La fotografia e il tempo.

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; apro una parentesi se vogliamo un po’ intimistica e riflessiva, prendendo spunto da un’occasione in cui mi sono trovato personalmente coinvolto, per parlare del tempo, quello non relativizzato ma precluso ai mortali: secoli, millenni, etc.

Talvolta ci può capitare di fotografare qualcosa di antico e, col passare degli anni, si è fatta strada in me la convinzione che fosse idealmente coerente utilizzare a tale scopo un obiettivo parimenti datato, anche vetusto, che condivida con soggetto stesso una lunga storia vissuta.

Nel 2012 dovevo documentare il minuzioso restauro di una sala ai livelli superiori del palazzo Episcopale nel quale da circa un millennio ha sede la locale Diocesi: questa sala fu realizzata nella seconda metà del ‘200 e nella prima metà del ‘300 fu arricchita con un ciclo di affreschi; purtroppo in seguito il locale Vescovo Giacomo Pasi, in Cattedra dall’8 Aprile 1510 al 19 Luglio 1528, sopraelevò le volte delle sale al piano inferiore, sacrificando questo ambiente le cui decorazioni, nel frattempo, col gusto dell’epoca, apparivano soltanto vecchiume datato, e nel corso del tempo gli affreschi stessi furono ricoperti di intonaco, la sala tamponata per frammentarla in vani più piccoli e poi addirittura sigillata e dimenticata; solamente in seguito a danni bellici durante il Secondo Conflitto Mondiale la “sala superior” è riemersa e un complesso programma di restauri e recupero dei livelli originali e delle polifore trecentesche che la illuminavano ha permesso di restituirne in parte l’aspetto originale e di utilizzarla come sala espositiva del nuovo Museo Diocesano.

Sotto gli intonaci asportati sono emersi tre cicli di affreschi che descrivono la gloria di 4 Sante, il trionfo della morte e l’ascensione nell’ultimo giorno; questi affreschi furono realizzati da pittori di una scuola giottesca riminese con influenze bolognesi e vennero prodotti nel 1330-1340; quando mi fu commissionata una serie completa di fotografie, nel 2012, questi affreschi avevano dunque 670 – 680 anni ed erano muti testimoni di contesti sociali, culturali e ideali lontanissimi da noi; nel silenzio della sala e al cospetto delle grandi opere mi sentii quindi un intruso piccolo e fuori luogo, e la prima scelta istintiva fu quella di rifuggire le affidabili attrezzature di ultima generazione che intendevo utilizzare: mi sembrava dissacrante, il tempo va in empatia col tempo.

Quindi, per documentare il ciclo meglio conservato (le 4 Sante indicate in grafica), andai a casa e tornai equipaggiato con un obiettivo più in sintonia con la mistica del luogo e i suoi lunghi secoli di silenziosa attesa che meritavano rispetto.

L’obiettivo che avevo scelto era un Carl Zeiss Jena Tessar 13,5cm 1:6,3, un esemplare in grado di coprire in 9x12cm e prodotto nella seconda metà di Aprile del 1912, quando i resti delle vittime dell’RMS Titanic fluttuavano ancora sul Nordatlantico; quando lo utilizzai per queste foto, nel 2012, l’obiettivo aveva appena compiuto 100 anni, un secolo di vita attraverso due Conflitti Mondiali e chissà quali peripezie: a mio giudizio era quindi degno di fronteggiare quegli affreschi emersi da un abisso di tempo e di relazionarsi con loro in modo degno, paritetico.

L’obiettivo, naturalmente, condivide le tipiche montature obsolete dell’epoca, con barilotto in ottone a vista; la ghiera del diaframma, prassi comune a quei tempi, riporta ancora il diametro effettivo dell’iride espresso in millimetri, quindi per simulare l’apertura di lavoro 1:11 che avevo scelto dovetti selezionare sulla ghiera il valore di 12mm, corrispondente a tale apertura con focale da 135mm.

L’obiettivo utilizza ancora lo schema ottico originale del primo Tessar brevettato nel 1902, come confermato anche dal relativo numero di registrazione del Kaiserliches Patentamt riportato sulla ghiera anteriore; naturalmente le lenti non presentano alcun trattamento e, con passare dei decenni, mostravano anche veli di polvere e aloni; fortunatamente è possibile smontare le ghiere ed accedere con facilità alle superfici di ogni elemento, quindi avevo provveduto ad un’accurata pulizia.

Ecco dunque l’affresco di 670-680 anni fa fotografato con un obiettivo Carl Zeiss Jena vecchio di 100 anni; l’opera illustra 4 Sante Martiri (Sant’Apollonia, Santa Lucia, Santa Caterina D’alessandria e – quest’ultima dubitativamente – Sant’Orsola) mentre impugnano gli strumenti del relativo martirio; come accennato, questi affreschi sono rimasti coperti per secoli da una mano di intonaco, pertanto il loro restauro e recupero è stato lungo e laborioso; ringrazio la celebre esperta di arte sacra medievale/rinascimentale e amica, Dottoressa Anna Tambini, per la sua competente lettura di queste opere.

Nonostante l’obiettivo appartenga a buon diritto all’adolescenza tecnologica del suo settore, grazie anche alle possibilità della postproduzione digitale l’immagine non ha deficit particolari.

Un elemento ingrandito della stessa immagine conferma che il dettaglio, sebbene privo di incisione esasperata, è più che sufficiente per qualsiasi esigenza.

Infatti questa serie di immagini furono poi utilizzate per un corposo volume (oltre 540 pagine) sulla storia dell’arte sacra della Diocesi e il relativo Museo Diocesano, e il dotto autore del libro non ha mai saputo che avessi realizzato queste particolari immagini, mescolate ad altre di un cospicuo gruppo, utilizzando un obiettivo a sua volta così vetusto.

Io però sono felice perché mi sono trovato davanti al Tempo, quello con la maiuscola, al quale non avrò mai accesso, e credo di averlo trattato col rispetto dovuto.

Un abbraccio a tutti – Marco chiude.

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