Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la creazione degli obiettivi intercambiabili è stato un passaggio epocale nello sviluppo degli apparecchi fotografici e ha drasticamente migliorato la loro versatilità, mettendoli in condizione di affrontare situazioni radicalmente differenti con un semplice cambio di ottica; naturalmente, prima dell’avvento degli zoom, questo trasformismo era affidato alla sostituzione di obiettivi a focale fissa, una procedura che nella maggioranza delle situazioni rientrava nei tempi disponibili; esistono tuttavia particolari contesti nei quali l’imprevedibilità degli eventi richiede una maggiore prontezza operativa e il cambio dell’esemplare in uso può pregiudicare il risultato, specie se parliamo di modelli datati con attacco a vite, intrinsecamente più macchinoso.
Il primo settore a sviluppare una soluzione alternativa fu quello cinematografico, ambito nel quale i cambi di inquadratura e taglio d’immagine sono molto frequenti; la risposta all’esigenza di una rapida sostituzione dell’obiettivo in uso arrivò con le famose torrette girevoli in grado di accogliere un’intera gamma di ottiche con differenti focali e luminosità, una delle quali era sempre in posizione sull’asse ottico di ripresa e le altre restavano a disposizione dell’operatore, pronte ad entrare in gioco con una semplice rotazione; sicuramente i lettori avranno avuto occasione di ammirare cineprese appartenenti a tale categoria e prodotte da nomi come Bolex o Bell & Howell.
L’adozione di queste torrette girevoli nel settore cine fu propiziato anche dalle ridotte dimensioni dell’intero sistema, con obiettivi oggettivamente minuscoli, tuttavia il principio informatore risulta valido ad ogni buon conto e alcuni costruttori hanno cercato di applicarlo agli apparecchi fotografici; si tratta in verità di ben poche eccezioni che, proprio per la loro unicità, meritano un approfondimento.
Occorre innanzitutto premettere che l’idea, applicata alle cineprese, era già affermata negli anni ’30; ecco dunque un brevetto firmato nel 1934 da Ludwig Leitz in persona che descrive un sistema rotante ad obiettivi multipli; com’è comprensibile, il problema principale consiste nel fissare e posizionare l’obiettivo di ripresa con il corretto tiraggio richiesto dall’apparecchio e, simultaneamente, estrarlo dalla sede per svincolarlo e consentire la rotazione del supporto per chiamare in causa un altro obiettivo, un dettaglio naturalmente preso in considerazione da questo documento Leitz.
Passando ai modelli effettivamente prodotti, nel ristretto novero delle case che si cimentarono in sistemi rotanti ad obiettivi multipli destinati a fotocamere possiamo aggiungere orgogliosamente anche l’italianissima Rectaflex, uno degli apparecchi più interessanti del Dopoguerra.
Infatti, nel 1952, l’azienda presentò la Rectaflex Turrel, una massiccia torretta girevole applicata al corpo reflex sulla quale venivano adattati 3 obiettivi di origine Angenieux: il normale S1 da 50mm 1:2,8, il grandangolare R1 da 35mm 1:3,5 e il teleobiettivo Y2 da 135mm 1:3,5; come si può facilmente intuire da questa immagine pubblicitaria dell’Aprile 1954, il complesso risulta molto massiccio e le dimensioni del disco, l’ingombro degli obiettivi non in uso rispetto a quello da ripresa e il peso complessivo del sistema rendono problematico l’utilizzo a mano libera, al punto che la casa garantì la disponibilità di un’impugnatura anatomica con grilletto collegato meccanicamente al pulsante di scatto e relativo appoggio da spalla in legno che trasformavano la struttura in una sorta di foto-fucile, sicuramente più facile da brandire ed utilizzare; d’altro canto, una Rectaflex così bardata e con le ghiere del diaframma precedentemente settate sul corretto valore permetteva una reattività nelle situazioni impreviste eguagliabile solo da un’ottica a focale variabile.
Anche la resa ottica era soddisfacente, come confermato da prove sul campo eseguite da editorialisti di prestigiose riviste statunitensi del settore, e questo nonostante la Rectaflex Turrel risalga ad inizio anni ’50, quando il calcolo di obiettivi retrofocus fino a 50mm di focale risultava ancora agli albori; il merito di tali prestazioni era naturalmente di Angenieux, partner preferenziale di Rectaflex, che all’epoca aveva già sviluppato un completo programma di obiettivi ad alte prestazioni destinati ad apparecchi reflex; nel caso specifico, il grandangolare da 35mm 1:2,5 sfrutta lo storico schema Retrofocus Type 1, il primo retrofocale di questo tipo creato dalla casa, mentre il normale da 50mm 1:1,8 utilizza il rassicurante schema S1 con struttura Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi analoga a quella del Biotar 58mm 1:2; infine, il teleobiettivo da 135mm 1:3,5 si avvale dello schema tipo Y2, basato su un tripletto con sdoppiamento dell’elemento anteriore (una soluzione poi sfruttata anche da Leitz per il successivo Elmar 135mm 1:4).
Un altro esempio di torretta rotante per obiettivi intercambiabili applicata ad un sistema fotografico venne proposto da Leitz Wetzlar nel 1960, quando presentò il suo famoso accessorio OROLF.
Il dispositivo OROLF, prodotto in appena 250 pezzi, comprende un’impugnatura che sostiene una torretta girevole per 3 obiettivi ed un fondello applicabile ad apparecchi Leica a telemetro tipo M3 ed M2.
L’OROLF, senza obiettivi, pesa circa 750g e presenta un fondello compatibile con i corpi M dell’epoca e un sistema rotante con tre flange metalliche che accolgono attacchi filettati 39x1mm, pertanto le ottiche adattabili provengono dal corredo a vite, sebbene il dispositivo sia destinato a fotocamere tipo M; proprio per consentire l’applicazione delle varie ottiche presenti sulla torretta al corpo M3 o M2 sul quale è montata, i tre attacchi filettati 39×1 prevedo sul lato interno la relativa baionetta.
I tre obiettivi montati sulla torretta OROLF della foto sono il grandangolare Summaron 3,5cm 1:2,8, il normale Summicron 5cm 1:2 in montatura collassabile e il corto teleobiettivo Elmar 9cm 1:4, tutti ovviamente in attacco a vite e tutti modificati a posteriori per migliorarne la praticità d’uso sull’OROLF, prevedendo nel Summaron 3,5cm un lungo pivot aggiuntivo per agevolare la messa a fuoco, nel Summicron 5cm modifiche al blocco di infinito e nell’Elmar 9cm l’aggiunta di viti applicate alla ghiera di messa a fuoco e a quella del diaframma (quest’ultima modifica, anch’essa introdotta per rendere più facile l’azionamento delle ghiere, risulta in effetti piuttosto brutale e grossolana per la classe di questo materiale).
Questa vista della parte posteriore consente di apprezzare il meccanismo speciale di sblocco per il dorso rimovibile, il sistema di svincolo centrale che consente di ruotare la torretta e anche di allontanarla dal complesso (permettendo alla baionetta M di allinearsi a quella del corpo ed accoppiarsi), la citata baionetta M posta dietro gli obiettivi, la struttura fissa che protegge la parte posteriore degli obiettivi non utilizzati (con il logo del fabbricante e occhielli supplementari per la cinghia di trasporto), l’impugnatura e l’attacco filettato per il treppiedi.
Per quanto riguarda l’inquadratura, con il corpo M2 si sfruttavano le relative cornicette del mirino mentre con la M3, priva di frames grandangolari, impiegando il 35mm era necessario utilizzare un mirino esterno come il modello SBLOO oppure il multifocale VIOOH.
Il complesso risulta spettacolare ma anche in questo caso il peso, gli ingombri e l’assenza di ergonomia rendono poco praticabile un utilizzo sul campo, specialmente considerando il retaggio tipico del sistema Leica, solitamente scelto da chi desidera un corredo leggero, trasportabile e di rapido impiego, senza contare che l’acquisto dell’OROLF implicava anche il possesso della tripletta di obiettivi specifici, comportando un’esposizione economica non indifferente; tutte queste considerazioni furono probabilmente condivise anche dai Leicisti dell’epoca e infatti la produzione dell’OROLF rimase limitata a quei 250 pezzi, dettaglio che ne fa oggi un ambito pezzo da collezione per gli appassionati del marchio.
Considerando la ragionevole esigenza di un rapido cambio d’obiettivo relazionata alle difficoltà d’uso dell’OROLF, risultano quasi più pratici accessori come questo fondello speciale prodotto all’epoca da Benser e che prevedeva 2 baionette da corpo macchina M allineate, alle quali applicare 2 obiettivi supplementari Leitz; era quindi possibile avere sempre con sé a portata di mano la classica tripletta grandangolare/normale/tele, e tenendo l’apparecchio al collo con la relativa cinghia, risultava agevole smontare l’obiettivo in uso con una mano e sostituirlo con l’altra, sebbene nelle inquadrature verticali il peso a sbalzo delle 2 ottiche accessorie, specie se una era da 135mm di focale, poteva creare problemi; va anche aggiunto che la stessa Leica ha proposto in tempi recenti un accessorio che si fissa all’attacco per treppiedi del fondello e mette a disposizione una baionetta M, permettendo quindi di tenere fissati alla macchina simultaneamente 2 obiettivi, ad esempio un 35mm e un 90mm.
La torretta girevole OROLF di Leitz Wetzlar era stata in realtà anticipata da un analogo prodotto realizzato negli Stati Uniti e presentato oltre 10 anni prima.
Infatti, nel 1949, si rese disponibile una torretta per 3 obiettivi destinata agli apparecchi Leica a vite del tempo e prodotta da Haber & Fink; questo accessorio è noto in 2 esecuzioni, con lobi svasati o rettilinei, e sono noti esemplari equipaggiati sia con ottiche Leitz Wetzlar che con le versioni Wollensak predisposte da Leitz New York; nel primo caso gli obiettivi utilizzati sono da 3,5cm, 5cm e 9cm di focale e nel secondo troviamo invece modelli da 50mm, 90mm e 127mm, ovvero il classico standard statunitense da 5” molto in voga Oltreoceano; per comporre l’inquadratura, nel primo caso si sfruttava il mirino multifocale VIOOH e nel secondo la versione IMFIN/Imarect di Leitz New York, dotata di inquadratura per l’obiettivo da 127mm.
Se consideriamo il formato 35mm, questi sono gli unici esemplari di torretta per obiettivi fotografici prodotti in serie, per quanto limitata (una versione Pentacon che doveva in qualche modo riecheggiare nella fotografia 24×36 i fasti delle cineprese Pentaflex/Pentaka 16 non andò oltre lo stadio di prototipo); allargando l’indagine ai formati maggiori troviamo invece un autentico gioiello di ingegneria e design, anche stavolta italiano!
Nel Dopoguerra, a Roma era attiva l’azienda fondata da Cesare Tiranti e sita al civico 19 di via Mura Aureliane, proprio a ridosso di S. Pietro; a inizio anni ’50 Tiranti ideò un apparecchio di medio formato per fotoreporter davvero geniale che fu chiamato Summa Report 6×9.
La Tiranti Summa Report del 1954 era un apparecchio 6x9cm per pellicola in rullo basato su una pressofusione in lega leggera e prevedeva una torretta anteriore per quattro obiettivi disposti in croce e suddivisi in due coppie di ottiche con identica focale; la Summa Report era infatti una incredibile fotocamera biottica nella quale uno degli obiettivi (dotato di otturatore centrale Synchro-Compur con tempi da 1” ad 1/500”) serviva per la ripresa e l’altro, otticamente più semplice e privo di otturatore, consentiva la messa a fuoco grazie ad un vetro smerigliato posteriore, situato sopra il magazzino della pellicola e dotato di palpebra paraluce estraibile con lente di ingrandimento.
La Summa Report pesava 1,4kg, un valore accettabile considerando il formato, e nell’uso pratico la coppia di obiettivi orientati verticalmente costituiva quella in uso, con l’esemplare da ripresa ad ore 6 e quello utilizzato per messa a fuoco e inquadratura a ore 12; l’eccezionale versatilità nel reportage di questo apparecchio era garantita dalla compresenza di un grandangolare medio da circa 75° (corrispondente ad un 28mm sul 24×36) e di un obiettivo normale (analogo ad un 50mm nel piccolo formato), ottiche che era possibile avvicendare semplicemente ruotando di 90° la torretta anteriore; le versioni da ripresa venivano fornite da Schneider Kreuznach ed erano rispettivamente un Angulon 65mm 1:6,8 ed uno Xenar 105mm 1:4,5, mentre quelle destinate alla messa a fuoco erano dei Reflar di Officine Galileo da 65mm 1:3,5 e 105mm 1:4 (sebbene nell’esemplare illustrato gli obiettivi da 105mm siano entrambi degli Xenar 105mm 1:4,5); per l’uso a mano libera sul campo erano disponibili 2 impugnature laterali ricavate nella pressofusione del corpo, ed era previsto un corto cavo flessibile da applicare all’otturatore dell’obiettivo da ripresa che rimandava ad un pulsante di scatto posizionato sul retro, accanto all’impugnatura di sinistra, da azionare col pollice della mano, mentre per inquadrare velocemente dopo aver focheggiato sul vetro smerigliato la Summa Report includeva anche un mirino sportivo estraibile.
Pur dovendo annotare un certo ingombro longitudinale dovuto al tiraggio delle ottiche da 105mm, la Tiranti Summa Report costituisce a mio avviso la più ingegnosa applicazione del concetto di torretta rotante ad un apparecchio fotografico e concretizzava una fotocamera che da un lato assicurava una notevole qualità d’immagine, grazie al formato 6x9cm e alle ottiche di comprovato rendimento, dall’altra garantiva un’agilità ed una reattività mai viste prima in questa categoria di apparecchi, caratteristiche che la rendevano uno strumento ideale per il reporter, ed è un vero peccato che l’apparecchio non abbia arriso il successo che avrebbe sicuramente meritato.
Tirando le somme, la torretta rotante con ottiche multiple è sicuramente una soluzione intelligente che è stata sfruttata con profitto in campo cinematografico grazie alle dimensioni contenute dei relativi apparecchi ed obiettivi; nell’ambito della fotografia avrebbe garantito gli stessi vantaggi ma i progettisti dovettero scontrarsi con ordini di grandezza differenti che comportavano pesi e ingombri tali da vanificare il vantaggio teorico in termini di trasportabilità e rapidità operativa; questo è senz’altro vero per i modelli predisposti per apparecchi 35mm, mentre è giusto replicare l’apprezzamento per l’architettura proposta dalla Tiranti Summa Report, in grado di offrire una fotocamera 6x9cm bifocale con messa a fuoco su vetro smerigliato, il tutto racchiuso in ingombri convenzionali per la categoria; un’ulteriore evoluzione poteva essere una Report 2 con 4 obiettivi differenti, tutti da ripresa, utilizzando lo stesso esemplare prima per la messa a fuoco e poi, ruotandolo di 180°, anche per acquisire l’immagine, tuttavia questo avrebbe fatto lievitare molto il prezzo di listino e l’inevitabile accesso a focali più lunghe avrebbe anche comportato dimensioni e pesi inaccettabili, senza considerare la maggiore escursione per il tiraggio di fuoco da predisporre per i tele; sorvolando su questi distinguo, i sistemi fotografici con torretta ad obiettivo rotante sono comunque tutti affascinanti e costituiscono sicuramente dei pezzi pregiati per qualsiasi collezionista amante delle attrezzature classiche.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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