Canon RF 35mm 1:1,5 precursore del Summilux-M 35mm 1:1,4

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il Leitz Summilux-M 35mm 1:1,4, introdotto nel 1960 a corredo del sistema Leica M, rappresentò un’autentica svolta per la fotografia di reportage e le riprese grandangolari in condizioni di luce attenuata e diede vita ad una dinastia i cui epigoni continuano ad incontrare i favori della clientela, al punto che quest’obiettivo può forse assurgere addirittura a simbolo stesso dei parco ottiche Leica M moderno.

Il Summilux, con la sua luminosità, compattezza, angolo di campo e qualità complessiva, rispondeva pienamente alle esigenze di molti fotografi targati Leica e alla sua presentazione rese palese il netto vantaggio mutuato ai progettisti dall’assenza di ostruzioni nello spazio retrofocale dell’apparecchio, una condizione che consentiva di arretrare liberamente la giacitura delle lenti posteriori e rendeva possibile l’abbinamento di ampio angolo di campo e aperture a quei tempi letteralmente proibitive per i grandangolari retrofocus destinati alle reflex.

Il Summilux-M 35mm 1:1,4 sembra dunque un capostipite, il “primo del suo nome” che crea dal nulla un nuovo standard obbligando il mondo intero ad adeguarsi; in realtà la storia ci restituisce una prefazione differente.

Nell’immediato Dopoguerra il brand Canon, affrancatosi dalla fornitura di obiettivi Nikkor, avviò la produzione di apparecchi fotografici a telemetro per pellicola 35mm di chiara ispirazione Leica, impostando nel contempo una gamma di ottiche in attacco a vite 39x1mm che risultavano compatibili non soltanto con le fotocamere Canon originali ma anche per le Leica dalle quali traevano ispirazione; questo parco di obiettivi, costantemente evoluto e perfezionato, rimarrà a catalogo fino a inizio anni ’70, annoverando pezzi davvero pregevoli per struttura ottica, luminosità e prestazioni; in questo caso mi voglio soffermare sulla classica focale da 35mm.

 

 

Le ottiche Canon postbelliche furono battezzate Serenar e un primo esemplare da 50mm 1:3,5 (analogo al Leitz Elmar) fu presentato già nel 1945; il primo grandangolare da 35mm e apertura 1:3,5 fu presentato nel Marzo 1950 e a sua volta replicava il gruppo ottico a 4 lenti in 3 gruppi tipo Tessar del Leitz Elmar 3,5cm 1:3,5 di inizio anni ’30; la focale 35mm, in casa Canon, vide una rapidissima evoluzione: infatti, già nel Giugno del 1951 la Casa aggiornò l’obsoleto schema del primo modello creando un Serenar 35mm 1:3,2 che sfruttava un più complesso schema Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi ispirato al Summaron 35mm 1:3,5 lanciato da Leitz nel Dopoguerra.

 

 

Il passaggio al più promettente tipo Gauss fu l’avvio di un’entusiasmante escalation di luminosità che porterà, nell’Agosto 1958, alla presentazione del Canon 35mm 1:1,5, un grandangolare superluminoso che non aveva eguali e che anticipava di 2 anni la commercializzazione del famoso Summilux-M 35mm 1:1,4 di Walter Mandler; a fine anni ’50 il sistema di ottiche Canon a telemetro prevedeva ben 3 obiettivi da 35mm di focale in contemporanea: il superluminoso 1:1,5, il luminoso 1:1,8 e il tuttofare 1:2,8, una ridondanza di modelli alla quale si aggiungerà poco dopo anche il 35mm 1:2.

 

 

La sistematica dei grandangolari da 35mm per Canon a telemetro è quindi ben più complessa di quanto possa immaginare un osservatore superficiale, annoverando complessivamente 6 differenti modelli con varie aperture, 2 dei quali a loro volta canditi dalla duplice versione I e II, un bailamme di opzioni messe in cantiere in rapida successione, puntando decisamente al futuro e con avvicendamenti così frenetici che l’estetica dei barilotti tradisce inequivocabilmente questa implementazione senza sosta, presentando una evidente disomogeneità estetica e formale.

Nel corredo troviamo dunque:

Serenar 35mm 1:3,5 con schema Tessar a 4 lenti in 3 gruppi, lanciato nel Marzo 1950;

Serenar 35mm 1:3,2 con schema Gauss a 6 lenti in 4 gruppi, introdotto nel Giugno 1951 e prodotto fino a Luglio 1952;

Serenar 35mm 1:2,8 con schema Gauss a 6 lenti in 4 gruppi; fu commercializzato in versione I nell’Ottobre 1951, poi rivisto in versione II nel 1957 (con montatura in lega leggera e ghiera di messa a fuoco nera) e rimase in produzione fino al 1962;

Canon 35mm 1:2, l’ultimo in ordine cronologico ad essere proposto, sfruttando uno schema Doppio Gauss a 7 lenti i 4 gruppi con tripletto collato posteriore e inedito barilotto tutto nero; venne commercializzato in versione I nell’Aprile 1962 e in versione II nel Giugno 1963;

Canon 35mm 1:1,8 con schema Gauss a 7 lenti in 4 gruppi, analogo a quello del 35mm 1:2, presentato nell’Aprile 1956;

Canon 35mm 1:1,5 con schema Gauss a 8 lenti in 4 gruppi simile a quello delle versioni 1:1,8 e 1:2 ma con l’elemento anteriore trasformato in un doppietto collato; fu introdotto nell’Agosto 1958 e esiste una sola versione ufficiale, sebbene i modelli più datati prevedano lievi differenze nella ghiera del diaframma; rimase a listino fino al Marzo 1971.

Occorre aggiungere che il modello 35mm 1:3,5 adottò la dicitura “Made in occupied Japan” per tutti gli esemplari, mentre i modelli da 35mm 1:3,2 e 35mm 1:2,8 la utilizzarono solamente fino all’Aprile 1952, quando non fu più richiesta; va anche annotato che i 35mm 1:2,8 prodotti dal 1953 al 1962 non vennero più denominati Serenar ma Canon, ed è l’unica versione in produzione sia prima che dopo l’avvicendamento del nome.

 

 

Naturalmente il modello 35mm 1:1,5, quando venne introdotto nell’estate 1958, incarnò immediatamente il diamante sulla corona del sistema, affiancato con pari dignità dal 50mm 1:1,2 lanciato un paio di anni prima e dal medio-tele 85mm 1:1,5, una terna di ottiche superluminose che promosse il fabbricante nel gotha dei maggiori produttori e che nemmeno Leitz poteva ancora vantare.

 

 

 

Nonostante la grande apertura l’obiettivo risultava peraltro anche eccezionalmente compatto e pesava solamente 185g, a dispetto della costruzione metallica e del complesso schema ottico ad 8 lenti; questo modello beneficiava già del face-lift introdotto sulla gamma nel corso del 1957 e si caratterizzava per montatura anteriore e ghiera di messa fuoco a godronature alternate rifinite in nero, mentre il resto del barilotto era satinato cromo; la ghiera di messa a fuoco prevedeva un blocco su infinito di chiarissima ispirazione Leitz che appare come un elemento dissonante e anacronistico in un design così moderno.

Pur nell’ambito di una singola serie, si può notare come gli esemplari più datati siano equipaggiati con una ghiera del diaframma dotata di trattini di riferimento supplementari (un po’ come nei famosi Nikkor “Thick Mark” del 1959 per Nikon F) mentre quelli più recenti ne sono privi; tale ghiera consente di gestire il diaframma su valori compresi fra 1:1,5 e 1:22, un intervallo molto esteso che consente un pieno controllo dell’esposizione, mentre la messa a fuoco minima ad 1m imposta dall’accoppiamento telemetrico risulta limitante per il gusto moderno.

Il Canon rangefinder 35mm 1:1,5 fu calcolato da Jiro Mukai in una fase in cui il più famoso progettista Canon dell’epoca, Hiroshi Ito, era completamente assorbito nel disegno di obiettivi normali sempre più luminosi, fra i quali i celebri 50mm 1:1,2 e 50mm 1:0,95; l’importanza storica di questo grandangolare trascende l’eccezionale prima di cui si rese protagonista e lo configura anche come un trendsetter che a certi livelli influenzò Walter Mandler durante il calcolo del suo celebre Summilux-M 35mm 1:1,4; infatti, osservando la relativa timeline dei due progetti, notiamo come il 35mm Canon venne presentato per il brevetto nell’Ottobre 1956 e prodotto nell’Agosto 1958, mentre il 35mm Leitz fu proposto per il brevetto nell’Agosto 1958 e prodotto nell’Autunno 1960; Walter Mandler ebbe quindi modo di analizzare le caratteristiche del gioiello di Mukai quando il Summilux era ancora in fase di elaborazione e valutare come l’illustre collega nipponico avesse affrontato il complesso problema di un obiettivo da 64° di campo e apertura così ampia.

 

 

In effetti il progetto di Jiro Mukai è davvero spettacolare e molto avanzato per la seconda metà degli anni ’50: partendo da una base con classica configurazione Doppio Gauss a 6 lenti in 4 gruppi, il progettista ha provveduto a sdoppiare gli elementi, abbinando fra loro differenti materiali, in modo da ottenere uno schema a 8 lenti in 4 gruppi con 2 doppietti e 1 tripletto collati; Mukai fece inoltre ricorso ai più moderni vetri ottici, utilizzando su 8 lenti ben 5 elementi in vetro agli ossidi delle Terre Rare con alta rifrazione e bassa dispersione, utilizzando i tipi lanthanum Crown LaK9 in L2, lanthanum Flint LaF2 in L3, lanthanum Crown LaK6 in L5, lanthanum Crown LaK8 in L7 e lanthanum Crown LaK10 in L8; si tratta quindi di un sistema veramente al limite delle possibilità tecniche del tempo, per concepire il quale non venne lasciato nulla di intentato, un gruppo ottico che lanciava un guanto di sfida a tutti i concorrenti, in prima istanza Nippon Kogaku (ancorata al suo Nikkor 35mm 1:1,8) e Leitz (per il momento ferma al Summaron 35mm 1:2,8).

 

 

Il 35mm 1:1,5 Canon rangefinder bruciò sul tempo Leitz ma questo dettaglio aveva anche risvolti positivi perché consentiva a Mandler di sfruttare il lavoro del collega Mukai, valutando i punti di forza e i limiti del suo progetto; il sostanziale vantaggio del progettista di Midland stava nella disponibilità di avanzati vetri ottici di elevatissime caratteristiche concepiti direttamente dall’azienda, nella vetreria di Wetzlar gestita dai chimici Heinz Broemer e Norbert Meinert; a fine anni ’50 la star di questo settore era un nuovo lanthanum Flint che sarebbe poi passato alla storia come LaF21: tale vetro, senza apprezzabili controindicazioni nel contenimento della dispersione, garantiva un indice di rifrazione pari a circa 1,79, decisamente superiore a quello dei vetri utilizzati da Mukai.

Questo nuovo materiale venne prima rivisto dai tecnici di Midland, semplificando la formula rispetto alla versione originale nata a Wetzlar per agevolare la produzione autarchica canadese, e fu quindi utilizzato in 3 lenti convergenti del Summilux 35mm (L2, L4, L6), prevedendo anche il lanthanum Flint LaFn11 e il lanthanum Crown LaK10 per altre 2 lenti del gruppo ottico.

 

 

Walter Mandler ottenne quindi uno schema Doppio Gauss simile a quello di Mukai ma utilizzando solamente 7 lenti (quella anteriore è singola) e, soprattutto, prevedendo raggi di curvatura inferiori, grazie all’indice di rifrazione molto elevato del vetro LaF21, a tutto vantaggio del controllo delle aberrazioni; un altro elemento distintivo è il menisco spaziato dietro il diaframma (mentre nel 35mm Canon è presente un caratteristico tripletto collato), il che comporta la suddivisione del sistema in 5 gruppi spaziati contro i 4 gruppi del Canon.

Il breve lasso di tempo che separa i due obiettivi ha quindi consentito a Mandler di mettere a frutto il nuovissimo vetro disegnato appositamente per il 50mm 1:1,4 Summilux di Zimmemann, presentato poco prima, creando uno schema che costituisce un passo avanti rispetto al modello Canon, nonostante quest’ultimo avesse utilizzato i più avanzati vetri ottici commercialmente disponibili al momento del suo calcolo, e questo ci fa intendere quale fosse l’accelerazione dello sviluppo tecnologico nel settore in quegli anni.

 

 

Il 35mm 1:1,5 Canon di Juro Mukai resta comunque un capolavoro e si può fregiare del titolo di primo grandangolare superluminoso normalmente in commercio della storia; la firma più caratteristica di questo progetto ottico è sicuramente l’inconfondibile tripletto collato posteriore, una configurazione che Canon aveva sviluppato a inizio anni ’50 lavorando sull’evoluzione degli schemi Zeiss Sonnar; un bell’esempio ci è fornito da questa immagine, in cui il 35mm 1:1,5 di Mukai del 1956 è affiancato ad un embodiment alternativo ricavato dal brevetto di Iroshi Ito del 1951 (dal quale fu sviluppato il Canon 85mm 1:1,5) e che prevede un medio-tele 1:1,5 con 2 tripletti collati e 2 lenti singole esterne, una configurazione molto complessa che sottolinea quanto fosse rapidamente progredito il know-how ottico Canon nel Dopoguerra.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

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