Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il classico tele tuttofare da 135mm sul 24×36 è stato uno degli obiettivi più diffusi fra i fotografi che si cimentavano col piccolo formato e ogni azienda ha provveduto a disegnare e commercializzare vari modelli in tale settore; l’utilizzo di questa focale fu inaugurata da Leitz quando mise a disposizione degli utenti Leica il modello Elmar 1:4,5 e venne subito bissata dalla Zeiss Ikon Dresden quando equipaggiò la sua fotocamera a telemetro Contax con il celebre Sonnar 135mm 1:4.
Il Sonnar 135mm 1:4 incontro un notevole gradimento in virtù dell’eccellente resa ottica e della grande compattezza garantite dal nuovo e geniale schema ottico di Ludwig Jackob Bertele, e per vari decenni ha rappresentato il teleobiettivo di maggiore successo della gamma, prodotto sia dalla Carl Zeiss Jena nel periodo prebellico che dalla VEB Carl Zeiss Jena DDR e Carl Zeiss Oberkochen negli anni successivi al conflitto; concentrandosi cui modelli di Jena, nel Dopoguerra per una quindicina di anni gli utenti ebbero la possibilità di scegliere fra due differenti declinazioni del classico 135mm 1:4: il famoso ed apprezzato Sonnar a 4 lenti oppure il più economico Triotar a 3 lenti; cerchiamo di analizzare le differenze fra i due modelli e le ragioni per la loro scelta.
Il Carl Zeiss Jena Triotar si basa sul classico tripletto di Cooke proposto dalla Taylor, Taylor e Hobson, uno schema molto semplice con 3 lenti spaziati ad aria e caratterizzato da un elemento centrale divergente; nonostante l’architettura elementare ed economica, questa formula, se ben congegnata, consente di ottenere risultati di buona qualità, specie garantendo tolleranze di lavorazione e montaggio ridotte, vista la sua nota sensibilità a tali variabili.
La versione Carl Zeiss Jena fu calcolata da Robert Richter a fine anni ’20 e la relativa richiesta di brevetto tedesco fu depositata il 27 Maggio 1930; da questo schema di base furono poi ricavati vari modelli di Triotar per uso fotografico e cinematografico, con focali da 10mm a 210mm ed aperture da 1:2 ad 1:6,3; in realtà gli esemplari più noti e diffusi sono teleobiettivi fotografici per reflex 24x36mm con focali da 85mm e 135mm ed apertura 1:4.
Il Carl Zeiss Jena Sonnar 135mm 1:4 nacque invece da uno schema di Bertele derivato dai suoi progetti Goerz Ernostar anni ’20 nei quali aveva soppresso l’ultima lente, riducendo così i passaggi ad aria da 8 a 6, a tutto vantaggio del contrasto; il disegno definitivo per la prima versione del Sonnar, commercializzata con la Contax, risale all’autunno 1931, tuttavia l’abbozzo dell’idea è già presente nel primo embodiment di questo brevetto, depositato in Germania il 24 Agosto 1929, nel quale la caratteristica struttura a 3 elementi con un doppietto collato centrale di grande spessore è già evidente; possiamo quindi dire che, in casa Zeiss, i primi calcoli per il Sonnar e il Triotar sono praticamente coevi.
Queste immagini del brevetto non sono ricavate da un database generico ma costituiscono la riproduzione dello storico documento originale posseduto da Ludwig Bertele in persona, disponibile grazie alla gentilezza del figlio Erhard.
Il primo calcolo ottico Carl Zeiss Jena per un Triotar da 135mm ed apertura 1:4 risale al Gennaio 1938, con una versione che venne utilizzata in una piccola tiratura di obiettivi per Exakta; forse il rendimento non apparve convincente perché già un anno dopo, nel Gennaio 1939, fu presentato un modello ricalcolato, il cui schema verrà poi utilizzato ininterrottamente anche nel periodo postbellico, fino al termine della produzione; i primi esemplari postbellici risulterebbero addirittura realizzati nel Luglio 1945, forse finendo di assemblare componenti prebellici già pronti e sopravvissuti alle vicissitudini del conflitto, poi la produzione entrò a regime e il Triotar 135mm 1:4 fu realizzato in montatura M42x1, Exakta, Praktina e anche per la cinepresa 16mm AK-16 – Pentaka; l’ultimo lotto di produzione consistente risale al 1960.
Il primo disegno per il Carl Zeiss Jena Sonnar 135mm 1:4 risale invece all’Ottobre 1931 e l’ultimo ricalcolo di Bertele sfruttato nella produzione di serie è del Gennaio 1937; questo schema verrà utilizzato anche nel Dopoguerra dalla VEB Carl Zeiss Jena e i primi esemplari realizzati dopo il conflitto risalgono al Maggio 1946; questo lotto di obiettivi prevedeva un attacco a vite LTM con camma telemetrica ed era destinato a fotocamere sovietiche FED come risarcimento per danni di guerra richiesto dallo SMAD, ovvero l’Amministrazione Militare Sovietica in Germania.
Il Sonnar 135mm 1:4 realizzato in DDR dopo il conflitto era prodotto in attacco Contax (solo fino al 1950), M42x1, Exakta e Praktina; il Sonnar 135mm 1:4 con lo schema prebellico del 1937 fu costruito fino al Giugno 1969, tuttavia nel Marzo del 1965 il suo schema ottico fu rivisto e migliorato (pur mantenendo la stessa focale ed apertura, 135mm 1:4) e il primo esemplare con il nuovo schema made in DDR corrisponde alla matricola 8.122.501 (Gennaio 1967).
Nel frattempo, Febbraio 1964, alla VEB Carl Zeiss Jena avevano disegnato anche un Sonnar 135mm più luminoso, con apertura 1:3,5, che nel Luglio 1965 andò ad affiancare in produzione il modello meno luminoso 1:4, restando poi disponibile a lungo dopo l’uscita dai listini di quest’ultimo.
Pertanto questo è il complicato quadro relativo al Sonnar DDR postbellico per reflex: fino al Luglio 1965 esisteva solo il 135mm 1:4 con schema vecchio; dal Luglio 1965 al Gennaio 1967 furono disponibili il 135mm 1:4 con schema vecchio e il 135mm 1:3,5; dal Gennaio 1967 al Giugno 1969 furono a catalogo il 135mm 1:4 con schema nuovo e il 135mm 1:3,5; dal Giugno 1969 in poi solamente il 135mm 1:3,5, poi sopravvissuto in M42 fino agli anni ’80.
Il Sonnar 135mm 1:4 costituì quindi l’ossatura dei teleobiettivi Zeiss col comune denominatore rappresentato dall’inconfondibile schema ottico, peraltro ampiamente copiato da molti concorrenti; questa immagine illustra alcuni delle sue numerose incarnazioni: un modello arcaico per Contax a telemetro (atipico perché con matricola appartenente ai primi lotti del 1932 ma con finitura cromata anziché nera), due versioni Carl Zeiss Oberkochen per Contarex (in finitura nera prodotta nel 1969 e satinata cromo del 1961) e un modello VEB Carl Zeiss Jena marcato Aus Jena S (espediente per contrastare le disposizioni legali sull’utilizzo dei marchi Zeiss) e prodotto nel 1968.
Come si può intuire dalle foto, lo schema Sonnar consente di ridurre efficacemente l’ingombro longitudinale, permettendo la realizzazione di obiettivi molto compatti.
Viceversa il Triotar, come si può intuire osservando questa insolita versione per cinepresa 16mm Pentaka, in sostanza è un tripletto di focale “normale” destinato ad un formato molto maggiore e poi rimontato per sfruttare solamente il 24x36mm, scelta che ha imposto di convivere con l’ampio spazio retrofocale richiesto da un tripletto di questa lunghezza e di prevedere un barilotto decisamente allungato; Zeiss ha quindi replicato le soluzioni già introdotte da Leitz quando realizzò i 135mm 1:4,5 Elmar ed Hektor, in realtà ottiche normali per lastre 9x12cm delle quali si sfruttava solamente un piccolo frame centrale.
In questo esemplare si può notare anche il consueto utilizzo di alluminio non molto pregiato che caratterizza le ottiche DDR; pare infatti che l’Unione Sovietica intercettasse tutta l’estrazione di rame dalle miniere dei paesi satelliti per proprie esigenze non meglio precisate, rendendo quindi impossibile la produzione di ottone, una lega che sarebbe stata molto più idonea a garantire una finitura superficiale durevole (magari applicando una cromatura ad alto spessore) e soprattutto la resistenza degli elicoidi di messa a fuoco, soggetti a fatale deterioramento nelle versioni in alluminio.
Questa istantanea d’epoca risalente al 1954 fotografa questa situazione di ristrettezze, con la linea di lavorazione delle ottiche Zeiss Jena (notate i Triotar 135mm 1:4 sullo fondo) che appare più simile ad un’officina meccanica generica, senza particolari precauzioni per contenere la polvere o garantire la sicurezza dei dipendenti.
Dalla ripresa postbellica e fino al 1960 circa i fotografi d’oltre Cortina potevano quindi scegliere fra Triotar o Sonnar; dando per scontato il vantaggio del primo tipo per via del prezzo più abbordabile, cerchiamo di comprendere in cosa si differenziasse la loro resa ottica caratteristica, valutando quale fosse preferibile nell’utilizzo reale e perché.
Questo elemento di uno storico palazzo signorile è stato fotografato utilizzando i 135mm 1:4 Triotar e Sonnar VEB Carl Zeiss Jena, eseguendo gli scatti a tutta apertura 1:4 e con diaframma chiuso ad 1:8, utilizzando una moderna mirrorless full-frame Sony e mettendo a fuoco di precisione in live-view.
Sull’asse del fotogramma ad 1:4 la leggibilità del dettaglio è a netto favore del Sonnar; allontanandoci dal centro le differenze si attenuano ma il Sonnar rimane più definito.
Chiudendo il diaframma ad 1:8 il Sonnar replica il suo comportamento caratteristico e non migliora percettibilmente rispetto alla massima apertura, mentre il Triotar perfeziona il suo rendimento e la capacità di delineazione si avvicina a quella del Sonnar, sebbene l’immagine rimanga leggermente più fuzzy.
Nel fregio architettonico fuori asse si percepisce anche come il Sonnar soffra di una certa aberrazione cromatica mentre nel Triotar non sono avvertibili frangiature.
Osservando la distribuzione luminosa a tutta apertura, il Triotar evidenzia una percettibile vignettatura meccanica che vanifica il vantaggio di sfruttare un sistema ottico con copertura molto superiore al necessario e con proiezione sul 24×36 molto telecentrica, mentre il Sonnar, famoso per l’illuminazione uniforme del campo, si comporta meglio.
Osservando un dettaglio ingrandito, si nota anche come il Triotar soffra per un flare da interriflessioni più evidente, dovuto sia al primitivo trattamento antiriflessi (l’esemplare è del 1956 ma prevede ancora un’azzurratura molto elementare) che all’ampio cannotto vuoto dietro l’ultima lente che contribuisce ad incrementare le riflessioni interne, mentre il Sonnar è trattato meglio e posiziona l’ultima lente ad una distanza minore dalla montatura; infatti, anche chiudendo ad 1:8, il dettaglio realizzato col Triotar migliora drasticamente la sua definizione rispetto alla massima apertura 1:4, tuttavia il contrasto e la profondità dei neri nel Sonnar rimangono superiori.
Questa propensione del Triotar al flare si nota anche in questa immagine con i relativi dettagli ingranditi; lo scatto è stato eseguito ad 1:8 restando all’ombra ma con elementi molto luminosi e riflettenti fuori campo e, nonostante il Triotar fosse equipaggiato con un paraluce e comunque la luce solare fosse ben lungi dall’arrivare direttamente sulle lenti anteriori, il calo di contrasto rispetto al Sonnar 135mm 1:4 è evidente.
Pertanto, in senso generale ed utilizzando gli obiettivi con soggetti bidimensionali a grande distanza, il Sonnar sembra garantire un netto vantaggio, soprattutto lavorando a tutta apertura, condizione in cui produce già immagini nitide e brillanti mentre il Triotar richiede una buona diaframmazione, eventualmente anche ad 1:11.
Ci sono però anche sfumature di comportamento differenti che spostano l’asse del giudizio: ad esempio, nel ritratto ravvicinato di soggetto umano, il Triotar riproduce l’incarnato con una levigatezza e luminosità più gradevoli rispetto al tagliente Sonnar e inoltre produce uno stacco con lo sfondo più evidente e plastico, mentre lo sfuocato del Sonnar è più raccordato col piano di massima nitidezza; il più economico modello a 3 lenti può quindi rientrare in gioco in questo tipo di utilizzo e in ogni caso, diaframmandolo con decisione e provvedendo ad un paraluce di adeguate dimensioni, il suo rendimento può considerarsi buono anche nell’uso convenzionale, utilizzandolo per stampe di dimensioni normali e non certo per un pixel-peeping puramente astratto come quello utilizzato giocoforza in questa occasione.
Il Triotar è anche un obiettivo leggero, grazie al ridotto numero di lenti e alla montatura in lega leggera, purtroppo il suo ingombro vincolato allo schema ottico è un po’ eccessivo e crea qualche imbarazzo per trovargli posto in una borsa compatta, mentre col Sonnar non ci sono problemi.
In sintesi, appare evidente come il più modesto Triotar sia stato mantenuto in alternativa al solido Sonnar soprattutto per garantire un’opzione entry-level dal listino molto abbordabile, tuttavia la sua delicatezza e stacco a tutta apertura ne possono fare uno strumento interessante nel ritratto, situazione in cui l’incisività e il contrasto del Sonnar risultano d’impaccio.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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