Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; spesso verità consolidate si radicano sostenute da una comune convinzione, una dissociazione cognitiva che non ci lascia accettare la soluzione più semplice e logica, il classico rasoio di Occam, soltanto perché vogliamo credere fermamente in quel postulato ormai consolidato; queste considerazioni possono calzare perfettamente con uno degli obiettivi più famosi ed intriganti degli anni ’90, il celebre zoom tuttofare professionale Angenieux 28-70mm 1:2,6 AF, l’ultimo obiettivo fotografico per uso civile commercializzato dalla celebre casa di St. Heand e anche l’unico autofocus; quando venne lanciato, nel 1992, nel parco di ottiche Nikon non esisteva ancora il classico 28-70mm 1:2,8 professionale, pertanto quest’ottica dagli importanti natali andava a coprire una nicchia che corrispondeva alle reali esigenze di tanti Nikonisti e io stesso, nel 1993, ne acquistai un esemplare per equipaggiare la mia F4s, senza dimenticare che lo stesso obiettivo era disponibile anche in attacco Canon EF e Minolta AF.
Negli ultimi 10 anni prima del commissariamento la Angenieux era scesa in campo nel settore della fotografia convenzionale, offrendo agli sbigottiti appassionati la possibilità di accedere ad obiettivi che definire universali era certamente riduttivo, vista la fama di eccellenza acquistata dalla casa nel settore delle ottiche zoom cinematografiche; in quel periodo l’azienda lanciò il 35-70mm 1:2,5-3,5, il 70-210mm 1:3,5, il 200mm 1:2,8 e il 180mm 1:2,3, quest’ultimo servito da un sofisticato sistema di messa a fuoco interna flottante; tutte queste ottiche erano rigorosamente manual focus e l’arrivo dell’ultimo esemplare, il 28-70mm 1:2,6 AF, parve come il diamante della corona che viene a suggellare in modo definitivo una gamma di obiettivi che, per blasone, si relazionavano senza timore con i mostri sacri del settore.
Come di consueto, la dotazione del 28-70mm 1:2,6 AF risultava completa e comprendeva un paraluce metallico, un filtro UV di alta qualità brandizzato e trattato con antiriflessi multipli e due tappi anteriori, uno da 77mm per l’obiettivo senza paraluce e un altro da 82mm da utilizzare col paraluce montato; naturalmente, come di consueto, era anche presente una scheda MTF individuale con il valore effettivamente misurato sul singolo esemplare ad una frequenza spaziale predeterminata, fornito per testimoniare la congruenza alle specifiche teoriche di progetto (lo smalto bianco nel marchio Angenieux a rilievo sui tappi è opera mia, in origine tali elementi sono completamente neri).
Quest’obiettivo suscitò clamore per l’alta luminosità (1:2,6 fissa a tutte le focali, record della categoria) e soprattutto per l’interfaccia autofocus che permetteva di applicarlo ai corpi macchina più moderni realizzati da Canon, Minolta e Nikon; proprio quest’ultimo attacco risultò il più interessante perché consentiva ai fan del marchio di affiancare all’ottimo e ormai diffuso AF-Nikkor 80-200mm 1:2,8 ED uno zoom tuttofare di equivalente luminosità e, asseritamente, qualità.
Lo zoom Angenieux 28-70mm 1:2,6 AF utilizzava un sofisticato schema a 16 lenti in 12 gruppi; naturalmente la tecnologia del tempo rendeva le superfici asferiche e i vetri ED a bassissima dispersione ancora troppo costosi per utilizzarli senza patemi (all’epoca solo Canon aveva sviluppato una tecnologia a controllo numerico che le consentiva l’impiego diffuso di lenti a profilo parabolico), tuttavia l’architettura appariva complessa e moderna e, nell’uso pratico, garantiva risultati di alta qualità; in ogni caso il fortunato proprietario trovava la massima soddisfazione nell’autocompiacimento feticistico legato all’uso di un obiettivo creato da questo marchio leggendario e si sforzava di riconoscere nelle fotografie che produceva stilemi in confondibili della classica resa Angenieux, specie sull’incarnato.
Un altro elemento esclusivo da vantare con un sorriso sardonico nelle discussioni fra appassionati era la garanzia, limitata ad “appena” 5 anni per via dei componenti elettronici presenti nell’obiettivo, a fronte di quella classica di 30 anni (!) fornita per altri prodotti Angenieux più convenzionali… Si trattava quindi di un obiettivo fuori dall’ordinario sotto molti punti di vista e chi aveva investito oltre 2,5 milioni di Lire di inizio anni ’90 era comunque felice e soddisfatto della sua scelta ardita e fuori dal coro.
Gli appassionati con le tempie brizzolate ricorderanno la triste parabola che interessò Angenieux pochi anni dopo il lancio del 28-70mm 1:2,6 AF: i bilanci in rosso portarono al commissariamento dell’azienda che, in breve, si ritrovò a produrre strumenti ottici per uso militare ed altri articoli, abbandonando però in via definitiva il settore della fotografia convenzionale; le cronache del tempo raccontano come quest’ultimo progetto così interessante e prestazionale fosse stato ceduto alla grossa azienda giapponese Tokina, già da tempo impegnata nella realizzazione di obiettivi universali per i principali attacchi; Tokina rielaborò la montatura per uniformarla allo standard delle sue ottiche professionali e presentò l’ATX-PRO 28-70mm 1:2,6-2,8 che ne ricalcava la struttura ottica, dichiarando però onestamente un calo di luminosità alla focale 70mm non indicato nella versione originale Angenieux.
Tale obiettivo venne poi aggiornato alla versione ATX270 AF/PRO II, migliorando i trattamenti antiriflessi, la qualità del barilotto, la finitura e la velocità AF senza tuttavia modificare il gruppo ottico originale fornito da Angenieux, autentico vanto del modello.
Questa è la storia ufficiale che allora è stata accettata, condivisa e diffusa da tutti, passando agli archivi; dopo molto tempo, col senno di poi, la realtà sembra essere invece di altro tenore, seguendo il citato postulato del rasoio di Occam, secondo il quale – a parità di fattori – la soluzione più semplice, logica e lineare è preferibile.
I primi elementi sospetti iniziano dall’imballaggio e dal barilotto; infatti la confezione esterna è l’unica che riporti la dicitura made in France (e nessuno obbietta che la scatola sia effettivamente…prodotta in quel paese), tuttavia sul cannotto dell’obiettivo tale denominazione è completamente assente, al contrario di quanto avviene sugli altri obiettivi Angenieux fotografici prodotti negli anni precedenti, sui quali la scritta made in France è regolarmente presente.
A risultare poco logico e farraginoso è anche l’intero iter del passaggio di progetti e diritti dello schema ottico al famoso costruttore nipponico: Tokina era un colosso, con proprie linee per la fusione del vetro ottico, modernissime attrezzature e centinaia di tecnici di valore che avevano progettato e brevettato decine di obiettivi del genere: un’azienda di questo tipo non aveva alcun bisogno di acquistare dalla boccheggiante Angenieux il progetto di un 28-70mm quando lei stessa ne aveva progettati svariati modelli e tutti con avanzata tecnologia.
Considerando tutto questo e anche l’assenza del made in France sull’obiettivo, risulta effettivamente più logico che Angenieux, volendo esordire nel settore autofocus con un obiettivo luminoso e complesso in momenti in cui i bilanci erano già preoccupanti, abbia appaltato a Tokina la progettazione ottica e la produzione dell’obiettivo, semplicemente rimarcandolo Angenieux, e quando l’azienda francese non fu più in grado di commercializzarlo, Tokina semplicemente continuò a produrlo in montatura ATX-PRO e col proprio marchio in chiaro, col fine di recuperare l’investimento iniziale con numeri ben superiori a quelli complessivamente garantiti da Angenieux stessa.
Per corroborare questa ipotesi logica mi sono preso la briga di cercare ed analizzare centinaia di brevetti Tokina registrati dal 1970 ai primi anni ’90; diciamo subito che non li ho colti con le mani nella marmellata (un documento assolutamente conforme allo schema del 28-70mm 1:2,6 non c’è), tuttavia osserviamo lo schema ottico di questo zoom Tokina 28-85mm 1:4 brevettato da Isao Kawaguchi nel 1976 affiancato a quello del 28-70mm 1:2,6 AF commercializzato da Angenieux e Tokina.
Ho evidenziato con varie sfumature i differenti gruppi ottici principali e, nonostante i 15 anni di differenza nella progettazione e la luminosità differente, nei due schemi si riconosce immediatamente un fingerprint comune e caratteristico, al punto che è ben più che ragionevole pensare che l’architettura del 28-70mm 1:2,6 AF del 1992 sia stata sviluppata dalla stessa azienda e partendo da questo palinsesto tipico ed inconfondibile.
Tutto il ragionamento dipanato finora non si avvale di prove inconfutabili ma è sensato; d’altro canto le uniche tracce del brand Angenieux sull’obiettivo sono decorazioni a sbalzo nella striscia gommata delle ghiere e una sottile palpebra in plastica sagomata, di sapore cinematografico, fissata con 4 viti nella montatura anteriore, tutte sovrastrutture che facilmente applicabili ad un barilotto “neutro”.
Lascio a ciascuno di voi le considerazioni finali!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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