Graflex Graphic 35 Jet, la fotocamera motorizzata ad anidride carbonica compressa.
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la protagonista dell’odierna chiacchierata è la Graflex Graphic 35 Jet, una fotocamera 35mm a telemetro di inizio anni ’60 prodotta dall’azienda Graflex di Rochester, NY; quest’apparecchio si differenzia dai modelli similari per una caratteristica particolarissima e ingegnosa: l’avanzamento del film e il riarmo dell’otturatore sono automatici e vengono attivati da un flusso di anidride carbonica (CO2) compressa, una soluzione davvero originale che garantisce un funzionamento indipendente da alimentazione elettrica senza utilizzare la classica propulsione a molla solitamente utilizzata da concorrenti come le Robot di Otto Berning.
La Graflex Incorporated di Rochester, sussidiaria della General Precision Equipment Corporation, è un’azienda molto conosciuta che ha prodotto fotocamere famose come la mitica Speed Graphic ed anche vari apparecchi militari su commessa governativa, sfruttando contestualmente le eccelse competenze di Hubert Nerwin, ex-tecnico della Zeiss Ikon Dresden; accanto a questa serie di prodotti d’alta gamma la Graflex ha altresì commercializzato apparecchi più semplici e compatti, per pellicola 35mm, destinati al vasto pubblico dell’americano medio; in particolare, negli anni ’50 si distingue la generazione delle Ciro 35, poi rinominate Graphic 35: si trattava di apparecchi ben costruiti e con funzioni e controlli piuttosto completi che adottavano peraltro otturatori e obiettivi prodotti in Germania e che incontrarono un buon successo grazie anche alle massicce campagne promozionali orchestrate dall’azienda.
Nel 1957, sulla base della Graphic 35, gli ingegneri Johannes Padelt e Arthur Hurlburt idearono un modello evoluto dall’automazione molto spinta la cui caratteristica più appariscente prevedeva il riarmo dell’otturatore e il trascinamento del film automatici grazie all’energia fornita da un serbatoio di anidride carbonica compressa; a quel tempo lo sviluppo dei jet militari e da trasporto passeggeri era al suo culmine e i creativi della Graflex sfruttarono quest’analogia fra la spinta dei motori a getto dei velivoli e la propulsione ad aria della fotocamera per creare la suggestione di un prodotto avveniristico, a cominciare dal nome, Graflex Graphic 35 Jet, una fotocamera lanciata nel 1961 e che rimase in produzione solo fino all’anno successivo, facendone oggi un modello abbastanza raro, soprattutto in Europa.

La copertina del manuale d’istruzioni rivela che non ci si fermò alla citazione verbale ma tutta la grafica richiamava direttamente gli aerei a reazione e il concetto sotteso di grande rapidità; per questo sistema di avanzamento con propulsione a CO2 compresso fu addirittura coniata una denominazione ad hoc, Jet-O-Matic Drive, anch’essa nata per suggerire un ideale gemellaggio fra la nuova fotocamera Graflex e la tecnologia dei velivoli con motore a getto.
In realtà l’apparecchio presentava altre caratteristiche originali, innovative e interessanti, tuttavia la primizia dell’avanzamento a CO2 forse affascinò i responsabili della comunicazione Graflex ancor prima dei clienti stessi e quindi tale novità fu la chiave di volta dell’ advertising.
Le precedenti Ciro 35 e Graphic 35 erano di produzione autarchica mentre sembra che la versione Jet fosse prodotta in Giappone da Kowa; d’altro canto i modelli precedenti utilizzavano otturatori e obiettivi Made in Germany mentre questa versione utilizza un pregiato Graflex Optar 50mm 1:2 e un otturatore giapponese Copal.

L’apparecchio è compatto ma di aspetto massiccio e la serie di sagome squadrate inquartate nel profilo trasmettono quasi suggestioni da fotocamera sovietica; le forme spigolose non devono comunque trarre in inganno: come vedremo, quest’apparecchio è invece oggetto di un accurato studio ergonomico, per cui tutte le principali funzioni sono controllate dalle dita delle mani mentre impugnano saldamente l’apparecchio.


La grafica originale che accompagnava il prodotto sottolinea nuovamente l’intenzione di gemellare la fotocamera ai velivoli più avanzati, non solo con la denominazione “JET” ma addirittura aggiungendo la sagoma di un ipotetico jet da caccia dalle forme avveniristiche.


La propulsione necessaria per il riarmo e l’avanzamento automatici erano forniti dalle classiche bombolette di CO2, nate all’origine come propellente per i sifoni del seltz utilizzati sui banconi dei bar e oggi note soprattutto ai cicloamatori che le sfruttano per gonfiare rapidamente un copertone bucato dopo la sostituzione della camera d’aria; l’autonomia garantita da una singola bomboletta fu inizialmente sovrastimata dall’azienda, partendo prima di 200 esposizioni, passando poi a 6-8 caricatori da 20 pose (120 – 160 pose) per correggere definitivamente il tiro sul valore più prudenziale di 100 immagini; l’autonomia veniva pregiudicata scattando con temperature molto rigide che riducono la pressione del propellente e la macchina era opportunamente fornita di una leva di carica tradizionale che permetteva di completare un riarmo rimasto incompleto per esaurimento della propulsione e di proseguire manualmente fino al completamento del servizio.
La Graflex raccomandava di utilizzare solo le bombolette originali e di non sfruttare prodotti similari creati per altri impieghi che potrebbero introdurre umidità o residui nell’apparecchio; in caso di emergenza si suggeriva di utilizzare eventualmente le bombolette di CO2 puro normalmente impiegate per gasare le bevande.
Vediamo di definire le principali caratteristiche della Graflex Graphic 35 Jet sfruttando alcune pagine del manuale d’istruzioni originale fornito a corredo.


La fotocamera era ben concepita ed era ricca di soluzioni inedite e funzionali: l’obiettivo Graflex Optar 50mm 1:2 era luminoso, ben trattato contro i riflessi e garantiva prestazioni molto buone; l’ottica incorporava un otturatore centrale Copal SVK con tempi da 1” a 1/500” + B riportati in una ghiera sulla parte anteriore (n° 21); subito dietro era presente la ghiera dei diaframmi (n° 2), abbinata ad una serie di settori con codici-colore definita Spectramatic Color Scale (n° 3) e che funzionava come una sorta di accoppiamento manuale Guide Number per il flash (i settori colorati abbinati ai diaframmi erano accoppiati anche a distanze sulla scala di messa a fuoco).
La prima caratteristica insolita della Graflex Graphic 35 Jet è l’obiettivo fisso: la messa a fuoco infatti si finalizza con lo spostamento del piano focale (un po’ come avvenne in seguito nella famosa Contax AX) ed è messa in atto tramite due pulsanti a bilico posti ai lati dell’obiettivo (n°4, n°19) che cadono sotto il dito indice di entrambe le mani: premendo alternativamente questi pulsanti la messa a fuoco passa da un estremo all’altro della scala (compresa fra infinito e 0,9m), mentre un telemetro accoppiato a sovrapposizione d’immagine (n° 6) viene automaticamente attivato e consente di apprezzare la corretta messa a fuoco direttamente nel mirino; il fatto che i due pulsanti siano parte di un disco rotante monolitico fa si che le due dita siano antagoniste, facilitando una regolazione di precisione, e sullo stesso disco ad infulcraggio verticale è riportata anche la scala per le distanze di messa a fuoco, visibile in una finestra semicircolare nella parte anteriore (n° 18) dotata anche di indici di verifica della profondità di campo.
Nella parte superiore della calotta due ghiere metalliche circolari e simmetriche fungono da contafotogrammi (n° 8) e scala delle sensibilità del film (n° 12); accanto a quest’ultima è presente il galvanometro a coincidenza di indici dell’esposimetro al selenio (n° 13), la cui cellula (n° 14) è sul frontale, sopra la scala di messa a fuoco, e sul top troviamo anche una slitta per accessori, l’attacco filettato per lo scatto flessibile (n° 7) e la leva di avanzamento manuale d’emergenza (n° 9).
Nella Graphic 35 Jet non esiste il classico pulsante di scatto e l’apparecchio viene attivato dal dito medio della mano destra, agendo sulla lunga leva posta a fianco dell’obiettivo (n° 1), muovendo la quale l’apparecchio scatta e rilasciandola attiva il riarmo ad aria compressa; in questo modo è possibile mettere a fuoco, scattare e ricaricare la fotocamera tenendola sempre saldamente stretta fra le dita di entrambe le mani e con l’occhio al mirino.
Sempre sul frontale, sul lato sinistro, è presente la presa di sincronizzazione del flash (n° 22), un accessorio che questo modello consente di sfruttare estensivamente sia per la sincronizzazione completa dell’otturatore centrale su tutti i tempi fino ad 1/500” sia per il sistema di indicizzazione rapida GN tramite codici-colore.
Sul fondello dell’apparecchio troviamo l’attacco per il treppiedi (n° 25), il dispositivo di messa a frizione del riavvolgimento (n° 24), decisamente sovradimensionato, la valvola di sfiato del gas residuo (n° 23), il tappo a tenuta stagna per la bomboletta di CO2 (n° 31) e il manettino telescopico per il riavvolgimento del film (n° 32); infine, l’autoscatto e la selezione del tipo di sincronizzazione flash si impostavano direttamente sull’otturatore centrale (n° 26 e n° 29).
Complessivamente si tratta di una fotocamera completa, complessa e ben congegnata le cui funzioni soddisfano ogni esigenza e che fa rimpiangere solo l’impossibilità di sostituire l’obiettivo, una prerogativa che all’epoca era meno importante rispetto ad oggi dal momento che gli utenti erano abituati a “vedere” solo col normale, senza cercare deviazioni “artistiche” o creative con focali particolari come oggi è consueto.
Come anticipato, l’elemento qualificante dell’apparecchio è il sistema di avanzamento ad aria compressa, una caratteristica unica che naturalmente richiedeva precauzioni particolari e peculiari per questo modello; vediamo quindi le procedure richieste per rimuovere una bomboletta vuota e sostituirla.

Innanzitutto era necessario disporre di una moneta o utensile simile per movimentare le parti; per prima cosa si azionava la leva di carica manuale per accertarsi se l’ultimo ciclo di riarmo fosse stato completato e non rimasto a metà corsa per l’esaurimento della propulsione (in questo caso andava finalizzato manualmente); successivamente si agiva sulla valvola di sfiato del gas, ruotandola di 90° per fare uscire tutto il propellente residuo (ancora presente, anche se la sua pressione non era più sufficiente ad azionare la macchina); una volta depressurizzato il sistema, si svitava il tappo del pozzetto che contiene la bomboletta da sostituire, rimuovendolo ed eliminando il cilindretto di CO2 ormai vuoto; infine, occorreva accertarsi che il comando di messa a frizione del film fosse in posizione “A” (advance) e non “R” (rewind).
A questo punto le operazioni di rimozione della bomboletta vuota erano completate e si poteva procedere alla sostituzione.

Completato lo smontaggio del tappo metallico, si controllava lo stato della guarnizione o-ring che garantiva la tenuta in pressione e le condizioni del punzone interno che forava il diaframma della bomboletta; se tutto era nella norma, si chiudeva la valvola di sfiato, rimettendola con allineamento parallelo al fondello, si introduceva una nuova bomboletta nel pozzetto e si richiudeva verificando il corretto avanzamento del filetto finchè il punzone si appoggiava al diaframma; a questo punto occorreva completare velocemente il serraggio per minimizzare la dispersione di gas da tappo prima che l’o-ring andasse correttamente in appoggio.
Queste pagine suggerivano anche di sostituire in ogni caso la bomboletta quando si desideravano prestazioni ottimali durante una lunga sequenza di scatti consecutivi oppure dopo alcuni mesi di inattività, durante i quali evidentemente il gas in pressione fuoriusciva dalla fotocamera nonostante il relativo o-ring di tenuta.
Questo particolare sistema di avanzamento e riarmo fu progettato da Padelt e Hulrburt nel 1957 e consegnato per la registrazione del brevetto statunitense il 3 Maggio 1957; ho recentemente identificato il relativo documento e quindi possiamo analizzare i dettagli tecnici del sistema grazie agli schemi originali.

Il brevetto, richiesto a nome della Graflex Incorporated, fin dai primi claims fa esplicitamente riferimento ad un contenitore di gas compresso che aziona un pistone collegato al riarmo dell’otturatore e all’avanzamento del film.

Questo schema con vista dal posteriore dell’apparecchio mostra chiaramente la sede della bomboletta (n° 16) e il relativo tappo a tenuta ermetica con punzone per forare il diaframma; il tutto ha un aspetto vagamente inquietante perché è simile al silos lanciamissili di un sommergibile da guerra… Dopo lo scatto l’aria compressa spinge orizzontalmente un pistone che, tramite un settore a cremagliera lineare, agisce su un ingranaggio che fa ruotare gli alberi delegati all’avanzamento del film; questo complesso cinematismo – contestualmente – riarma anche l’otturatore centrale grazie al settore dentato n° 57 dell’albero n° 53 che agisce sull’ingranaggio n° 59.

Le figure n° 2 e n° 3 di questo schema, con vista dal basso, mostrano chiaramente il pistone movimentato dal CO2 compresso e il cui settore dentato n° 94, agendo sull’ingranaggio n° 99, innesca il riarmo dell’apparecchio; nelle due figure il pistone e il relativo settore a cremagliera sono visualizzati ai due estremi della corsa utile.
Sebbene, in definitiva, affiori l’impressione che si sia cercata una struttura inutilmente sofisticata quando un dispositivo “ad orologeria”, con bariletto e molla avrebbe fornito le stesse prestazioni in modo più semplice (e permettendo anche una funzionalità illimitata grazie alla carica manuale, anziché sostituire continuamente bombolette esauste), l’apparecchio è indubbiamente molto interessante anche per la totalità delle soluzioni applicate; il settore comunicazione della Graflex aveva quindi molto materiale a sua disposizione per i suoi teasers e gli advertising dell’epoca puntavano su due concetti.

Da un lato sottolineavano la possibilità di controllare tutte le funzioni dell’apparecchio senza mai deconcentrarsi dalla ripresa, gestendo tutto con l’occhio al mirino e la fotocamera saldamente stretta nelle due mani anche in caso di lunghe sequenze; questo advertising, pubblicato sulla rivista specializzata U.S. Camera nel Dicembre 1961, sottolinea che era possibile mantenere una cadenza di ripresa continua fino a 2 fotogrammi al secondo, un valore ottimo per quei tempi e per le caratteristiche particolari del sistema, tuttavia non specifica se la raffica in sequenza si poteva ottenere con una trazione continua sulla leva di scatto oppure se fosse necessario replicare il movimento col dito dopo ogni singola esposizione.

L’altro filone solleticava l’immaginario mettendo in risalto il concetto innovativo della “propulsione a jet”, quasi non si trattasse di una fotocamera ma di un caccia della U.S. Navy, il tutto sottolineato con un reboante “jet photography has arrived”!
Mettendo la Graflex Graphic 35 Jet in prospettiva storica, l’avanzamento a CO2 compresso, per quanto ingegnoso e suggestivo, sembra più una complicazione forzata, di sapore teutonico (non a caso Hubert Nerwin è stato a ruolo sul libro paga Graflex…) e subordinata alla perfetta funzionalità nel tempo di molti dettagli come la tenuta alla pressione di coperchio e pistone e la critica scorrevolezza meccanica di una catena cinematica così complessa e attuata bruscamente con coppie notevoli; dopo quasi 60 anni si apprezza quasi di più la freschezza innovativa dell’intero complesso e le numerose ed intelligenti soluzioni che permettevano un controllo totale dell’apparecchio anche scaricando un rullo da 36 pose a raffiche da 2 fps; peccato che la categoria di appartenenza e l’ottica fissa da 50mm (comunque ottima e luminosa) rendessero la 35 Jet poco appetibile per gli unici clienti realmente interessati ad un avanzamento motorizzato con simili prestazioni, cioè i fotografi sportivi e naturalisti, abituati a lavorare con ben altre lunghezze focali, sicuramente incompatibili con un sistema a telemetro.
Paradossalmente, quindi, l’avanzamento “Jet-O-Matic” che costituisce l’atout esclusivo della fotocamera, considerando onestamente il suo logico target di clienti, rappresenta in realtà una delle caratteristiche meno essenziali e desiderabili, sicuramente meno importante di esposimetro e telemetro accoppiati e visibili nel mirino con messa a fuoco rapida “a bilanciere” o del sistema di esposizione flash a codici-colore, funzioni che garantivano un’alta probabilità di successi anche ad un fotoamatore non molto esperto e che certo non aveva la necessità di raffiche veloci per le sue tranquille esigenze familiari.
Questo naturalmente non toglie che, nel 1961, questa innovazione facesse sensazione, richiamando giustamente l’attenzione sull’azienda produttrice e la genialità dei suoi tecnici e mettendo a disposizione un prodotto figlio della moderna tecnologia ormai capace di tutto e in grado di farci sognare ad occhi aperti, anche scattando semplicemente una fotografia; oggi la potremmo chiamare un’abile operazione di marketing che non ha prodotto grandi volumi di vendita ma ha puntato i riflettori del settore su Graflex Inc. e la sua gamma di prodotti, una situazione altrettanto proficua per il brand.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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