Curiosi e insoliti motori di avanzamento film.
Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; per certi settori della fotografia il motore di avanzamento del film, elettrico o meccanico con carica ad orologeria, ha costituito un drastico passo avanti ed ha consentito di raggiungere nuove frontiere in settori come la foto di documentazione e sorveglianza, la foto aerea e di mappatura o le riprese naturalistiche e sportive, permettendo di comandare l’apparecchio a distanza oppure di averlo sempre pronto allo scatto, magari coprendo incarichi nella foto di cronaca o in situazioni concitate.
Le prime applicazioni dell’avanzamento motorizzato si riscontrano negli apparecchi per fotografia aerea, per i quali venivano realizzate speciali bobine di pellicola di grande formato con relativo avanzamento automatico, mentre nei formati più piccoli furono Leica e Robot ad indicare la via: la prima con i suoi motori a molla, la speciale versione motorizzata della Leica 250 Reporter o certe applicazioni semi-artigianali della succursale Leitz New York, la seconda applicando alle sue piccole fotocamere un sistema di avanzamento e ricarica a molla, mentre nei medi formati la Hasselblad, con la sua 500EL degli anni ’60, fornì ai professionisti uno strumento di notevole versatilità, specialmente abbinandolo ai dorsi 70mm ad alta capacità ed eventualmente agli speciali obiettivi AA con controllo automatico del diaframma, disponibili da metà anni ‘70; ad imporre il motore nel settore professionale ci pensò la Nippon Kogaku, col celebre ed indistruttibile F36 della Nikon F (a sua volta derivato dal preesistente motore S36 dedicato alla Nikon SP) mentre il merito di aver creato il concetto di winder, cioè di motore con cadenza di scatto più ridotta ma molto compatto e facilmente trasportabile, va alla Tokyo Kogaku col suo winder per fotocamere Topcon che fece scuola.
Ormai da decenni qualsiasi apparecchio analogico o digitale prevede un sistema motorizzato che lo rende immediatamente pronto allo scatto successivo e questa caratteristica, un tempo sognata ed ambita da molti fotografi, fa ormai parte di uno scontato pacchetto di caratteristiche basilari.
Il motore di avanzamento opzionale è quindi un glorioso retaggio del passato, inevitabilmente superato dalle attuali tecnologie, sebbene alcune versioni con i relativi accessori e comandi a distanza fossero in effetti dei piccoli gioielli; nel mio breve contributo odierno voglio rendere omaggio a questo storico accessorio mostrando alcuni modelli insoliti e particolari.
Il primo modello sul quale richiamo la vostra attenzione è il Rolleimot destinato alla Rolleiflex biottica prodotta dalla Franke und Heidecke; si tratta di un pezzo raro, prodotto in tiratura molto limitata (personalmente ne ho avuto in mano un solo esemplare in tutta la vita), e facente parte di quella prima generazione di motori più concepiti per riprese statiche di sorveglianza con operatore assente e comando remoto che per una presa veloce a mano libera, in questo caso praticamente impossibile; si tratta di un motore destinato ad interfacciarsi a fotocamere non predisposte all’origine per tale accessorio, quindi provvede ad avanzare il film ruotando direttamente la corrispondente leva sul fianco destro della Rollei TLR, alla stregua di una vera e propria mano meccanica.
L’elemento interessante e poco noto che vorrei sottolineare, osservando questa immagine con stralci del catalogo Rollei 1969 destinato agli Stati Uniti, è che tale motore non fu destinato dal fabbricante unicamente alle Rolleiflex biottiche, come si intende comunemente, ma era fornito a corredo con una culla di accoppiamento supplementare che permetteva di applicarlo anche alla celebre Rollei SL66, l’innovativa reflex monobiettivo 6x6cm dotata di soffietto di messa a fuoco incorporato con relativo basculaggio sull’asse orizzontale per incrementare la profondità di campo nella ripresa ravvicinata, un apparecchio che al momento del lancio era all’avanguardia nel suo settore; molti utenti del sistema Hasselblad, a quei tempi, replicavano però che la 500EL consentiva l’avanzamento motorizzato e il comando remoto, utile in molti campi di impiego; in realtà, come visto, anche la SL66 poteva teoricamente lavorare in accoppiamento col motore, prendendo a prestito il Rolleimot della cugina biottica, e lavorare con comando remoto, sebbene le dimensioni e il peso complessivo rendevano impraticabile l’uso a mano libera, consentito invece dalle la rivale svedese.
In realtà non ho mai visto né sentito parlare di una SL66 col motore Rolleimot applicato, anche perché la documentazione dell’azienda – inspiegabilmente – non ha mai messo in giusta evidenza questa opzione.
Un altro motore davvero insolito che risale ai tempi eroici è sicuramente il modello creato dalla Pignons S.A. per la sua celebre fotocamera Alpa; anche in questo caso il corpo macchina non era predisposto per un trascinamento motorizzato e il motore diviene quindi una ingombrante e un po’ grottesca sovrastruttura che si fissa agli occhielli per la cinghia di trasporto ed incorpora un comando di scatto flessibile per lo scatto e un disco rotante dotato di pivot metallico che agisce direttamente sulla leva di carica convenzionale, riarmando l’otturatore ed avanzando il film; naturalmente, anche in questo caso, l’accessorio non fu realizzato in vista di un impiego a mano libera (alimentazione e comando di scatto sono separati dal corpo Alpa e gestiti tramite un cavo) bensì per situazioni statiche in cui fosse necessario comandare l’apparecchio a distanza e scattare immagini in sequenza senza la presenza di un operatore.
Il terzo motore insolito e curioso è quello applicato da Hasseblad negli anni ’90 ad una speciale versione della Super Wide destinata alla fotogrammetria e denominata MKWE, acronimo in lingua di camera metrica grandangolare motorizzata elettricamente; questo apparecchio, come si vede in foto, deriva concettualmente e tecnicamente dall’Hasselblad metrica MK70 che, in pratica, è una versione civile di quella utilizzata sulla Luna nelle missioni NASA; la sequenza cronologica è chiaramente sottolineata dalla generazione di obiettivi Zeiss applicati, un tipo C per il Biogon 60mm 1:5,6 della MK70 e un tipo CF (versione introdotta a partire dal 1982) per il Biogon 38mm 1:4,5 della MKWE.
Tuttavia, mentre la MK70 deriva da corpi macchina standard già motorizzati ab origine (la serie 500 EL), la MKWE è prodotta a partire dai modelli Super Wide che non hanno mai previsto l’opzione del motore; pertanto il corpo base è stato modificato applicando la soletta-motore del modello Hasselblad 553ELX, caratterizzata dall’adozione di comuni batterie a secco da 1,5v tipo AA con relativo pulsante per testare la loro tensione; d’altro canto anche la MK70 evidenzia una modifica rispetto alla 500EL/M di serie, con l’aggiunta di una cerniera di sicurezza allo sportello del vano batterie che, nel modello standard, è un pezzo separato.
Questi apparecchi erano a listino con cifre nell’ordine di 80 milioni di Lire quando un corpo 553ELX era prezzato 3.150.000 Lire!
Osservando in dettaglio il corpo MKWE senza dorso si può notare la posizione arretrata del corpo macchina rispetto al motore ereditato dalla 553ELX: infatti il Biogon 38mm prevede una distanza di appena 18mm fra il vertice dell’ultima lente e il piano focale, decisamente ridotta rispetto al tiraggio degli obiettivi Zeiss destinati ai corpi reflex; l’accoppiamento fra il motore e la presa di forza della leva di carica (qui ovviamente omessa) è coperto da un carter di colore nero e di aspetto non molto elegante, considerazione comunque ininfluente in un apparecchio destinato ad un impiego squisitamente professionale; nel dettaglio, si noti anche la calibratura metrica del Biogon 38mm, con relativa scala millimetrata aggiuntiva (la messa a fuoco si effettua usando tabelle che accoppiano distanze stimate a posizioni su questa scala) e anche la piastra reseau posizionata sul piano focale che ha richiesto anche la calibrazione dell’infinito rispetto ad un Biogon standard.
Queste tre versioni di motore del recente passato condividono tutte un adattamento specifico a corpi macchina per i quali non era previsto e testimoniano le soluzioni ingenue e ad un tempo ingegnose che furono ideate e adottate per rendere disponibile quello che – al tempo – era l’unica risposta possibile a particolari e complesse situazioni operative.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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