Carl Zeiss 8x30b Dialyt usato per fotografare

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il protagonista odierno è un accessorio ottico Carl Zeiss che costituisce un’eccezione alla ferrea intransigenza della Casa verso compromessi che distolgano dalla ricerca della perfezione idealizzata; nel contempo, tale oggetto portava con sé una fresca ventata di praticità e piacere della lèsina assolutamente inconsueti per tale Azienda.

L’oggetto in questione è il monoculare Carl Zeiss 8×30, dispositivo per la visione a distanza piccolo e tascabile che fu disponibile dal 1959 agli anni ’70; tale accessorio, in pratica composto dal singolo elemento di un binocolo di analoghe caratteristiche ottiche, con una geniale intuizione venne adattato anche all’uso fotografico, semplicemente prevedendo un raccordo che lo applicava davanti all’obiettivo standard da 50mm; in tal modo il normale della fotocamera diventava una sorta di master lens di un nuovo sistema ottico, la cui lunghezza focale passava addirittura a 400mm (418mm effettivi): in tal modo, portando con noi il piccolo monoculare assieme al suo stepper di raccordo, potevamo utilizzarlo in modo convenzionale per la visione a distanza di particolari lontani e subito dopo, alla bisogna, anche per realizzare fotografie dei medesimi, potendo contare su un ingrandimento 8x rispetto all’ottica standard di partenza; naturalmente la luminosità complessiva risultava molto ridotta (dichiarata 1:16, effettiva 1:13,4) ma era sufficiente portare con noi un piccolo treppiedi tascabile e scattare sfruttando l’autoscatto per realizzare fotografie supertele con un’attrezzatura leggerissima e trasportabile anche su percorsi impegnativi.

 

 

Proprio per questa ambivalenza, il monoculare Carl Zeiss 8×30 compare nelle foto ufficiali del parco ottiche di sistemi fotografici Zeiss Ikon (come quello Contarex dell’illustrazione) e spesso i clienti meno informati rimanevano perplessi osservando quello che all’apparenza poteva sembrare un intruso.

Dalla sua nascita il monoculare Carl Zeiss 8×30 passò attraverso 3 evoluzioni tecniche e di design:

  • primo tipo (1959-62) con prisma di Porro, messa a fuoco con ghiera nell’oculare (caratteristica che rendeva difficile la focheggiatura quando era montato sulla fotocamera) priva di scale metriche, vistosa dominante cromatica gialla e distanza minima consentita di 2 metri; il codice è 20.1619;

 

  • secondo tipo (1962-69) sempre con prisma di Porro ma con ghiera di messa a fuoco spostata anteriormente e fornita di relative scale in metri e piedi di riferimento, antiriflessi ottimizzato per bilanciare il blend cromatico, messa a fuoco minima ridotta a 1 metro; il codice resta identico (20.1619);

 

  • terzo tipo (dal 1969 agli anni ’70) più compatto grazie al passaggio al prisma a tetto; la messa a fuoco è sempre anteriore con distanza minima a 1 metro e doppia scala in metri e piedi; la nuova denominazione è 8x30b Dialyt e il codice 11.1206.

In questo articolo parleremo della versione più moderna, la 8x30b Dialyt, che perdeva la classica sagoma con elementi ottici disassati imposta dall’ingombrante prisma di Porro e proponeva uno snello barilotto cilindrico, realmente tascabile; il riconoscimento ufficiale dello status di vero e proprio obiettivo fotografico conferito dalla Casa all’ultimo modello 8x30b Dyalit è confermato anche dai codici interni: mentre gli esemplari precedenti con prisma di Porro sono identificati dal prefisso 20 che caratterizza gli accessori, nel terzo tipo abbiamo invece il numero 11, solitamente utilizzato per le ottiche Zeiss Contarex!

 

 

Lo schema ottico, molto semplificato, si basava su un doppietto anteriore spaziato ad aria, un prisma raddrizzatore e un oculare correttore posteriore; la messa a fuoco avveniva tramite lo spostamento del doppietto frontale mentre il compattissimo prisma provvedeva a raddrizzare l’immagine senza compromettere la linearità del profilo.

La messa a fuoco avveniva per rotazione della ghiera anteriore e nel corso della prima rotazione era possibile valutare le distanze su scala metrica da infinito a 6 metri e poi, procedendo oltre, il monoculare continuava a focheggiare fino ad 1 metro, tuttavia senza alcun riferimento di scala.

 

 

Per consentire l’applicazione del monoculare 8x all’obiettivo delle fotocamere, il relativo oculare gommato destinato ad accomodare l’occhio nella visione convenzionale poteva essere rimosso, scoprendo una filettatura S27 che permetteva di applicarlo ai veri modelli, direttamente o interponendo uno stepper/adattatore; ecco lo schema delle varie compatibilità con i corpi macchina e i relativi obiettivi Zeiss Ikon/Voigtlaender disponibili quando l’8×30 era in produzione:

Zeiss Ikon Contaflex III, IV, Rapid, Super, Super B + Carl Zeiss Tessar 50mm 1:2,8 = montaggio diretto sfruttando la filettatura filtri da 27mm dell’obiettivo;

Zeiss Contarex Planar 50mm 1:2 = adattatore S27 – S49 con arretramento di 7,3mm (codice 20.1633);

Zeiss Ikon Contarex Tessar 50mm 1:2,8 = adattatore S27 – S49 con arretramento di 9,9mm (codice 20.1639);

Zeiss Ikon Contarex Planar 55mm 1:1,4 e Sonnar 85mm 1:2 = adattatore S27 – baionetta B56 (codice 20.1642)

Zeiss Ikon Voigtlaender Icarex – Icarex S + Tessar 50mm 1:2,8 = adattatore S27 – baionetta B50 (codice 20.1644);

Zeiss Ikon Voigtlaender Contaflex 126 + Tessar 45mm 1:2,8 = adattatore S27 – baionetta B50 (codice 20.1644);

Zeiss Ikon Voigtlaender Bessamatic – Ultramatic + Color Skopar 50mm 1:2,8 = adattatore S27 – S40,5 (codice 20.1648).

Era quindi possibile applicare il monoculare a praticamente tutti gli apparecchi prodotti all’epoca dall’Azienda e per ogni obiettivo il relativo adattatore posizionava il gruppo ottico dell’8x30b alla corretta distanza da quello dell’ottica alla quale era accoppiato; la matricola presente sul tipo 8x30b Dialyt non è congruente con la coeva numerazione Carl Zeiss perché, già dal 1964, tutti i suoi binocoli e monoculari erano prodotti dalla Hensoldt Wetzlar, azienda specializzata sulla quale lo Zeiss Stiftung aveva il controllo.

 

 

Ad esempio, rimanendo nel corredo Zeiss Ikon Contarex, per montare il monoculare sul classico Blitz-Planar 50mm 1:2 tipo 11.2412 si utilizzava lo stepper S27 – S49 tipo 20.1633 con arretramento di 7,3mm, mentre per adattarlo al Tessar 50mm 1:2,8 tipo 11.2501 si sfruttava lo stepper S27 – S49 tipo 20.1639, con arretramento di 9,9mm.

 

 

Il montaggio era quindi molto semplice: prendendo sempre come riferimento il normale Blitz-Planar 50mm 1:2 per Contarex, dopo aver svitato la conchiglia oculare in gomma si applicava sulla stessa filettatura il corretto anello adattatore, avvitando quindi il complesso davanti all’obiettivo come si farebbe con un comune filtro; per altri modelli, come il 55mm e l’85mm Contarex oppure i normali delle Icarex, Contaflex 126, l’anello adattatore non prevedeva una seconda filettatura ma una baionetta, compatibile con quella presente nella parte anteriore dell’obiettivo; i 50mm Tessar e Blitz Planar per Contarex fanno eccezione perché dispongono di entrambi gli attacchi (baionetta B56 e filettatura 49×0,75mm) e in questo caso la Zeiss ha scelto di sfruttare la filettatura interna.

 

 

Il vantaggio di ottenere una focale da 400mm semplicemente applicando un piccolo monoculare davanti al 50mm appare evidente se confrontiamo questo sistema ottico con il “vero” 400mm del sistema Contarex, il Tele-Tessar 400mm 1:5,6: a parte che fu disponibile solamente dal 1970, e al prezzo di ben 1.265 DM del tempo che ne limitò la diffusione a meno di 400 esemplari, quest’obiettivo è realmente imponente e pesa ben 1.760g, mentre il complesso costituito dal 50mm 1:2 Blitz-Planar con l’adattatore 20.1633 e il monoculare 8x30b Dialyt è incomparabilmente più compatto e pesa appena 475g; naturalmente questo sistema lavora ad apertura fissa e la massima apertura è di ben 3 stops più ridotta rispetto a quella del Tele-Tessar, tuttavia è una limitazione poco influente se si rinuncia alla presa a mano libera, difficile anche con un 400mm convenzionale, e si compongono le immagini sfruttando un piccolo treppiedi tascabile per foto di natura, paesaggio e dettagli urbani.

 

 

La messa a fuoco minima di 1 metro permette di raggiungere il rapporto di riproduzione di 1:2,2, un valore da vera macro che consente di inquadrare un campo di appena 53x80mm, tuttavia in Zeiss qualcuno deve aver visualizzato in questo 8x30b Dialyt le potenzialità per farne un obiettivo supermacro con grande distanza di lavoro, e l’Azienda ha messo a disposizione anche una incredibile serie di lenti addizionali Proxar, ben 5, appositamente concepite per questo modello e con montatura che veniva calzata a pressione nella parte anteriore del monoculare; tali aggiuntivi prevedono un valore convergente da 1, 2, 3, 5 e 8 diottrie, e montando il modello più potente la messa a fuoco minima scendeva addirittura ad 11cm, cui corrispondeva l’incredibile rapporto di riproduzione di 3,6:1; in questo caso, certamente ben al di fuori dalle prevedibili condizioni di esercizio normali, il campo inquadrato è di appena 6,4×9,7mm (!) e il perfezionismo Zeiss si spingeva addirittura a fornire apposite tabelle con le distanze di lavoro, il rapporto di riproduzione, il campo inquadrato e la profondità di campo disponibile, calcolata in funzione di un circolo confusionale convenzionale; nel caso dell’ingrandimento massimo 3,6:1 la profondità di campo dichiarata è di appena +/- 0,04mm.

Osservando questi dati e descrizioni sulla carta, questo sistema sembra davvero il classico uovo di Colombo per accedere a riprese supertele o macro spinte a lunga distanza con costi contenuti e ingombri da bagaglio a mano; purtroppo, nel mondo reale, queste prerogative sicuramente attraenti devono scontrarsi con l’oggettivo riscontro della qualità ottica; infatti l’8x30b Dialyt era e resta un monoculare da visione, e l’applicazione coatta davanti ad un obiettivo normale, sistema ottico chiuso e già ottimizzato in sé, non è certo la via maestra per ottenere prestazioni di rilievo; vediamo quindi come si comporta effettivamente questo monoculare Carl Zeiss applicato davanti al classico normale della Contarex, il Blitz-Planar 50mm 1:2; chiedo venia per la banalità del soggetto, purtroppo imposto dalla quarantena dovuta al Covid19.

 

 

Lo scatto a fotogramma intero, nonostante sia stato sfruttato come master lens un obiettivo squisito come il Planar Contarex, evidenzia già a prima vista uno spot di nitidezza sufficiente al centro ma vistosissime aberrazioni ai bordi, con l’aggiunta di una forte distorsione a barilotto, apparentemente nell’ordine del 7-8%; si comprende immediatamente che la porzione di fotogramma eventualmente sfruttabile corrisponde solamente ad un limitato settore centrale.

Questo scatto è stato eseguito con una Sony ILCE7M2 a 100 ISO tenendo l’obiettivo Planar a tutta apertura, come previsto dalla istruzioni, e lavorando a 93m di distanza; vediamo ora qualche crop al 100%.

 

 

Anche al centro, nonostante un’accurata messa a fuoco in live-view a forte ingrandimento e lo scatto su treppiedi combinato all’autoscatto elettronico, il potere risolutivo appare abbastanza modesto, sufficiente per la classica fotina ricordo ma non certo per ingrandimenti.

 

 

Peraltro, basta uscire di poco dall’asse perché compaiano vistose componenti cromatiche, mentre un’altrettanto visibile curvatura di campo porta bruscamente fuori fuoco i settori del soggetto, abbattendo la capacità analitica.

 

 

Ai bordi estremi compare anche un evidente astigmatismo a compromettere ulteriormente il quadro.

Il monoculare Carl Zeiss 8x30b Dialyt applicato alle fotocamere fu quindi una soluzione ingegnosa che metteva a disposizione del fotoamatore non troppo impegnato un potente 400mm senza sobbarcarsi gli ingombri, i pesi e i costi tipicamente Zeiss di un modello convenzionale; questa possibilità, giustamente sottolineata nelle brochure ed inserzioni pubblicitarie del tempo, rendeva questi sistemi più attraenti per un pubblico non specializzato, tuttavia le prestazioni effettivamente garantite erano modeste e probabilmente vennero accettate considerando come utente-tipo il cliente che scatta occasionalmente e soprattutto si limita a realizzare ingrandimenti standard di piccolo formato, da conservare nell’album di famiglia, con dimensioni della copia così ridotte da rendere passabili anche le vistose aberrazioni composite prodotte dal sistema.

Queste considerazioni non inficiano comunque la freschezza dell’idea e soprattutto, non screditano la rara circostanza in cui Zeiss, abbandonati per un attimo i panni seriosi di chi deve inseguire la perfezione per mandato istituzionale, si è divertita a pensare fuori dagli schemi e ad accettare compromessi, un esercizio che – se ripetuto più volte anche in seguito – magari avrebbe salvato la stessa Zeiss Ikon Stuttgart dalla sua ingloriosa fine.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

 

 

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