Canon FD Zoom 28-85mm 1:4

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il protagonista odierno è un obiettivo zoom tuttofare nato in un momento topico nella storia del suo brand e il cui schema ottico funse da base per quello utilizzato nel primo zoom wide-tele professionale della nuova generazione autofocus; il modello che stiamo introducendo è il Canon FD Zoom 28-85mm 1:4, un modello poco conosciuto e ancor meno diffuso ma che, come andremo a vedere, rappresentò invece un elemento strategico di passaggio alla moderna serie EF.

 

 

Gli zoom 28-85mm, dopo qualche timida avvisaglia proposta da fabbricanti di ottiche universali, iniziarono a diffondersi da metà anni ’80 come naturale evoluzione dei precedenti 28-50mm; pur in un contesto fluido e in continuo divenire, nel quale nuovi proposte con escursioni focali sempre più estreme si affacciavano di continuo, l’opzione 28-85mm incontrò subito il favore della clientela perché, offrendo il grandangolare medio da 28mm, quello leggero da 35mm, il normale da 50mm e il classico medio-tele da 85mm per ritratto e dettagli di paeaggio/architettura, era realmente in grado di coprire il 90% delle esigenze nella fotografia generica e di viaggio, come ebbi modo di sperimentare in una spedizione in Africa nel 1990, per la quale dovetti far posto a telecamera, suoi accessori, illuminatori e relative batterie piombo-gel, pertanto portai solo un corpo macchina con AF-Nikkor 28-85mm che mi rese un servizio notevole.

In questa immagine il nostro Canon FD 28-85mm 1:4 è affiancato proprio dallo Zoom-Nikkor 28-85mm 1:3,5-4,5 (cioè l’originale versione AiS manual focus) e dal celebre Carl Zeiss Vario-Sonnar T* 28-85mm 1:3,3-4 per Contax-Yashica, un modello che costituiva il riferimento qualitativo della categoria, sebbene ad un prezzo superiore alla media; questi 3 modelli evidenziano come ogni brand abbia affrontato e risolto in modo differente la fase di progettazione meccanica: infatti, lo Zeiss Vario-Sonnar prevede un controllo dello zoom di tipo “one touch” a scorrimento, con barilotto a lunghezza variabile, e non include una posizione macro; lo Zoom-Nikkor utilizza una struttura a doppia ghiera, prevedendo comunque a sua volta un barilotto che cambia dimensione con la focale, ed incorpora una posizione macro indipendente gestita solo a 28mm dalla ghiera dello zoom; infine, il Canon FD sfrutta come il Nikkor un sistema a doppia ghiera ma il suo barilotto non cambia dimensione, essendo disegnato per contenere nella sua sagoma i movimenti delle lenti, e la ripresa macro si finalizza con una ghiera di messa a fuoco in grado di passare direttamente da infinito a 50cm a tutte le focali.

Il Canon FD 28-85mm 1:4 fa parte dell’ultimo lotto di obiettivi di tale generazione presentato da Canon nell’Ottobre-Novembre 1985, quando il sistema era praticamente a capolinea e il corredo EOS / EF autofocus stava per arrivare sui banchi di vendita (l’ultima fotocamera con attacco FD fu la T-60 del 1990, in realtà semplice rebranding di un modello prodotto da Cosina per rimanere in qualche modo sul mercato, l’ultimo obiettivo FD fu il celebre FD 200mm 1:1,8 L del 1989 in piccolissima tiratura e il sipario sul corredo FD calò nel 1992 quando uscì di produzione anche la professionale F1 New); pertanto questo zoom, assieme all’80-200mm 1:4 L, al 100-300mm f/5,6 L e al 35-105mm 1:3,5-4,5 lanciati in contemporanea alla fine del 1985 nacquero in un limbo temporale e commerciale analogo a quello in cui presero vita obiettivi come lo Zeiss Planar 85mm 1:1,4 per Contarex del 1974, arrivato con splendido ritardo quando il suo sistema era ormai morto; vedremo comunque che il 28-85mm 1:4 fu come un seme piantato e proiettato verso il futuro, e nel frattempo osserviamo le sue caratteristiche funzionali e di design.

 

 

Il Canon FD 28-85mm 1:4 appartiene all’ultima serie di ottiche FD New e purtroppo ne condivide l’esteso utilizzo di materiale plastico per i gusci esterni e anche per le ghiere di serraggio delle lenti, tuttavia questo non ne pregiudica in modo apprezzabile la percezione di qualità e la precisione dei movimenti, almeno se utilizziamo un esemplare in ordine; la montatura anteriore ruota assieme alla ghiera di messa a fuoco, limitando quindi come al solito l’utilizzo di filtri polarizzatori e digradanti grigi, e la necessità di includere il cannotto metallico con le relative asole per il movimento degli elementi ottici anteriori ha imposto l’adozione del notevole passo filtri da 72×0,75mm, mentre una specifica baionetta frontale consente di applicare il relativo ed ingombrante paraluce BW-72, condiviso con altri obiettivi grandangolari FD.

La ghiera di messa a fuoco prevede un ampio settore gommato con rilievi squadrati e doppia scala di messa a fuoco in metri e piedi (colorata in bianco e verde fluorescente); la posizione di infinito non è fissa ed è possibile passare anche oltre per compensare eventualmente gli effetti della dilatazione termica, mentre alle distanze minime è presente un settore macro le cui distanze in chiaro sono sostituite da una linea gialla che permette di arrivare fino a 0,5 metri su qualsiasi focale.

Sotto la ghiera di fuoco è presente una linea di fede di colore arancio che serve sia le distanze che l’impostazione delle focali, e in questo settore del barilotto sono riportati anche gli indici rossi per la declinazione di fuoco con pellicola infrared, presenti per tutte le focali indicate sull’obiettivo.

La seconda ghiera, anch’essa ampia e con ottima manovrabilità, prevede un settore gommato con lunghi elementi in rilievo che permettono di riconoscerla al tatto; questa ghiera gestisce lo zoom e nella parte superiore sono riportati gli indici relativi alle focali 28, 35, 50, 70 e 85mm.

Sotto questa ghiera è presente una linea di fede di colore arancio analoga alla precedente e dedicata alla impostazione del diaframma; questo ulteriore comando si trova alla base dell’obiettivo, consente di impostare aperture comprese fra 1:4 ed 1:22 e prevede anche una posizione A di colore verde fluorescente con relativo pulsante nero di sblocco: quest’ultima va selezionata quando si utilizza la fotocamera in automatismo a priorità di tempi o program e consente all’apparecchio di gestire le aperture senza soluzione di continuità.

Naturalmente l’obiettivo è equipaggiato con una baionetta di attacco Canon FD conforme allo standard FD New, privo di collare di serraggio “breech-lock” e accanto ad essa è presente un piccolo pallino rosso in rilievo per allineare la fotocamera in fase di montaggio.

L’obiettivo sfrutta un diaframma ad 8 lamelle, ovviamente automatico sui corpi Canon originali della sua generazione, misura 76,5mm di diametro per 104mm di lunghezza e pesa appena 485g, un effetto collaterale positivo dell’utilizzo di resina plastica nelle strutture esterne del barilotto; l’obiettivo al momento del lancio costava circa 88.000 Yen.

 

 

Osservando affiancati e in esatta scala reciproca i 28-85mm Canon FD e Nikkor AiS possiamo relazionare i corrispondenti ingombri (il confronto fra questi 2 modelli è interessante perché i fabbricanti erano fieri rivali sul mercato e tali obiettivi furono lanciati quasi contemporaneamente, ad appena 2 mesi uno dall’altro); il principale vantaggio dello Zoom-Nikkor è che l’intera montatura segue il percorso del gruppo di lenti anteriore, pertanto a focali favorevoli come 50mm (in alto) il cannotto frontale rientra assieme alle lenti, rendendo l’obiettivo più compatto del Canon FD che, invece, ha un barilotto fisso (notate come, a 50mm, le sue lenti rientrino decisamente senza che ci si possa avvantaggiare di tale arretramento per ridurre gli ingombri complessivi); inoltre la necessità di contenere nella struttura il meccanismo che movimenta i gruppi ottici ha portato ad un attacco anteriore da 72mm contro i 62mm dello Zoom-Nikkor AiS.

In realtà il particolare schema ottico del Canon FD risulta in termini assoluti poco ingombrante (notate come a 50mm le sue lenti sporgano meno rispetto al corrispondente Nikon) e probabilmente il fabbricante ha optato per un barilotto “rigido” perché anche in configurazione grandangolare, quella più ingombrante, lo sbalzo del sistema rimaneva accettabile; infatti, ripetendo in confronto a 28mm, il barilotto del Nikkor si allunga decisamente e in questo caso i suoi ingombri eccedono quelli del Canon FD, le cui dimensioni sono rimaste identiche a prima.

Pertanto il Canon FD Zoom 28-85mm 1:4 non è un obiettivo ingombrante tout-court: semplicemente i concorrenti consentono di collassare il barilotto a certe focali, minimizzandone le dimensioni per il trasporto, ma nell’uso pratico il vantaggio si annulla e, anzi, il modello Carl Zeiss è di gran lunga più imponente, sia per lunghezza alle focali corte che per il diametro filtri da ben 82×0,75mm.

 

 

Il Canon FD, nonostante molti componenti in resina, è stato progettato con cura e un elemento interessante del suo particolare schema ottico a 3 gruppi di lenti è una palpebra paraluce metallica sagomata (in gergo “light baffle”) posta fra il doppietto statico posteriore e il secondo gruppo di lenti mobile; questa maschera si muove avanzando durante il passaggio da grandangolare a tele (e con movimento indipendente asolidale, come andremo a vedere) e contribuisce a schermare le luci parassite periferiche che verrebbero proiettate dagli elementi che la precedono, migliorando il contrasto e la tenuta in controluce; notate anche l’inserto metallico che ho aggiunto nell’asola sotto la camma (tecnicamente è il pezzo di una corda per chitarra), necessario con certi adattatori obsoleti come il mio per consentire la chiusura manuale del diaframma una volta applicato l’obiettivo all’adapter (il fabbricante di quest’ultimo a tale scopo forniva a corredo alcuni o-ring in gomma da ritagliare a spezzoni); in assenza di questa aggiunta, con adattatori di vecchia generazione il diaframma rimane sempre a tutta apertura, anche agendo sulla ghiera.

Il codice posteriore consente anche di dedurre che questo esemplare è stato addirittura prodotto nel Novembre 1988, quindi già in piena era EF!

 

 

Il paraluce dedicato è il tipo BW-72 in resina, utilizzato anche da altri obiettivi come, ad esempio, il Canon FD 20-35mm 1:3,5 L; nella foto sono illustrati 3 esemplari: uno usato con cura, uno quasi nuovo e uno new old stock con imballo, da fondo di magazzino.

Analizziamo ora lo schema ottico dell’obiettivo, cercando di capire perché questo zoom FD arrivato troppo tardi è una pedina essenziale nell’evoluzione tecnica verso i corrispondenti obiettivi professionali EF; il padre del 28-85mm 1:4 è Keiji Ikemori, un progettista molto importante per l’azienda in quella fase che ha firmato modelli come gli FD 20-35mm 1:3,5 L, 50mm 1:1,2 L, 35-70mm 1:4, 75-150mm 1:4,5, 150-600mm 1:5,6 L e anche l’abbozzo del futuro EF 1.200mm 1:5.6 L oltre allo schema dell’EF 135mm 1:2,8 SF soft-focus.

 

 

Questa sezione mostra la struttura alle focali 28mm ed 85mm; lo schema è articolato su 3 gruppi di lenti principali, definiti da colori diversi, fra i quali il doppietto posteriore (verde) rimane statico e gli altri 2 cambiano posizione; questo elemento collato in fondo allo schema è interessante perché costituisce un potente doppietto ipercromatico ed è realizzato con vetri caratterizzati dalla stessa dispersione (numero di Abbe) ma da indici di rifrazione radicalmente differenti: infatti l’elemento anteriore del doppietto utilizza un vetro lanthanum Dense Flint Ohara S-LAH58 ad altissima rifrazione (Nd= 1,88300) e dispersione Vd= 40,8, mentre quello posteriore sfrutta un vetro Long Flint Ohara S-TIL25 con indice di rifrazione drasticamente inferiore (Nd= 1,58144) ma dispersione sostanzialmente identica al precedente (numero di Abbe Vd= 40,7); in questo modo dal punto di vista cromatico il doppietto di lenti è come un continuum mentre da quello rifrattivo la differenza è marcata.

 

 

Questo schema costituisce un superamento dell’architettura a 2 soli gruppi mobili vista sui 35-70mm di produzione precedente e comporta questo tipo di movimentazione: su focale grandangolare (28mm) il gruppo posteriore G2 è quasi accostato al doppietto statico G3 mentre il gruppo anteriore G1 è completamente avanzato; passando alla focale normale (50mm) il gruppo posteriore G2 avanza e quello anteriore G1 arretra, andando incontro al precedente; procedendo poi da 50mm verso la focale medio-tele da 85mm, il modulo anteriore G1 si ferma ed inverte la sua corsa, allontanandosi nuovamente dal piano focale e assecondando così il gruppo posteriore G2 che continua invece ad avanzare; in quest’ultima fase la progressione di G2 è leggermente accelerata rispetto a G1, e infatti il gap fra i 2 moduli che troviamo ancora a 50mm si azzera quasi completamente passando ad 85mm.

Altri 2 elementi sottolineano la raffinatezza del progetto: il primo è il gruppo del diaframma mobile che scorre avanti e indietro assieme al modulo G2, richiedendo quindi rinvii telescopici ma contribuendo a ridurre la distorsione alle focali estreme; il secondo è la presenza del già descritto flare stopper dietro l’ultima lente di G2 (in colore magenta nello schema) che impedisce alle luci parassite periferiche proiettate dai gruppi ottici di riflettere in modo incontrollato dentro la montatura; questa maschera sagomata aumenta la complessità meccanica del sistema perché il suo movimento è indipendente da quello di G2: passando da 28 a 35mm la maschera paraluce rimane statica (pertanto la sua distanza dall’ultima lente di G2 aumenta), poi da 35mm a 70mm segue la progressione di tale modulo di lenti rimanendo a distanza costante e, infine, a 70mm si ferma nuovamente mentre G2 continua ad avanzare fino a 85mm, aumentando quindi per la seconda volta la sua distanza dal flare stopper, una complicazione probabilmente introdotta per massimizzare il suo effetto di schermatura interna alle varie focali.

Il gruppo G3 resta invece sempre stazionario e un’architettura di questo genere la utilizzò anche Olympus per il suo OM Zuiko 35-70mm 1:3,5-4,5 del 1984.

Vediamo ora le origini di questo schema e perché è importante per gli sviluppi futuri; la struttura è stata sicuramente calcolata da Keiji Ikemori ma in realtà non esiste un brevetto con ipotesi perfettamente corrispondenti al modello di serie perché, nei 4 anni trascorsi fra il progetto iniziale e la presentazione al pubblico, Ikemori definì un secondo schema evoluto e sfruttò le caratteristiche dei gruppi G2 e G3 di quest’ultimo per “ibridare” ed aggiornare la struttura originale; vediamo come si è sviluppata questa tormentata genesi attraverso gli schemi.

 

 

La prima ipotesi di Ikemori-San per un 28-85mm 1:4 rientra in un brevetto depositato nell’Ottobre 1981; osservando questo modello abbinato allo schema del modello di produzione notiamo che la struttura del modulo anteriore G1 (azzurro) e i primi 3 elementi del modulo G2 (arancio) sono strettamente derivati da quelli presenti nell’embodiment del brevetto del 1981, tuttavia i restanti elementi di quest’ultimo, colorati per evidenziarli, presentano una struttura differente, ad indicare ulteriori sviluppi dal brevetto iniziale alla produzione,

 

 

Infatti, nell’Ottobre 1984, Keiji Ikemori depositò per Canon un ulteriore brevetto nel quale ipotizzava un primo abbozzo di zoom standard luminoso e professionale, un 28-70mm 1:2,8-3,5 con superficie asferica e dinamica dei movimenti più complessa, col gruppo posteriore G2 caratterizzato da velocità di avanzamento differenziate per i primi elementi di tale modulo e l’ultima lente del medesimo; osservando lo schema del 28-85mm 1:4 di serie affiancato a questo secondo brevetto del 1981 possiamo notare che i moduli posteriori G2 (arancio) e G3 (verde) del modello di serie lanciato nell’Ottobre 1985 sono concettualmente coerenti con quelli del prototipo; pertanto Ikemori-San aggiornò il suo 28-85mm originale alla luce dei nuovi studi ed esperienze legati a questo secondo brevetto, arrivando alla configurazione finale che conosciamo,

Questo è dunque il complesso percorso che definì lo schema del nostro obiettivo; come ho anticipato, tale architettura complessiva è storicamente importante perché fu la base per il primo zoom wide-tele professionale Canon della nuova linea autofocus, l’EF 28-80mm 1:2,8-4 L USM.

 

 

Quest’obiettivo, un monumento da 945g di peso per 120mm di lunghezza, componeva assieme agli EF 17-35mm 1:2,8 L ed EF 80-200mm 1:2,8 L la prima tripletta di zoom autofocus professionali Canon; fu commercializzato nell’aprile del 1989 ed il suo prezzo, complice anche la presenza del motore USM, risultava quasi doppio rispetto all’FD 28-85mm 1:4, tuttavia il suo schema ottico era debitore a quello del precursore con messa a fuoco manuale.

 

 

Infatti, fatta la tara all’aggiunta per 2 elementi di una lente supplementare cementata che porta il numero complessivo da 13 a 15, concettualmente questi schemi ottici sono strettamente imparentati, sia per struttura che per funzionamento; il Canon FD 28-85mm 1:4 è quindi importante in quanto trait d’union fra gli zoom standard FD e in nuovi modelli professionali EF di tale categoria, anche se – a onor del vero – il successivo EF 28-70mm 1:2,8 L USM prenderà strade diverse utilizzando una struttura ottica completamente differente,

Per quanto concerne le prestazioni, il 28-85mm FD garantisce un buon contrasto e alle focali medio-lunghe anche una risoluzione soddisfacente fin dalle maggiori aperture, mentre a 28mm è meglio chiudere il diaframma a valori medi per migliorare i bordi, inizialmente un po’ fiacchi; la complicazione meccanica del diaframma mobile contiene la distorsione alle focali estreme (infatti a 28mm la deformazione a barilotto è presente ma inferiore alla media, rendendo tale focale sfruttabile anche per elementi geometrici).

L’introduzione del complesso flare-stopper a movimento asincrono suscita curiosità e ci si chiede quale sia la sua efficacia effettiva, pertanto ho provveduto ad utilizzare l’obiettivo in pieno controluce con Sole in campo e alla focale 28mm, quella più critica.

 

 

Questa immagine panoramica da 200° è frutto del montaggio in proiezione cilindrica di 7 scatti verticali a 28mm ed apertura 1:11; si tratta di un controluce davvero crudele per uno zoom vintage ma il comportamento è stato ottimo, con riflessi interni molto contenuti (si vedono più volte nella panoramica perché presenti nei 3 scatti centrali), pertanto possiamo promuovere a pieni voti le scelte tecniche introdotte a tale scopo.

 

 

Questa ulteriore immagine dallo stesso contesto è stata realizzata sempre a 28mm e apertura 1:11, sfruttando il range di messa a fuoco macro, ed è stato sufficiente nascondere il Sole dietro ad una foglia per ottenere un risultato impeccabile.

Il Canon FD 28-85mm 1:4 è un obiettivo poco conosciuto e nato in una critica fase di passaggio in cui il brand si giocò tutto, cambiando la baionetta di innesto e ricominciando da zero nel segno dell’innovazione tecnica; l’obiettivo garantisce una escursione estremamente pratica e funzionale ma, soprattutto, è servito da “laboratorio” per definire il passaggio al primo zoom standard professionale dell’era EF; si tratta quindi di un pezzo di valore storico ma, contestualmente, è anche un obiettivo leggero che si può acquistare a cifre molto abbordabili e che, adattato sulle moderne mirrorless che non risentono del cortissimo tiraggio FD, si configura ancora come un simpatico compagno di escursione, un all-rounder dalle prestazioni decenti e senza pecche vistose che soddisfa le necessità generiche richiamandoci, come avviene sempre con questi oggetti completamente manuali, ad un esercizio più attento e consapevole della fotografia.

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

 

 

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