Le origini dell’obiettivo Minolta STF con filtro apodizzante.
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; a fine anni ’60 la Minolta Camera Kabushiki Kaisha di Osaka impostò lo sviluppo di nuove tecnologie applicate alla ripresa fotografica, una ricerca messa in atto su vari fronti e che, fra l’altro, portò alla creazione del sistema VFC (Variable Field Curvature), poi applicato alle ottiche Rokkor 24mm 1:2,8 e 35mm 1:2,8 Shift, che consentiva di modulare la curvatura di campo dell’obiettivo in funzione delle proprie esigenze tramite un’apposita ghiera.
Un altro filone di ricerca verteva sul soft-focus e lo sfuocato, un tema storicamente molto caro alla sensibilità estetica nipponica, i cui risultati concreti si palesarono nel famoso medio-tele Minolta 85mm 1:2,8 Varisoft che consentiva di graduare la morbidezza desiderata su tre livelli tramite una ghiera, la cui rotazione movimentava certi elementi modificando l’andamento dell’aberrazione sferica; in realtà i tecnici di Osaka – contestualmente – avevano affrontato l’argomento anche da un punto di vista differente ed originale, tuttavia procediamo con ordine.
Nel 1999 l’azienda attirò molta attenzione fra gli addetti ai lavori presentando un particolarissimo obiettivo da ritratto Minolta 135mm f/2,8 T4,5 STF, acronimo di Smoot Trans Focus; l’ottica si configurava subito come qualcosa di speciale, dal momento che presentava due differenti valori di apertura massima, il riferimento classico f/2,8 e un’apertura fotometrica effettiva T4,5; inoltre, pur essendo destinata ad un sistema autofocus per fotocamere dotate di controllo del diaframma direttamente dal corpo macchina, presentava ghiere manuali per la messa a fuoco e il controllo del diaframma, quest’ultima ad azionamento diretto e in grado di gestire solo i valori fotometrici fra T4,5 e T6,7; l’obiettivo presentava una messa a fuoco molto ravvicinata, fino al rapporto di riproduzione 1:4, ed era in grado di inquadrare anche singoli dettagli del volto.
In realtà il Minolta 135mm STF costituiva un’autentica novità perché non si trattava di un obiettivo soft-focus convenzionale: infatti il suo piano di fuoco risultava nitido a tutte le aperture e le sue specifiche caratteristiche entravano in gioco nelle aree sfuocate, e specificamente nel cosiddetto bo-keh, cioè nella riproduzione sfuocata delle alte luci puntiformi e dei riflessi speculari trasformati in circoli confusionali; spesso questi elementi sono riprodotti con un bordo netto e luminoso, trasformandosi in elementi invasivi che attraggono l’attenzione distogliendola dal soggetto principale a fuoco e disturbando la percezione complessiva; in questo caso l’effetto desiderato era ottenuto grazie al cosiddetto filtro apodizzante, una tecnologia sviluppata da Minolta.
Preso atto che la luminosità al centro e sui bordi dei circoli confusionali sfuocati è proporzionale al flusso luminoso che passa attraverso le lenti dell’obiettivo nei corrispondenti settori, il filtro apodizzante funzionava come una sorta di filtro ND degradante concentrico applicato al contrario, per cui la luce non veniva assorbita al centro bensì ai bordi della lente; in questo modo, pur operando a grande apertura con la ridotta profondità di campo e lo sfuocato marcato tipico delle riprese di ritratto, il contributo della porzione periferica delle lenti veniva minimizzato dall’assorbimento selettivo del filtro ND, per cui i circoli confusionali non vengono più riprodotti con luminanza omogenea e bordi netti ma presentano una luminanza che degrada progressivamente ai bordi fino ad annullarsi, rendendoli pertanto quasi invisibili nel bo-keh delle aree sfuocate e producendo quindi riprese molto gradevoli.
Per riassumere in parole semplici, l’obiettivo sfrutta l’intera sezione delle lenti ed è come se lavorasse ad f/2,8, quindi la mancata chiusura del diaframma a valori inferiori produce la classica sfuocatura dei circoli confusionali nel primo piano e nello sfondo dovuta alla ridotta profondità di campo, tuttavia il contributo alla formazione dell’immagine delle zone periferiche delle lenti viene limitato dall’assorbimento luminoso del filtro apodizzante, quindi i circoli confusionali sfuocati perdono brillantezza luminosa ai bordi e sono meno evidenti, producendo uno sfuocato più piacevole.
Il Minolta 135mm f/2,8 T4,5 STF venne poi trasfigurato nel corrispondente Sony SAL135F28 in attacco Sony Alpha e per tre lustri fu l’unico obiettivo ad offrire questa particolare caratteristica; venne poi affiancato dal Super-EBC Fujinon XF 56mm 1:1,2 T1,7 R APD, presentato nel 2014 per il formato APS-C, e di recente, nel 2017, la Sony ha sfruttato il travaso tecnologico mutuato da Minolta per lanciare il medio-tele da ritratto FE 100mm 1:2,8 T5,6 STF GM OSS; entrambi questi obiettivi sono equipaggiati con filtro apodizzante e quindi in grado di garantire analoghe caratteristiche nelle aree sfuocate.
Osservando i relativi schemi ottici, tutti sofisticati e in grado di fornire elevate prestazioni sul piano di fuoco, si può notare come l’originale soluzione Minolta differisca dalle realizzazioni di Fuji e Sony; infatti, nel 135mm STF di Osaka il filtro apodizzante è ottenuto realizzando una lente piano-concava del doppietto centrale in vetro di colore grigio neutro, e l’assorbimento luminoso differenziato è ottenuto grazie alla cospicua differenza di spessore della lente stessa, sottilissima al centro e molto più spessa ai bordi dove, evidentemente, l’assorbimento del vetro trattato come un filtro ND risulta molto più marcato, mentre sull’asse è trascurabile; negli altri esemplari, per evitare nel disegno ottico la costante imposta di una lente sagomata in modo da garantire le citate caratteristiche, i progettisti hanno invece optato per un filtro degradante concentrico convenzionale, ottenuto con evaporazione metallica differenziata per avere la massima trasparenza al centro e l’assorbimento desiderato ai bordi; naturalmente il risultato finale è lo stesso con entrambe le soluzioni.
I valori aggiuntivi T sono necessari perché, appunto, l’apertura geometrica teorica f/ viene inficiata dall’assorbimento del filtro apodizzante degradante neutro, tuttavia – chiudendo progressivamente il diaframma – l’area di assorbimento grigio neutro viene messa in ombra dall’iride, lasciando esposto un settore più trasparente del filtro apodizzante e le differenze fotometriche fra valori f/ e T tendono progressivamente a ridursi, annullandosi quando il diaframma è così chiuso da intercettare il flusso luminoso che passa solamente dalla porzione centrale del filtro, praticamente trasparente; prendendo come esempio il 56mm 1:1,2 Fuji, ecco la progressione dei valori al chiudersi del diaframma: f/1,2 = T1,7; f/1,4 = T1,9; f/2 = T2,3; f/2,8 = T3,0; f/4 = T4,2; f/5,6 = T5,6.
Nel caso del Sony FE l’assorbimento iniziale del filtro apodizzante è molto marcato rispetto agli obiettivi Minolta e Fuji: infatti la massima apertura geometrica f/2,8 viene bruscamente ridotta a T5,6 dal filtro apodizzante, che sottrae quindi ben 2 f/stop, e l’effetto svanisce ad f/8, quando i valori f/ e T tornano a coincidere.
Tornando al Minolta STF, per ottenere un bo-keh ancora più gradevole l’obiettivo venne equipaggiato addirittura con due diaframmi ad iride: il primo, a 9 lamelle, è convenzionale e viene gestito dall’elettronica del corpo macchina; il secondo a 10 lamelle, è assolutamente circolare per produrre circoli confusionali perfettamente rotondi e viene comandato dall’operatore in modo manuale fra i valori T4,5 e T6,7; con chiusure ancora maggiori i valori T ed f/ tornano a coincidere (quindi a partire da f/8) e si può sfruttare il diaframma convenzionale perché l’effetto di abbattimento dei circoli confusionali sfuocati prodotto dal filtro apodizzante si annulla.
Quanto sopra è storia più o meno nota e 20 anni fa Minolta ricevette il plauso unanime per questa novità introdotta sul mercato; in realtà, alla luce di recenti evidenze, tutta questa tecnologia dev’essere retrodatata addirittura di 30 anni, un prequel inedito che possiamo raccontare grazie alla gentilissima e disinteressata collaborazione di Andrea Aprà, eminente esperto e grande collezionista Minolta, al quale va il mio sentito ringraziamento per le informazioni e i dati condivisi.
Alla Photokina del 1970 (3-11 Ottobre) la Minolta Camera Kabushiki Kaisha si fece notare per il fuoco di fila di novità, molte delle quali poi divenute esempi di successo commerciale, uno sforzo produttivo eccezionale messo in campo anche perché subito prima, dal 15 Marzo al 13 Settembre, si era svolto il grande Expo ’70 di Osaka, città storica sede dell’azienda, quindi in quel 1970 effervescente Minolta aveva tutte le ragioni per sfoderare il meglio di sè; tuttavia, in questo marasma di primizie, ci fu un obiettivo speciale che era stato approntato e che, per ragioni oscure, all’ultimo momento venne depennato dalla lista degli articoli da esporre senza lasciare alcuna traccia di sé.
Quest’obiettivo perduto ricompare unicamente in una recensione sulle novità Minolta pubblicata vari mesi dopo, il 10 Luglio 1971, dall’autorevole rivista giapponese “Nippon Camera”, nel cui ambito viene descritto anche un medio-tele Rokkor-HH 100mm T5,6 dotato di un filtro apodizzante ND: si tratta della stessa tecnologia che sarebbe stata sfruttata commercialmente soltanto 30 anni dopo con il Minolta 135mm STF.
Il dettaglio dell’articolo mostra che l’obiettivo era equipaggiato con una ghiera del diaframma scalata in valori fotometrici T e ad azionamento completamente manuale stop-down; a quei tempi era in produzione la serie di obiettivi MC Rokkor con relativa camma di accoppiamento al simulatore del diaframma per i corpi della famiglia SR-T (SR-T 101, etc.), tuttavia in questo caso non è stato possibile provvedere all’interfaccia perché la progressione dei valori T, influenzati dall’effetto di assorbimento sempre minore prodotto dal filtro apodizzante, non è proporzionale alla scala geometrica f/ per cui è concepito il simulatore della macchina.
Anche in questo caso il filtro è ottenuto realizzando una lente piano-concava fortemente divergente con un vetro colorato in massa fino a diventare grigio neutro.
Ulteriori conferme della stretta parentela tecnica che intercorre fra il Rokkor-HH 100mm T5,6 e il Minolta STF 135mm f/2,8 T4,5, nonostante siano separati da tre decenni, ci vengono fornite osservando gli schemi ottici dei due obiettivi: la sequenza dei gruppi di lenti è molto simile e l’architettura a 8 lenti in 6 gruppi del modello più antico giustifica anche la sua denominazione HH: infatti, analogamente a quanto faceva la Nippon Kogaku, anche negli obiettivi Minolta MC queste sigle numeriche erano riferite a caratteristiche del gruppo ottico e, in questo caso, HH significa proprio uno schema a 8 lenti (H è l’ottava lettera dell’alfabeto) in 6 gruppi (il secondo H sta per Hex, cioè 6).
Questo dettaglio consente di capire ancora meglio come funziona il filtro apodizzante in vetro degli obiettivi Minolta: lo spessore differenziato dell’elemento divergente in vetro grigio neutro presenta il massimo assorbimento luminoso ai bordi, valore che si riduce progressivamente verso il centro dove diviene molto modesto grazie alla sottilissima sezione del vetro in quel punto; l’immagine viene quindi focalizzata e prodotta dall’intero gruppo di lenti ma la componente periferica produce una illuminazione inferiore rispetto a quella generata dalla porzione centrale.
Si trattava quindi di una soluzione ingegnosa ma tecnicamente piuttosto semplice; l’intestazione del relativo brevetto ci informa che venne ideata da Masayuki Mino e Yukio Okano che la brevettarono per conto della Minolta di Osaka a partire da Settembre 1968; la richiesta di brevetto americano venne invece consegnata nell’Ottobre 1972.
Gli estratti più interessanti nella discussione del brevetto premettono che nel fuori-fuoco di un obiettivo dove la trasparenza luminosa all’altezza dell’apertura di diaframma sia uniforme e distribuita radialmente si possono avere curve di trasferimento di modulazione (MTF) con valori negativi a certe frequenze spaziali e positivi ad altre, generando uno sfuocato sgradevole; se invece la trasparenza luminosa decresce esponenzialmente verso i bordi con un filtro apodizzante, il flusso luminoso asimmetrico produce una curva più lineare e uno sfuocato più gradevole.
Come si può notare dalla seconda serie di schemi, fin dall’origine i progettisti ipotizzarono di realizzare il filtro apodizzante sfruttando una lente divergente che si assottiglia molto al centro, esattamente analoga a quella poi utilizzata nel prototipo Rokkor-HH 100mm T5,6 e nel successivo Minolta 135mm STF.
Osservando le evidenze, sembra quasi che la tecnologia del sistema STF sia stata improvvisamente congelata e nuovamente adottata 30 anni dopo, applicando solo migliorie secondarie volte ad incrementare l’apertura massima disponibile e perfezionare la resa ottica alla luce dei nuovi vetri ottici e programmi di calcolo, mantenendo comunque intatto il core tecnologico del sistema; sulle ragioni per cui il Rokkor-HH 100mm T5,6 sia stato improvvisamente derubricato dalla merce destinata alla fiera di Colonia 1970 possiamo solo azzardare dietrologie: è possibile che l’apertura massima T5,6 da abbinare ai vetri di messa a fuoco dei corpi Minolta dell’epoca fosse considerata troppo ridotta per riuscire a focheggiare comodamente (però contestualmente venne presentato il Rokkor catadiottrico da 80cm con apertura 1:8), così come la prassi dell’esposizione stop-down con diaframma completamente manuale risultava forse complessa per un utente domenicale, che comunque non avrebbe certo acquistato un pezzo così specialistico.
Potremmo forse argomentare per ore senza trovare una risposta definitiva; è comunque storicamente importante prendere atto che la tecnologia STF, acclamata al suo esordio nel 1999, era in realtà frutto di progetti di fine anni ’60, congelati forse per dare priorità allo sviluppo del Vari-Soft, vero obiettivo flou più immediatamente apprezzabile dai clienti, e riesumati integralmente 30 anni dopo, quasi come se avessero dormito fino ad allora in una vera e propria capsula del tempo sepolta ad Osaka per la futura generazione di progettisti.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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