Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; ci fu un tempo in cui produttori di obiettivi e quelli di fotocamere si cimentavano nei rispettivi settori senza sconfinare: i primi fornivano l’equipaggiamento ottico ai secondi, gestendo un rapporto consolidato e di reciproca soddisfazione del quale in tempi recenti troviamo un esempio calzante nel binomio Hasselblad – Carl Zeiss, entrambi al vertice nei reciproci ruoli.
Col tempo i fabbricanti di fotocamere si sono evoluti, organizzando in proprio la progettazione e la costruzione degli obiettivi necessari ai loro corredi, mantenendo tuttavia una forte identità di brand e ponendosi in evidente competizione commerciale con i concorrenti interni ed esterni, creando nel contempo una claque di entusiasti del marchio che sostenevano le vendite e palesavano un apprezzamento a senso unico assimilabile ad una fede calcistica per le specifiche scelte tecniche, estetiche o funzionali dei relativi prodotti, quasi una “filosofia di vita” da sposare.
Questo status quo ha retto per molto tempo e, specificamente, in Giappone i singoli brand del settore si trovavano ciascuno inquadrato in un relativo Keiretsu, ovvero una sorta di concentrazione industriale sotto traccia nella quale varie aziende attive in diversi settori si interlacciavano con una rete di partecipazioni e quote azionarie incrociate, creando un’amalgama nella quale ogni singolo membro metteva a disposizione il suo know-how per il profitto complessivo del proprio Keiretsu, un’organizzazione aziendale che favoriva la concorrenza fra i vari marchi del settore fotografico; tuttavia, negli ultimi anni, questo schema ha perso in pratica la sua validità e alla volontà di affermare la propria identità e tecnologia vincente si sono sostituite logiche di profitto reciproco che hanno sconvolto gli schemi, molto spesso all’insaputa degli ignari clienti; questo articolo vuole appunto far luce su questa nuova generazione di alleanze tecnico-commerciali spesso un po’ spregiudicate e per certi punti di vista può essere un pezzo scomodo, pertanto anticipo un’importante chiarimento: io non condivido alcuna affermazione di principio esplicita, mi limito a mettere in evidenza e mostrare in chiaro, eventualmente affiancati, documenti e schemi che da tempo sono di pubblico dominio, lasciando al lettore la libertà di valutarli liberamente e farsi un’opinione in materia.
La prima serie di elementi riguarda il brevetto di obiettivi anche famosi per i quali, nei relativi documenti, il titolare dei diritti sul progetto non è solo il brand che lo produce e commercializza col proprio marchio ma anche un’altra azienda estranea e talvolta non più ufficialmente attiva nel settore; è il caso di alcuni recenti obiettivi Nikkor del cui brevetto sono contitolari sia Nikon Corporation che Konica Minolta, azienda in effetti uscita dal mondo della fotografia convenzionale e specificamente degli obiettivi ad essa destinati.
Questo brevetto di Imajima fu depositato in Giappone il 9 Marzo 2013 e contiene i parametri di progetto del celebre Nikon Nikkor 19mm 1:4 PC-E, il supergrandangolare decentrabile/basculabile introdotto dall’azienda come risposta al celebre Canon 17mm 1:4 TS-E L; i titolari di questo brevetto, relativo ad un pezzo molto importante e prestigioso del sistema Nikon recente, sono in simultanea Nikon Co. e Konica Minolta, una scoperta che lascia interdetti sia perché, come detto, la seconda azienda non opera più in questo segmento, sia perché Nikon gravitava nel keiretsu Mistubishi e Minolta nel keiretsu Sanwa, quindi anni fa un’eventuale join-venture tecnologica era realmente improbabile.
Per ribadire che non si è trattato di un caso isolato, questo secondo brevetto descrive un progetto realizzato da Yoshihito Souma e Satoru Shibata e consegnato per la registrazione statunitense il 24 Febbraio 2011 (quello prioritario giapponese era stato richiesto il 2 Marzo 2010); questo documento descrive le caratteristiche del Nikon AF-S Nikkor 85mm 1:1,4 G, celebre medio-tele luminoso da ritratto, e i relativi committenti titolari dei diritti sono Konica Minolta Advanced Layers Inc. e Nikon Co., in questo esatto ordine; nel brevetto visto in precedenza venica indicata semplicemente Konica Minolta perché nel 2012 le varie società Konica Minolta Advanced Layers Inc., Konica Minolta Optics Inc. e Konica Minolta Medical & Graphics Inc. vennero fuse in una singola realtà mentre, ai tempi del brevetto che descrive il 19mm 1:4 PC-E, risultavano ancora entità distinte; anche in questo caso non si comprende la ragione di questa insospettabile sinergia, mancandomi informazioni sensibili posso immaginare che le aziende mantengano questa collaborazione sotterranea per sfruttare reciproci brevetti nel settore con beneficio di entrambe le parti, tuttavia in assenza di queste evidenze non avrei mai immaginato che dietro queste famose ottiche Nikkor ci fosse anche lo zampino Konica Minolta.
Un altro esempio di sinergia fra Nikon Co. e un’importante azienda nipponica del settore è fornito da questo terzo brevetto, firmato da Sato-San e depositato il 21 Maggio 2014; da quello che posso dedurre il documento riguarda il calcolo di una serie di schemi supergrandangolari retrofocus destinati ad un 19mm 1:4 e ad un 24mm 1:3,5 decentrabili, ad un estremo 10mm 1:4 e ad un 14mm 1:2,8, tutti con spazio retrofocale sufficiente ad operare su una reflex 24x36mm, e i titolari del brevetto risultano essere Cosina e Nikon; anche in questo caso lascio alla fantasia dei lettori il senso di questa sinergia.
Un altro documento testimonia la collaborazione fra un’azienda emergente nel settore foto-ottica, la Sony Co. e un’altra indipendente e specializzata da tempo nella produzione di obiettivi come Tamron Co.; questo brevetto congiunto Sony-Tamron venne depositato in Giappone il 3 Luglio 2012 e riguarda il calcolo di uno zoom grandangolare e stabilizzato 10-18mm 1:4 per il formato APS-C, in una fase in cui Sony era in una learning curve in questo settore ed evidentemente si avvantaggiava del know-how condiviso dal partner.
Questa nuova realtà nel quale aziende un tempo contrapposte ora dialogano di buon grado è prodroma di un successivo step: l’utilizzo di gruppi ottici progettati da terzi per la realizzazione dei propri obiettivi; in realtà l’impiego di obiettivi forniti da fabbricanti estranei con i quali si intessono buoni rapporti non è una novità e, ad esempio, l’azienda Leitz fin dagli anni ’60 ha sfruttato noccioli di progettazione/produzione Schneider e poi anche Zeiss e Minolta per confezionare alcuni modelli di obiettivi complessi da calcolare e destinati e vendite contenute, una prassi comunque corretta anche perché il fabbricante aveva sempre correttamente dichiarato l’origine di questi gruppi ottici.
Forse l’esempio più controverso di questa specifica realtà fu il Vario-Elmar-R 28-70mm 1:3,5-4,5 presentato alla Photokina 1990, un obiettivo che utilizzava il gruppo ottico del corrispondente zoom Sigma e che era prodotto in Giappone dalla stessa azienda direttamente in montatura e con specifiche meccaniche Leica R; anche in questo caso l’origine del pezzo venne debitamente dichiarata ma forse fu la strategia di mercato delle aziende a peccare, dal momento che ricordo come fosse contemporaneamente disponibile in negozio il Vario-Elmar-R ma anche l’equivalente zoom Sigma con lo stesso gruppo ottico e proposto ad una frazione del prezzo; ricordo anche alcuni appassionati del marchio che, discutendo nei negozi, storcevano il naso per le origini del gruppo ottico ritenute troppo plebee…
Negli anni successivi l’outsourcing delle grandi aziende riguardò soprattutto prodotti entry-level alla base di gamma, come queste Nikon FM10 ed FE10 (peraltro dal design gradevole e con funzionalità azzeccate) col relativo zoom 35-70mm 1:3,5-4,8, fornite da Cosina; in questo caso la scarsa divulgazione della verità sulle origini dei modelli non andava ad eccessivo detrimento dei clienti perchè il prezzo abbordabile di tali fotocamere non gravava il “plusvalore di brand” sui listini in modo eccessivo; occorre anche ricordare che già a fine anni ’60 – inizio anni ’70 Cosina assemblava per vari brand i rispettivi 50mm poco luminosi e di grande diffusione, producendoli secondo le esatte specifiche dell’azienda di origine e permettendole di soddisfare i volumi di vendita necessari, insostenibili con le strutture interne; in questo caso, tuttavia, la progettazione e il know-how erano quelli dell’azienda originale, si trattava solo di produzione delocalizzata e non rientra nelle problematiche specifiche di questo articolo.
Un altro esempio di outsourcing del recente passato riguarda le ottiche Rolleinar fornite dalla Franke & Heidecke / Rollei Fototechnik in alternativa ai costosi obiettivi prodotti o progettati da Carl Zeiss; in questa linea dal prezzo più abbordabile trovavano posto modelli dalla focale particolare, diversi zoom e anche focali fisse convenzionali ma con valore di apertura massima non coperto dalla gamma Zeiss, e vennero forniti di volta in volta da fabbricanti come Mamiya, Sigma, Kiron oppure Tokina; anche in questo caso l’origine più “plebea” rispetto alla prima scelta Zeiss non venne sbandierata ai quattro venti ma, come nell’esempio precedente, il costo competitivo garantiva comunque un onesto value-for-money al cliente ignaro dei natali del suo nuovo obiettivo.
Un altro famoso caso di possibile rebranding riguarda lo zoom Olympus OM Zuiko 35-105mm 1:3,5-4,5; l’aspetto estetico, la caratteristica struttura meccanica per la posizione macro, le distanze minime di fuoco e il numero di lenti corrispondono infatti a quelli del Tokina SMZ105 35-105mm 1:3,5-4,5 anche se, nonostante lunghe ricerche, non sono mai riuscito a trovare lo schema ottico di quest’ultimo per confermare al 100% la stretta parentela; effettivamente i 2 obiettivi sono praticamente identici, fatto salvo per le piccole connotazioni estetiche necessarie al “family feeling” con gli altri OM Zuiko; anche in questo caso non si trattava tuttavia di un obiettivo con prezzo da capogiro e non occorre stracciarsi le vesti.
Il discorso invece cambia, almeno dal mio punto di vista, quando coesistono 2 specifiche condizioni: 1) il rebranding di un obiettivo concepito, progettato, sviluppato e prodotto da terzi e poi commercializzato aggiungendo solamente il proprio marchio e un cospicuo surplus sul prezzo di listino giustificato dal “plusvalore di brand”, e 2) l’omissione di comunicare tale informazione ai clienti, lasciando credere che sia un progetto genuinamente concepito dal nostro amato marchio.
Come avevo promesso, non esprimo alcun giudizio in merito, mi limito a mostrare le riproduzioni di schemi ricavate da brochures di una ventina di anni fa e regolarmente distribuite nei negozi di fotografia, affiancando 2 coppie di obiettivi di marca differente e con analoghe caratteristiche geometriche, unitamente ai relativi pesi e dimensioni dedotti dai dati della brochure, lasciando ai lettori il compito di valutare.
Questo argomento è tornato alla ribalta in tempi recenti quando i brevetti di un noto produttore giapponese risultarono coincidenti con alcuni obiettivi commercializzati da un celebre brand tedesco col proprio marchio; anche in questo caso mi limito ad esporre gli schemi ottici originali e il relativo embodiment del brevetto giapponese, sottolineando che l’ottica finita è a sua volta made in Japan.
Questo recente esito della situazione nuova e fluida che si è creata può essere effettivamente allarmante, non tanto perché la qualità ottica finale sia scarsa ed inadeguata al brand (solitamente è infatti eccellente e perfettamente allineata alle aspettative) ma proprio perché per questi obiettivi viene fatto pagare un sovrapprezzo per “plusvalore di brand” che il cliente affezionato è lieto di sborsare sapendo che il suo nuovo gioiello è stato concepito, creato e coccolato dalle sapienti mani dei tecnici del suo marchio del cuore, pertanto è comprensibile un certo sconcerto davanti a simili evidenze; quest’ultimo elemento è stato a mio avviso sottovalutato da alcuni fabbricanti: il cliente che accede a certi brand non si accontenta che la qualità ottica e meccanica siano impeccabili ma vuole anche “la polvere di stelle”, partecipare di quell’heritage irripetibile che l’azienda può vantare e che queste aride logiche commerciali tendono invece a negare, meccanismi che possono funzionare ed essere condivisibili su prodotti di massa entry level ma, per carità, lasciamo stare i mostri sacri!
Un abbraccio a tutti; Marco chiude.
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ma manco un sovietico con un Keiretsu che si rispetti ??? :)) :))