Carl Zeiss UV-Sonnar 105mm per fotografie all’ultravioletto.

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; come tutti sappiamo, l’intervallo della luce che ci garantisce la percezione visiva è solamente una piccola porzione di uno spettro elettromagnetico decisamente più ampio le cui frequenze, partendo dalle emissioni gamma ed arrivando alle onde radio a frequenza più lunga, vanno a coprire un intervallo incredibilmente esteso che spazia fra il decimilionesimo di millimetro e il chilometro di lunghezza d’onda; l’occhio umano è sensibile ad un spettro all’incirca compreso fra 430 e 700 nanometri (in parole povere, i classici colori dell’arcobaleno), sul quale sono ottimizzate e calibrate le caratteristiche degli obiettivi fotografici, delle emulsioni argentiche e dei sensori, tuttavia ci sono settori della fotografia che si avvantaggiano dalle riprese effettuate sfruttando le bande dello spettro immediatamente contigue a quello visibile, ovvero l’ultravioletto e l’infrarosso, lavorando nel primo caso con lunghezze d’onda comprese fra circa 215 e 400nm e nel secondo caso fra circa 700 e 1000nm.

Realizzare fotografie ad infrarosso è sempre stata una tecnica ben nota anche ai normali fotoamatori e non comportava particolari stravolgimenti tecnici, salvo la necessità di utilizzare in filtro rosso scuro per escludere dallo spettro utilizzato gli ultravioletti e la porzione visibile, correggere la messa a fuoco per le mutate esigenze (le lenti dell’obiettivo focheggiano l’infrarosso con valore rifrattivo inferiore, focalizzandolo oltre il piano di fuoco convenzionale) ed utilizzare emulsioni o sensori che siano sensibili a queste frequenze così corte dello spettro; in sostanza, bastava calma ed attenzione e chiunque poteva realizzare fotografie IR, quantomeno rimanendo nell’ambito delle frequenze prossime allo spettro visibile (la banda dell’infrarosso è molto ampia, tipicamente anche fino a 2500nm).

Passando invece alla fotografia ad ultravioletti, la questione si complicava decisamente: se da un lato le normali emulsioni fotografiche bianconero erano di norma sensibili a questa sezione dello spettro, permettendo di lavorare con i materiali consueti e senza procurarsi le speciali pellicole richieste dalla fotografia IR, un problema insormontabile nasceva con gli obiettivi: infatti i normali vetri ottici non sono in grado di trasmettere le frequenze dello spettro UV se non nella primissima porzione ad onda più lunga, diventando poi completamente opachi quando le frequenze scendono, pertanto non è possibile sfruttare un normale obiettivo fotografico con lenti in vetro per fotografare in ultravioletto ad onda corta e si è reso necessario concepire e realizzare obiettivi speciali appositamente destinati a questo compito; trattandosi di un settore di nicchia e considerando le implicazioni tecniche richieste dal progetto, le ottiche UV realmente prodotte in serie si contano sulle dita delle mani e una delle più famose, nonchè protagonista di questo articolo, è il Carl Zeiss UV-Sonnar 105mm 1:4,3.

 

 

Chiunque abbia preso in considerazione i parco obiettivi Carl Zeiss serie C ad otturatore centrale destinato alle classiche fotocamere Hasselblad della serie 500, introdotto a partire dal 1957, sarà sicuramente rimasto incuriosito da un particolare obiettivo che risultava anomalo in tutto: denominazione, lunghezza focale e apertura; il suo rango di ottica particolare veniva sottolineato anche dal caratteristico barilotto, sempre e solo disponibile in finitura nera con baionetta anteriore B50 cromata a contrasto, anche in tempi in cui gli obiettivi Hasselblad C erano completamente satinati cromo, i famosi “Zeiss bianchi”; quest’obiettivo è naturalmente l’UV-Sonnar 105mm 1:4,3, un modello che fu presentato nel 1968 per venire incontro alle esigenze di molti tecnici e specialisti ma, soprattutto, per assecondare le richieste della NASA, l’Ente Spaziale americano, molto interessato a realizzare fotografie ad ultravioletto nell’ambito delle sue missioni spaziali (infatti la stessa richiesta, per il formato 35mm, verrà estesa anche a Nikon, che produrrà solo per NASA l’UV-Nikkor 55mm 1:2).

Cerchiamo ora di definire qualche presupposto teorico e capire perché questo tipo di fotografia richieda l’allestimento di obiettivi così speciali.

 

 

Se osserviamo lo spettro luminoso visibile e le sue porzioni contigue, possiamo verificare che con lunghezze d’onda superiori a 700nm entriamo nel campo dell’infrarosso mentre il settore compreso fra circa 200 e 430nm corrisponde all’ultravioletto; su questo schema ho riportato la lunghezza d’onda minima necessaria ai principali vetri ottici (considerando uno spessore di 10mm) per garantire una trasmissione residua T pari ad almeno il 90%; come potete notare, questo limite è solitamente raggiunto a frequenze comprese fra 360 e 415nm, sotto i quali la trasmissione luminosa decresce drasticamente fino a zero, pertanto risulta impossibile realizzare un obiettivo fotografico destinato alla ripresa UV ad onda corta, teoricamente fino quasi a 200nm, utilizzando il comune vetro ottico; esistono esempi, come il Carl Zeiss Jena UV-Objektiv 60mm 1:4 o il prototipo Nikon UV-Nikkor 55m 1:4 del 1964, che sono stati realizzati utilizzando vetro, tuttavia il loro schema è limitato ad un semplice tripletto, per ridurre al minimo il numero di elementi, scegliendo contestualmente vetri con la trasmissione UV favorevole, e in ogni caso il loro impiego è limitato ad un range ben superiore a 300nm e non sono in grado di cimentarsi con gli ultravioletti ad onda corta.

Nello schema ho inserito anche i valori dei due vetri ottici estremi, ovvero quelli che arrivano ad una trasmissione inferiore al 90% con la frequenza più lunga e più corta; anticipando ragionamenti che chiameremo in causa subito dopo, il vetro ottico che presenta la migliore trasparenza agli ultravioletti è il tipo FK5, un Crown composto prevalentemente fluoruri e metafosfati caratterizzato da bassa rifrazione e bassa dispersione, in grado di garantire ancora il 90% di trasmissione ad una lunghezza d’onda di appena 305nm; viceversa, il vetro più opaco a questa banda è il tipo SF67, un Dense Crown ad altissima rifrazione ed alta dispersione, che scende al 90% di trasmissione addirittura a 500nm, abbondantemente all’interno della luce visibile, probabilmente per un leggero blend giallo generato dai suoi componenti che funziona come un filtro taglia-banda per le frequenze più corte dello spettro: chiaramente un obiettivo realizzato con un simile vetro non ha alcuna possibilità di fotografare in luce selettiva ultravioletta e non ha nemmeno necessità di un filtro UV accessorio, dal momento che questo materiale svolge automaticamente le stesse funzioni.

 

 

Queste schede originali della vetreria Schott di Mainz riportano una tabella con la trasmissione luminosa effettiva di questi due vetri a lunghezze d’onda comprese fra 2500nm (infrarosso ad onda lunga) e 250nm (ultravioletto ad onda corta), riferita a sbozzi con 10mm e 25mm di spessore; l’attitudine dei fluoruri che compongono il vetro FK5 a trasmettere gli ultravioletti è confermata da questo documento, dal momento che il 40% di trasmissione (con sbozzo da 10mm di spessore) è ancora possibile a 280nm, quindi già in ultravioletto a banda corta, e il taglio di frequenza avviene praticamente a 270nm; viceversa, il Dense Flint SF67 è già praticamente opaco a 380-390nm, frequenze alle quali il tipo FK5 ai fluoruri consente ancora virtualmente il 100% della trasmissione.

 

 

Escludendo quindi il vetro, i progettisti sanno da molto tempo che il quarzo (biossido di silicio), famoso minerale noto per i suoi cristalli prismatici esagonali, garantisce la trasmissione della luce fino alle frequenze più corte dell’ultravioletto e, grazie alla sua trasparenza, è idoneo alla produzione di lenti, qualora il materiale di partenza non presenti ghiacciature, inclusioni, striature, birifrangenze o altre caratteristiche cristalline; naturalmente, per progettare un obiettivo di alta qualità e garantire un’adeguata correzione cromatica e il controllo di altre aberrazioni, non è possibile realizzarne lo schema ottico utilizzando un solo materiale e contando su un singolo valore rifrattivo e dispersivo (cosa eventualmente possibile progettandolo per una stretta banda monocromatica ma è tuttavia richiesto un elevato numero di lenti); era quindi necessario un secondo materiale, altrettanto trasparente agli ultravioletti ma con caratteristiche rifrattive e soprattutto dispersive decisamente differenti, cosa non facile considerando che il quarzo presenta già una dispersione molto ridotta (numero di Abbe prossimo a 68).

 

 

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L’UV-Sonnar 105mm 1:4,3 per Hasselblad risulta quindi un obiettivo estremamente interessante per le molteplici implicazioni sottese alla ripresa in banda ultravioletta, procedura che permette analisi e riscontri davvero inconsueti; si tratta di un modello molto raro e costoso ma sicuramente avrà fornito un eccellente servizio professionale agli specialisti tanto fortunati da possederlo ed utilizzarlo nella routine quotidiana, magari contribuendo alla diagnosi precoce che salva una vita o a sgominare una gang criminale di falsari; naturalmente la progettazione su richiesta della NASA e la sua militanza sulle navicelle spaziali ne aumenta ulteriormente la mistica, facendone un pezzo storicamente molto significativo, sebbene la sua presenza sul mercato sia stata trascurabile; assieme al Sonnar 250mm 1:5,6 Superachromat, sempre per Hasselblad e perfettamente corretto da 400nm a 1000nm, l’UV-Sonnar è stato il contributo Zeiss alle riprese fotografiche e scientifiche multispettrali, portando anche in questo settore la consueta precisione, qualità ed efficienza per le quali è giustamente famosa.

 

Un abbraccio a tutti – Marco chiude.

 

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