Fotocamere spaziali sovietiche – parte II – apparecchi SKD e KIEV-S
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; introduco un nuovo capitolo nella storia delle fotocamere sovietiche concepite e realizzate per le missioni spaziali, apparecchi interessanti ma anche sconosciuti in quanto realizzati in pochissimi esemplari e sempre circondati da un alone di mistero e riservatezza; in questa occasione descriverò un modello per pellicola perforata 70mm e realizzato alla fine degli anni ’60 dall’Arsenal Zavod di Kiev.
Un necessario preambolo: nella mia ultratrentennale esperienza a contatto con gli appassionati del settore, spesso ho verificato che la passione per fotocamere ed obiettivi va di pari passo con quella per gli orologi, al punto che molti amatori hanno curato in parallelo una collezione che comprende entrambe le tipologie; questo articolo risulterà particolarmente interessante per loro, dal momento che proprio un dettaglio di orologeria costituisce il piatto forte di questa fotocamera presentata nel 1968, inizialmente denominata SKD e in seguito Kiev-S; l’eccezionale documentazione iconografica che verrà allegata a questo pezzo è disponibile grazie al supporto del caro amico Dr. Milos Paul Mladek, celebre esperto e collezionista di materiale sovietico, che ringrazio di cuore per la collaborazione.
Questa fotocamera era destinata al programma di navette spaziali Soyuz e alla relativa versione priva di equipaggio umano, denominata Zond, sulla quale l’apparecchio veniva azionato automaticamente dai dispositivi di bordo.
Fra le varie foto realizzate con la prima versione SKD, è diventata famosa una sequenza prodotta l’11 Agosto 1969 dalla navetta Zond-7 che riproduce la Terra che si sposta sull’orizzonte lunare, scattata poco dopo il primo allunaggio ad opera della controparte statunitense; ecco due fotogrammi di tale serie.
Le fotocamere SKD / Kiev-S sono dunque apparecchi creati per ottenere immagini di grande qualità su pellicola di medio formato (fotogramma quadrato da 51x51mm su pellicola 70mm) e confermano l’attenzione rivolta dal programma spaziale sovietico a questo importante dettaglio che, curiosamente, fu invece abbastanza snobbato dalla NASA, prima imbarcando modelli molto semplici e non all’altezza del ruolo e poi demandando ad Hasselblad l’onere di progettare e produrre gli apparecchi necessari; la prima versione SKD fu completata dall’Arsenal Zavod nel 1968 (qui illustrato vediamo l’esemplare con matricola 680002) e in seguito, a partire dagli anni ’70, il modello fu perfezionato assumendo la denominazione Kiev-S ed introducendo una modifica nel dispositivo di scatto (nella foto vediamo l’esemplare con matricola 710004); considerando entrambe le versioni, di questa fotocamera sono stati prodotti solamente 32 pezzi, dei quali circa il 50% ha preso effettivamente parte a missioni spaziali: si tratta quindi di apparecchi molto rari e la leggenda vuole che un esemplare sia passato di mano per una cifra tale da consentire l’acquisto di un’automobile Mercedes compatta nuova fiammante.
La SKD e la Kiev-S qui illustrate sono equipaggiate con due diverse versioni del loro obiettivo grandangolare da 65mm: il modello più datato con un prototipo 1:5,6 mai entrato realmente in produzione e quello più recente con una versione definitiva MIR-3-S di apertura 1:3,5.
L’impostazione basilare di questa serie di fotocamere prevede un corpo macchina reflex monobiettivo con otturatore a tendina sul piano focale e comando manuale dell’esposizione con tempi da 1/2” ad 1/1.000” + B; lo scatto e l’avanzamento del film sono attivati elettricamente, sebbene tali operazioni siano attuabili direttamente dall’operatore; gli obiettivi sono dotati di specifico attacco a baionetta e anche i mirini e i dorsi porta-pellicola sono intercambiabili.
Per ogni modello di obiettivo era previsto un anello gommato da applicare anteriormente per proteggerlo dagli urti; l’apparecchio presenta una sagoma spigolosa, composta da una serie di parallelepipedi compenetrati con due ghiere simmetriche sul top, e si concentra sulla massima funzionalità senza concedere nulla alla mera estetica.
Per facilitare le operazioni i comandi sono molto semplificati; la ghiera a sinistra del top consente di impostare i tempi di otturazione (quelli a rischio mosso, fra 1/2” e 1/60”, sono indicati in giallo), mettendoli a riscontro con un indice rosso a forma di freccia dal sapore molto “Arsenal”, mentre sull’altro lato una seconda ghiera di forma analoga consente di adescare il film vergine ed eventualmente di avanzarlo dopo lo scatto; fra il mirino e la ghiera dei tempi è presente una piccola finestra rettangolare che copre un indice colorato mobile, giallo ad otturatore carico e rosso ad otturatore scarico.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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