Un cordiale saluto a tutti i followers di NOCSENSEI; la recente introduzione della gamma di fotocamere mirrorless full-frame di Canon e Nikon ha riportato alla ribalta una questione tecnica che costituisce un limite per i progettisti di obiettivi da molti anni, quantomeno dal periodo in cui iniziarono a calcolare obiettivi molto luminosi o grandangolari simmetrici dallo schema complesso: le quote meccaniche disponibili in relazione alle dimensione e al posizionamento delle lenti posteriori del gruppo ottico.
Come ho già avuto modo di condividere, a mio parere questa nuova generazione di mirrorless giapponesi di stampo professionale non è stata concepita e presentata col fine di proporre un’alternativa più compatta e leggera alla classica “Panzerkamera” reflex (infatti gli ingombri dei corpi e degli obiettivi sono pari o addirittura superiori a quelli delle attrezzature attuali), bensì per mettere a disposizione dei progettisti ottici baionette di grande diametro e spazi retrofocali non vincolati, consentendo finalmente di sfruttare al 100% il potenziale della moderna tecnologia di calcolo.
Tuttavia l’immagine di un ottico che litiga col diametro utile della baionetta non è una novità dei nostri giorni: infatti le quote meccaniche dell’interfaccia al corpo macchina, quando si tratta di progetti spinti al limite del possibile, hanno sempre rappresentato uno dei principali “colli di bottiglia” del sistema; vediamo alcuni esempi presi fra obiettivi molto famosi.
Il Nippon Kogaku Nikkor-O 2,1cm 1:4 è uno degli ultimi obiettivi presentati per il sistema Nikon S a telemetro, nel 1959; dal momento che nello stesso anno venne lanciata la mitica reflex Nikon F e il progetto di schemi grandangolari retrofocali richiesti da tale sistema era ancora primordiale, si decise di inserire questo eccellente obiettivo ispirato allo Zeiss Biogon anche nel parco ottiche iniziale della nuova ammiraglia; trattandosi di un grandangolare simmetrico, previsto per corpi a telemetro che non hanno alcun ingombro al loro interno, l’ultima lente sfruttava tutto lo spazio disponibile all’interno delle Nikon S e andava a posizionarsi a circa 1cm dall’otturatore: in questo modo era possibile progettare un supergrandangolare da oltre 90° di ottima qualità.
Adattando quest’obiettivo alla Nikon F, il cui tiraggio è di 46,5mm, l’intero gruppo ottico venne arretrato, prevedendo quindi l’impiego con lo specchio sollevato; purtroppo, in queste condizioni, lo spazio libero in senso verticale era insufficiente per fare passare l’ultima lente e posizionarla vicino all’otturatore, pertanto fu necessario tagliarne una sezione che si trovava oltre la proiezione d’immagine del lato lungo, consentendo quindi l’adattamento sulla nuova reflex.
Questa continua lotta fra nuove idee e vincoli geometrici si tramanda dunque da generazioni ed è quindi logico che i principali costruttori attuali, nel momento in cui non è stato più necessario lo specchio reflex o il mantenimento di obsolete e storiche montature, abbiano provveduto ad eliminare completamente questa limitazione, restituendo ai progettisti la libertà di spingersi ai limiti fisici di calcolo senza preoccuparsi di altro.
Un abbraccio a tutti – Marco chiude.
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