti all’elemento sensibile è stata eliminata, prevedendo invece un selettore manuale per predisporre lo strumento ad alti o bassi livelli di illuminazione, creando anche un booster di nuova concezione da applicare frontalmente; l’estetica di questo accessorio è il punto di arrivo di un meticoloso affinamento e risulta realmente iconica e perfettamente accordata con gli attributi estetici del corpo M sul quale viene montato, diventando un tutt’uno con la fotocamera madre con la quale risulta anche parzialmente accoppiato alle relative regolazioni.

 

 

Il nuovo booster progettato per il Leicameter MC, definito dal codice MBOOC, forniva una sensibilità quadrupla rispetto all’elemento standard, si applicava nella parte anteriore sfruttando la slitta munita di contatti predisposta ai lati dell’elemento al selenio e veniva fornito completo di pannello in plastica per la lettura in luce incidente e custodia in cuoio.

 

 

Il Leicameter MC, autentico oggetto di design, prevede procedure operative logiche ma che richiedono attenzione e concentrazione; nella parte anteriore dello strumento troviamo l’apertura con l’elemento al selenio preceduto da elementi diffusori in plastica trasparente e la coppia di guide che consentono l’applicazione del booster per la lettura in condizioni di luce molto scarsa.

Sul top, nell’angolo anteriore sinistro, possiamo vedere il selettore che predispone la lettura per livelli di illuminazione elevati (punto nero) o scarsi (punto rosso); nella parte centrale una feritoia coperta da resina trasparente mostra l’ago del galvanometro (dotato di un riferimento di “messa a zero” per calibrare lo strumento grazie ad una vite sul fondo) e una serie di settori alternati chiari e scuri che raccordano la posizione dell’ago ai corrispondenti valori di apertura incisi sul selettore circolare; quest’ultimo è complesso e risulta costituito da due settori sovrapposti nei quali quello superiore (ruotabile in modo indipendente grazie ad una piccola presa di forza a sbalzo) riporta i valori di apertura di diaframma compresi fra 1:1,5 ed 1:16 con doppia scala rossa e nera, da utilizzare a seconda dell’impostazione scelta sul selettore dei livelli di luminosità (punto rosso: numeri rossi, punto nero: numeri neri), e prevede una serie di aperture centrali che consentono di vedere e selezionare il valore di sensibilità del film incisi sul disco inferiore e codificato con standard differenti (per non affollare troppo la sequenza, la scala ASA risulta sdoppiata).

Nel disco superiore oltre metà del bordo esterno risulta scaricato per rendere visibile quello inferiore, sul quale è riportata la sequenza dei tempi di posa, sincronizzata ed accoppiata alla ghiera del corpo grazie alla relativa presa di forza e a una serie di rinvii che trasferiscono il modo all’asse dei dischi, decentrato rispetto a quello della ghiera sul corpo; utilizzando il Leicameter MC senza booster il tempo di riferimento, corrispondente a quello impostato sulla macchina, è indicato dal riferimento triangolare nero (valido impostando il selettore dei livelli di luminosità sia su rosso che su nero, facendo ovviamente attenzione a riferire l’ago del galvanometro alla scala di aperture di identico colore), mentre utilizzando il booster accessorio MBOOC, che consente un guadagno di sensibilità pari a 2 f/stop, il tempo da utilizzare effettivamente è quello indicato dal riferimento rettangolare (che simula graficamente la forma del booster) e corrisponde effettivamente a 2 tempi in meno rispetto a quello nominalmente impostato: pertanto, leggendo col booster (per utilizzarlo occorre anche ruotare il selettore dei livelli di luminosità sul rosso), una volta definito il valore di apertura indicato dal galvanometro sulla scala rossa delle aperture, occorre ruotare la ghiera dei tempi posizionando davanti all’indice nero triangolare il tempo che si trova effettivamente davanti all’indice rettangolare del booster: ad esempio, nella foto allegata, sulla fotocamera è impostato 1/30” e dopo la lettura col booster occorre ruotare la ghiera fino a portare davanti all’indice triangolare nero il valore di 1/8″, cioè quello indicato dall’indice specifico per il booster.

Riassumendo:

  • lettura con luci forti: commutatore dei livelli di luminosità su nero, lettura collimando il galvanometro con la scala di aperture nera;
  • lettura con luci attenuate: commutatore dei livelli di luminosità su rosso, lettura collimando il galvanometro con la scala di aperture rossa – GAIN: 6 f/stop;
  • lettura con luci molto deboli: commutatore dei livelli di luminosità su rosso, montaggio del booster, lettura collimando il galvanometro con la scala di apertura rossa, correzione del tempo scalando 2 valori come definito dal relativo indice dedicato al booster – GAIN: 6 f/stop + 2 f/stop.

Restando sulla scala dei tempi, occorre specificare che gli esemplari prodotti dal 1956 al 1958 utilizzano ancora la sequenza obsoleta con la progressione 1/2” – 1/5” – 1/10” – 1/25” – 1/50” – 1/100” mentre i Leicameter MC costruiti dal 1958 al 1966 adottano la serie attuale: 1/2” – 1/4” – 1/8” – 1/15” – 1/30” – 1/60” – 1/125”; inoltre, con i modelli 1958-66 che non prevedono più l’indice 1/50”, sostituito da 1/60”, la posizione del massimo tempo ammesso per la sincronizzazione flash con lampeggiatori elettronici, appunto 1/50”, non era più indicato da un valore sulla sequenza e si rese necessario un riferimento supplementare fra 1/30” ed 1/60” per definirlo: nella prima fase si adottò un sottile trattino rosso fra tali numerazioni, come l’esemplare qui illustrato, mentre le ultime serie passarono ad un più visibile punto rosso che impose anche di spostare il numero 60 per fargli posto.

La scala dei tempi incisi sul Leicameter MC è molto ampia e spazia addirittura da 1/1000” a 125” interi, cioè 2 minuti; naturalmente i tempi più lunghi di 1” si ottengono scattando in posa “B” e conteggiando il tempo a parte e altrettanto ovviamente lo strumento non è in grado di misurare simultaneamente su questo ampio intervallo di valori con un singolo settaggio ASA –- DIN perché la scala è stata concepita per operare anche con pellicole di sensibilità molto bassa o molto alta; notate inoltre come la massima apertura indicata sul Leicameter sia 1:1,5, corrispondente a quella del Summarit 50mm, e tale valore non venne mai corretto ad 1:1,4 fino alla fine della produzione, nonostante a fine anni ’50 nel ruolo di normale luminoso fosse subentrato il Summilux 50mm 1:1,4.

La ghiera godronata sul fianco del Leicameter, dotata di meccanismo di svincolo mobile, consente di accoppiare direttamente l’esposimetro alla ghiera dei tempi del corpo macchina, munita di un’asola nella quale si interfaccia un perno dell’esposimetro; dopo il montaggio questa ghiera del Leicameter costituisce la presa di forza che consente di cambiare il tempo selezionato sulla Leica e, contestualmente, di impostarlo sul disco calcolatore; fra le dotazioni non visibili nelle immagini troviamo ovviamente la slitta per il fissaggio sul tettuccio e la citata vite per azzerare la posizione del galvanometro, gestibile dopo aver completamente coperto la fotocellula affinchè non sposti l’ago dal suo settaggio iniziale di fondo-scala.

 

 

Il Leicameter MC al selenio rimase in produzione fino al 1966, quando venne sostituito dalla versione MR che prevedeva un notevole aggiornamento tecnico, adottando una fotocellula frontale al solfuro di cadmio (CdS) con il relativo sistema di alimentazione tramite una batteria al mercurio da 1,35v; la tecnologia delle cellule al solfuro di cadmio e solfuro di piombo era stata sviluppata dalle aziende tedesche durante il conflitto per creare dispositivi nati per intercettare radiazioni termiche sotto forma di infrarossi prodotti da motori di aerei e battelli nemici da grandissima distanza, creando sistemi ottici newtoniani a specchio di grande diametro nel cui fuoco era posta la cellula al solfuro di cadmio o piombo, dispositivi dotati di sensibilità spinta nell’infrarosso che consentiva appunto di intercettare le emissioni termiche; questo nuovo Leicameter fu parimenti creato da Metrawatt (immagino che anche l’analoga fotocellula al CdS della prima Leicaflex sia strettamente correlata a questo progetto dell’azienda di Norimberga) e, con successive evoluzioni introdotte per le esigenze meccaniche della futura Leica M4, rimase in produzione anche quando il TTL era ormai affermato, tuttavia per le finalità di questo articolo ci fermeremo al precedente Leicameter MC al selenio visto in precedenza.

 

 

Il Leicameter MC, al momento della presentazione, era sicuramente un accessorio al passo cui tempi e costruito con qualità e finitura adeguata al prestigioso corpo di destinazione (sebbene, ad essere perfidi, l’ingegnerizzazione e la fattura interna, sbirciando sotto questo guscio impeccabile, non appaiano allo stesso livello del raffinato esterno), pertanto Leitz nei suoi advertising e brochure lo abbinava volentieri alla sua nuova fotocamera di punta, del momento che suppliva all’unico limite funzionale di un apparecchio praticamente perfetto, come in questa brochure della Leica M3 in cui tale modello appare in copertina corredato proprio con un Leicameter MC e, naturalmente, col nuovissimo Summicron rigido a 7 lenti.

 

 

Le borchure del tempo sottolineano la possibilità di effettuare accurate misurazioni con uno strumento montato sulla fotocamera e direttamente accoppiato ai tempi, evidenziando anche la disponibilità di 2 range di misurazione e di un booster opzionale per effettuare letture attendibili anche in condizioni di luminosità molto scarsa, tipico limite degli elementi al selenio che verrà risolto dai successivi elementi al solfuro di cadmio del Leicameter MR.

Abbiamo ampiamente sottolineato come questa serie di esposimetri Leicameter di ultima generazione fosse stata creata e prodotta dalla Metrawatt di Norimberga, azienda che fin dai primi anni ’30 si specializzò specificamente sugli esposimetri fotoelettrici, prevedendo evidentemente un roseo futuro per questo settore (il suo ruolo per Leitz fu lo stesso di Metz per Zeiss Ikon Stuttgart); vediamo qualche brevetto depositato dall’azienda e correlato agli strumenti in questione.

 

 

Questo brevetto, depositato da Metrawatt il 20 Maggio 1949, descrive l’aspetto di un piccolo esposimetro esterno al selenio da montare direttamente nella slitta sul tettuccio della fotocamera e corrisponde alle caratteristiche del Leicameter MF lanciato nel 1951; notate come vengano evidenziate le ridotte dimensioni, appena 50x29x18mm.

 

 

Questo secondo documento, depositato il 17 Maggio 1951, descrive a sua volta un esposimetro molto simile al precedente, evidenziando i dettagli della relativa slitta standard al quale applicarlo e la posizione della guida per aggiungere il booster (indicata col numero 1).

 

 

Quest’altro documento, depositato da Metrawatt il primo Ottobre 1953, descrive la logica di un disco calcolatore concettualmente analogo a quello dei Leicameter, sebbene nel caso specifico ideato per definire anche valori luce EV.

 

 

Infine, questo brevetto del 7 Gennaio 1953 definisce le caratteristiche degli elementi al selenio, proponendo una sagoma esagonale che poi troverà sbocchi nella produzione.

Il Metrawatt Leicameter MC è dunque un piccolo gioiello di tecnologia vintage e costruito con qualità ed accuratezza tali da fare scordare a molti la provenienza estranea, al punto che spesso e volentieri lo si considerava semplicemente un prodotto Leitz; sebbene sia notorio che il principale limite degli elementi al selenio consista nella progressiva degenerazione, con perdita di operatività nel corso di qualche decennio, molti esemplari sono tuttora reperibili in condizioni intonse e con ago del galvanometro che reagisce regolarmente all’esposizione alla luce, pertanto ho voluto sperimentare se il mio esemplare personale, utilizzato per le foto di contorno viste in precedenza e prodotto attorno al 1964, fosse ancora in grado di garantire una qualche accuratezza di lettura anche dopo la bellezza di 57 anni.

Pertanto ho preso un corpo mirrorless full-frame, ho montato il Leicameter MC sulla relativa slitta (ovviamente senza accoppiamento diretto ai tempi), ho completato l’apparecchio con un Leitz Elmarit-M 28mm 1:2,8 seconda serie 11802 ed ho realizzato qualche prova informale attorno a casa, realizzando per ogni immagine una coppia di scatti gemelli, il primo esponendo manualmente ed impostando il tempo ed in diaframma indicato dalla fotocellula del Leicameter, il secondo mantenendo la stessa apertura ed impostazione di sensibilità ISO e lasciando che fosse il sistema di lettura a matrice della fotocamera, impostata a priorità di diaframma, a definire il tempo opportuno, valutando poi le differenze fra le due letture; ecco le immagini in questione (affiancate e con la versione esposta grazie al Leicameter MC posizionata a sinistra), aperte dal RAW con le impostazioni di default di Adobe Camera Raw e senza alcun intervento sulle medesime; ovviamente si tratta di inquadrature banali, dal momento che l’elemento importante era l’esposizione.

 

 

In questo caso, trattandosi di uno scatto all’ombra e visto che le 2 modalità di lettura (per alte e basse luci) condividono un certo overlap di misurazione che corrispondeva all’incirca al livello di luminosità presente al momento nella scena, ho misurato la posa col Leicameter MC settato su basse luci (selettore sul riferimento rosso), ottenendo a 100 ISO un’esposizione di 1/60” ad 1:8; replicando la foto con la stessa apertura 1:8 ed utilizzando la lettura a matrice della fotocamera ho invece ottenuto 1/100” ad 1:8, pertanto con una sottoesposizione pari a 2/3 di stop rispetto a quanto definito dal Leicameter: in questo caso l’esposizione diretta preferibile è quella del Leicameter, tuttavia in digitale è consuetudine lavorare con immagini leggermente sottoesposte per non portare le alte luci al famoso bianco 255-255-255 e mantenerne eventuali tessiture materiche, recuperando poi i dettagli nelle ombre forzando il file; in ogni caso, se l’esposizione fosse stata su pellicola a colori invertibile, l’immagine preferibile sarebbe stata quella di sinistra perché non esisterebbe il modo di “alzare” l’altra.

 

 

Il principale problema con esposimetri esterni al selenio non è tanto la loro accuratezza residua o la sensibilità sufficiente al livello di illuminazione corrente quanto l’impossibilità di determinare con precisione l’area complessiva del soggetto sulla quale stia effettivamente misurando e i relativi settori di alte e basse luci che compongono la lettura finale; in questo caso, orientando verso l’alto il Leicameter, era ovvio che l’ampia porzione di cielo e nuvole avrebbe influenzato la misura verso la sottoesposizione, tuttavia non ho effettuato alcuna lettura ravvicinata sulla ghiacciaia perché avrei poi esposto direttamente anche con la lettura a matrice dell’esposimetro della fotocamera e volevo apprezzare una eventuale correzione dell’algoritmo matrix rispetto alla lettura diretta.

L’esposizione col Leicameter MR, questa volta settato per alti livelli di illuminazione, ha portato ad una lettura di 1/500” 1:8 con 100 ISO, valore effettivamente un po’ scarso ma compatibile con la lettura diretta, “da principiante” con ampie zone di cielo e nuvole luminose: probabilmente sarebbe bastato orientarlo più orizzontalmente per avere una lettura più equilibrata; scattando invece a priorità di apertura con la misurazione a matrice della fotocamera, ho ottenuto tuttavia una foto ancora più sottoesposta, con 1/800” 1:8 a 100 ISO, quindi nuovamente 2/3 di stop in meno, e probabilmente è proprio l’algoritmo che è concepito a questo modo, essendo un apparecchio digitale, per “salvare” le alte luci sapendo che le ombre entro certi limiti sono recuperabili, mentre un bianco puro privo di crominanza non consente di ritrovare dettagli abbassandolo.

 

 

Nel caso di questa facciata eclettica ho orientato il Leicameter MR settato su alte luci direttamente sull’edificio, ottenendo a 100 ISO un’esposizione di 1/60” ad 1:8-11 che si può considerare sostanzialmente corretta (le immagini non hanno particolare impatto perché sono dei RAW aperti senza alcun intervento migliorativo) mentre l’esposizione a matrice della fotocamera, sempre con 100 ISO e apertura 8-11, ha addirittura impostato 1/125”, pertanto vale la considerazione di cui sopra.

 

 

In questa immagine il soggetto era abbastanza critico, con un loggiato in ombra e un cortiletto cinquecentesco in piena luce con parete bianca di fondo, una scena che ovviamente avrebbe richiesto una certa compensazione e postproduzione per renderla gradevole; in entrambi i casi la lettura diretta con il Leicameter MR e l’esposizione matrix a priorità di diaframma con 100 ISO hanno generato una misurazione identica, 1/30” ad 1:8, e il risultato è un compromesso ben recuperabile sul file digitale, abbassando le alte luci e schiarendo le ombre, mentre in uno scatto teoricamente analogico col Leicameter queste possibilità non esistono e forse sarebbe stata preferibile un’immagine un po’ più leggera per aprire le ombre del loggiato; è comunque pregevole il fatto che le 2 letture coincidano.

 

 

Ho voluto anche provare il Leicameter in un contesto molto sfavorevole, fotografando un soggetto poco illuminato in interni e in una situazione in cui la luminosità ambiente corrisponde circa ad EV 4; per riuscire a scattare a mano libera ho selezionato una sensibilità di 800 ISO e la misurazione con il Leicameter MC, ovviamente regolato su basse luci, è stata di 1/15” ad 1:4, mantenendo ferma l’immagine anche grazie allo stabilizzatore on camera, mentre l’esposizione a priorità di diaframmi matrix ha fornito un valore di 1/10” ad 1:4, producendo pertanto in questo caso una sovraesposizione di 2/3 di stop che rende sicuramente il soggetto più leggibile ma, d’altro canto, EV 4 comincia ad essere un valore sicuramente critico per un esposimetro al selenio, e per giunta prodotto 57 anni fa, e forse avrei dovuto portare al seguito il booster MBOOC ed utilizzarlo, tuttavia l’esposizione non si può considerare errata, quantunque l’immagine sia effettivamente un po’ scura.

Tirando le somme di questa rapida prova posso considerarmi soddisfatto di come il vecchio Leicameter MR si è comportato e soprattutto sono stupito di come i suoi elementi al selenio siano ancora innegabilmente funzionali dopo oltre mezzo secolo; credo di poter dire che, in un esemplare ben tenuto e funzionante, eventuali imperfezioni nell’esposizione dipendano più da errori di puntamento o omissione di misurazione ravvicinata selettiva in certi contesti che da deficienze intrinseche dello strumento, evidentemente ancora in grado di avvinghiarsi in un ultimo tango senza respiro con la sua amata M3 e tornare indietro ai vorticosi anni ’50 per impressionare ancora oggi negativi come se il tempo non fosse passato.

Vi lascio con un’ultima immagine, a sua volta esposta con il Leicameter MC del 1964 e realizzata con il Leitz Elmarit-M 28mm 1:2,8 11802 lanciato nel 1969, due oggetti di modernariato che si potrebbero ormai considerare cimeli e che invece ne avrebbero ancora di cose da dire…

 

 

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

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