Canon FD 150-600mm 1:5,6 L

Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; il protagonista di oggi è uno zoom Canon appartenente alla storica linea FD, un pezzo di eccezionali caratteristiche tecniche che rappresentava un autentico portabandiera del brand e metteva palesemente in evidenza la tecnologia di prim’ordine profusa dal fabbricante nel settore dei lunghi fuochi professionali; l’obiettivo in questione esibiva una meccanica di sconcertante originalità e, per prezzo e caratteristiche, è sempre stato un pezzo molto chiacchierato e ambito: parliamo del Canon FD 150-600mm 1:5,6 L del 1982.

 

 

Se negli anni ’60 l’apripista che sdoganò gli zoom fotografici facendoli conoscere ed apprezzare fu indubbiamente il rivale Nippon Kogaku, con l’avvento degli anni ’70 e del nuovissimo corredo FD la Canon fu lesta a riallinearsi, mettendo rapidamente a catalogo una serie di ottimi zoom che coprivano tutte le esigenze più comuni, con focali da 24mm a 300mm e soluzioni ottico/meccaniche ingegnose, come quelle utilizzate nell’FD 35-70mm 1:2,8-3.5 del 1973, in seguito imitate da molti fabbricanti, o la primizia dello zoom grandangolare 24-35mm 1:3,5 S.S.C. Aspherical del 1978, con superficie parabolica; in particolare, in Italia visse una fiammata di popolarità il massiccio FD 85-300mm 1:4,5, dopo che il grande Franco Fontana lo aveva utilizzato per i suoi famosi paesaggi dell’Italia Meridionale.

 

 

Il settore marketing del brand Canon intuì subito che inserire una linea di ottiche di qualità dichiaratamente superiore e professionale avrebbe rappresentato un plusvalore per l’azienda e un forte traino per le vendite dei modelli più popolari; questi esemplari al vertice di gamma inizialmente erano riconoscibili solamente per specifiche denominazioni, come Aspherical o Fluorite, ma nel Dicembre del 1978 venne presentato il primo obiettivo ad avvalersi di una nuova veste: infatti, il neonato 300mm professionale con lenti a bassa dispersione fu denominato Canon FD 300mm 1:4 L, acronimo di Luxury, inaugurando ufficialmente un nuovo face-lifting per le ottiche di alta gamma che, da quel momento, furono identificate da un filetto rosso che avvolgeva la parte anteriore del barilotto e dalla sigla L, parimenti di colore rosso; inutile dire che, fin  da subito, le ottiche Canon serie “L” divennero un must have e vennero a turbare i sogni di tutti i Canonisti.

 

 

Nei primi anni ’80 la gamma di zoom FD, nel frattempo approdata alla nuova livrea senza collare di serraggio, venne costantemente sviluppata ed aggiornata, introducendo anche modelli apocromatici con vetri a bassissima dispersione come il professionale FD 50-300mm 1:4,5 L, svelato nel Luglio 1982; questo zoom aveva appena iniziato ad impressionare la platea per caratteristiche e potenziale quando Canon tossì ancora più forte nell’aula, e appena un  mese dopo, nell’Agosto 1982, presentò un modello di caratteristiche ancora più spinte, l’FD 150-600mm 1:5,6 L; come si può apprezzare in questa immagine, il nuovo super-zoom si distingueva immediatamente dalla schiera di ottiche analoghe, sia per le dimensioni molto importanti che per la livrea assolutamente originale, con finitura chiara simile a quella dei lunghi teleobiettivi FD-L e un’architettura meccanica tutta da scoprire.

 

 

Il nuovo zoom professionale Canon FD 150-600mm 1:5,6 L si inseriva in una cerchia estremamente ristretta di modelli molto specialistici e votati alla ripresa naturalistica da appostamento, alla sorveglianza,  alla ripresa sportiva, di cronaca e di costume da postazioni fisse o alle esigenze di intelligence, contesti nei quali in ogni caso era esclusa a priori qualsiasi velleità di ripresa a mano libera, in questo caso esclusa dalla stessa concezione meccanica del barilotto; obiettivi di questo genere si contavano sulle dita di una mano e, nel novero degli zoom super-tele della sua generazione possiamo elencare solamente i Nikkor 180-600mm 1:8 ED e 360-1200mm 1:11 ED oppure l’SMC Pentax 135-600mm 1:6,7.

Il Canon FD 150-600mm esibisce una meccanica inusitata, con una larga base di appoggio squadrata sul cui lato scorre e ruota un pomello multifunzionale, il tutto completato da un’ampia impugnatura metallica per il trasporto; l’obiettivo, ovviamente molto ingombrante e pesante, prevedeva una lunghezza di 468mm, un diametro di 123mm (considerando solo la sezione del paraluce anteriore) e un peso di 4.350g; all’epoca della presentazione il prezzo di listino corrispondeva a 880.000 Yen, una cifra elevatissima e in parte giustificata dal sofisticato schema ottico a 19 lenti con vari elementi a dispersione contenuta e dalla complessa meccanica; il sistema di messa a fuoco interna consentiva di focheggiare da infinito ad appena 3m, con un rapporto di riproduzione massimo variabile fra circa 1:14 a 150mm e circa 1:4 a 600mm (campo minimo inquadrato: circa 9,5x14cm) mentre il diaframma, automatico e con iride a 9 lamelle, consentiva di impostare valori compresi fra 1:5,6 e 1:32; le lenti prevedevano il rivestimento antiriflesso multistrato Super Spectra Coating (S.S.C.) mentre l’uso dei filtri era possibile sfruttando il piccolo cassetto posteriore con filettatura da 34mm.

 

 

 

L’elemento più originale dell’obiettivo è sicuramente il pomello multifunzionale posizionato a sinistra dell’ampia base di appoggio rettangolare: tale elemento può scorrere in linea in un’apposita asola, definendo in tal modo la lunghezza focale impostata (è presente una scala di riferimento con i valori 150, 200, 250, 300, 400, 500 e 600mm), ed è anche in grado di ruotare, modificando in tal modo la distanza di messa a fuoco, effettivamente indicata da una scala separata; in tal modo, dopo aver posizionato l’obiettivo su treppiedi o su un supporto stabile, l’operatore poteva gestire le funzioni dell’apparecchio con la mano destra e la combinazione di focale/messa a fuoco con la mano sinistra, impostando entrambe velocemente grazie alle funzionalità di tale pomello.

In questa immagine si può apprezzare anche lo svincolo che consente di ruotare di 90° il cannotto posteriore, posizionando la fotocamera in verticale quando necessario.

 

 

L’obiettivo, disegnato e prodotto secondo i criteri di qualità, robustezza e finitura delle ottiche serie “L”, era riconoscibile per il caratteristico filetto perimetrale rosso e prevedeva un ampio ed efficace paraluce telescopico dotato di protezione anteriore in gomma e presa di forza per agevolare la sua estrazione; nella parte superiore era presente una finestra con copertura trasparente che consentiva di osservare la distanza di messa a fuoco effettivamente impostata, indicata da una scala messa in rotazione dal movimento del pomello laterale, e sulla parte metallica della montatura erano riportati anche gli indici di riferimento per la messa a fuoco ad infrarosso; nella parte posteriore era presente il cassettino drop-in per filtri da 34mm e una ghiera del diaframma convenzionale, con relativo attacco a baionetta in speciiche FD new, abbinata ad una linea di fede incisa nella montatura.

 

 

L’obiettivo prevedeva un’ampia e robusta base di appoggio che permetteva un sicuro posizionamento su superfici piane anche in assenza di treppiedi; sul fianco destro di tale elemento veniva applicata una placca in alluminio con le principali specifiche dell’obiettivo, fra le quali il numero di matricola; il primo obiettivo prodotto corrispondeva al seriale 10.001 mentre l’esemplare illustrato è il numero 10.333, e questo fornisce una chiara idea della produzione a ranghi molto ridotti che ha caratterizzato il modello; nella parte superiore fa bella scena la grande impugnatura metallica per il trasporto, sagomata e scaricata per ridurne il peso e fissata adeguatamente con 4 viti di grossa sezione.

 

 

Infine, il piano di appoggio della base rettangolare è interamente ricoperto con un settore gommato protettivo e antiscivolo, nel quale sono ricavati due attacchi filettati per treppiedi in posizione diversa, scelti evidentemente per bilanciare il baricentro in presenza di corpi macchina più o meno pesanti.

Il costruttore ha quindi curato ogni dettaglio e concepito una montatura robusta e funzionale, all’altezza dei compiti gravosi previsti.

 

 

Trattandosi di un prodotto di nicchia non è possibile recuperare molta documentazione ufficiale che lo riguarda; questa scheda è riprodotta dalla brochure delle ottiche Canon FD creata a inizio anni ’80 per il mercato statunitense; il documento, descrivendo le insolite caratteristiche dell’oggetto, sottolinea un elemento molto importante della sua progettazione; l’adozione di un sistema di messa a fuoco interna ottenuto col movimento di un singolo modulo di lenti, utilissimo in un gruppo ottico di tali proporzioni, abbinato ad una protezione che impedisce movimenti involontari e indesiderati del modulo quando si interrompe la regolazione, garantendo la stabilità del fuoco.

Altri elementi messi in risalto sono l’elevata qualità d’immagine con ridotta distorsione, conseguita con un sistema a 4 gruppi di lenti principali e sfruttando vetri UD a bassissima dispersione, l’ampia escursione 4x che copriva tutte le esigenze della fotografia tele, la massima apertura 1:5,6 costante su tutta l’escursione focale e altri elementi che aumentavano la praticità, come la maniglia per il trasporto e il sistema di rotazione rapido per la fotocamera.

 

 

Al crepuscolo del sistema FD (le nuove fotocamere EOS con ottiche EF premevano già alla porta) venne realizzata una brochure dedicata egli obiettivi FD-L, con scheda dedicata anche al 150-600mm 1:5,6; questo documento è piuttosto completo e riportava una foto di esempio, informazioni generali, dati tecnici, una sezione del barilotto e anche i diagrammi MTF, il tutto purtroppo in un formato originale troppo piccolo per essere ben leggibile.

Nella brochure il fabbricante afferma che la focale da 600mm esibita dall’obiettivo era la più lunga mai raggiunta da uno zoom fino a quel momento, e questa è una grossa bugia perché, già dal Febbraio 1976, erano presenti non soltanto lo zoom-Nikkor 180-600mm 1:8 ED ma anche il fratello maggiore 360-1200mm 1:11 ED, modello che ovviamente surclassava per allungo il nuovo campione Canon; anche in questo caso vengono lodate caratteristiche come la praticità, promossa dalla particolare concezione meccanica e dal pomello multifunzionale, l’esclusiva della messa a fuoco interna e la correzione dell’aberrazione cromatica grazie a 3 elementi UD.

 

 

Un dettaglio ingrandito consente di apprezzare i diagrammi MTF ufficiali dell’obiettivo, misurati come avviene anche attualmente in casa Canon definendo il trasferimento di contrasto dal centro (sinistra) ai bordi (destra) alle frequenze spaziali di 10 e 30 cicli/mm, misurando sul campo i valori con orientamento sagittale e tangenziale (linee di mira parallele o perpendicolari alla semidiagonale che collega il centro del fotogramma ai bordi) ed effettuando due letture, con diaframma tutto aperto (curve rosse) e chiuso ad 1:8 (curve azzurre); i valori sono elevati per l’epoca ma la progressiva caduta di MTF verso i bordi con orientamento tangenziale (linee di mira perpendicolari alla semidiagonale di campo) tradisce un residuo di aberrazione cromatica laterale (i cui fringings degradano la brusca differenza densitometrica fra il bordo nero della linea di mira e lo spazio interposto bianco, riducendo il contrasto della relativa riproduzione).

 

 

Lo zoom Canon FD 150-600mm 1:5,6 L fu calcolato da Keiji Ikemori e la richiesta per il brevetto prioritario giapponese fu depositata l’11 Marzo 1976; Ikemori-San è un progettista che ha lasciato il segno e vari obiettivi FD portano la sua firma, fra i quali anche il prestigioso 50mm 1:1,2 L, il 135mm 1:2,8 Soft Focus e gli zoom 28-85mm 1:4 e 75-150mm 1:4,5, oltre a vari prototipi; questo complesso 150-600mm 1:5,6 L è sicuramente uno dei suoi capolavori.

 

 

Lo schema ottico illustrato proviene dalla versione statunitense del brevetto e corrisponde all’embodiment che venne poi selezionato per la produzione di serie.

 

 

Questo schema riporta per intero i parametri grezzi di progetto dell’obiettivo (raggi di curvatura delle superfici, spessori sull’asse, distanze fra gli elementi, valori rifrattivi e dispersivi dei vetri utilizzati) e consentirebbe teoricamente di ricostruire da zero il gruppo ottico; il contenimento dell’aberrazione cromatica era sicuramente l’obiettivo prioritario in un progetto che coinvolge focali così lunghe, tuttavia il progettista, considerando che a quei tempi il costo dei vetri UD a bassissima dispersione era ancora molto elevato, ha previsto solo 3 elementi realizzati con tale materiale (indicati in grafica dal colore giallo), uno dei quali peraltro nella parte posteriore e con diametro ridotto, coadiuvando invece la correzione con un’ulteriore serie di lenti , esattamente 4, prodotte sfruttando un vetro a bassa dispersione ma non spinto come il tipo UD propriamente detto (il vetro usato in questo caso è di categoria FK5), un materiale dal costo decisamente più abbordabile; questi 4 elementi sono evidenziati in grafica dal colore arancio.

 

 

Questi diagrammi ricavati dal brevetto indicano in previsione lo stato delle aberrazioni dell’obiettivo di serie alle varie focali; apparentemente la rivendicazione ufficiale relativa ad una distorsione contenuta corrisponde al vero, dal momento che le curve indicano un valore costante a tutte le focali inferiore al 2%, col tipico andamento a cuscinetto dei teleobiettivi, mentre la curva di aberrazione cromatica longitudinale sull’asse rimane a sua volta piuttosto omogenea alle varie focali (fattore rilevante, considerando che ci si spinge fino a ben 600mm), tuttavia passando dalla d-line del giallo (587nm di lunghezza d’onda) alla C-line del rosso (656nm di lunghezza d’onda) si assiste ad un percettibile spostamento di fuoco che aumenta ovviamente alle focali maggiori, comportamento che sottolinea la difficoltà del sistema a tenere a fuoco tutti i settori dello spettro visibile sullo stesso piano anche in presenza di vetri a bassa e bassissima dispersione.

 

 

In questa immagine è possibile valutare con più chiarezza lo schema ottico del Canon 150-600mm L e anche apprezzare gli spostamenti messi in atto zoomando dalla focale minima a quella massima; durante il passaggio da 150mm a 600mm i moduli L8-L9-L10 e L11-L12-L13 si spostano indietro con corsa asincrona, determinando non solo la variazione di focale ma anche la compensazione della messa a fuoco impostata (parafocalità); grazie al movimento di moduli piccoli e leggeri è stato possibile gestire questa funzione con la semplice traslazione del pomello laterale multifunzione; la messa a fuoco è invece gestita internamente dalla corsa del modulo L5-L6 (curiosamente costituito da due lenti in vetro UD a bassissima dispersione): questo elemento, movimentato dalla rotazione del pomello laterale, per passare da infinito a 3m richiede uno spostamento in avanti di 33,8mm, valore contenuto che viene gestito facilmente dai rinvii meccanici necessari; si tratta quindi di un progetto maturo, oculatamente impostato a priori per facilitare le operazioni di messa a fuoco e variazione di focale in presenza di quote, pesi e misure rilevanti.

 

 

Naturalmente uno schema così complesso a 19 lenti in 15 gruppi ha imposto anche l’utilizzo di una vasta gamma di vetri ottici differenti; sono infatti ben 10 le tipologie adottate, fra le quali troviamo il Fluorite Crown a bassa dispersione, il Phosphate Crown a bassissima dispersione (UD), 3 tipi agli ossidi delle Terre Rare ad alta rifrazione/bassa dispersione (lanthanum Flint, lanthanum Dense Flint, lanthanum Crown), oltre ai vari Borosilicate Crown, Dense Flint, Dense Crown, Flint e Crown allo zinco.

I vetri ottici erano forniti dalla vetreria nipponica Ohara e le lenti UD sono la sesta, la settima e la quindicesima, mentre le altre quattro a bassa dispersione in vetro S-FSL5 (simile allo Schott FK5, con numero di Abbe intorno a 70 contro il valore superiore ad 81 dei vetri UD-ED propriamente detti) sono la prima, la seconda, la dodicesima e la quattordicesima; queste lenti, composte in prevalenza da fluoruri e metafosfati, sono meccanicamente meno resistenti rispetto a quelle in vetro convenzionale, pertanto occorre qualche attenzione in più nel preservare l’elemento frontale da graffi e abrasioni, essendo realizzato appunto con un materiale di tipo FK; la batteria di vetri è nobilitata anche da 6 lenti realizzate con i citati materiali agli ossidi delle Terre Rare, con 3 elementi in lanthanum Dense Flint, 2 in lanthanum Crown ed uno in lanthanum Flint.

Il Canon FD 150-600mm 1:5,6 L del 1982 è stato quindi un obiettivo davvero speciale da molti punti di vista: la sua escursione focale ne faceva il modello più appariscente ed impressionante della linea FD, la meccanica ingegnosa (possibile solo con una progettazione ad hoc fin dalla creazione dello schema ottico) non aveva precedenti e diede vita ad un obiettivo iconico ed inconfondibile, il sofisticato schema ottico garantiva prestazioni molto elevate e l’apertura massima era superiore a quella di tutti i concorrenti, col vantaggio di un accoppiamento convenzionale al diaframma automatico e all’esposimetro, comprese le funzionalità in automatismo dei relativi corpi; l’utilizzo di vetri a bassa dispersione, l’adozione di soluzioni raffinate per messa a fuoco e variazione di focale e la notevole finitura esterna da obiettivo professionale serie “L” contribuivano a definire un pezzo che, al di là del modesto riscontro di mercato dovuto al prezzo abnorme e alla risicata nicchia di impiego, incarnava un emblema di tecnologia e qualità costruttiva che dava gran lustro al costruttore e rilanciava il guanto di sfida all’acerrima concorrenza professionale, Nikon in primis.

E’ quindi un pezzo indimenticabile, con quella livrea che sembra suggerita da un altro mondo; fortunato chi lo conserva!

Un abbraccio a tutti; Marco chiude.

 

 

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