KERN AARAU: il mitico brand svizzero produttore di grandi obiettivi cine e le sue ottiche destinate alla NASA e alle missioni APOLLO.
Seconda Parte: Kern e la NASA
I primi abboccamenti formali fra Kern Aarau e NASA ebbero luogo il 3 Luglio 1967; i successivi contatti vennero tenuti utilizzando come intermediari il personale della Paillard, Inc. U.S.A. e si iniziò la lavorare sulle particolari specifiche tecniche e dei materiali necessarie per ottemperare ai rigidi protocolli di missione spaziale, molto più severi dopo lo sciagurato incidente dell’Apollo 1; in un fattivo incontro del 25 Settembre 1967 la Kern fornì alla NASA una serie di doppietti acromatici destinati all’obiettivo grandangolare da 10mm 1:1,6 affinchè testassero negli U.S.A la tenuta del collante con i test di choc termico previsti; infatti le ottiche da 18mm 1:0,9 e 75mm 1:2,2 destinate alla missione sarebbero state calcolate ex-novo, evitando l’adozione di lenti collate per escludere a priori problemi di scollature, tuttavia il grandangolare ricalcava pedissequamente il noto Switar 10mm 1:1,6 che, per garantire la correzione cromatica secondo gli standard Kern, era articolato su 10 lenti in 5 doppietti acromatici; a tale scopo il comune balsamo del Canada utilizzato nel modello di serie venne sostituito dal collante Epikol, con caratteristiche più adatte a questa esigenza; nel frattempo alcuni prototipi di obiettivi furono testati anche alla Kern di Aarau nel vuoto assoluto e a temperature elevate, fino a +120° C.
I materiali utilizzati per i barilotti venero vagliati dalla NASA per verificare che rispettassero i protocolli e nelle montature furono impiegate leghe metalliche con dilatazione termica simile a quella del vetro mentre le lenti vennero sigillate prevedendo comunque prese d’aria a tenuta di polvere per compensare la pressione interna; le specifiche richiedevano che gli obiettivi sopportassero senza danni un valore di 5,5g per 5 minuti primi in qualsiasi direzione e che le ghiere di messa a fuoco e diaframmi rimanessero funzionali con temperature comprese fra -40°C e +70°C; in ogni caso i prototipi inviati da Kern verranno poi vagliati ulteriormente dalla NASA effettuando 25 differenti test.
Questa immagine fornita dal Stadtmuseum Aarau mostra gli obiettivi Kern forniti alla NASA; al nucleo originale di 3 obiettivi (10mm, 18mm e 75mm) si aggiunse in extremis anche il 180mm 1:4,5, quando Jerry Kovanda, un manager della Paillard Inc., U.S.A. il 13 Marzo 1969 si accordò con la NASA per fornire anche 2 prototipi di un teleobiettivo da 180mm, con l’opzione per altri 42 esemplari; per ragioni che andremo poi a documentare, il 180mm in realtà non prese mai parte alle missioni Apollo, quindi il novero delle ottiche effettivamente impiegate è ridotto ai 3 modelli originali; i 4 obiettivi vennero rubricati col NASA Part Number SEB 33100010, 33100017, 33100018 e 33100019 mentre, curiosamente, nelle prime forniture la matricola inizia in tutti gli esemplari da 301 mentre, in esemplari più tardi, la matricola inizia da 1.001, numerazione più consona alle abitudini NASA; le scale dei diaframmi sono indicate direttamente col valore effettivo T, com’è prassi comune nelle ottiche cinematografiche.
Le ottiche Kern fornite alla NASA prevedevano un guscio esterno in duralluminio con finitura nera Eloxal, un materiale leggero e resistente ma di certo meno tecnologico rispetto a quello usato per le ottiche americane Fairchild applicate alla telecamera video Westinghouse Lunar Television Camera destinata allo sbarco sulla superficie lunare, realizzate in leggerissimo ma tossico berillio, placcato in argento ad alto spessore per contrastare l’irraggiamento solare e quindi rivestito con una finitura organica anti-ossidazione; l’obiettivo da 18mm dell’esempio illustrato prevede una baionetta anteriore per applicare il “right angle mirror”, uno specchio a 45° che permetteva di modificare l’angolazione di ripresa quando la cinepresa era applicata al suo stativo all’interno della capsula, in prossimità di una finestra; la sede di innesto dello specchio è evidenziata i colore rosso mentre la sezione anteriore della baionetta è interamente forata per ridurne il peso; le due ghiere per la messa a fuoco e il controllo del diaframma prevedono un settore a sbalzo zigrinato e anche due pivots supplementari per facilitare l’utilizzo con i guanti da missione, una soluzione messa a punto dalla NASA ed utilizzata in altri obiettivi prodotti da fornitori esterni e destinati ad un impiego analogo; i valori T di apertura e quelli delle distanze, in piedi, sono sovradimensionati per facilitare la lettura, così come l’indicazione della lunghezza focale sul barilotto; la parte inferiore dell’obiettivo include una cintura di metallo lucidato che riporta per incisione il marchio del fabbricante, nome/focale/luminosità dell’ottica, il NASA SEB Part Number e la matricola individuale, mentre la montatura prevede un attacco filettato tipo 1” – 32 NS 3A con applicato un adattatore vite-baionetta per il montaggio finale sulla cinepresa; tutto sommato una configurazione tecnica non particolarmente estrema, dal momento che questi obiettivi non erano destinati allo sbarco sulla superficie e all’attività extraveicolare, quindi non dovevano sopportare condizioni ambientali realmente estreme.
L’immagine, realizzata dal museo NASA, mostra un dettaglio della cinepresa Maurer alla quale è applicato un Kern Switar 10mm 1:1,6 (T=1,8) destinato ad una missione spaziale successiva e privo del paraluce in dotazione; come si può notare il numero di matricola S/N è 1.016, cioè il 16° esemplare partendo dalla matricola 1.001, una tipica numerazione NASA, mentre gli obiettivi utilizzati in missioni precedenti, come detto, presentavano un S/N anomalo, a partire da 301.
Vediamo ora di descrivere in dettaglio i 4 obiettivi, utilizzando anche schemi e progetti originali tuttora conservati al Stadtmuseum Aarau e gentilmente diffusi.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
Qui la prima parte: “Dai compassi alle Alpa”
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