Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la progressiva evoluzione del mercato fotografico postbellico da apparecchi con mirino galileiano a modelli reflex ha imposto una rivoluzione nella progettazione degli obiettivi grandangolari; infatti il classico schema praticamente simmetrico utilizzato fin dagli albori della fotografia posizionava il nocciolo ottico delle corte focali in posizione molto ravvicinata rispetto al piano pellicola, lasciando una distanza utile insufficiente al movimento dello specchio; a partire dal 1950 circa si assistette dunque ad un fiorire di nuovi progetti basati sullo schema denominato retrofocus (sfruttando in senso lato un brand name creato da Angènieux), solitamente realizzati aggiungendo elementi divergenti nella parte anteriore che garantivano in necessario aumento dello spazio retrofocale; ovviamente anche l’azienda Carl Zeiss, dovendo soddisfare le esigenze del sistema Hasselblad e dell’ineunda Contarex, dovette adeguarsi a questa tendenza, creando una nuova generazione di obiettivi grandangolari retrofocus battezzata Distagon, nome dall’etimologia latina e greca che richiama sia l’ampio angolo di campo che la notevole distanza fra il sistema ottico e il piano focale (mentre la controparte VEB Carl Zeiss Jena creò la corrispondente denominazione Flektogon).
Il primo Distagon, ancora molto semplice e ingenuo come architettura, fu il 60mm 1:5,6 per Hasselblad F calcolato da Guenther Lange ad inizio anni ’50, poi la responsabilità della progettazione passò ad Erhard Glatzel, geniale personaggio che fu un pioniere nello sfruttamento dei computer abbinati al calcolo ottico e nello sviluppo di specifici software ed algoritmi ad esso destinati; dalla fine degli anni ’50 ai primi anni ’70 Glatzel calcolò tutti i Distagon per il 35mm e medio formato commercializzati da Carl Zeiss, e uno dei modelli più longevi e leggendari fu il celebre Distagon 25mm 1:2,8, il protagonista di questo racconto.
Il Distagon 25mm 1:2,8 era un obiettivo retrofocus che consentiva la visione reflex tramite lo specchio pur garantendo una copertura diagonale di 80° (teoricamente 82° ma la focale effettiva era circa 25,9mm, quindi il primo valore è più realistico); questo modello venne aggiunto al sistema Zeiss Ikon Contarex nel 1963 e andò a sostituire il glorioso Biogon 21mm 1:4,5, uno dei supergrandangolari più apprezzati e performanti della storia; il Biogon 21mm 1:4,5, sviluppato da Bertele fra fine anni ’40 e inizio anni ’50 derivandolo da un suo progetto per aerofotogrammetria, aveva esordito nel 1954 nel corredo delle Zeiss Ikon Contax IIa e IIIa, venendo immediatamente apprezzato per il grande angolo di campo e gli eccellenti valori di nitidezza e contrasto che garantiva fino ai bordi con distorsione inesistente, e fu quindi riproposto nel 1959 anche per il nuovo sistema reflex professionale Zeiss Ikon Contarex, per il quale richiese tuttavia la realizzazione di una speciale montatura estremamente rientrante che imponeva di montarlo sulla Contarex I previo sollevamento dello specchio reflex ed utilizzando quindi lo stesso mirino esterno utilizzato con la Contax, come in foto.
Nonostante le straordinarie qualità ottiche del Biogon 21mm 1:4,5, gli utenti ormai avvezzi alla comodità della visione reflex, che consentiva di inquadrare con estrema precisione e verificare l’esatta verticalità delle linee, non digerivano questo ritorno al passato, pertanto la Zeiss fin da subito mise in cantiere lo sviluppo di equivalenti supergrandangolari retrofocus, modelli che si concretizzarono grazie alla perizia di Glatzel; dopo 4 anni e 4.000 Biogon 21mm prodotti la casa fu finalmente in grado di ritirare dalla produzione questo modello e sostituirlo con una versione retrofocus che consentiva visione e messa a fuoco reflex: era nato il Distagon 25mm 1:2,8, un obiettivo che vivrà una lunga e brillante carriera passando in vari sistemi e che diventerà uno dei grandangolari preferiti dagli appassionati di fede Zeiss, anche perché l’azienda lasciò trascorrere molti anni prima di produrre un classico wide da 28mm e questo Distagon, con la sua focale da 25mm (ovvero 1” giusto, coincidenza che sicuramente piaceva alla clientela U.S.A.), in pratica era l’unico grandangolare di un certo respiro fra il timido Distagon 35mm da appena 64° e in successivo Distagon 18mm, fin troppo spinto e difficile da gestire per le esigenze normali; possiamo quindi dire che per un decennio il Distagon 25mm 1:2,8 fu il grandangolare per eccellenza di Carl Zeiss.
Il Distagon 25mm 1:2,8 fu uno dei primi grandangolari da oltre 80° presentati sul mercato, dopo l’apripista Angenieux 24mm 1:3,5; cerchiamo di comprendere le linee guida che hanno scandito la sua progettazione sfruttando documenti originali del progettista che Glatzel utilizzava nei suoi celebri simposi internazionali sull’ottica fotografica e ai quali ho avuto accesso grazie ad una fortunata triangolazione fra la sua vedova Elgin e il compianto Larry Gubas di Zeiss Historica.
In questo documento vediamo, dall’alto, gli schemi ottici del Distagon 35mm 1:2,8 (versione per Rolleiflex SL35), del Distagon 25mm 1:2,8 e del Distagon 18mm 1:4; la grafica mostra come Glatzel, partendo da una matrice comune, abbia progressivamente ridotto la focale e incrementato l’angolo di campo, mantenendo costante lo spazio retrofocale, grazie allo sviluppo dell’elemento divergente anteriore.
Questa scheda specifica più chiaramente: nello schema in alto, relativo al Distagon 35mm 1:2,8 da circa 65°, per garantire lo spazio retrofocale necessario all’apparecchio reflex è sufficiente un singolo elemento divergente anteriore; nell’esempio centrale, proprio relativo al Distagon 25mm 1:2,8 da circa 80°, la riduzione della focale a parità di spazio utile per lo specchio ha imposto di aumentare l’effetto divergente dell’elemento anteriore, tuttavia concentrarlo su un singolo elemento avrebbe comportato un incremento delle aberrazioni, soprattutto quella cromatica laterale, pertanto Glatzel ha distribuito tale valore su 2 distinti elementi divergenti, inserendo fra di essi un elemento leggermente convergente di grande spessore per controllare meglio la distorsione e l’aberrazione cromatica.
Queste solo state le linee guida nello sviluppo del Distagon 25mm 1:2,8, finalizzato anche sfruttando le potenzialità dell’enorme calcolatore JBM7090, uno strumento che a fine anni ’50 era all’avanguardia e che Glatzel utilizzava noleggiandolo ad ore; incidentalmente, anche per il Distagon 18mm 1:4 presente nello stesso schema e finalizzato 5 anni dopo lo sviluppo procedette allo stesso modo, complicando ulteriormente il modulo divergente anteriore rispetto al 25mm.
Il nuovo Distagon 25mm 1.2,8 fece dunque il suo esordio nel sistema Contarex e venne subito accolto con entusiasmo dai clienti per varie ragioni: consentiva di inquadrare e mettere a fuoco attraverso il mirino reflex, garantiva una messa a fuoco minima estesa fino a 17cm dal piano focale e prevedeva un’apertura massima di 1:2,8, all’epoca eccezionalmente ampia per un obiettivo del genere; questo rendeva il Distagon 25mm un obiettivo estremamente versatile che poteva passare senza patemi dalla ripresa di architettura (dove l’accurata messa a fuoco e il preciso taglio d’inquadratura erano propiziati dalla visione reflex) alla ripresa ravvicinata di modelli e plastici con prospettiva realistica (grazie alla messa a fuoco molto ravvicinata) al reportage (approfittando della notevole luminosità), tutti pregi innegabili che facevano chiudere un occhio sul rendimento ai bordi estremi non eccezionale come quello del Biogon 21mm che andava a sostituire.
La versione per Contarex, ancora oggi piacevole nella sua minimale e lungimirante livrea priva di ghiera del diaframma, fu inizialmente disponibile in finitura satinata cromo, in seguito uniformata al nuovo standard con barilotto nero, baionetta anteriore cromata e godronature sulla ghiera di messa a fuoco in alluminio a vista.
Il modello Contarex, noto per la sigla di progetto 104143, fu prodotto dal 1963 al 1973 in 6.633 esemplari, dei quali 3.150 con finitura satinata cromo e 3.483 nera; i 2 prototipi da mostra realizzati inizialmente prevedono la matricola 2.289.064 e 2.289.065; in questa immagine possiamo osservare due esemplari neri appartenenti allo stesso lotto di 444 obiettivi prodotti nel 1971 fra le matricole 5.146.528 e 5.146.971; gli obiettivi, qui con i loro tappi originali e montati su una Super secondo tipo e su una Super Electronic nera secondo tipo appartenenti alla rara serie postuma “Vertieb” col logo cubitale Zeiss, sono caratterizzati dalle matricole 5.146.555 e 5.146.685, quindi solo 130 numeri li separano.
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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